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Autore: Eryca    05/10/2012    4 recensioni
Era colpevole di aver donato tutta la sua anima alla musica.
Non c’era persona più colpevole di lei.
Era colpevole anche in quel momento, mentre tutti sapevano ciò che stava per accadere, ma nessuno aveva il coraggio di dire nulla o muovere anche solo un muscolo.
C’era musica nell’aria, lei la sentiva.
Loro la sentivano.
Vita.

****
C'è Anne, con i suoi demoni del passato e la sua maschera perenne. Ha un sogno.
C'è Davide, con la sua purezza d'animo. Ha un sogno.
C'è Matteo, con la sua spavalderia e il suo disinteresse. Ha un sogno.
C'è Riccardo, con le sue dipendenze, le sue paure e le sue bugie. Ha un sogno.
Un sogno.
Hanno tutti lo stesso sogno.
La musica.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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12.

Oh, amore. Oh, amante.

 

 

 

 

 

Oh Love – Oh Loverboy

What are you doing tonight, hey boy

Set my alarm, turn on my charm

That’s because I’m a good old-fashioned loverboy

Oh, let me feel your heartbeat

(grow faster, faster)

Oh, oh, let me feel your love heat

 

Queen – “Good old-fashioned loverboy”

 

 

 

 

 

«Ci siete piaciuti, ragazzi. Avete carisma, talento e potenzialità per poter sfondare. Siamo disposti a investire una quantità di denaro sufficiente per farmi incidere un primo album e la sua promozione. Nessuno vi toglie la possibilità di firmare un contratto con noi.»

La voce di Mauro Polloni rimbombava nella sua testa come se fosse ancora lì davanti a lui, le mani incrociate sulla scrivania laccata dello studio dell’Alternative Productions e il sorriso stampato in viso.

Riccardo non riusciva a togliersi di mente quelle parole che avevano reso reale il sogno della sua vita, quello per cui lui e Davide avevano sacrificato tutto, dallo studio ad una vita agiata.

Si sentiva così rinato che le sedute terapeutiche non contavano più nulla, esattamente come il fatto che i suoi problemi non erano terminati, perché in quel momento tutto ciò che aveva importanza era che il sogno della sua vita aveva preso consistenza e lui non era più un tossicodipendente alle prese con la disintossicazione, che aveva perso anni della sua vita a nascondere ciò che era.

Lui era semplicemente il batterista dei Mad, il gruppo esordiente che l’Alternative Productions aveva preso sotto la sua ala per lanciarlo nel mondo del business musicale.

Si ritrovò a sorridere come un ebete mentre le braccia forti di Davide lo stringevano come non succedeva da anni; un moto di irrefrenabile affetto nei confronti del suo migliore amico lo travolse, facendolo sentire in colpa per tutti i giorni in cui aveva taciuto con lui.

«Mi dispiace, Dà... Perdonami, per tutto...» mormorò, cercando di fargli capire quanto il bene che gli voleva era reale, come tutto ciò che avevano condiviso nel corso degli anni.

Davide era il suo migliore amico, l’unica persona che gli era sempre stato accanto, anche quando nessuno voleva avere più niente a che fare con lui perché lo reputavano un derelitto. E invece Davide era sempre stato lì, a pulire la sporcizia che lasciava nel loro appartamento, a preparargli i maccheroni della Findus riscaldati nel microonde, a spegnere la luce quando si addormentava davanti alla televisione.

Fratello.

«Non importa, amico... Non importa...»

La voce del chitarrista suonò strozzata e più bassa del normale: Ricca sapeva bene che quando Davide assumeva quel tono vocale era a causa dell’emozione che cercava di trattenere.

Dio, aveva davvero temuto che Davide potesse giudicarlo? Si, ed era stato per quel motivo che aveva taciuto con lui e aveva evitato di aprirsi. Ora si rendeva conto di quanto fosse stato stupido, perché Davi non lo avrebbe mai abbandonato.

Quando sciolse l’abbraccio si rese conto che Anne e Matteo li stavano osservando con commozione, contenti che si fossero finalmente ritrovati e avessero ristabilito il loro equilibrio.

«Merda! E adesso che si fa? Siamo a cavallo, gente!» esclamò Anne, alzando le mani in aria e iniziando a saltellare lungo il marciapiede. Quella ragazza era così esuberante che a volte risultava completamente matta; ma faceva parte della sua personalità talentuosa.

«Propongo di andare a mangiarci una pizza tutti insieme! Che ne dite?»

Riccardo non poté fare a meno di voltarsi a guardare la persona che aveva parlato, che era poi la stessa persona che lo aveva sostenuto ed aiutato in quelle settimane difficili, restandogli vicino quando non si sentiva abbastanza forte, lasciandolo solo quando ne aveva il bisogno.

Matteo.

Matteo che non lo aveva più toccato dopo quel giorno a casa di sua madre, ma si era limitato a stargli accanto, rispettando il suo bisogno impellente di star bene di salute.

Riccardo non riusciva a capacitarsi di ciò che provava quando stava accanto a lui: era qualcosa che andava oltre la sua esperienza, oltre tutto ciò che aveva sempre conosciuto; quando Matteo era nelle vicinanze sentiva il suo corpo tendersi come una corda di violino, tutti i suoi sensi si mettevano in allerta e sembrava che una forza magnetica lo spingesse sempre più vicino al ragazzo.

Erano sensazioni che non riusciva a controllare.

Matteo.

«Si, ehm, sarebbe una buona idea, Matte...» cominciò Davide lanciando un’occhiata complice con Anne, che arrossì visibilmente. «Solo che, ecco, io e Anne avevamo altri progetti...»

Oh, certo. Questa non mi è nuova.

Il fatto che tra Anne e Davide fosse scattata la scintilla era più che evidente, ma nessuno aveva mai domandato o osato fare qualche battuta sarcastica a riguardo; era una situazione precaria e né lui né Matteo avevano intenzione di rovinargli la festa.

«Ok, ok...» Matteo rise e Riccardo dovette controllarsi, perché quel sorriso lo mandava sempre in corto circuito. Poteva esserci qualcosa di più radioso?

Va bene essere gay, Ricca, ma non comportati da checca.

Si ritrovò a ridere tra sé, rendendosi conto di quanto ormai gli veniva normale scherzare con la sua natura sessuale, proprio come aveva visto fare tante volte a Matteo.

«Beh, io una pizza me la mangerei volentieri, sai Matte?»  Ormai si era sciolto notevolmente con il bassista e riusciva a parlarci senza farsi venire una crisi esistenziale: aveva ammesso di essere omosessuale, quindi riusciva ad accettare con più facilità l’attrazione che provava nei confronti del ragazzo. Ciò aveva implicato anche un miglioramento del loro rapporto.

«Bene. Alla faccia vostra, piccioncini. Non avete idea di cosa vi perderete.»

Il tono di voce con cui pronunciò quella frase, sommato all’espressione del viso da snob, scaturì una risata di gruppo.

Salutarono Anne e Davide per poi incamminarsi a piedi verso il locale preferito di Matteo, dove facevano una squisita pizza napoletana, che non aveva niente a che vedere con quelle che doveva mettere lui nei frigo al Supermercatino, per lavoro.

Il vento era forte, quella sera, e gli alberi si muovevano a destra e a sinistra, perdendo le foglie in quell’autunno un po’ pazzerello. Erano passate settimane, quasi un mese, dall’inizio della terapia e Ricca si sentiva decisamente meglio, come se fosse un’altra persona; tutto ciò che era stato prima non esisteva più, adesso aveva di nuovo voglia di scherzare, di ridere e stare in compagnia.

«Che ne pensi di Anne e Davide?» gli domandò Matte, sorridendogli.

«Una coppia male assortita!» scherzò ridendo, forse per smorzare un po’ quella tensione che si era creata, come ogni volta che rimaneva da soli.

Dio, quanto avrebbe voluto prenderlo, sbatterlo contro un muro e baciarlo fino a che non gli fossero venute le labbra secche. E al diavolo tutto il resto!

Ok, conteniamoci, Ricca.

Il fatto era che quel ragazzo mediterraneo riusciva a mandarlo fuori di testa con quel suo fascino irresistibile: sembrava essere più che consapevole di essere bello e sensuale, per questo ci giocava sopra, scegliendo appositamente i jeans più attillati della nuova collezione.

Quel sedere rotondo e sodo non migliorava di certo la situazione.

Ok, adesso stai rasentando il ridicolo.

«Secondo me finiranno per scannarsi!» adesso Matteo lo guardava «Anne è una vera leonessa e Davide non ha neanche lontanamente idea cosa voglia dire mettersi in gioco con lei.»

Il batterista lo guardò divertito. «Cosa stai cercando di dire?»

«Voglio dire che il tuo amico è immensamente fottuto.»

E mentre si abbandonava ad una risata, pensò che non c’era niente di più normale dell’andare in giro per le strade di Torino, ridendo di gusto al fianco di Matteo. Era una ragnatela perfettamente tessuta dal destino, che sembrava avere in serbo qualcosa di speciale per loro.

Riccardo fu contento di entrare al caldo della pizzeria, riscaldata dal forno a legna dal quale proveniva un delizioso profumino. Si accomodarono in un tavolino appartato, vicino ad un’allegra famigliola con tanto di bimbi piccoli.

Se iniziano a piangere e a scalpitare li fucilo.

«Che cosa prendi?» chiese il bassista allungando la mano verso la sua e stringendogliela, in un gesto estremamente naturale ed ingenuo, che lo fece quasi commuovere.

Occhi negli occhi.

Matteo e Riccardo.

Uomo e uomo.

 D’un tratto si ricordò che erano in una pizzeria, la gente li stava fissando sconvolti per quelle mani intrecciate, per quell’abominio imperdonabile.

Riccardo sorrise.

«Quello che prendi tu.»

Per quanto lo riguardava potevano andare tutti a farsi fottere.

 

 

****

 

 

«Dio, quella pizza era qualcosa di orgasmico!» convenne Riccardo, guardandolo dritto negli occhi.

Avevano passato una serata a dir poco svagante, tra le risa e il cibo, che gli aveva fatto dimenticare per qualche ora i loro problemi e la situazione precaria in cui si trovavano.

E ora Matteo non riusciva a distogliere lo sguardo da quegli occhi infuocati che sembravano volerlo sbranare da un momento all’altro.

Il suo autocontrollo faceva pena e se Ricca non fosse sceso seduta stante dalla sua auto, probabilmente gli sarebbe saltato addosso senza pensarci due volte; il fatto era che il batterista stava attraversando un periodo davvero difficoltoso e aveva solo bisogno di compagnia e sostegno, non certo di un omosessuale arrapato come lui.

Dannazione, un po’ di contegno.

Il silenzio imbarazzante stava iniziando a prendere piede, quando Riccardo si decise a parlare.

«Sali?»

No, no, no, no, no, no.

Forse il ragazzo non aveva la minima idea di ciò che stava rischiando invitandolo ad entrare in casa sua, perché tutti i buoni propositi di Matteo potevano andare in frantumi se fosse rimasto seduto sul divano in compagnia di Ricca. E lui non aveva alcuna intenzione di chiedergli qualcosa che non era ancora in grado di dargli: era troppo debole per poter sopportare delle avances.

«Io... Non credo sia una buona idea»

Il batterista sembrò rattristarsi, abbassò la testa e quando lo guardò negli occhi sembrava lo stesse implorando di non rifiutarlo. Ma che cosa doveva fare?
Matteo non era una persona costante e soprattutto non era monogamo: in tutto quel periodo si era visto con altri ragazzi e con loro era andato a letto, li aveva usati, lasciati, abbandonati. Si era fatto lasciare, usare e abbandonare. E tutto ciò gli andava bene, perché i sentimenti non erano entrati in gioco nemmeno una volta.

Ma ora, mentre guardava il viso tenero di Riccardo, non poteva pensare di poterlo ferire ancora in quella sua anima già tanto graffiata; guardare quegli occhi nocciola era come stare di fronte ad un oceano di ingenuità e bisogno di amore.

«Ti prego...»

E di nuovo quegli occhi lo pregarono, lo implorarono, supplicarono di non lasciarlo da solo in tutto quel dolore che si portava dentro, perché rimanere soli di notte faceva paura, Matteo lo sapeva bene.

C’era qualcosa, nella notte, che induceva le persone ad averne timore; forse era tutto quel buio che, invece di confortare e cullare, infettava gli animi di panico e confusione; forse era perché di giorno si riusciva a fingere meglio, perché ci si poteva nascondere dietro tutta quella luce.

La notte pretendeva, prendeva, rubava i cuori delle persone.

Di notte poteva accadere qualsiasi cosa, perché la mattina ti saresti svegliato e avresti creduto che si fosse trattato solo di un sogno... ma dov’era il confine tra sogno e realtà?

Erano gli occhi di Riccardo ad essere terrorizzati dal buio, forse perché aveva passato troppe notti in stato di semi-incoscienza causato dalla droga.

Matteo si immaginò il batterista mentre si rintanava sotto le coperte, cercando di nascondersi dai mostri della notte, dalla verità che arrivava senza pietà e faceva male.

«Ok...» disse soltanto, smontando dall’auto, consapevole ormai che tutto era perduto.

Aveva ceduto a quegli occhi impauriti e ora ne avrebbe pagato le conseguenze, perché ogni presa di posizione aveva i suoi pro e i suoi contro, questo Matte lo sapeva.

E la notte scalpitava, stava saltellando di gioia, perché sapeva di avere già la vittoria in mano, mentre loro due salivano le scale del condominio fino al piccolo alloggio di Riccardo.

Quando entrarono in casa, trovarono tutto lo spazio invaso dal buio profondo e terribile della notte, e ancora una volta Matteo pensò che nulla succedeva per caso e che loro erano solo delle pedine in una scacchiera troppo grande per essere percepita da loro.

Non c’era bisogno di parlare, perché entrambi sapeva bene ciò che stava per succedere, era già stato scritto e loro non potevano fare nulla per cambiare la sorte, se non assecondarla.

E così il profumo dolce di Riccardo divenne sempre più forte, mentre lui si avvicinava al bassista, poggiandogli le mani all’altezza del cuore, mentre la notte sembrava essersi seduta sugli spalti per godersi lo spettacolo da lei architettato.

E non c’era modo di poter fermare quella vibrazione che partiva dal suo cuore, pensò Matteo, perché era così che rispondeva al tocco morbido delle mani di Ricca, che adesso passavano sulle sue braccia e sulla sua schiena, per poi tornare sul suo petto e iniziare a sbottonargli con lentezza la camicia.

Si sentì impotente Matteo, perché non riusciva a dire di no, non riusciva a farlo smettere, perché il suo corpo ne voleva di più, non ne aveva abbastanza di Riccardo, che sembrava essergli entrato nella pelle e aver preso possesso di tutti i suoi organi interni.

E sentì le labbra scottare quando quelle del batterista di poggiarono sulle sue, dolci, prepotenti, amorevoli e passionali. Era impossibile resistere.

E ora Matteo capiva che le persone avevano paura della notte perché essa tentava, tentava in un modo così impercettibile che ti faceva credere di essere tu a scegliere, quando in realtà eri solo una carta mossa da lei.

Adesso Riccardo gli stava passando le mani sulla vita, stringendolo forte, impregnandolo con il suo odore, impedendogli di sentire qualsiasi cosa che non fosse lui – lui, lui, lui -.

«Lo senti anche tu, Matte?»

Ed era la notte, la sentiva anche Riccardo, adesso stava urlando, gli stava intimando di non fermarsi perché il giorno dopo tutto quello sarebbe stato solo un dolcissimo sogno e loro sarebbe stati lontani, così lontani...

«Si...»

Un sussurro, fu solo un sussurro, poi Matteo si avventò sul collo di Ricca e prese a baciarlo, mordicchiarlo, torturarlo in un dolcissimo supplizio che non avrebbe mai trovato il suo epilogo se il batterista non avesse infilato una mano nei pantaloni dell’altro.

Fu questione di secondi  - minuti, ore, settimane, mesi, anni, secoli – e  i due ragazzi si ritrovarono tra le lenzuola candide del letto di Riccardo, dove aveva versato un mare di lacrime e dove ora avrebbe impresso il ricordo di un sogno.

Matteo era invaso dall’odore del ragazzo, non riusciva a pensare a nient’altro che non fosse lui – lui, lui, lui – perché la notte gli aveva intimato di fare così, non se ne sarebbe pentito.

Quello che accadeva di notte, rimaneva nella notte.

Allora furono labbra, respiri smorzati, pelle contro pelle, corpo contro corpo.

Nessuno di loro due seppe dire a chi apparteneva il gemito che udirono, mentre Matteo aveva sfilato gli slip a Riccardo per avere maggiore accesso a ciò che lo interessava.

E mentre il ritmo aumentava, aumentava anche la consapevolezza che il giorno dopo nulla di tutto quello sarebbe rimasto, perché era successo di notte, e la notte non aveva pietà.

Matteo si ritrovò sopra un Riccardo a pancia in giù, pronto ad offrirsi a lui non perché si fidasse, ma perché era notte, quindi sapeva che non ne sarebbe rimasto ferito, che non avrebbe avuto un’altra cicatrice da andare a sommare alle altre.

Ma Matteo se lo stava godendo quel sogno, lo stava sentendo fin dentro le sue viscere e non credeva realmente che sarebbe potuto svanire come un semplice ricordo sfocato. Era troppo forte.

Furono di nuovo labbra, Matteo le sentì ovunque, sulla sua carne, nel suo stomaco.

Nel cuore.

E poi non ci fu più nulla se non i loro corpi fusi in un unico punto, proprio come doveva essere, perché quello era il puzzle che la notte aveva messo loro a disposizione.

Loro erano due pezzi di un puzzle che era stato completato.

Gemiti. Sospiri.

La notte, la notte, la notte non gli aveva dato pace e gli stava regalando un nuovo inizio che di giorno non avrebbe potuto prendere forma, perché il buio non terrorizzava più, no, ma cullava... stava cullando e cantilenando una canzone mistica.

E Matteo e Riccardo restavano uniti, mentre il ritmo diventava sempre più frenetico e i corpi lasciavano il posto alle anime, che sembravano divenire concrete, prendere forma...

Andarono alla deriva insieme – gemiti, sospiri, pelle – in un oceano che non aveva fine, e l’orizzonte sembrava così vicino e allo stesso tempo così lontano.

Matteo baciò la schiena di Riccardo, prima di rotolare al suo fianco e incatenare i suoi occhi nei suoi, prendendo tutto, tutto ciò che quella notte aveva da offrirgli.

E sorrisero, sorrisero come due bambini, mentre la notte ululava vittoriosa, consapevole di avergli appena regalato un sogno d’amore.

 

 

****

 

 

Angolo Autrice

Spero di non essere stata troppo noiosa, in questa scena Slash, che poi non è molto esplicita e neanche troppo rossa, ecco. Volevo donare a questi due un momento molto poetico, fatto di amore e passione, così ho pensato che non c’era nulla di più dolce della notte... così mi è uscito fuori questo svarione sulla notte xD Spero vi sia piaciuto!

Come sempre ringrazio tutti coloro che leggono, recensiscono ecc.

Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, vi intimo come al solito di lasciare un commentino, perché questa storia ha il disperato bisogno di lettori! Davvero, ragazzi.

Ps. Il titolo è la traduzione di un pezzo della canzone “Good old-fashioned lover boy” dei Queen, che fa anche da introduzione al capitolo; è una canzone che parla di un amore omosessuale, quindi mi sembrava azzeccata.

 

Un caloroso abbraccio,

Eryca

 

   
 
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