Claire
de Lune:
Il pavimento è in legno, in assi di legno a voler essere precisi. La trama tuttavia non è uniforme, è come se l’albero fosse ancora vivo sotto ai miei piedi infatti posso riconoscere con precisione tutte le venature e i vecchi nodi dell’ormai fu pianta.
I
muri che mi imprigionano sono cerulei, celesti come il cielo o il mare quando il
sole è alto e non c’è traccia di vento o nuvole, la sensazione che infondono
è tranquillità e soprattutto danno la strana illusione di impalpabilità come
se non marcassero un vero confine, come a voler richiamare alla mente col loro
tono la vastità del mare e del cielo.
Su
un fianco della stanza c’è una porta a vetri, è spalancata. Suoni, luce e
odori si fanno spazio dentro la camera attraverso di essa. Il sole all'esterno
sfolgora e tutto quello che è baciato dai suoi raggi diviene chiaro e brilla,
l’aria è calda e porta con se l’aroma dei boccioli primaverili misto a erba
tagliata.
All’interno
della stanza note di pianoforte, mani spedite alternano il bianco e il nero dei
tasti in un’antica danza. Mio fratello suona per me “Claire de Lune”,
Debussy. Le note della sinfonia sembrano prendere vita sotto i miei occhi, se mi
concentro posso quasi vedere il suono tanto mio fratello ci sta mettendo
impegno.
La
tenda blu e gialla si gonfia di una folata più forte, pare quasi la vela
maestra di chissà quale veliero, e posso sentire distintamente il profumo delle
primule sul balcone. Ispiro a pieni polmoni e mi lascio ricadere all’indietro
sul letto sul quale sono seduta.
Il
soffitto è bianco, bianco brillante per via del sole, perfettamente nel mezzo
un lampadario domina la scena, è blu anch’esso. Sorridendo appunto
mentalmente che mio fratello ha una fissazione per questo colore.
La
mobilia chiara concorre a rendere sereno l’ambiente, l’unica cosa che stona
in questa stanza è il pianoforte che è nero come la pece e sembra essere del
tutto fuori luogo nell’insieme. Sposto lo sguardo sul suo occupante, è
talmente concentrato che sembra essersi scordato della mia presenza.
Le
mani viaggiano veloci e precise, la camicia chiara ha le maniche arrotolate fino
ai gomiti e posso distinguere il tatuaggio che anni fa ha fatto tanto urlare
mamma.
I
muscoli delle spalle guizzano lesti seguendo i movimenti delle braccia, gli
occhi sono chiusi e le sopracciglia aggrottate.
Di
nuovo se mi sforzo mi sembra quasi di poter osservare quello che in realtà non
è possibile. Concentrandomi posso sul serio vedere la musica, la vedo
nell’espressione del suo viso, concentrato ogni secondo sulla nota, sul
movimento, successivo sempre anticipando i tempi. La sinfonia è fluida, mai
un’esitazione, mai un errore. Sorrido al pensiero di quante volte le sue mani
hanno tracciato quella sequenza sui tasti dello strumento.
La
scrivania non ha un centimetro libero: penne, quaderni, libri, scatole, cd,
cartacce, il computer e un sacco di altre cose, che da qui non riesco a
distinguere, la ingombrano. Lo sguardo cade distratto sulla custodia del mio
cd di Madonna. Secondo appunto mentale della giornata, ovviamente riportarlo
nella stanza della proprietaria, la mia quindi.
Sospirando
giro il capo sull’altro lato della stanza e i miei occhi incontrano il
comodino a fianco del letto. Una lampada occupa quasi tutto lo spazio, altri
libri e poi il cellulare di mio fratello, forse potrei…. Alzo lo sguardo su di
lui e increspo le labbra soddisfatta notando che è così come lo avevo
lasciato, occhi chiusi, concentrato, non mi presta alcuna attenzione.
Senza
fare rumore mi tendo e allungo una mano verso l’apparecchio. Le mie dita
sfiorano il telefono e i miei occhi corrono veloci sulle spalle del musicista,
afferro lesta l’oggetto della mia curiosità ma non faccio in tempo ad aprire
lo sportello che la stanza, un secondo prima ospitante Debussy, è di colpo
invasa da un suono grave e spaventoso.
Mi
giro intimorita verso di lui ma me lo ritrovo a due passi che sorride sardonico.
Spalancando la bocca indispettita e con ancora il telefono stretto nel pugno
della mano spicco un salto verso la porta in un maldestro tentativo di fuga, o
almeno ci provo perché sono presto atterrata con molta poca delicatezza.
Schioccando la lingua esasperato mi afferra il polso in un chiaro invito a
riconsegnare ciò che gli ho sottratto. Per tutta risposta gli regalo una
linguaccia e lui, dopo aver alzato le sopracciglia ironico, comincia a
torturarmi col solletico.
Le
mie risa invadono la stanza e presto vi si aggiungono le preghiere e suppliche
di resa, la mancanza d’aria è sempre stata qualcosa che mi fa capitolare
velocemente…. Stavolta è la sua risata a diffondersi tra il blu della stanza.
Riappropriatosi
di ciò che è proprio torna al suo trono e ricomincia a muovere veloci le mani
sui tasti: bianco, bianco, nero, bianco, nero, nero e poi bianco e ancora nero e
così finché non si sarà stancato.
Ripiombando
sul letto sorrido felice e riempio di nuovo i polmoni di primule e erba mentre
la luce mi porta ora sul mare ora nel cielo e Debussy passando per le orecchie
è sentito dal cuore.