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Autore: Jane Ale    05/10/2012    1 recensioni
[Prima storia della serie "Il ciclo di Caterina", ma può essere letta indipendentemente dalle altre storie.]
Caterina e Alessandro sono migliori amici, eppure non riescono ad andare d'accordo per più di qualche minuto. Ma poi Caterina capisce di essere innamorata di Alessandro e tutto si complica. Perché lui è stronzo, ma non ne è consapevole; lei, invece, è isterica, ma non sa come smettere.
Il solito vecchio cliché? Probabilmente (no).
Dalla storia:
-L'avevo capito. Di piacerti, intendo.-
Annuii. -Era piuttosto evidente.-
Si passò le mani sul viso, poi mi fissò di nuovo. -Cate, io mi sento molto attratto da te, non posso negarlo..-
A quelle parole avvampai, ma cercai di restare distaccata. -Ma?- gli chiesi.
-Ma al tempo stesso non riesco a provare quei sentimenti che vorrei. Ti voglio un mondo di bene, ma..-
Ma non sei innamorato di me, conlusi per lui nella mia mente.
Raccolsi tutto il coraggio che avevo e sorrisi. -Non preoccuparti, Ale, non importa. Non è successo niente.-
-Cate, ascoltami.-
-No, va bene così, nessuno si è fatto male.- Sorrisi ancora.
-Tu sì.- disse con semplicità. Ed era vero, io mi ero fatta molto male, più di quello che credevo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il ciclo di Caterina'
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Capitolo 4
22 Aprile 2012
E mi rassegno al fatto che io in questa vita o ti amo o ti ammazzo




Tentai di ricordare come fosse finita quella serata, ma la prima immagine lucida risaliva al giorno successivo, quando mi ero recata da Alessandro e, senza una parola, gli avevo restituito il braccialetto che mi aveva dato prima di partire. Lui non aveva capito il perché di quel mio gesto, cercava di capire cosa avessi, il perché non riuscissi a parlargli guardandolo negli occhi; io, intanto, ero troppo presa dal mio insulso dolore per notare che lui non sembrava avere ricordi della sera precedente.
Urlai dalla rabbia. Era veramente frustrante ricordare.
Ogni parola o immagine riaffiorava pian piano nella mia testa e, a quel punto, avrei preferito continuare a tenere tutto chiuso in un cassetto della mia mente.
Andai in cucina a bere un bicchiere d'acqua, tentando di riacquistare la lucidità necessaria per pensare ancora un po'.
"Bene, Caterina, pensa..cosa è successo dopo? Gli hai restituito il braccialetto, vi siete scambiati qualche messaggio e poi?"
Cavolo, perché non riuscivo a ricordare?
Forse avevano ragione i libri di psicologia quando dicevano che il nostro subconscio tende a nascondere le cose che ci tormentano di più. Forse stavo davvero impendendo a me stessa di ripensare a quel periodo.
"No cavolo, io devo ricordare!"
Mi buttai sul divano. Era inutile, stavo girovagando per casa come un fantasma senza riuscire a concludere niente.
Chiusi gli occhi e mi rilassai.
Ma non ebbi il tempo di addormentarmi, perché il ricordo arrivò.

Era domenica.
Camminavamo incessantemente per le salite tortuose di quel monte straniero. Ero stanca, ma sapevo di potercela fare: non mi dispiaceva camminare, avevo sopportato percosi peggiori.
Eppure sentivo il bisogno di lamentarmi, il leggero dolore alla caviglia mi irritava.
-Uffa!- sbuffai. -Non ce la faccio più!-
La ragazza davanti a me si voltò e mi fece un sorriso rassicurante. - Manca poco tesoro.-
Annuii. Guardai il ragazzo alla mia destra e, scherzando, dissi: -Mi porti in braccio?-
Lui mi guardò serio per qualche secondo, poi mi rispose gentilmente: -Va bene, penso di potercela fare. Alla peggio cadiamo nel burrone!- E rise.
Stavo per fermarmi, quando tu intervenisti: -Se vuoi ti porto io.-
Ti confesso che prima di prendere a battere freneticamente, il mio cuore si fermò per un instante.
Nemmeno un secondo, un istante.
E tutto l'amore che avevo accumulato lì da anni aveva minacciato di uscire e prendere il sopravvento.
Ma ripresi subito il controllo. Non potevo permettermi simili debolezze. Almeno non dopo quello che mi avevi fatto due sere prima.
-Non importa. Non ce la faresti.- risposi, cercando di sembrare emotivamente neutrale.
-Scommetti che ce la faccio?-
Il tuo sguardo si era irrimediabilmente acceso. Ecco! Avevo provocato uno dei lati peggiori di te, quello competitivo.
Nonostante tutto, amavo le nostre sfide: le provocazioni, gli sguardi, i sorrisi. Era tutto così dannatamente eccitante.
-Vediamo!- fu tutto ciò che risposi.
Ti girasti per farmi salire sulla tua schiena. -Ti fidi?- mi chiedesti senza guardarmi.
Fui grata del fatto che tu non potessi vedere il sorriso sulle mie labbra. -Ovvio che no!-
Feci un piccolo salto e montai. Sentii le tue mani poggiarsi delicatamente sulle mie natiche per sostenermi. Quel contatto mi provocò una scarica di adrenalina.
Paura? Forse.
Pericolo? Senza dubbio.
Come se avessi captato i miei pensieri, portasti le tue mani sulle mie cosce e, senza una parola, iniziasti a camminare.
In quel momento non riuscivo a pensare a niente, se non ai nostri corpi a contatto, il calore sprigionato dalla tua pelle, il tuo odore...
Brividi.
-Adesso ti faccio venire i brividi!- Sussultai, sorpresa dalle tue parole. Poi iniziasti a correre.
Vedevo la vegetazione sfrecciare veloce al mio fianco, i nostri compagni guardarci allibiti. Non riuscivo a spiegarmi come potessi fare tutto ciò sopportando il mio peso. Mi strinsi forte a te, affondando il mio viso nel tuo collo, proprio come poche ore prima.
Trentasei, per la precisione.
Sentii il dolore riaffiorare. Aumentai la stretta, quasi a volermi salvare dai ricordi. Per un attimo ci riuscii.
Poi rallentasti.
Capii di aver superato il limite. Senza dire una parola abbassai le gambe, proprio nel momento in cui tu allentavi la presa delle mani.
-Scusa, non ce la faccio più.- ti giustificasti.
Sorrisi. -Grazie comunque.- fu tutto quello che seppi rispondere, quando, invece, avrei voluto sentire ancora il tuo corpo a contatto con il mio, piccoli fremiti sulla mia pelle, respiri irregolari.
Ti guardai allontanarti, sorridendomi.
Camminavo lentamente, per inerzia.
Delle ragazze accorsero, volevano i dettagli. Non avevo niente da dire, così mi limitai a sorridere e scuotere il capo.
Alzai lo sguardo. Ormai eri già da lei: camminavate fianco a fianco, tu l'aiutavi a superare i punti più difficili, lei stringeva possessivamente il tuo braccio.
Guardai quelle ragazze intorno a me.
-Le metafore dei poeti sono tutte cazzate. Loro non hanno mai provato l'amore. Se ami non puoi descrivere. L'amore non è paragone, analogia. L'amore è sensazione. L'amore è. A volte nemmeno.-
Queste furono le mie parole.
Aumentai il passo, allontanandomi da loro.
Camminavo, ma senza mai diminuire la distanza tra noi.

Scoppiai a ridere pensando alle parole che avevo detto alle mie compagne, tutte quelle belle frasi sull'amore.
Quanto potevo essere ridicola alle volte? Eppure loro mi avevano dato ragione, come se io fossi riuscita a capire davvero le mie parole. Perché, sinceramente, non sapevo cosa avevo voluto dire, le parole mi erano uscite di getto.
Risi di nuovo. No, non riuscivo davvero a capirmi.
Avevo pensato di amare un individuo che non riusciva a provare sentimenti, se non orgoglio. Mi ero illusa che qualcosa potesse nascere, avevo cercato qualsiasi segnale potesse farmi continuare a sperare. Ero stata fermamente convinta che, prima o poi, se ci credi davvero, i desideri si realizzano. Alla fine, però, ero stata costretta a ricredermi: non si era avverato un cacchio!!
Richiamai alla mente il mio comportamento dopo quella domenica: avevo continuato ad evitarlo, non avevo più risposto ai suoi messaggi, avevo sempre cercato di non rimanere da sola quando lui era nelle vicinanze. Ma il lunedì sera, non riuscii ad attenermi al mio piano: avevamo affittato un capannone per dare una festa con tanto di musica e birra. Mi aveva fermata mentre stavo per prendere una birra e mi aveva implorata di parlargli, di spiegargli il mio comportamento. Non lo avevo neppure guardato in faccia mentre continuavo per la mia strada, ma lui mi aveva afferrato un braccio e lo aveva stretto con decisione. -Adesso mi dici che cazzo ti prende!- mi aveva detto quasi arrabbiato. Non sapevo se fosse più dolorosa la sua stretta sul braccio o il fatto che fosse lì di fronte a me. Lo avevo pregato di lasciarmi stare, ma aveva scosso la testa, continuando a tenermi ferma. Poi era arrivata una ragazza del nostro gruppo.
-Alessandro, smettila. Stai esagerando. Lasciala stare!- aveva detto lei con fermezza. Lui si era girato verso di me e, prima di lasciarmi, aveva mormorato: - Sei una stronza!-.
Pensandoci bene, forse aveva ragione lui, la stronza ero io. In fin dei conti lui non mi aveva mai illusa davvero, il suo gesto di qualche sera prima era stato un errore dovuto all'alcol e io ne stavo facendo una tragedia. Non gli avevo neppure dato una spiegazione! Sì, senza dubbio la stronza ero io.
Ma, qualche minuto dopo, mi ero ricreduta.

Pochi minuti dopo la pista da ballo sembrava infiammata dal tuo bacio con lei. Per giorni avevo cercato di evitarlo, ma sapevo che prima o poi avrei dovuto affrontare la realtà.
Lo sapevo benissimo.
Per quanto il racconto di un evento possa essere realistico, non farà mai male quanto la cruda verità esposta davanti agli occhi. Ma per guarire, dovevo accettare. Per accettare, dovevo vedere.
E vidi.
Le tue mani sui suoi fianchi, le sue braccia attorno al suo collo, le vostre bocche che combaciavano alla perfezione.
Chiusi  gli occhi velocemente, come un bambino che non vuole vedere ciò che lo spaventa. Sentii una rapida stretta al cuore, come uno spillo che veniva conficcato con estrema precisione.
Ma la cosa peggiore non era stato assistere alla scena da una finistra sotto un'insistente pioggerella primaverile.
Non era stato vedere il sorriso sulle sue labbra un secondo prima del bacio.
Non era stato vedere la decisione nei tuoi occhi mentre avvicinavi il tuo volto al suo.
La cosa peggiore era stato lo scorrere circospetto del tuo sguardo per tutta la stanza prima di agire. Avevi posato gli occhi su ogni individuo presente all'interno della sala in quel momento. Avevi controllato attentamente che fosse il momento giusto.
Avevi controllato che io non ci fossi. Che fossi altrove.
Non volevi che assistessi? Beh, avevi fatto male i conti.
Eppure di tutto ciò che avrebbe potuto ferirmi, la sferzata finale l'aveva data questo.
Il fatto che tu sapessi.
Sì, perché tu sapevi, ma non te ne è importato.
Stronzo!





Note dell'autrice:

Salve a tutti!

Prima di tutto i ringraziamenti:
ringrazio Gre_Leddy e leonedifuoco per aver inserito la storia tra le seguite; ringrazio Eli_17 per averla inserita non solo tra le seguite, ma anche tra le ricordate. :)
Un grazie speciale va a Afeffa, costretta a sopportare i miei infiniti dubbi e le mie innumerevoli manie. Grazie di tutto!

Per quanto riguarda la storia, questa volta il capitolo è venuto un po' più lungo rispetto agli altri; spero che con il tempo inizierete a farvi un'idea dei due protagonisti. So che la trama può sembrare sfuggente, quasi insensata, ma prima o poi tutto arriverà ad un punto di svolta.

Se avete dubbi, critiche, o semplicemente voglia di commentare, lasciate una piccola recensione. :)

Baci,
Jane Ale

  
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