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Autore: Emerlith    05/10/2012    7 recensioni
''...Quando arrivarono al limitare di una radura, e la casetta di legno fece la sua tanto attesa comparsa, pregò solo che il gioco fosse davvero finito, e che il pianto che rimbombava sinistro fosse dettato solo da semplice stanchezza. Ma quando vide Narcissa riversa a terra, imbrattata di fango, e Rabastan con la sua bacchetta sguainata come una spada, seppe per certo che i giochi di Bellatrix non avrebbero mai avuto un lieto fine, e che nessuno si sarebbe mai divertito. ''
Di nuovo i piccoli Lestrange e le sorelle Black, alle prese con un nuovo gioco... perdonate la lunghezza e l'eccessiva dose di tentata psicoanalisi.
Narcissa può essere considerata marginale stavolta. L'accenno alla figura di Druella Black è importante, anche se sono volutamente rimasta sul vago.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Rabastan Lestrange, Rodolphus Lestrange | Coppie: Rodolphus/Bellatrix
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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I bambini persi nel bosco.

A Katekat,
Che ha il potere di togliermi le parole di bocca,
e che sa regalarmi attimi di perfezione con ogni sua storia.
 

Con la presente, invito tutti voi (coraggiosi) che vi apprestate a combattere con questa shot leggermente incomprensibile, a leggere, nel caso vi fosse sfuggita, "Gli occhi della notte", se amate Rodolphus e Bellatrix.
E Vi ringrazio anticipatamente per gli sforzi che farete nel cercare di comprendere il senso di questa mia storia.
Buona lettura… e scusate la lunghezza, probabilmente non va bene per una shot.
 

 
‘’ Gli amori nuovi sono pieni di paure.
Non hanno un posto nel mondo e non hanno un capolinea. ‘’
-Margaret Mazzantini, Non ti muovere.-
 

 ‘’ There’s a story behind every person.
There’s a reason why they’re the way they are.
They aren’t just like that because they want to.
Something in the past created them, and sometimes it’s impossible to fix them. ‘’
-Sigmund Freud-

 
A Rodolphus la neve piaceva. La neve era pulita, era candida e leggera. La neve era soffice, era silenziosa e cauta. La neve sapeva dove andare a posarsi, nessun fiocco di neve cadeva mai nel posto sbagliato.
 
A Bellatrix la neve piaceva. La neve era fredda, formava un manto statico e soffocante. La neve si posava a casaccio, i fiocchi turbinavano confusamente, sospinti dalle correnti gelide, per poi infiltrarsi ovunque, in ogni fessura, per uccidere silenziosamente.
 
In quella fredda mattinata di Dicembre, entrambi se ne stavano con il naso all’insù,fissando il cielo grigio, in attesa dei primi fiocchi. L’uno perché pregustava con ansia le battaglie a palle di neve e le corse sfrenate sugli slittini con suo fratello minore Rabastan, l’altra perché la neve era l’unica cosa che aveva il potere di coprire ogni rumore del mondo, persino quello dei suoi stessi passi. Perché a Bellatrix piaceva il silenzio. E piaceva il buio. Quel nero che inghiottiva qualsiasi cosa, che aveva il potere di renderti un tutt’uno col nulla. Esattamente come il bianco accecante della neve. Funzionavano alla stessa maniera.
 
Quella mattina di Dicembre, entrambi i ragazzini se ne stavano a fissare il cielo con aria sconfitta, lasciando le nuvole grigie passare nei loro occhi, come pallidi fantasmi, come un tetro presentimento.
Quando Rabastan andò a chiamarlo, Rodolphus era ancora alla finestra, seminascosto dalle spesse tende smeraldo, accigliato, intento a tracciare dei ghirigori sul vetro appannato. Lo scalpiccio frenetico e l’affanno del fratello lo fecero sorridere.
-Rod, siamo in ritardo, la mamma dice che sei uno screanzato.-
Rodolphus fece una risatina, poi lentamente si voltò verso Rabastan. Il bambino, rosso in viso e con i capelli neri tutti scarmigliati e ritti sulla testa, lo fissava dalla porta.
-Cos’è che ha detto nostra madre, di grazia? E sistemati il cravattino e la camicia nei pantaloni.-
Rabastan pestò un piede a terra, il cipiglio offeso e le guance paonazze. Era leggermente paffutello rispetto a lui, anche se gli somigliava molto, pur avendo gli occhi neri e i capelli più lisci.
-Ha detto che sei uno screanzato. Che siamo in ritardo, e che invece di stare a contemplare le nuvole come un povero sciocco chiedendoti perché non nevica, dovresti scendere di sotto e sbrigarti, perché non è bello essere in ritardo e far aspettare delle signorine tanto garbate e belle come le sorelline Black.-
Il sorriso divertito di Rodolphus vacillò. Si passò una mano fra i capelli ricci e castani, della stessa sfumatura morbida delle iridi ambrate e calde. Il suo cuore prese a battere più velocemente, ma il suo respiro parve bloccarsi a metà strada, fra i polmoni e la gola, tanto che ebbe l’impulso di tossire.
-Ma vuoi muoverti? Che cosa stai facendo?-
Rodolphus si schiarì la voce, poggiando la schiena al davanzale freddo della finestra, mentre Rabastan lo fissava impazientemente.
-Dobbiamo… dobbiamo andare dai Black? Ma credevo dovessimo andare dai Selwyn.-
Rabastan alzò gli occhi al cielo.
-Dai Selwyn dobbiamo andarci la sera di Capodanno. Oggi è il Ventiquattro Dicembre, Rod, te lo ricordi?-
Rodolphus si accigliò.
-Smettila di parlarmi così, razza di imbecille.- Lo apostrofò, scostando con rabbia le pesanti cortine e andandogli incontro a grandi falcate. Rabastan indietreggiò di un passo, automaticamente. Non possedeva ancora una sua bacchetta, ma anche se l’avesse avuta, probabilmente non l’avrebbe  usata, perché il pungo di Rodolphus sarebbe stato di gran lunga più efficace e l’avrebbe steso prima. Rodolphus estrasse la sua dalla tasca, ma solo per intimorirlo. Lui, nemmeno l‘avrebbe mai usata per affatturarlo, anche se non fosse stato vincolato dalle restrizioni impostegli dal Ministero. Perché Rabastan non lo sapeva, ma Rodolphus gli voleva bene, per davvero. Solo, voleva che imparasse a cavarsela.
Rabastan ricambiò lo sguardo di sfida, seppur con una certa fatica, mentre Rodolphus lo afferrava dal colletto già spiegazzato della camicia.
-Qual è il tuo problema, Rab?-
-Niente, Rod, è tardi. L’ha detto nostra madre, non io. Sai che importa, a me. -
-Sei sicuro che dobbiamo andare dai Black, Rab?-
Rabastan tossicchiò, poi si divincolò, mentre Rodolphus lo spingeva contro il muro.
-Sì. Sono sicurissimo, ci sono i regali per loro nell’ingresso … e lasciami!- Sbottò, riuscendo a tirargli un calcio nello stinco destro. Rodolphus morse il labbro inferiore, fissando la carta da parati con i cavalli da caccia,  mentre Rabastan continuava a borbottare insulti confusi e si aggiustava freneticamente i vestiti. Ma prima che suo fratello uscisse dalla sala, ancora rosso in viso e con le sopracciglia talmente corrugate da sembrare un tutt’uno, Rodolphus riuscì a formulare una domanda, talmente flebile che sembrava per davvero un fiocco di neve caduto dal nulla, pronto a posarsi su un sogno.
-Qual è il regalo per Bellatrix?-
Rabastan alzò le spalle e corse via. Rodolphus non lo seguì, seppure gli strilli di sua madre avessero raggiunto le sue orecchie. Restò impalato a fissare la porta aperta, il corridoio illuminato fiocamente dalla luce plumbea. Senza riuscire a muoversi.
 
-Spero proprio che “I sette rintocchi’’ sia in programma per questa sera.- Commentò vivacemente Rabastan, mentre la carrozza su cui erano loro due risaliva lentamente il maestoso viale costeggiato dagli aceri spogli. Rodolphus annuì distrattamente alle sue parole. Non gli importava dei giochi, gli importava solo passare la giornata con Bellatrix, per quanto gli seccasse al tempo stesso doverlo ammettere, anche solo nella sua testa. Quando vide la facciata della villa dei Black , semicoperta d’edera sempreverde, il suo stomaco parve attorcigliarsi, tant’è che dovette chinarsi leggermente in avanti, premendoci una mano sopra. Probabilmente doveva aver perso un po’ di colorito, perché Rabastan lo fissò preoccupato per qualche istante.
-Ti viene da vomitare, per caso?-
Rodolphus scosse la testa, mugugnando e cercando di simulare indifferenza.
Rabastan lo guardò per qualche altro secondo, poi si fece scappare un sorriso, dondolando le gambe con aria innocente.
-Eri in ansia perché sono tre giorni che non vedi la tua Bella?- Sghignazzò.
Rodolphus serrò i pugni sui fianchi, mentre una rabbia inaudita gli ribolliva nel petto.
-Smettila, Rab, immediatamente.- Sibilò, trapassandolo con uno sguardo carico d’odio e colmo al tempo stesso di paura, perché suo fratello si era appena accorto di tutto ciò che lui aveva sempre creduto invisibile agli occhi di tutti, persino ai suoi. Ma Rabastan si mise a ridacchiare, pensando ingenuamente d’aver sbagliato ipotesi anche questa volta, lui che era sempre abituato a considerarsi l’eterno secondo. Perciò continuò, non capendo quanto in realtà avesse ragione.
 -A Rod piace Bella, a Rod piace Bella …- Si mise a cantilenare.
Rodolphus serrò la mascella, fece schioccare le nocche della mano destra.
-Smettila, Rab.-
Rabastan rise.
-A Rod piace Bella, a Rod piace … -
Rodolphus scattò in piedi, afferrò il fratello dal bavero del cappotto e gli mollò un destro sul naso. Il sangue schizzò sul suo stesso viso, sulla sua stessa sciarpa con lo stemma della casata dei Lestrange. Rabastan urlò, divincolandosi furiosamente. I pacchi regalo poggiati sull’esigua reticella che fungeva da portapacchi caddero rovinosamente addosso ad entrambi.  Rodolphus estrasse la propria bacchetta dalla tasca, conficcandogliela nella gola, come la lama di un coltello.
-Se ti azzardi a nominare ancora Bellatrix o a dire un’altra volta una cosa del genere, io ti, io …-
Rabastan lo spinse con forza all’indietro, poi si accasciò sul sedile. Rodolphus guardò la sua mano destra, sporca di sangue. Poi la bacchetta serrata nel pugno sinistro. La portiera della carrozza s’aprì. Sua madre si portò una mano alla bocca, sgranando gli occhi.
-Mais tu es fou … ce qui c’est passé?-
-Non è pazzo.- Intervenne allora Rabastan, premendosi una mano sul naso. - Non… non è successo niente. Non è stato lui. Ci sono caduti i pacchi in testa, uno mi è finito sul naso. - Incespicò, mentre sua madre si chinava per ripulirlo e Rodolphus saltava giù dalla carrozza con gli occhi lucidi di lacrime, la voglia disperata di gettare alle ortiche la propria bacchetta e il disperato desiderio di capire perché Bellatrix avesse avuto il potere di fargli già infrangere anche quella promessa, di cui solo un’ ora prima era stato così sicuro. Perché aveva appena usato la bacchetta per ferire suo fratello, anche se non aveva formulato un incantesimo.
Mentre fissava annichilito l’edera che frusciava alle sferzate di vento gelido, sua madre gli mise il regalo e un bouchet di rose bianche fra le mani.
-Sei sporco, Rodolphus.-
Sospirò, lo girò verso di sé, gli ripulì il viso e la sciarpa con un colpo della bacchetta. Gli sorrise indulgentemente  e gli diede un bacio. Poi, come fosse stato un pupazzo, lo voltò nuovamente verso la facciata della casa,proprio mentre Bellatrix varcava la soglia del portone per salutare gli ospiti, con indosso un vestito di velluto rosso e in testa un germoglio di Agrifoglio a tener a bada i suoi boccoli.
 
-Quale immensa gioia avervi qui per la Vigilia di Natale, non è meraviglioso?-
Rodolphus fece un sorriso tirato,meglio che poté, mentre Druella Black si chinava a baciargli una guancia e a pizzicargli leggermente l’altra.
-Salve, signora Black, è un piacere rivederla.-
Druella lo lasciò andare con un ultimo, strano buffetto, e gli sistemò il nodo del cravattino bordeaux.
-Stai diventando proprio un bel giovanotto, Rodolphus.-
Rodolphus dissimulò un nuovo sorriso imbarazzato, fissando gli occhi azzurri e vitrei della donna, così diversi da quelli di Bellatrix, impossibili da guardare tanto parevano finti.
-Io… sì, grazie signora.-
-Mamma, mamma! Guarda cosa mi ha regalato Rabastan!-
La piccola Narcissa, identica alla madre,corse loro incontro, distogliendoli dalla conversazione.
-Hai visto che belle rose? Sono rosa, come piacciono a me. -
Druella passò la mano fra i capelli della figlia, sorridendo, mentre Rodolphus si accigliava.
-Sì, sono molto belle. Perché non vai a dire agli elfi di metterle in un bel vaso, assieme ad Andromeda? A proposito, dov’è?-
-Sta parlando con la signora Lestrange e Bellatrix in salotto.-
Rodolphus provò uno strano moto d’irritazione improvvisa nei confronti della bambina. Era adorabile, eppure estremamente irritante in quel vestitino bianco e con quel sorriso angelico.
-Faremo meglio a raggiungerli, allora. Tu cosa stavi aspettando ancora qui nell’atrio, Rodolphus?- Chiese ad un tratto Druella, cambiando improvvisamente tono, inarcando leggermente un sopracciglio, mentre Narcissa faceva una piroetta con il mazzo di rose in mano.
Rodolphus arrossì appena, poi gettò un’ultima occhiata alla parete.
-Nulla. Stavo solo guardando il ritratto di Bellatrix. Il ritratto con Voi.-
Druella seguì il suo sguardo e gli occhi azzurri si posarono sul ritratto incorniciato in corrispondenza del camino acceso. Il viso da bambina di Bellatrix, accarezzato dalle fiamme rossastre del fuoco sottostante, ricambiava i loro sguardi assorti senza il minimo movimento.
Rodolphus inclinò leggermente la testa di lato, osservando le braccia della donna che cingevano rigidamente la bambina, in un mantello blu e un sorriso freddo, come la neve che le circondava e faceva da sfondo alle sagome.
-Perché … perché non si muove?- Chiese Rodolphus.
Druella rise leggermente.
-Il ritratto? Non mi piacciono i ritratti, e non mi piace che si muovano. Sono morti, non so se mi spiego.-
Rodolphus corrugò la fronte. Lo sguardo della piccola Bellatrix, anche se solo sulla tela, sembrava tutto meno che morto.
-Cosa intendete dire, se posso permettermi?-
Narcissa si mise a sbuffare, tirando sua madre per un braccio.
-Hai visto Bellatrix? Guardala bene.- Sussurrò la donna, assorta, sfiorando appena la tela con la punta della bacchetta.
Rodolphus si protese automaticamente in avanti, sulle punte dei piedi.
-Cosa c’è?- Chiese dopo qualche istante di silenzio, con un tono di voce leggermente più alto del dovuto, tradendo frustrazione.
Druella rise amabilmente. O almeno, così gli sembrò.
-Non vedi niente?-
-A me i quadri piacciono. A me piace disegnare.- Se ne uscì, come a voler scacciare i troppi pensieri e le troppe domande che gli avevano affollato tutte assieme il cervello.
Druella abbassò lo sguardo, trapassandolo, trafiggendolo, inchiodandolo al pavimento.
-I quadri possono anche piacerti, ragazzino, ma sono finti, riesci a capirlo, questo? Un quadro non è altro che un inganno, totale e assoluto. Pensi che un ritratto rispecchi la realtà? Un ritratto mente, bambino caro.-
Rodolphus sgranò gli occhi mentre Narcissa iniziava a scalpitare.
-Ma…-
-Voglio aprire i miei regali!- Strillò la bambina.
Druella la prese fra le braccia, e Narcissa smise di strillare. Rodolphus la vide affondare il viso nel capelli biondi e sciolti della madre, mentre la donna s’incamminava verso il salone principale. Quando i due occhi zaffiro della piccola rifecero capolino da quel rifugio sicuro, Rodolphus rimase immobile per la seconda volta, nell’arco di poche ore. Mentre un brivido freddo lo scuoteva e l’impulso di correre lontano da quel ritratto era talmente violento da impedirgli, paradossalmente, anche di muovere un solo muscolo.
 
-Rod, Rod, lo posso provare? Per favore!- Rabastan gli corse incontro brandendo un arco di legno e delle frecce nell’altra mano, lo sguardo implorante.
-E’ mio? Avete già aperto i regali?- Chiese sorpreso, mentre gettava di sbieco un’occhiata ai pacchi  in terra vicino all’albero.
-Sì, ma l’ho aperto al tuo posto, eri sparito. - Si giustificò Rabastan, saltellandogli attorno.
-Lo posso provare? Me lo fai usare? Per favore, Rod, lo posso provare?-
Rodolphus lo spinse via, sbuffando.
-Beh, se non la pianti, così finirai solo per ammazzare qualcuno, con quelle frecce!-
Andromeda, seduta per terra accanto ad una piccola montagna di libri, rise educatamente.
-Ciao, Andromeda.- La salutò lui, passandosi nervosamente le mani sudate sui pantaloni.
-Ciao, Rod. Grazie per il regalo, è bellissimo.-
Rodolphus sbirciò nella scatola vicino ai libri e vide una macchina fotografica posata su un album, all’apparenza ancora immacolato.
-Oh, io … veramente li ha scelti mia madre, io non … -
-Grazie comunque.- Continuò la bambina, con gli occhi lucidi. -A me piace moltissimo scattare fotografie. A te non piacciono le fotografie?-
Rodolphus si grattò un orecchio, poi le si sedette accanto, prendendo la macchinetta fra le mani e studiandola.
-Sinceramente, non ci ho mai riflettuto fino ad ora… ma immagino di sì, sono belle. Solo che, credo di non avere pazienza per scattarle. Però sì, sono belle.-
Andromeda sorrise educatamente, scostandosi una ciocca castana dietro l’orecchio.
-Oh. Non è proprio così. Credo che non ci voglia molta pazienza, per scattare una fotografia.-
Rodolphus osservò la bambina nel suo vestito giallo, sinceramente incuriosito.
-Cosa intendi dire?-
Andromeda fece una piccola alzata di spalle,rincorrendo con lo sguardo Narcissa e Rabastan che giravano attorno al grande albero di Natale.
-Intendo dire che … che una foto, è un attimo rubato al tempo. Che è un istante che non tornerà più, no? E non puoi chiedere al tempo di mettersi in posa, di fermarsi per te. Noi siamo costretti a piegarci alla volontà del tempo. Al suo scorrere. E questo molte volte pesa. E … spesso, vorremmo chiedere al tempo di fermarsi, perché ci sembra che il modo giri troppo velocemente. Ti è mai capitato?-
Rodolphus annuì assorto, ignorando gli schiamazzi degli altri due.
Andromeda continuò.
-Già … ma se io scatto una foto, imprigiono il tempo. Quando io, per un attimo, non ho più la pazienza di sopportare, allora rubo un istante. Capisci? A volte, si vede qualcosa di troppo bello e ci si chiede se vale la pena di sopportare tutto, solo per quell’istante. E’ per questo che scatti una foto. Quando non hai più la pazienza di sopportare che il tempo scorra, e sai che quella cosa così bella, non durerà. Scatti una foto per ricordarti che vale la pena. Tu l’hai mai vista una cosa così bella, Rod? Una cosa perfetta? Come, non so … una farfalla posata su un fiore? Un attimo di perfezione, tu l’hai mai visto?-
Rodolphus rimase impalato a guardarla.
-E tu?-
Si fissarono per un istante negli occhi, che avevano lo stesso colore ambrato. E quando quelli di Andromeda colsero l’attimo di perfezione che era entrato nella stanza, Rodolphus non ebbe neppure bisogno di voltarsi per averne conferma, perché bastò il riflesso nelle iridi uguali alle sue. Perché entrambi anelavano disperatamente alla stessa perfezione. Avevano gli stessi occhi, identici. Solo, non se ne sarebbero mai resi conto. Né mai qualcuno avrebbe fotografato quell’istante per loro.
 
Rodolphus si rialzò con le gambe traballanti, mentre guardava la scia di consapevolezza svanire lentamente dal fondo delle pupille di Andromeda, e lentamente si girò a sua volta verso l’ingresso del salone.
-Dov’eri andata?- Chiese sottovoce, con un tono sommesso, molto più maturo rispetto a quello che usava con tutti gli altri.
Bellatrix sorrise per diversi istanti prima di parlare. Rodolphus provò seriamente a non fissare troppo a lungo i suoi pozzi neri, che avevano il potere incontrastato di risucchiarlo in un vortice. Ma non ci riuscì, non era possibile. L’apice di ogni cosa era in quello sguardo, in quel viso, su quelle labbra, su quel sorriso, fra i riccioli morbidi e sinuosi dei suoi capelli, sulla pelle avorio delle sue guance. Perché, quando la guardava, i suoi occhi si sforzavano di abbracciarla e catturarla, imprimerla a fondo nella memoria con una sola occhiata fugace. Il suo viso si colorava, le sue labbra diventavano improvvisamente secche, come se non avessero mai conosciuto la sensazione ristoratrice dell’acqua. Il suo sorriso sicuro e accattivante, diventava incerto e spaurito. Le sue guance, venivano lacerate all’interno da piccoli morsi. Perché la perfezione, se non è in una fotografia, è irraggiungibile. E Bellatrix era la sua perfezione. E lui non l’avrebbe mai raggiunta.
 
Bellatrix restò poggiata con una spalla allo stipite della porta, con il sorriso soddisfatto e un piccolo scrigno fra le mani, mentre Narcissa le si gettava addosso.
-Che ti hanno regalato? Me lo fai vedere?-
Bellatrix si limitò ad ignorarla e strinse più forte l’oggetto, avanzando a passi lenti verso Rodolphus.
-Sono stata a sondare i piani degli adulti.- Decretò con aria trionfante, mentre Andromeda si spolverava nervosamente il vestito e Rabastan incoccava una freccia e prendeva di mira oggetti a casaccio.
-E allora?- Chiese Rodolphus.
Il sorriso di Bellatrix si allargò.
-E allora, sono arrivati anche gli altri zii Black. Stanno giocando a carte, parlando, bevendo. Siamo liberi fino all’ora di pranzo.- Gli occhi neri guizzarono. Rodolphus sorrise. Rabastan mise via l’arco.
-Che gioco facciamo oggi, Bellatrix?- Chiese con vivo interesse.
-Ne ho un altro paio, Rab …-  Rispose Bellatrix, continuando a fissare rapita Rodolphus negli occhi.
-Bella.- Sussurrò Rodolphus, avvicinandosi di un passo, come ipnotizzato.
-Sì, Rod?-
-Cosa… cosa ti ha regalato mia madre?-
-Questo!- Mugugnò Narcissa, riuscendo a strappare via il cofanetto intarsiato in legno dalle mani della sorella. -Lo volevo anch’io! Perché lei sì, ed io no!?-
Rodolphus guardò il piccolo scrigno.
-Cissy, se lo fai cadere e lo rompi, ti rompo la testa, ti è chiaro?- Sibilò Bellatrix, afferrandola malamente per il polso.
Rodolphus si aprì in un sorriso.
-Allora ti piace?- Domandò sollevato.
Bellatrix rialzò gli occhi su di lui, lo sguardo improvvisamente duro.
-Troppe domande, Lestrange. E’ la prima regola.-
Lo stomaco di Rodolphus si contrasse nuovamente.
-La prima regola?-
Andromeda sbuffò sonoramente. Tutti e quattro si voltarono a guardarla. Lei morse il labbro inferiore, mentre Bellatrix arricciava le sue, molto lentamente.
-Cosa c’è, Meda?-
-Io … ecco, io … no, niente … -
-Lo posso aprire?- Squittì intanto Narcissa. Bellatrix fece un cenno d’assenso.
-Bene, Meda. Visto che sbuffi, poi dire tu a Rod quali sono le tre regole per andare d’accordo con me, se vuole giocare in pace. Giusto? Avanti, digliele.-
Andromeda guardò Rodolphus, con ancora la macchina fotografica in mano.
-Stiamo aspettando, Meda.- Continuò Bellatrix.
Andromeda sospirò, incrociando le braccia al petto e spostando nervosamente il proprio peso da un piede all’altro.
-Le regole per andare d’accordo con Bellatrix sono tre : non provare a cambiarla, accetta tutto quello che ti dice di fare e soprattutto … non fare domande.-
Rodolphus sbatté ripetutamente le palpebre, poi tornò a guardare Bellatrix.
-Sono solo tre? Pensavo fossero almeno una decina.- Provò a ironizzare.
Bellatrix rise.
-Le infrangerai tutte prima di pranzo, Lestrange.-
-Si può sapere che cosa fa, questo coso?- Sbottò Rabastan, che si litigava il cofanetto con Narcissa.
-E’ uno scrigno dei segreti.- Sussurrò Andromeda, ora rapita.
Rodolphus le restituì la macchinetta fotografica e si chinò a guardarlo da vicino. Dentro, era vuoto, a parte uno specchio sul lato interno del coperchio. Narcissa aprì i due cassettini sulla faccia anteriore.
-A che serve?- Chiese allora lui, rivolgendosi a Bellatrix. Ma fu di nuovo Andromeda a rispondere.
-E’ incantato. Solo il proprietario può usarlo. Ci metti qualcosa dentro, e nessun altro può vederla e quindi trovarla, a parte te. Perché agli altri apparirà sempre vuoto.-
Rodolphus e Rabastan alzarono lo sguardo a Bellatrix, che sorrideva compiaciuta e annuiva alla spiegazione della sorella.
-Brava, Meda.-
-Lo voglio anche io.- Pigolò di nuovo Narcissa, imbronciata e con le lacrime agli occhi.
Bellatrix le tese una mano e l’ aiutò a rialzarsi da terra.
-Dammelo ora, e andiamo fuori a giocare. A te cos’hanno regalato?-
-Una specie di cannocchiale …-
Bellatrix continuò a ridere divertita.
-Non è un cannocchiale, è un caleidoscopio.- Intervenne allora Rabastan, riprendendo l’arco e porgendolo a Rodolphus.
-Beh, non so nemmeno come si usa.- Si lamentò la bambina, stringendosi alla vita di Bellatrix.
Andromeda scosse la testa con fare rassegnato, seguendo gli altri.
-E’ bellissimo invece, Cissy. Ti permette di vedere tanti pezzi di mondo, in tanti modi diversi. Lo stesso mondo, uno stesso oggetto, frammentato in tanti colori. Ti permette di vedere la stessa realtà totalmente diversa da quella che in effetti è. Magari crescendo lo apprezzerai.-
Sia Bellatrix sia Rodolphus si voltarono a guardarla, con l’aria stravolta.
-Ma tu quanti anni hai, dieci o cinquanta?- Le chiese Rodolphus.
-Tu devi dormire, Andromeda.- Tagliò corto Bellatrix.
 
-Aggiustati quella mantellina, Cissy, e mettiti il cappellino.-
-Non mi piace il cappellino, mi si rovinano tutti i capelli, e poi tu non lo metti!-
Bellatrix tirò a sé Narcissa dalla sciarpa, rischiando quasi di strozzarla.
-Narcissa.- Le calò prepotentemente il berretto di lana in testa, coprendole gli occhi azzurri. -Regola numero due . Tu devi fare quello che dico io. Se ti raffreddi, va a finire che è colpa mia. Hai capito?-
Narcissa tremò leggermente, come un coniglietto spaurito. Cosa che, rifletté Rodolphus, pareva per davvero, tutta vestita di bianco e soprattutto con quel pon pon sulla testa a darle il tocco finale.
Andromeda infilò i guanti, strofinandosi le mani sulle guance.
-Ma non possiamo giocare in casa?- Alzò gli occhi al cielo cupo. - Fa freddissimo, e si sente il profumo della neve.- Bellatrix lasciò andare Narcissa e la guardò con aria di sufficienza.
-Se vuoi entrare in casa ad annoiarti vicino al camino, và pure. Noi andiamo nel bosco, ma nessuno ti obbliga a seguirci, non voglio di certo aggiungere altri incubi a quelli che già hai, povera stella.-
Rabastan si mise a ridacchiare. Rodolphus prestò attenzione ad una pigna secca ai suoi piedi, spostandola con la punta della scarpa. Ma anche se non vide gli occhi lucidi della bambina, carpì ugualmente la nota di panico, sempre la stessa, nella frase che pronunciò poco dopo.
-No, va bene. Vengo con voi.-
Una folata di vento gelido sollevò le foglie secche dalla terra umida e spoglia. La pigna rotolò in avanti di pochi centimetri. Rodolphus colse il guizzo giallo del mantello di Andromeda attraversare il suo campo visivo e poi alzò la testa per vederli correre via tutti e quattro, Rabastan che si trascinava dietro lo slittino nuovo, ancora con la coccarda dorata che svolazzava al richiamo delle folate, come se cercasse una propria traiettoria da seguire.
-Ti muovi, Rodolphus?- Gli urlò Bellatrix, senza voltarsi. Perché era scontato, che la seguisse. E lo sapevano entrambi.
 
-Che gioco facciamo, Bella?-
-Penso che potrei battezzarlo semplicemente ‘’ I bambini persi nel bosco’’.- Rispose Bellatrix alla domanda di Narcissa, mentre si inoltravano lungo il sentiero che costeggiava il viale principale.
-Bella, non dobbiamo allontanarci e uscire dai confini del parco, lo sai. Nostra madre non fa che ripeterlo … -  Bellatrix si fermò di colpo, e Rodolphus urtò la testa contro  la sua schiena, tanto le stava appiccicato. Lei non gli badò, ma si rivolse ad Andromeda.
-Se tu non glielo dirai, Meda, nostra madre non lo saprà. Altrimenti, ripeto, tornatene a casa e non stare qui a seccare noialtri. Hai capito il concetto, o devo ripeterlo una terza volta?-
Senza aspettare una replica, riprese a camminare, mentre Rabastan dava piccoli colpetti alle erbacce e agli arbusti secchi con il ramo di un albero.
-Come si gioca, allora?- Chiese Andromeda, stringendosi nel mantello. Rodolphus tese le orecchie.
-Arrivati al centro del bosco, ci dividiamo in squadre e ci separiamo. Bisogna arrivare alla casetta di legno, quella sull’albero, vicino al fiume. Vince chi arriva prima.-
Andromeda impallidì.
-Bella, è lontanissima da qui!-
Bellatrix sospirò,  ignorando il commento. Rodolphus le si affiancò.
-Ma scusa, qual è lo scopo? Mi sembra una cosa troppo facile, non è da te. -
Bellatrix gli si avvicinò all’orecchio, prendendogli per un attimo la mano fra le sue. Anche se entrambi indossavano i guanti di lana, Rodolphus avvertì una scarica elettrica propagarsi dalla punta delle sue dita lungo tutti i nervi del braccio, fino a sollecitargli la nuca. Lo stordimento fu tale che dovette fermare i suoi passi, proprio mentre Bellatrix gli parlava sottovoce.
-In questo bosco, non ci sono solo alberi. C’è una leggenda, che dice che ci sia un orco, che vaga fra queste montagne, alla disperata ricerca di qualcosa. Nessuno sa di cosa. Che non sia un orco normale, ma che cambi forma, e che muti aspetto a suo piacimento. -  
-Sei una bugiarda.- Bisbigliò Andromeda, mentre Rodolphus intrecciava le sue dita attorno a quelle di Bellatrix.
-Ah sì? Davvero? E sentiamo, perché?-
-Beh, tanto per cominciare, questo orco, nessuno l’ha mai visto …-
-E ne sei sicura, Meda? Ho appena detto che può cambiare forma.-
Narcissa emise un debole lamento, Rabastan si coprì la bocca con la sciarpa e calò il berretto sulle orecchie.
Andromeda si voltò di scatto verso Bellatrix e Rodolphus, e alla vista delle loro mani intrecciate parve infuriarsi ancora di più.
-Certo che ne sono sicura! E’ solo una stupida favola che ti stai inventando per spaventarci!-
Bellatrix sogghignò, stringendo più forte la mano di Rodolphus.
-Se ne sei così sicura, allora, perché te la prendi tanto? E’ solo un gioco, Andromeda. Siamo sempre alle solite. Però, puoi sempre scattargli una fotografia, visto che ti sei portata al collo il tuo giocattolino.-
Andromeda prese bruscamente Narcissa e la tirò a sé, respirando affannosamente, il viso contratto in una smorfia.
-Ma guarda … hai deciso tu, allora? Per una volta prendi le redini in mano, brava.-
Andromeda socchiuse le palpebre. Bellatrix si alzò sulle punte dei piedi e posò le labbra calde sul lobo dell’orecchio di Rodolphus, che trattenne il fiato, stringendo la sua mano così violentemente da farle male.
-Sei in squadra con me, Lestrange.- Gli sussurrò dolcemente. - Ti piace l’idea? Noi due contro tutti gli altri.- Rodolphus volse lentamente il viso verso il suo, inebriandosi del suo profumo indefinibile, come le sensazioni sconvolgenti che l’invadevano. Le sorrise, le sfiorò appena la punta del naso freddo, senza schiodare gli occhi dai suoi, amalgamando l’Onice e l’Ambra.
Non le rispose, non ve n’era bisogno, e Bellatrix lo sapeva.
 
-Quindi vince la quadra che arriva per prima alla casetta?- Commentò scettico Rabastan, riscuotendo bruscamente Rodolphus dai propri pensieri e dalle labbra rosse di Bellatrix.
Lei annuì -E ovviamente, chi riesce ad arrivare indenne dall’attacco dell’orco. -
Stavolta fu Rabastan a sbuffare, ma Bellatrix si limitò solo ad una risatina appena accennata.
Rodolphus invece, fu colto di nuovo dall’improvvisa incapacità di riuscire a muoversi. Ora la cosa iniziava a dargli davvero sui nervi. Ora, davvero non ve n’era motivo. Bellatrix non gli aveva appena fatto capire di volerlo nella sua squadra, forse? E allora cos’era quel terribile e agghiacciante presentimento che gli attanagliava le viscere, un’altra volta?
Scosse la testa, deciso a divertirsi e a scacciare una volta per tutte quella sensazione di vuoto. Ma la sua mano, sfiorò la tasca interna del mantello, dov’era la sua bacchetta. Fu allora che delicatamente la prese, e la porse al fratello, che lo guardò come se gli avesse appena portato la luna.
-Prendi questa, Rab. -
Rabastan si grattò il mento, visibilmente sconcertato.
-Ma … ma non so usarla, non so fare incantesimi.-
Rodolphus sorrise con aria accondiscendente.
-Sai farne invece, sei un mago anche tu, no? Meglio averne una, se vi dovete allontanare da soli. Non si sa mai. No? Prendila, Rab. E’ solo una precauzione. Non devi usarla, ma voglio che tu la tenga. Me la ridarai alla fine della partita. Noi abbiamo quella di Bellatrix, e abbiamo anche il mio arco … così giochiamo ad armi pari, visto che voi siete in tre.-
Rabastan parve riflettere ancora per qualche secondo, ma poi annuì ripetutamente, l’afferrò e la mise frettolosamente in tasca.
-Ci ritroviamo fra un’ora alla casetta. Chi arriva prima, vince. Se una squadra sente urlare l’altra, si va a vedere che è successo, ma in tal caso vince comunque quella squadra, perché è tornata indietro per aiutare. Quindi si urla e si chiede aiuto solo in caso di vera necessità. Avete capito?-
I tre ragazzini, imbacuccati e infreddoliti, annuirono. Sembravano solo tre macchie colorate in mezzo al grigiore cupo e stantio di un bosco immerso nel silenzio tetro dell’Inverno.
-Okay allora … - Bellatrix indicò loro una seconda strada che serpeggiava fra gli alberi.
-Avanti, Andromeda sa benissimo come si arriva alla casetta, e vi ho appena indicato la strada più facile.-
Andromeda non disse nulla. Non recriminò, non la guardò neppure. Semplicemente si voltò con Narcissa e prese a camminare, mentre Rabastan ammiccava a Rodolphus.
Non appena si furono allontanati, Bellatrix gli lasciò la mano con un gesto secco.
-Veloce, quella strada è più breve, e non voglio perdere. Corri.-
Bellatrix prese a correre, alzando il vestito, con il mantello svolazzante alle caviglie e i capelli liberi al vento. L’agrifoglio che portava sulla nuca volò via, mentre Rodolphus si affrettava a raggiungerla. Lui si chinò a raccoglierlo e lo mise nella tasca dei pantaloni.
-Bella, non correre! Io ho l’arco e la faretra sulle spalle! Bella!-
La risata cristallina di Bellatrix riecheggiò tra le fronde, e Rodolphus alzò la testa, per controllare se davvero quella risata aveva il potere di frantumarsi in piccoli pezzi e impigliarsi sui rami secchi, o di arrivare a rintanarsi più in alto, fra gli abeti sempreverdi, al sicuro. Il primo fiocco di neve si posò sulle sue ciglia.
Restò lì, imprigionato per qualche secondo, per poi sciogliersi e trasformarsi in lacrima.
La risata di Bellatrix era come un fiocco di neve.
 
-Sta iniziando a nevicare.- Commentò Bellatrix, aguzzando lo sguardo, il respiro condensato in piccole nuvolette di fumo.
Rodolphus le si affiancò, piegato in avanti e dolorante.
-Ma come fai a correre così velocemente?- Annaspò, cercando di ridarsi un contegno.
Bellatrix lo squadrò da capo a piedi.
-Ti facevo più resistente, Lestrange.-
-Io sono resistente. Sei tu che non sei umana, forse.- Sbottò, asciugandosi la fronte imperlata di sudore freddo. Bellatrix ridacchiò e riprese a camminare normalmente.
-Dov’è che stiamo andando?-
-Alla casetta, sei scemo, Lestrange?-
-Io non sono scemo, mi chiedo solamente quando ci arriveremo, e come, visto che praticamente mi sembra che tu stia correndo alla cieca, e non vorrei che ci perdessimo in mezzo alle frasche, sai com’è.-
Bellatrix si voltò bruscamente, tant’è che lui pensò volesse tirargli uno schiaffo.
-Punto primo: io non mi perdo mai, Lestrange. Non si perde niente, tantomeno se stessi, se si è bravi. Punto secondo: io non corro alla cieca, corro in una direzione precisa, sempre. Non corro per fuggire, mai. Perché se fuggi, stai pur certo che non ti libererai mai dalla cosa che ti insegue. Hai capito?-
Rodolphus la fissò, immobile.
-E se si rimane fermi, incapaci di muovere un muscolo?-
Bellatrix corrugò la fronte.
-In questo caso, non arrivi da nessuna parte. Mi sembra logico come ragionamento. Non ti pare? Vuoi restare fermo qui, Rod? A contemplare il nulla?-
Rodolphus strinse i denti, mentre la nevicata s’infittiva.
Avrebbe voluto risponderle che avrebbe voluto fermarsi, solo per contemplare per un attimo lei, in mezzo ai fiocchi di neve leggeri. O forse solo per capire da dove fosse nato quest’ultimo pensiero. Ma invece, si limitò a scuotere la testa, mentre lei gli voltava le spalle un’altra volta, e continuò a seguirla.
 
-La casetta non è lontana, Andromeda ha un senso dell’orientamento pessimo.-
-Se è così, perché hai lasciato che vagassero da soli qua in mezzo, si può sapere? C’è anche mio fratello con loro, e lui davvero non ha idea di dove diavolo sia questo rifugio.-
-Ti preoccupi per Rab, Rod?-
-E tu non ti preoccupi affatto.-
-Vorrei tanto capire perché dovrei preoccuparmi io per gli altri, se nessuno si prende la briga di farlo con me…- Bellatrix morse il labbro. Rodolphus quasi incespicò nei suoi stessi piedi, e stava appunto per dirle che c’era lui, a preoccuparsi per lei, quando Bellatrix gli tappò la bocca con una mano, e si portò l’indice della sua sulle labbra.
-Zitto.- Bisbigliò.
Rodolphus scrutò il bosco fitto davanti a sé, senza scorgere nulla. Poi scosse la testa, spingendola a togliere via la mano.
-Che c’è?- Sussurrò concitato.
L’espressione di Bellatrix rimase imperturbabile.
-Ho sentito un rumore … c’è qualcosa.-
Rodolphus si voltò lentamente per guardarsi alle spalle, prendendo l’arco.
Poi vide Bellatrix tirare fuori la sua bacchetta dal mantello rosso.
-Tu vuoi solo spaventarmi … guarda che io non credo alla favola dell’orco.-
Stavolta fu Bellatrix a non muoversi.
-Sta’ zitto.-
-Tu devi smetterla di dirmi che devo stare zitto … - Lei gli artigliò il braccio, conficcandogli le unghie nella pelle.
Un lupo sbucò fuori da un cespuglio, avanzando lentamente verso di loro.
-Stai fermo, Rod. Non ti muovere. -
 
Rodolphus morse l’interno delle guance, sentendo il sapore acre del sangue arrivargli dritto fino al cervello. Deglutì, provò a pensare lucidamente, come se stesse davvero, solo giocando.
-Non ti muovere.- Ripeté Bellatrix per la seconda volta.
-E’ un lupo, non un cane. Ci sbrana, Bellatrix … - Rantolò in un gemito soffocato, mentre l’animale li osservava guardingo.
-Se ci mettiamo a correre, ci inseguirà, e un lupo, anche se piccolo, corre più veloce di te, Lestrange.-
Rodolphus trattenne l’impulso di gridare, di strattonarla, di scappare alla velocità della luce nella direzione opposta. Usa il cervello, usa il cervello, usa il cervello. Si ripeté, mentre Bellatrix continuava a non fare assolutamente nulla e la neve cadeva placida come a volerlo canzonare.
Poi si ricordò dell’arco, e della faretra con le frecce che gli segava la spalla destra da quasi un’ora.
Lentamente, portò il braccio a prenderne una, e altrettanto lentamente, appellandosi ad ogni fibra di coraggio che gli restava, la mise sulla corda tesa. Ora doveva solo alzarlo e sperare di riuscire a essere abbastanza veloce da farcela. E ne sarebbe stato perfettamente in grado, perché erano anni che suo padre lo portava a caccia con lui, ed erano anni che tirava con l’arco. Ne sarebbe stato perfettamente in grado, se non avesse visto Bellatrix andare incontro al lupo, silenziosa come la neve.
-Sei completamente pazza, per Salazar …-  Rimase con l’arco puntato, il cuore che gli batteva così velocemente da annebbiargli persino la vista. Sbatté ripetutamente le palpebre, come per scacciare quell’orrenda allucinazione, che però non accennò neppure a sbiadire.
-Bella, ti prego … -
-Sssh. Così lo spaventi.- Sussurrò lei, inginocchiandosi in terra.
A quel punto Rodolphus credette d’aver perso il senno.
-Io spaventare lui?- Sibilò contrito.
E Bellatrix sorrise. Sorrise per davvero, sorrise come lui non l’aveva mai vista fare, un sorriso talmente intenso da procurargli le vertigini.
-Avvicinati. Non ti farà niente.-
-Ah beh, se lo dici tu … -
-Ma non vedi che è piccolo? E’ un cucciolo. E non vedi che non ha fame?-
Rodolphus quasi rise.
-Non ha fame, eh? E tu come lo sai, parli con gli animali?-
Bellatrix continuò ad osservare il cucciolo, ora a pochi passi da lui.
-Non ha fame, non sta ringhiando, Lestrange. E ha anche il muso sporco di sangue, ergo ha mangiato da poco. Tu non osservi. Sei un fifone … -
Rodolphus spalancò la bocca in una smorfia indignata, ma non ribatté, perché Bellatrix sfilò il guanto di lana, e tese la mano aperta verso il lupacchiotto.
 
-Guarda, Rod … guarda, ha gli occhi blu. Sono bellissimi. Sono … perfetti.-
Rodolphus smise di riflettere a quelle parole. Si avvicinò anche lui, posando l’arco sul terreno innevato di fresco, in maniera del tutto irrazionale.
-Tu sei pazza.- Inveì, raggiungendola , mentre Bellatrix accarezzava a due mani la testa della bestiola.
-Accarezzalo.-
-Non ci tengo.-
Bellatrix gli prese una mano, tolse il guanto e Rodolphus lasciò che lei gli facesse affondare le dita nella pelliccia ispida e calda.
-Hai visto.- Sussurrò Bellatrix, quasi fosse in una sorta di estasi mistica, mentre lui ancora serrava la mascella.
-Non così, hai paura. Se hai paura, lui lo avverte.-
Rodolphus ritrasse bruscamente il braccio, e Bellatrix lo perforò con lo sguardo, proprio come la punta acuminata di una sua freccia.
-Ora ce ne possiamo andare, o vuoi aspettare che arrivi tutto il branco a riprenderselo?-
Bellatrix lo ignorò e tornò a vezzeggiare l’animale, alzandogli e abbassandogli le orecchie con entrambe le mani, ridacchiando. Il lupacchiotto uggiolò debolmente, come un docile cagnolino addomesticato, e si accoccolò fra le gambe della bambina. Rodolphus sbuffò al cielo, aprendo le braccia in segno di rassegnazione.
-Non provare mai più a puntare una freccia contro un lupo, Lestrange. Che tanto non saresti in grado nemmeno di abbattere uno stupido e inerme coniglio. -
-Certo, meglio farsi ammazzare, no?-
Bellatrix si voltò, sbattendo innocentemente le palpebre, parlandogli lentamente.
-Ti sembra d’essere morto, per caso?-
-E a te sembra normale quello che stai facendo? A questo punto aspettiamo che vengano gli atri, così possiamo prenderci un tè. Anzi perché non te lo porti a casa e non lo addomestichi?-
-Tu non capisci niente.- Bellatrix si alzò, poi sollevò in braccio il lupetto e rimase a guardalo con aria di sfida. Rodolphus stava per quasi per mettersi ad urlare, quando una fugace visione di una bambina somigliante a Bellatrix, ma con gli occhi blu di quel lupo, gli esplose davanti agli occhi, proprio come il flash di una macchina fotografica. Si massaggiò le tempie, colto da una nausea improvvisa. Da quell’istante,Rodolphus avrebbe sempre detestato gli occhi blu.
 
-Andiamo adesso, sta nevicando troppo. Tra poco, la neve ci arriverà alle ginocchia, sta coprendo tutto.- Disse velocemente, scacciando la visione e raccattando arco e fecce -E poi, non dobbiamo finire il tuo gioco? Io non ritorno indietro senza mio fratello, non so tu.-
Bellatrix lo oltrepassò con noncuranza, fece qualche altro passo e rimise a terra il lupo.
-Ciao.- Gli disse solamente, dandogli un’ultima, lenta carezza sulla testa.
L’animale la guardò e agitò per un attimo la coda. Poi si voltò in direzione degli alberi più fitti, e così com’era venuto, silenziosamente scomparve, inghiottito dal manto bianco. Rodolphus si avvicinò a Bellatrix, in attesa di altre indicazioni per uscire fuori da quel groviglio intricato di arbusti e rovi dov’erano andati a cacciarsi. Ma quando Bellatrix gli indicò la direzione, con il braccio teso a metà e con aria sconfitta, il suo cuore si strinse in una gelida morsa. Le labbra vermiglie tremavano, le gote erano arrossate, gli occhi erano lucidi, il nero sembrava stesse per sciogliersi e volesse raccontare una storia, come inchiostro su carta bianca.
-Bella?- Sussurrò Rodolphus, cercando di fermarla e di riprenderle la mano.
-Hai visto.- Ringhiò lei fra i denti, con rabbia. -Hai visto. Se si rimane fermi, non si ottiene nulla. Restare fermi fa solo male. E non mi toccare.-
Lo spinse via, rischiando di farlo cadere.
-Che cos’hai, adesso?- Chiese implorante.
-Stai infrangendo le regole.-
Rodolphus l’afferrò per le spalle. La costrinse a voltarsi, mise il viso a pochi centimetri dal suo, imprimendo in quell’abbraccio forzato tutto il coraggio che aveva.
-Non me ne frega niente delle tue regole! Io non sto giocando! Io ti … -
-RODOLPHUS!-
L’urlo di Rabastan lacerò l’aria.
Lo schiaffo di Bellatrix il suo labbro inferiore.
 
Rodolphus sputò a terra, una macchia scarlatta e calda a contrasto perfetto sul bianco immacolato e freddo.
-Rodolphus, Bellatrix!-
-Piccoli idioti.- Bellatrix riprese a correre, zigzagando tra gli alberi, con lui alle calcagna.
-Chi è che sta piangendo?-Le urlò, prendendo anche lui a schiaffi ogni ramo basso che gli capitava sotto tiro.
Ma Bellatrix non lo degnò neppure questa volta di una risposta. Dove trovò la forza di correre, in mezzo a quella tempesta di neve, se lo sarebbe poi chiesto per tutta la vita, trovando poi sempre la stessa risposta.
Quando arrivarono al limitare di una radura, e la casetta di legno fece la sua tanto attesa comparsa, pregò solo che il gioco fosse davvero finito, e che il pianto che rimbombava sinistro fosse dettato solo da semplice stanchezza. Ma quando vide Narcissa riversa a terra, imbrattata di fango, e Rabastan con la sua bacchetta sguainata come una spada, seppe per certo che i giochi di Bellatrix non avrebbero mai avuto un lieto fine, e che nessuno si sarebbe mai divertito.
-Che è successo?- Gridò, correndo da Rabastan. -Dammi la bacchetta! Cos’è successo, perché lei è a terra? Che cosa … -
-Dove siete stati!- Urlò il fratello, visibilmente in preda al panico.
-Noi … non importa, perché hai la bacchetta alzata, perché sei senza mantello, Rab, Rabastan, che cosa guardi!?-
-E’ sparita. Non c’è, non … è sparita, lui l’ha presa.-
Rodolphus guardò Narcissa, poi tornò a fissare il fratello interrogativo.
-Ma chi, che dici, la vedi. È qua, sta bene … sta … -
-Dov’è Andromeda, Cissy?-
Vide Bellatrix inginocchiarsi di nuovo, sollevare il mento della sorella sporco di terra, come aveva fatto con quello del lupo. –Non piangere. E dimmi dov’è Andromeda.-
Ma gli occhi azzurri rimasero vitrei. Non erano fieri come quelli del lupo, non infondevano coraggio, né incutevano timore. Non lasciavano nulla. Cercavano solo un posto, un riparo lontano da tutto quel gelo. Un posto nel mondo, uno qualsiasi. Come il sorriso timido e sincero di Andromeda. Come il cuore già spezzato di Rodolphus. Come la risata allegra e ingenua di Rabastan. Come le lacrime mai raccolte e le ferite mai sanate di Bellatrix. Come tutte le cose fragili e imperfette, che cercano sicurezza, radici. E un posto nel mondo, un posto sicuro, un posto per sempre, non possono averlo.
 
-Si è … si è persa.- Balbettò Narcissa, mentre Bellatrix la tirava prepotentemente  in piedi.
-Come sarebbe a dire, che si è persa?-
Rodolphus riprese a urlare.
-E non sei contenta? Non era forse questo, il vero scopo del tuo gioco? Non l’hai forse chiamato ‘’ I bambini persi nel bosco? ‘’
-L’ha presa … l’ha presa lui.- Aggiunse Rabastan, armeggiando freneticamente con i bottoni del suo cappotto, battendo i denti e continuando a fissare un punto imprecisato davanti a sé.
-Smettila con queste fesserie, stupido! Non l’ha presa nessuno, quella storia l’ho inventata io!-
Ma Rabastan scosse ripetutamente la testa, mentre Rodolphus si metteva le mani nei capelli, ormai inzuppati a causa della neve insistente.
-Voglio uscire di qui.-
-Noi non ci muoviamo finché non troviamo Andromeda.- Replicò Bellatrix, mollando Narcissa a sedere su un sasso.
Rodolphus fissò la bambina intirizzita.
-Ci dobbiamo spostare. Fa troppo freddo per restare fermi. Avanti.- Tese la mano alla piccola.
-Ecco, brava, Cissy. Anzi, ho un’idea migliore. Puoi sederti sullo slittino di Rab, vedi? E lui ti trascinerà. Sarà divertente. Avanti Rab. Rab, smettila di tremare, sei grande, non hai cinque anni. Ti ha detto che la storia dell’orco è una sua invenzione. E poi … - Sorrise ad entrambi, rassicurante. -E poi, siamo ancora nel bosco dei Black, e ci sono i nostri genitori. Pensate davvero che ci lascerebbero qui, se non ci vedessero rientrare per la cena di Natale? -
Bellatrix rise un’altra volta.
Una risata fredda e cadenzata, perfettamente in grado di gelare il sangue nelle vene. E questa non era come l’innocua falda bianca e leggera. Era in grado di trafiggere come una stalattite appuntita, formata e plasmata da gocce d’acqua indurita dal gelo, pazientemente, senz’amore.
 
-Andromeda!-Urlò Rodolphus, continuando a trascinare la slitta.
-Io so che l’ha presa l’orco. L’ho visto, dietro un albero.-
-Tu non hai visto niente.-
-Se tu non inventassi certe storie, mio fratello non direbbe certe cose. Perciò vedi di piantarla … -
-Stiamo girando in tondo. Ci siamo persi anche noi.-
-Rabastan.- Scandì lentamente Bellatrix, voltandosi con la bacchetta puntata.
-Noi non ci siamo persi. Non stiamo girando intorno a niente. Stiamo facendo la strada al contrario,stiamo tornando indietro.-
-Non puntare la bacchetta addosso a mio fratello.- Ringhiò Rodolphus.
-Perché, altrimenti che mi fai? Mi tiri una delle tue freccette? -
Rodolphus scattò in avanti.
-Lascia stare mia sorella.-
Bellatrix ghignò, lui serrò le mani attorno al mantello rosso sangue, per poi lasciarlo immediatamente, perché le mani di Andromeda si artigliarono ai suoi riccioli, spingendolo indietro.
Rodolphus annaspò alla ricerca d’aria, mentre veniva lasciato libero e veniva spinto in ginocchio, sulla neve.
-Dove diavolo eri finita?- Sentì dire a Bellatrix, in un tono che gli parve quasi divertito.
-Ho sbagliato sentiero.- Spiegò semplicemente l’altra, mentre Rodolphus sbatteva confusamente le palpebre, fissando la neve. -Ero dietro di loro e ad un certo punto non li ho più visti.-
Bellatrix ridacchiò.
-Ed io che pensavo fossi andata alla ricerca dell’orco .-
Rodolphus si rialzò, spolverandosi con brusche manate i pantaloni e il mantello bagnato.
-Visto che sei viva ce ne possiamo finalmente andare.- Latrò aspramente.
Andromeda gli sorrise. Aveva il cappuccio sulla testa, la sciarpa ben annodata e i riccioli in ordine.
-Mi dispiace per averti tirato i capelli. E’ solo che mi era sembrato volessi farle male. Scusa se io ho fatto male a te. Ma le stavi saltando addosso.-
Rodolphus morse di nuovo la lingua, per tenerla a freno. Poi guardò Rabastan, che si era alzato ed ora fissava la scena, apparentemente più tranquillo.
-Sai com’è, stavamo vagando alla tua ricerca.- Le disse poi, risentito e offeso.
-Mi dispiace…- Andromeda parve per un attimo in difficoltà. - Mi dispiace. Ero solo rimasta indietro.- Poi parve ricordarsi di Narcissa, la vide seduta sulla slitta, gli occhioni spalancati e il faccino ancora triste, e tutta quella sicurezza crollò immediatamente.
-Oh …Oh Cissy, scusami.- Le si gettò addosso, abbracciandola, mentre Bellatrix alzava gli occhi al cielo con una smorfia. -Scusa Cissy, non lo farò più, non ti lascerò più sola.- Le sussurrò all’orecchio, accarezzandole ripetutamente il viso, cullandola.
 
La nevicata si era trasformata in uno spettacolo surreale. Falde larghe come candide piume scendevano lente, il vento insistente si era placato e gli alberi avevano smesso di sussurrare in maniera sinistra. Rodolphus si strinse nelle spalle, strofinandosi ripetutamente la sciarpa di lana contro il naso, ascoltando lo scricchiolio dei suoi stivali che affondavano nel manto morbido.
-E davvero il lupo non vi ha aggredito?- Gli chiese Rabastan, tirandogli il mantello.
-Se siamo qui, integri, evidentemente sì. - Rispose sgarbatamente, continuando a camminare a passo svelto, senza voltarsi.
-Oh, Rod è arrabbiato.- Lo canzonò Bellatrix in tono falsamente dolce.
-Ho fame e ho i piedi bagnati, per stare dietro ai tuoi stupidi giochetti e a tua sorella che fa finta di perdersi.-
-Nessuno ti ha obbligato a venire con noi, e la prossima volta allora ne inventerai uno tu, di gioco, così vedremo le tue idee geniali prendere vita. Va bene, Lestrange? Magari puoi farci vedere come si usa quel coso che ti sei trascinato come una zavorra per tutta la mattina, ad esempio. Sempre ammettendo che tu abbia il coraggio di puntarlo contro qualcosa.-
Rodolphus fu rapidissimo. Afferrò una freccia con il braccio sinistro, con il destro l’incoccò, sollevò l’arco, mentre Rabastan, da fedele braccio destro, prendeva un sasso da terra e lo lanciava verso i rami degli alberi. Diversi uccelli volarono via, e le frecce di Rodolphus partirono. Un piccione cadde al suolo, mentre una seconda freccia si conficcava nella fredda roccia di un’altura che si ergeva di fronte a loro.
 
Bellatrix batté pigramente le mani.
-Wow.- Vediamo un po’. Che hai preso? Gli si avvicinò, saltellando allegramente.
-Un piccione … che non è nemmeno morto.-
Il volatile si contorceva al suolo, con l’ala trapassata dalla freccia, cercando freneticamente di volare via. Rabastan fece una smorfia, Rodolphus si chinò a sfilargliela,tenendolo fermo dal collo.
-Non lo uccidi? Sai che così morirà al freddo, solo e  in preda ad atroci sofferenze, Rod?-
-Bella, basta. Cissy si sta spaventando di nuovo.- S’intromise Andromeda, affiancando Rodolphus e gettandole un’occhiata supplichevole. Ma Bellatrix continuò a fissarlo con occhi famelici, divorati da una perversa scintilla.
-Oh beh, come volete, lasciatelo andare. Su Narcissa, non lo vedi, sta saltellando, guardalo un po’ … se resta con la convinzione di poter volare, magari ce la fa. -
Rodolphus abbassò la testa e intinse la freccia in un cumulo di neve, strofinandola per ripulirla.
-Andiamo avanti … la tua seconda vittima, non è niente meno che … fredda e inanimata roccia!-
-Adesso dobbiamo andare, Bella, è tardi, ci staranno già cercando …-
-Stai zitta, Meda. E’ colpa tua se abbiamo tardato, quindi ora stai zitta. E ti assumi le tue responsabilità. Come Rod, qui.- Gli afferrò il braccio e lo riavvicinò a sé. -Come hai fatto a farla finire così in alto, senza nemmeno beccare niente? Ora come la recuperi, senza un incantesimo d’appello? Voglio proprio vederti… oh, ma aspetta, hai preso qualcosa, cos’è ?-
Entrambi si protesero in avanti, insieme ad Andromeda e Rabastan.
-Ma per favore … - Commentò cupo quest’ultimo, calandosi il cappuccio sulla testa e sbuffando sonoramente.
-Oh, Rab, perché fai così?- Cinguettò Bellatrix, mentre Rodolphus la fissava con odio crescente.
-E tu, vorresti prendertela con me se hai una mira pessima? Beh, non tanto pessima, dai… hai trafitto un innocuo e innocente fiorellino … che razza di fiore è? Non si vede neppure bene…  ma guarda, la freccia l’ha proprio strappato, vedi … oh, è una Viola del pensiero. Hai ucciso una viola, Rod. Ora sì, che puoi ritenerti fiero delle tue eroiche gesta.-
 
-Peccato, era così carina… hai visto che bella sfumatura, quei petali? Si è strappata … -
Bellatrix aggrottò un sopracciglio, annodandosi i capelli bagnati con la bacchetta e sistemandosi nuovamente il cappuccio.
-Oh, Meda è dispiaciuta per la viola. Solo Meda può dispiacersi per un piccione, e per una stupida e inutile viola.-
-Ce ne andiamo, per favore.- Implorò Rabastan, crollando sulla slitta assieme a Narcissa, sbuffando.
-Dovrei riprendere la freccia. Sono nuove, mi secca perderle di già.- Ammise sconfitto Rodolphus, sapendo perfettamente d’accentuare la risatina di soddisfazione di Bellatrix.
-Vuoi prendere la freccia o vuoi prendere la viola?-
-Adesso basta!- Rodolphus gettò a terra l’arco e le frecce, poi slacciò il mantello e tolse anche quello, mentre Bellatrix corrugava la fronte e lo guardava come se fosse pazzo.
-Mi hai rotto.- Le sussurrò, avvicinandosi nuovamente a pochi centimetri dal suo viso. -Io non ti sopporto.-
-Ah, è così? Prendi quella viola allora, fammi vedere di che pasta sei fatto. Vediamo se ci riesci, ad arrampicarti. Anzi, sai che ti dico? Mi arrampico con te, facciamo una gara, Lestrange.-
Rodolphus sentì per la prima volta il fiato caldo di Bellatrix che gli solleticava piacevolmente le narici. Poi vide i suoi pozzi neri avvicinarsi. Di più, sempre di più. Troppo, ci era cascato dentro, stava annegando. Non ne sarebbe mai uscito, non avrebbe mai più rivisto la luce.
Le labbra di Bellatrix lo sfiorarono proprio come i petali delicati di un fiore raro. Il suo cuore perse un battito, la neve lo coprì e lo raccolse per sempre.
-Che nome dai a questo gioco, Lestrange?-
Rodolphus barcollò all’indietro, le orecchie che gli fischiavano, il cuore che gli spaccava le costole. Lei si allontanò, ridacchiando.
Poi gli passò le dita sul labbro, sul piccolo taglio ancora aperto, proprio dove prima gli aveva tirato lo schiaffo.
-Non dirmi che lo vuoi chiamare ‘’ Caccia alla viola.’’-
-Forse ‘’ Per colpa della viola’’ suona meglio, visto che io sto quasi morendo di freddo qua, mentre voi vi baciate. Disgustoso.- Rabastan fissò i due con il viso talmente contratto e l’aria talmente sconvolta che sembrava la storia dell’orco poco prima l’avesse solo leggermente interessato.
Andromeda s’intromise a sua volta.
-Inseriscilo nei ‘’ mille pericoli ‘’, Bella. Quel gioco a sfide, no?-
Bellatrix annuì, continuando a fissare le labbra di Rodolphus, che continuava a fissare le sue.
-Già… ‘’ I mille pericoli  ‘’ è un gioco proprio carino. Sono tante prove di coraggio da superare. Ognuna con un punteggio e dei premi finali … Beh… ma volevo che dessi tu un nome al gioco, così non va bene… che nome gli dai, allora?-
‘’ La scalata della morte.‘’ Propose di nuovo Rabastan, con evidente trasporto.
Andromeda, suo malgrado, rise. E rise anche Rodolphus, afferrando la vita di Bellatrix e tirandola leggermente a sé.
‘’Tutto per Bella.‘’Decretò, scostandole una ciocca corvina all’indietro. Poi le baciò la fronte, mentre Rabastan si ficcava in bocca un dito, fingendo di vomitare, Andromeda sorrideva e Narcissa le tirava la manica del cappotto.
-Io non ho capito il nome del gioco.- Bisbigliò eccitata, facendo chinare Andromeda al suo orecchio.
Bellatrix sentì le labbra calde e  sicure di Rodolphus sulla sua fronte. E tenne lo sguardo fisso alla neve, oltre la sua spalla.
-Mi piace questo nome per un gioco, Lestrange.-
-Puoi anche non prenderlo come un gioco, Black.- Mormorò lui, con le labbra ancora sulla sua pelle fredda. E il flash di Andromeda imprigionò gli occhi di Bellatrix che si sollevavano per cercare un appiglio a quella promessa.
 
-Ma se il gioco è ‘’ Tutto per Bella ‘’ , Bella non dovrebbe giocarci!- Obiettò Andromeda, mentre Rabastan misurava la distanza tra i due ragazzi a grandi falcate.
-Siete alla giusta distanza. E la viola è al centro. Bene … chi prende prima la freccia vince. Al mio tre …-
Bellatrix diede ad Andromeda mantello e cappotto. Rodolphus tirò su le maniche del maglione e arrotolò i polsi della camicia. Poi si sorrisero e tornarono a fissare la parete di roccia semicoperta dalla neve.
-Non è che sta davvero nevicando troppo?- Provò ancora a dissuaderli Andromeda.
-Tanto oramai …- Rabastan alzò gli occhi al cielo.  -Hey! Hey! Smettetela di guardarvi come due innamorati!-
Le bambine risero, Bellatrix morse leggermente il labbro inferiore e Rodolphus arrossì, spostando l’attenzione sulle sue scarpe.
-Ci mancava solo la viola … questa storia finirà male, te lo dico io. - Annunciò Rabastan ad Andromeda. -Al mio fischio allora. Uno, due … Bellatrix non partire prima … tre!-
Rodolphus e Bellatrix si aggrapparono contemporaneamente alla parete. Le mani di entrambi affondarono nella fanghiglia morbida e fredda, macchiando la neve, alla ricerca di un appiglio. Rodolphus si issò sul ramo sporgente di un albero, per poi avanzare verso la cima aggrappandosi alle sporgenze della roccia. Continuò a guardare Bellatrix, che sogghignava copiosamente ad ogni passo in più verso la freccia, i capelli di nuovo liberi sulle spalle.
-Forza Rod, ci sei quasi!- Gridò Rabastan.
Rodolphus guardò in basso, e vide i tre con i nasi rossi all’insù, i visi concentrati e gli occhi sgranati. Le orecchie presero a fischiargli, la vista gli si appannò all’improvviso ed ebbe l’impulso di mettere la testa fra le ginocchia.
-Troppo alto per te, Lestrange?-
Rodolphus respirò affannosamente, deglutendo a fatica, con la bocca impastata. Bellatrix gli si era avvicinata, avanzando di lato, con un lavoro di gomiti, mani e ginocchia perfettamente sincronizzato.
-Vinco io,Lestrange, anche stavolta.-
Rodolphus non comprese pienamente a fondo il significato di quelle parole. Non avrebbe potuto. Alzò gli occhi verso quel fiorellino trafitto crudelmente dalla sua freccia, un’altra macchia di vita in mezzo a tutto quel bianco di morte. E l’impulso di raccoglierlo e proteggerlo, strapparlo a quella terra spoglia e indegna, fu tale che gli sembrò di non avere più un corpo a cui dover obbedire. Non sentì le esclamazioni d’ammirazione di suo fratello, né avvertì il dolore dei tagli che gli si aprivano sulle mani e sulle ginocchia. Si issò sugli avambracci, si accasciò per un attimo con il viso nel fango, e poi sorridendo riaprì gli occhi a guardare la violetta in mezzo alla neve, a pochi centimetri dal suo naso. Afferrò la freccia conficcata nel terreno e la sfilò, con un gesto secco, brandendola in aria esultando. Rabastan, Narcissa e Andromeda applaudirono. Rodolphus cercò Bellatrix dietro di sé, sorridendo trionfante. Le porse la freccia con la viola conficcata proprio sulla punta, facendo un leggero inchino con la testa.
-Pour toi, ma belle fleur.-*
Ma Bellatrix lo ignorò.
-Rod … sto scivolando.- Rantolò.
Rodolphus non si mosse, osservò solo il piede di Bellatrix cercare freneticamente un appoggio, ebbe solo il tempo di lanciare via la freccia, urlare e gettarsi in avanti per prenderle le mani. Mentre cadeva non sentì neppure il vuoto allo stomaco, non sentì niente, tranne il calore del corpo di Bellatrix, per la prima volta, contro il suo.
* ‘’Per te, mio bel fiore’’
 
-Io l’ho detto che finiva male!-
-Queste quante sono?- Andromeda gli sventolò ripetutamente una mano davanti alla faccia.
-Tre, mi sembra.-
-Allora stai bene … -
Rodolphus la scansò, chinandosi invece su Bellatrix, che era ancora con gli occhi chiusi, sembrava dormisse.
-Bella? Bella!- La scosse leggermente, ignorando il dolore pulsante alla tempia e il panico crescente.
-Perché avete pensato prima a me? Siete impazziti?-
-Guarda che siete cascati adesso!- Sbottò Andromeda, chinandosi a sua volta e prendendo la mano della sorella.
-Bella!- Urlò ancora Rodolphus, sollevandole delicatamente la testa e mettendola sulle sue ginocchia.
-Magari prova a darle un bacio.- Suggerì Narcissa, mentre Rabastan si batteva una manata sulla fronte.
Rodolphus in cuor suo valutò seriamente l’opzione, ma si limitò a passare solamente l’indice sui contorni di quel viso che già tanto amava, per impararli a memoria, nel caso un domani avesse avuto il disperato bisogno di ricordarli.
-Ha sbattuto la testa? Com’è caduta?- Chiese concitato, continuando ad accarezzarla.
Andromeda parve riflettere per un attimo, poi si voltò verso la montagnola e indicò la parete che avevano cercato di scalare.
-Guarda che siete caduti da quell’altezza, non è molto, davvero, anche se a voi lo è sembrato. E poi lei è caduta praticamente abbracciata a te … non so … -
Rodolphus si stupì nuovamente della freddezza e della compostezza della bambina, quel giorno. Quasi non sembrava la stessa di pochi mesi addietro.
-Che dobbiamo fare? Non possiamo tenerla ferma, Rod. Se la porti in braccio e … anzi no, vado a chiamare un adulto, tanto so la strada da qui,
non manca molto.-
Rodolphus strinse la mano di Bellatrix, assalito da un disperato e impellente bisogno di piangere, versare ogni sua lacrima.
-Bella, ti prego. Bella… maledetta viola!-
-Rod, non la devi scuotere, se ha sbattuto la testa …-
Rodolphus urtò la fronte contro quella di Bellatrix, lasciando che le lacrime abbandonassero i suoi occhi e si posassero come timida pioggia sulle palpebre dolcemente chiuse di lei.
-Ha smesso … - Sussurrò Bellatrix, mentre Rodolphus posava l’orecchio sulle sue labbra -Ha smesso di nevicare, Rod. Non lo senti?-
In automatico, tutti i ragazzini alzarono la testa verso il cielo.
Rodolphus sentì la stretta di Bellatrix nella sua, e riprese ad accarezzarle piano la fronte, osando intrecciare appena le dita ai suoi boccoli imperlati di fiocchi di neve ancora integri.
-Apri gli occhi.- Riuscì a dirle in un sussurro strozzato.
Bellatrix assecondò la richiesta. Lentamente lo mise a fuoco, proprio come se volesse scattargli un’altra fotografia. Rodolphus sospirò di sollievo, tenendole ancora la testa sulle sue ginocchia. Poi le sorrise, asciugando con i polpastrelli le proprie lacrime rimaste impigliate fra le sue ciglia.
-Le monde entier dépend de tes yeux purs, Et tout mon sang coule dans leurs regards.- *
Le sussurrò timidamente, come un raggio di sole alle prime luci dell’alba.
-Che stai blaterando?- Chiese subito Bellatrix.
-Tu es foutu.- * Commentò Rabastan.
-Ma è bellissima.- Concluse Andromeda.
 
* ‘’ Il mondo intero vive dei tuoi occhi puri. E tutto il mio sangue scorre nei loro sguardi ‘’
* ‘’Sei fottuto’’
 
Rodolphus e Andromeda l’aiutarono a mettersi seduta.
-Attenta alla testa, non … -
-Il piede … - Gemette Bellatrix,aggrappandosi al braccio di Rodolphus.
-Perché, che cos’hai?-
Bellatrix provò a muovere la caviglia destra e contrasse il viso in una smorfia di puro dolore.
-Credo… credo che si sia rotta la caviglia.-
Andromeda e Rodolphus si guardarono, mentre Bellatrix si sfilava lo scarponcino bagnato.
-E’ gonfia, si vede anche con le calze.- Sussurrò Andromeda. -Io vado a chiamare i nostri genitori.-
-No!- Urlò Bellatrix, provando a sollevarsi in piedi,mentre Rodolphus la sorreggeva.
-Tu non chiami nessuno, siamo quasi arrivati, e io ce la faccio.-
-Bella, ma come fai, se non puoi nemmeno muoverla … -
-Puoi stare sullo slittino al posto mio.- Propose Narcissa.
-No, ti porto io… ti porto io sulle spalle, forza. Tu rimani sullo slittino Cissy, c’è troppa neve.- Rodolphus porse arco, faretra e mantello a Rabastan, che l’indossò.
-Davvero pensi di riuscire a farcela, Lestrange?-  Bellatrix si aggrappò al suo collo.
-E tu pensi di riuscire a fidarti mai di qualcuno, nella tua vita?-
Rodolphus si chinò in avanti, mentre Rabastan aiutava Bellatrix ad issarsi sulle sue spalle.
Andromeda sistemò Narcissa sulla slitta, annodandole nuovamente il cappuccio sulla testa e coprendole la bocca con la sciarpa.
-Aiutami a trascinarla.- Le chiede Rabastan.
Andromeda annuì e corse a prendere la corda dello slittino. Mentre l’afferrava, si ritrovò ai suoi piedi la freccia semicoperta dalla neve, con ancora il fiore strappato sulla sua punta.
Gettò un’occhiata di sbieco a Rabastan, che con un cenno d’assenso, cominciò a trascinare la slitta. Andromeda prese la freccia, e ritornò dagli altri.
 
-Metti le braccia attorno al mio collo, Bella. E le ginocchia attorno alla mia vita.-
Rodolphus mise le mani nell’incavo delle sue ginocchia, mentre lei si aggrappava con forza alle sue spalle.
-Però … hai delle belle spalle. Ti facevo più magrolino.-
Rodolphus sorrise, trattenendosi dall’impulso feroce di girare il viso e baciarle una guancia, o solo di incrociarne di nuovo gli occhi. Si costrinse a tenere lo sguardo davanti a sé, mentre tutti riprendevano la faticosa marcia sul sentiero.
-Ti fa molto male?- Domandò dopo qualche istante, cercando di smettere di contare i respiri di Bellatrix nel suo orecchio e di sincronizzarli con i suoi passi.
-No.- Mentì Bellatrix fra i denti.
-Bella, se una cosa fa male, fa male e basta. Forse saresti dovuta stare sulla slitta … il piede sarebbe rimasto fermo… così forse ho peggiorato la situazione.- Corrugò la fronte, dandosi poi mentalmente dell’idiota. L’unica ragione per cui non l’aveva messa sulla sua slitta, era perché voleva portarla sulle sue spalle.
-Ma se ti fa male, puoi metterti sulla slitta … -
-Siamo arrivati, ecco la casa. -
A Rodolphus quasi dispiacque. Si fermò, fissando  l’austera dimora in lontananza e l’ampio viale battuto che si apriva sulla loro sinistra.
-Siamo fradici. Siamo conciati malissimo.- Borbottò ancora Rabastan, accelerando il passo. -Appena ci vedranno, si metteranno a urlare.-
Il respiro all’orecchio di Rodolphus perse regolarità.
-Piano, Rod.- Mormorò Bellatrix, affondando le unghie nel suo torace.
Lui sentì le sue mani, le sue dita, proprio in corrispondenza del suo cuore. E gli parve, per un istante, solo per un istante, che stesse cercando di dirgli qualcosa, d’imprimergli nella carne un messaggio, una richiesta, una supplica muta.
-Ti fa molto male?-
La sentì scuotere la testa, e senza più riuscire a resisterle, voltò la sua per immergersi completamente nell’Onice, un’altra volta.
-E’ stata colpa mia… -
Bellatrix, suo malgrado, sorrise.
-Ma no … è stata colpa della viola.-
Rodolphus ridacchiò , mentre lei gli scostava i capelli dagli occhi.
-Ma io volevo prenderla per te, per farti capire che … -
-Per me? Guarda invece che casino che hai fatto. Fosse stata almeno un’orchidea, ne sarebbe valsa la pena di spezzarsi un osso… - 
-Quindi fammi capire … vale la pena di rischiare la vita per raccogliere un’orchidea, di farsi mordere da un lupo… ma non ci si può rompere la caviglia per un fiorellino da campo.-
-Bravo, Lestrange.-
Rodolphus fu scosso da un brivido, cercò il suo calore, cercò di spingerla disperatamente a sé, di far aderire il suo torace alla sua schiena, di unire i battiti lievi e spezzati di Bellatrix ai suoi, forti e desiderosi di prendere il volo.
-Ti rendi conto che vai incontro a tutto ciò che è potenzialmente pericoloso, Bella? E poi perché un’orchidea sì, e una viola no?
Bellatrix sbuffò.
-Stai forse provando a capirmi o stai provando a cambiare la mia visione delle cose? Perché hai di nuovo infranto le regole.-
Rodolphus riprese a camminare, cautamente.
-Fammi solo capire questa cosa, e giuro che poi la smetto con le domande. -
Bellatrix poggiò il mento sulla sua spalla, tamburellandogli fastidiosamente in testa.
-Dunque, vediamo… ci sarebbero un centinaio di ragioni … il lupo è scaltro. E’ intelligente, astuto, bellissimo. E’ un cacciatore, può essere letale, ma all’apparenza sembra solo un cane appena più attraente degli altri …-
-E le orchidee invece? Mi ricorderò di non farti portare mai più delle rose bianche, a proposito.-
Bellatrix sogghignò.
-Questa è l’ultima domanda che mi fai, ti avverto. Comunque … Le orchidee sono regali. Sono perfette, sono ambigue, persino. Non serve loro molta luce, come a tutti gli altri fiori, e neppure molta acqua. Sono difficili e complicate da curare, ma basta la giusta combinazione di fattori e possono crescere anche in posti impervi e non molto congeniali … di certo però non le troverai così, in mezzo all’erba come delle volgarissime viole da campo, che non hanno neppure radici salde, e basta una manata per estirparle.-
-Quindi, tu stai dicendo che una violetta non è degna d’esistere, che non vale la pena affannarsi per una cosa tanto banale?-
-Sì.- Intervenne Andromeda. -Ti sta dicendo che la debolezza non è degna d’esistere. Anche se, Bella, quella viola era in mezzo alla neve e alle rocce. Quindi evidentemente, un po’ di forza doveva pur averla, per resistere in un posto così.-
-Stai recitando un requiem per la violetta? Beh, te la sei persino portata dietro... Aspetta Meda, che mi commuovo.-
-Non ha tutti i torti.- Convenne Rodolphus, prendendo la freccia dalle mani di Andromeda e sventolandola a mo’ di bandiera.
Bellatrix gli strinse le mani fredde intorno al collo, fingendo di strozzarlo.
Lui rise e persino Rabastan diede segno d’aver apprezzato la scena.
-Lasciami, dai.-
-E tu lascia quella freccia.-
Bellatrix gli  infilò le mani nel colletto della camicia e lui si divincolò.
-E dai, sono ghiacciate, smettila, cadiamo così … -
-Rod soffre il solletico … - Ridacchiò ancora Bellatrix, tirandogli poi un orecchio.
-Lasciami!-
-E perché? Guarda come giri, sembri una trottola … -
Rodolphus scivolò in avanti, cadendo rovinosamente.
-Giocate un altro po’, noi andiamo avanti. Cissy si è addormentata. Mando qualcuno per la caviglia di Bella. Vieni con me, Rab. - Andromeda prese Rabastan per mano e si allontanarono correndo, lasciando loro due soli.
Rodolphus tenne ancora la faccia spiaccicata a terra per qualche secondo, mentre sentiva Bellatrix spostarsi sulla sua schiena.
Lentamente, quando sentì che lei era scesa dalle sue spalle, si rigirò, annaspando verso il cielo bianco, le braccia spalancate. Si voltò a guardare Bellatrix, che era poggiata su un fianco e lo fissava rapita, la testa posata sul gomito.
-Ma a te non fa male il piede?-
-A te piace la neve, Rod?-
-Sì, ma il tuo piede... - Mormorò lui, confusamente, tuffandosi nuovamente nei suoi occhi.
-E perché ti piace?-
-Perché … perché … è soffice. E’ silenziosa … è cauta … e perché la tua risata somiglia ai fiocchi di neve.-
Bellatrix continuò a fissarlo. Senza sorridere. Poi arricciò il naso. E poi gli gettò in faccia una manciata di neve, saltandogli addosso.
Rodolphus rotolò sulla schiena, sputacchiando mentre Bellatrix tentava di fargliela mangiare.
Fu mentre si dimenava e rideva, che Rodolphus sentì d’essere anche lui come un fiocco di neve. Libero, per un solo istante, prima di posarsi per sempre e perdersi  in mezzo a un qualcosa più grande e importante di lui. Per poi sciogliersi al sole, e tornare ad essere acqua. E aspettare di nuovo il gelo. Perché nessun fiocco di neve restava tale per troppo tempo.
-Io mi perderò.- Sussurrò, mentre Bellatrix cadeva esausta addosso a lui e poggiava l’orecchio sulle sue labbra.
-Non ho capito, che dici? Non rimetterti a parlottare in francese.- Gli disse, affannata.
-Se vuoi te lo insegno, se a scuola la smetti di far finta di non conoscermi.-
Mormorò, chiudendo gli occhi.
-No. Non mi piace, è sdolcinato ai limiti della nausea.-
Rodolphus sorrise tristemente. Bellatrix si rannicchiò sul suo torace.
-Ho freddo.- Ammise, e lui si accorse che tremavano entrambi.
Annuì, stringendola forte, intrecciando le dita dietro la sua nuca,allacciando lo sguardo al suo.
Non osò muovere un solo muscolo, troppo emozionato e incredulo per riuscire anche solo a respirare con regolarità. Non aveva mai avuto l’occasione neppure di tenerle la mano fino a quel giorno, figurarsi abbracciarla. Era l’apoteosi di ogni suo desiderio, non poteva chiedere altro. Forse, se non l’avesse fatto, se avesse rispettato le regole, le cose sarebbero andate diversamente. Ma lui le sfiorò la punta del naso con l’indice, e fissò le sue labbra tremanti. E continuò a infrangere le regole.
-Bella … a me, lo puoi dire, se stai male.- La implorò, prendendole una mano.
Bellatrix si aggrappò saldamente al suo braccio, con tutte le forze che le restavano. E gli occhi tornarono lucidi, e le gote rosse, e i muscoli tesi, il respiro strozzato.
-Dimmelo. Dimmi che cos’è.-
Il rumore di una materializzazione a pochi metri da loro lo fece sussultare. Bellatrix sgranò gli occhi. Poi gli parlò sottovoce, così flebilmente che Rodolphus dovette ripetere quelle parole a se stesso come un mantra, da quel giorno, per non pensare d’averle solo immaginate.
-A me la neve piace, perché la neve uccide senza fare rumore. Tutte le cose che ti fanno male, lo fanno senza far rumore.-
 
Rodolphus strinse i denti, ebbe l’impressione di staccarsi dal suolo e precipitare. Le lasciò la mano, affondò le unghie nella terra. Non si mosse, un’altra volta. Non parlò. Ascoltò il frusciare del vento fra i rami. E pensò che anche il vento era condannato a vagare per l’eternità, senza avere mai pace, senza avere mai un posto nel mondo. Che poteva essere ovunque, e contemporaneamente da nessuna parte. Anche il vento era fragile. Anche il vento raccoglieva e poi urlava segreti. E con un’ ultima sferzata di resa, il vento seppellì la freccia, e i fragili petali rimasti imprigionati ad essa.
 
Quella stessa sera, Rodolphus fissava dalla balaustra delle scale le sagome colorate danzare con grazia. La musica leggiadra accompagnava i passi di danza, le risate e i salamelecchi. Rodolphus osservava lo sfarzo di un pezzo di mondo che gli apparteneva di diritto, ma al quale lui non sarebbe mai appartenuto completamente. Non aveva ballato, non aveva mangiato. Aveva a stento salutato gli ospiti importanti e poi si era rintanato in cima alle scale, seduto sul tappeto rosso, tracciando ancora quei ghirigori immaginari con le sue dita. Per tutta la sera, senza che nessuno lo notasse, lui aveva avuto il privilegio di poter osservare indisturbato tutti gli altri, come se fosse stato invisibile, o fosse stato un ragazzo dipinto in un quadro. Mentre quest’ultimo pensiero lo sfiorava, Andromeda andò a sedersi vicino a lui, anch’ella silenziosa come un’ombra.
-Sei più bella vestita di verde.- Borbottò cupo, continuando a ondeggiare pigramente le spalle a ritmo di musica.
Lei sorrise, poggiando la testa sulle ginocchia.
-Grazie. Ti stai annoiando parecchio?-
-Non più del solito. E tu?-
-Ho finito il rullino della mia macchinetta, e tuo fratello si è dato al banchetto, perciò non mi è rimasto molto di meglio da fare, a parte correre dietro ai miei cugini più piccoli … -
Rodolphus annuì assorto, passandosi la mano fra i capelli.
-Hai visto, che postazione strategica, questa? E’ incredibile. Da quassù, tu guardi tutti, ma nessuno vede te. E’ come se qui fosse buio, e lì ci fosse luce … -
-O come se qui fossimo in un quadro.-
Andromeda corrugò la fronte.
-Non ho capito, credo. Spiegati meglio.-
Rodolphus sbuffò.
-Non mi va, ora. Scusa, non so nemmeno quello che ho detto.-
Andromeda rimase per un attimo in silenzio.
-Vuoi andare in camera di Bella?-
Lui smise di tormentare la moquette e la fissò con crescente intensità, studiandone i lineamenti.
-Tu e Bella siete quasi identiche. Se non fosse per i colori.-
Andromeda ridacchiò.
-Non è vero, e lo sai anche tu. Ma grazie lo stesso. E’ sempre bello sentirselo dire. Ma sai quello che si dice, no? Che sono i dettagli, a fare la differenza.-
Rodolphus preferì ignorare deliberatamente l’ultimo commento.
-Come sta?- Chiese semplicemente.
-Sta bene. Ma il Medimago ha detto che per stasera è meglio se rimane con la gamba a riposo, per questo non scende.- Ha rischiato parecchio stamattina, non immobilizzandola subito.-
Rodolphus annuì. Poi si schiarì la gola.
-Perché hai fatto finta di perderti, nel bosco? Perché hai lasciato che Narcissa e mio fratello si preoccupassero? E non dire che non è vero.-
Andromeda distolse lo sguardo, rincorrendo le figure che danzavano.
-Io… non lo so, sinceramente.-
-Dove diavolo ti eri nascosta, poi?- La accusò.
-Ero nella casa sull’albero. Mi sono messa a correre, ci sono arrivata prima.- Mormorò a mezza voce, con le lacrime agli occhi.
Rodolphus allentò il cravattino, sporgendosi verso di lei, assottigliando lo sguardo.
-Volevi vedere se Bellatrix si fermava per cercarti, vero? Volevi vedere se si preoccupava per te.-
Andromeda annuì, singhiozzando e asciugandosi le guance con il dorso delle mani.
-Ora perché piangi? A che serve? Non si è perso nessuno … - Fece una risatina nervosa - E tu hai avuto la dimostrazione che volevi … o no? Anche se non c’era bisogno di farlo.-
Andromeda rimase con le spalle al muro.
-Non c’era bisogno di farlo, dici?- Si girò di scatto, fissandolo con odio crescente. - Tu dici a me, che non c’era bisogno di farlo, quando hai fatto la stessa identica cosa.- Sibilò fra i denti. -Hai accarezzato un lupo, hai scalato mezza montagna, ti sei quasi spaccato la testa, l’hai portata sulle spalle, le sei corso dietro tutto il giorno e se avessi fatto anche un solo passo falso, ti saresti perso sul serio … perciò non venire a dire a me quello che devo o non devo fare. Lei è mia sorella. E’ sangue del mio sangue. Tu perché lo fai, perché? Tu stai facendo e farai esattamente la stessa cosa. Senza nemmeno rendertene conto, Rodolphus Lestrange.-
Rodolphus serrò la mascella, i pugni contro il pavimento di marmo freddo.
-Non ti conviene, innamorarti di Bella.- Sussurrò Andromeda, alzandosi da terra.
-Aspetta!- Urlò lui, scattando in piedi a sua volta.
Lei si voltò, il viso ancora rigato di lacrime.
-Com’è tua madre?- Sputò fuori, provando ad aggrapparsi a quell’ultimo barlume di speranza.
-Questo che c’entra adesso? Beh… l’hai vista tante volte, no? Anche se cambia sempre vestiti, pettinatura. Persino umore. Cambia sempre, mia madre … però somiglia a Narcissa. E’ uguale a lei. Buonanotte, Rod.-
Poi imboccò il corridoio semibuio, sulla scia strascicata e triste di un walzer.
-Andromeda?-
Rodolphus non sollevò lo sguardo da terra. Rimase a parlare con la sua ombra, con la sagoma dei riccioli uguali a quelli di Bella che lambivano la punta delle sue scarpe tirate a lucido, come l’onda di risacca sugli scogli.
-Sì?-
-Quello scrigno. Quel cofanetto. Io posso aprirlo, posso metterci dentro qualcosa?-
-Sì … ma poi la perdi, non puoi più recuperarla, perché sparisce, ti apparirà sempre vuoto. A meno che non decida di ridartela Bella.-
-Dammi una mano. - Mormorò all’ombra.
Andromeda morse il labbro, tremò violentemente, si asciugò un’ultima lacrima.
-Bella è pericolosa. Fa solo male, Rodolphus … tu … dovresti solo andare via, e lasciar perdere. Vattene. -
Rodolphus mise la mano in tasca, estrasse il ramoscello di agrifoglio. Lo strinse, una goccia di sangue gli colò fra le dita.
-Io non mi muovo da qui. E tu puoi scattare tutte le foto del mondo,ma nessuna catturerà mai la perfezione dei suoi occhi.-
-E nessuna foto ti salverà mai, Rod.Tu non capisci. Con Bellatrix perdi te stesso. Non so se c’è foto che possa salvarti da questo. Non so se c’è un posto dove potrai andare a rifugiarti.-
-E allora perché ce ne hai scattata una, oggi?-
Andromeda trasse un profondo respiro. Poi anche lei mise la mano in tasca, tirò fuori il piccolo ritaglio di carta traslucida, osservò le labbra di Rodolphus dischiuse sulla fonte di Bellatrix, gli occhi di lei sollevati in cerca dell’appiglio dei suoi.
-Tieni. Prendila. Puoi metterla nello scrigno. Perché … questo è quello che rimarrà. Se intendi continuare a giocare, Rod, questo è tutto quello che rimarrà.-
 

Fine.

 
 
Note:
La frase che Rodolphus sussurra a Bellatrix è tratta da una poesia di Paul Eluard, ‘’La courbe de tes yeux. ‘’ Dubito che Rodolphus conosca una poesia Babbana, ma perdonatemi =)
Perdonate anche l’eccessivo "ermetismo" e il tentato uso di psicanalisi dei personaggi. Forse sono un po’ troppo "profondi’’ date le età. Ma mi piace molto pensare alla loro infanzia. E a quali siano stati i loro "punti di rottura.’’
Devo chiarire le età? Mh, sì, forse è il caso e avrei dovuto farlo prima. Allora, vediamo. Rodolphus frequenta il terzo anno, quindi qui ha tredici anni e va per i quattordici. (Non è proprio un bambino, in effetti :D)
Bellatrix ne ha dodici, uno in meno di lui.
Andromeda e Rabastan entrambi dieci, devono iniziare la scuola a Settembre (Ho supposto che tra Rodolphus e Rabastan ci fossero tre anni di differenza).
Narcissa, ha otto anni.
Scusate ancora l’eccessiva lunghezza e grazie a tutti i coraggiosi che sono arrivati fin qui.
Se non avete capito niente e non vi è piaciuta … vi capisco. XD
Grazie ancora.
 
  
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