Trecentosessantadue
Vammi a prendere la
sella, che il mio impegno ardimentoso
L’ho promesso alla
mia bella, Dulcinea del Toboso
Questo pazzo scatenato che è il
più ingenuo dei bambini
È un testardo, un idealista,
troppi sogni ha nel cervello...
Il senso delle
stelle non è quello di un uomo
Never gonna get my love
E tu resterai
un’anima persa
"Era un’asciutta giornata di gelo del
principio di Novembre, con un cielo calmo, d’un grigio plumbeo: radi fiocchi di
neve, da poterli contare, volteggiavano a lungo ed evasivamente prima di
toccare il suolo e d’annidarsi poi, polvere grigia e lanuginosa, nelle buche
della strada".
(Il Dottor Živago, Boris Pasternàk)
San Pietroburgo, 5 Marzo 1843
Questo folle non sta bene, ha bisogno
di un dottore
Contraddirlo non conviene, non è mai di buon umore
È la più triste figura che sia apparsa sulla Terra
Cavalier senza paura di una solitaria guerra
Cominciata per amore di una donna conosciuta
Dentro a una locanda a ore dove fa la prostituta
Ma credendo di aver visto una vera principessa
Lui ha voluto ad ogni costo farle quella sua promessa
E così da giorni abbiamo solo calci nel sedere
Non sappiamo dove siamo, senza pane e senza bere
E questo pazzo scatenato che è il più ingenuo dei bambini
Proprio ieri si è stroncato fra le pale dei mulini
È un testardo, un idealista, troppi sogni ha nel cervello
Io che sono più realista mi accontento di un castello
(Don Chisciotte, Francesco Guccini)
Ed ecco San Pietroburgo.
Luminosa e altera come se
la ricordava.
La Neva scorreva, più limpida
e azzurra che mai, riflettendo un sole che non c’era, e i venti gradi sotto
zero della Capitale zarista a Feri erano del tutto indifferenti, dopo quindici
anni che viveva a Krasnojarsk.
Ad ogni passo in più che
faceva, si rendeva conto di quanto il suo intento fosse profondamente folle.
Pugačëv aveva un
esercito.
Per quanto con la sua sola
presenza il giovane zingaro ungherese facesse venire un tuffo al cuore e cadere
in una vertigine di terrore chiunque lo vedeva passare, per quanto lo
chiamassero Capitano, lui era solo,
quel giorno, contro lo zar.
I suoi ventitré anni tra
periferia e prigione contro i quarantasei di crudele autocrazia e sfarzo di
Nikolaj Romanov I.
Lui, davvero, era solo un
ragazzino.
Alto un metro e
settantanove, sì, e discretamente imponente, nel suo fisico prestante da eroe
di guerra, sebbene la guerra preferisse lasciarla ai suoi fratelli, Pál e Csák,
che tanto ne andavano matti: a lui un anno di Accademia Militare obbligatoria
era bastato e avanzato.
Un peccato, forse, per
l’Esercito, che di soldati come lui avrebbe avuto bisogno, ma Feri era stato
categorico, in questo, e assolutamente irremovibile: lui era un soldato della Rivoluzione.
Quello che gli altri non
avevano capito, pur temendolo moltissimo, era che lui, non volendo arruolarsi,
sognava più in grande di Pál e Csák: aspirava
a molto di più.
Forse aveva confuso i
sogni con le illusioni...
Come sempre, del resto.
Come aveva fatto con Lys.
Ma era certo che ne valesse la pena.
Quel giorno, quel 5 Marzo
1843, gli sguardi che i Pietroburghesi gli puntarono addosso non furono diversi
da quelli ricevuti nel centro di Krasnojarsk; affatto.
L’unica cosa che
differiva, invece, nei loro sussurri e bisbigli concitati, era il mancato
accento siberiano.
Ma non poteva certo
aspettarsi di sentirlo nella Capitale.
L’avrebbero ascoltato, al
massimo, gli altri da lui, che l’aveva imparato da Lys.
E comunque non contava poi
molto, questo particolare: quello che
avevano in testa non cambiava.
Erano dei begli ipocriti,
tutti.
Lo guardavano con rispetto,
un rispetto dettato dalla paura e da un istinto di sopravvivenza che al
Capitano era sempre risultato odioso, se includeva quell’oscena finzione, battendo
i denti dal terrore.
Ma sarebbero stati ben
felici, quei codardi, di vederlo sulla forca.
Allora il loro grande
rispetto si sarebbe trasformato in grande derisione, avendone finalmente la
possibilità.
Ma un eroe della
Rivoluzione non poteva essere deriso da quegl’infami nemmeno il giorno
dell’esecuzione.
Feri Desztor, zingaro di
Budapest, conosceva il destino, e loro, Pietroburghesi e Siberiani fedeli allo
zar, non avevano mai capito niente.
Quanto poco, per esempio,
Nikolaj Romanov I fosse fedele a loro.
Quelli continuavano così,
altalenando: inchinandosi a Feri Desztor davanti a Feri Desztor, inchinandosi
allo zar davanti allo zar.
Ma dopo, chi erano?
Chi erano loro?
Romanov era un autocrate
ingiusto, mandato in delirio dalla brama di potere.
Feri era un terrorista, un
sovversivo, un criminale, ma bruciava
d’ideali, ed era nato troppo povero per pensare di poter morire così.
Aveva un orgoglio e una dignità troppo grandi, e non poteva finire così.
Non quando i troni di
Russia e d’Ungheria erano così profondamente immeritati.
La Rivoluzione aveva un
futuro, lo zar no.
Non con lui.
Feri aveva un piano
politico ben preciso, e cento volte più giusto di quello zarista.
E poi c’era l’amore per
Lys, che gli faceva fare quelle favolose follie.
Assediare il Palazzo
d’Inverno da solo poteva esserne un esempio abbastanza significativo.
Sì, era pazzo, Feri
Desztor.
Pazzo e geniale.
Non tanto perché era la
regola, quale regola, poi?
Lui non era sempre stato
così.
Fino al 1828 era stato uno
spensierato e sregolato ragazzino ungherese, un teppistello della via Rákos,
nato e cresciuto tra la maestosa, sconfinata steppa magiara e la più estrema
periferia.
Era felice, davvero.
Ma loro l’avevano fatto impazzire.
Loro,
i Russi, i Siberiani.
Per conto dello zar.
E gli Austriaci, per gli
Asburgo.
L’avevano fatto impazzire, e adesso ne avrebbero
pagato le conseguenze.
I
stuck around St. Petersburg
When I saw it was a time for a change
Killed the czar and his ministers
Anastasia screamed in vain
Ero nei paraggi di San Pietroburgo
Quando vidi che era tempo di
cambiamenti
Uccisi lo zar e i suoi ministri
Anastasia
urlò invano
(Sympathy
for the Devil, The Rolling Stones)
Il vento soffiava come sui
Monti dell'Altaj, quel giorno, sferzante e gelido quasi come a Krasnojarsk.
Non era mai stato un vento
dolce e carezzevole neanche quello di San Pietroburgo, e scompigliava violentemente
i capelli neri del Capitano, dandogli un aspetto ancora più
selvaggio e feroce del
solito, stagliando la sua immagine come quella d'un eroe d'altri tempi,
quell'eroe che Feri sarebbe stato in qualsiasi tempo, col vento o no.
A breve
avrebbe nevicato, Feri se lo sentiva.
Non era come a
Krasnojarsk, che non smetteva mai.
A Pietroburgo il freddo
aveva dei limiti, quei limiti che invece la Siberia calpestava, come Feri stava
calpestando la neve pietroburghese, la neve del giorno prima.
E, sempre rispetto a Krasnojarsk,
nevicava tanto, sì, ma pur sempre di meno che nella sua cara Siberia, meno che
a Forradalom, lì.
A Feri la neve piaceva,
gli piaceva da morire, e del resto non aveva mai visto la sua Forradalom senza
neve, mai da quindici anni che viveva a Krasnojarsk.
Era così bianca, la neve,
e anche una parte del suo cuore era ancora bianca.
Non aveva perso tutto, ad
Omsk.
Era sopravvissuto alla Casa dei Morti, Feri
Desztor.
A un ragazzo, probabilmente
uno studente, che lo guardava come allucinato, con un'insistenza esasperante,
assolutamente fastidiosa, il Capitano rischiò di tirare un pugno sui denti.
-Sì, sono proprio io, Feri Desztor- sibilò, non proprio con il
suo tono più rassicurante.
-Posso fare qualcosa per voi?-
Al che il ragazzino,
povero, aveva scosso la testa, indietreggiando, tanto sconvolto che se dietro
avesse avuto un lampione ad olio ci si sarebbe schiantato sicuro.
E Feri, in un moto di
simpatia per quel giovane che in fondo non gli aveva fatto niente di male,
oltre all'essere talmente allocco da guardarlo come se fosse stato un pellicano
in poddëvka -tipico soprabito russo-, gli diede un buffetto su una guancia, e con un sorriso né di
scherno né beffardo, ma di sincera simpatia, senza un soffio d'ironia, gli
disse, per non vederlo più così tremante senza una ragione:
-Suvvia, ciccio, non è
mica il caso di farsi prendere dal panico: sono
Feri Desztor, non lo zar-
Il ragazzo ricambiò il
sorriso assai timidamente, e Feri pensò che più di così, per fargli passare la
paura, lui non poteva fare.
Quel giovane non poteva essere
uno Zarista, né il figlio o il nipote di uno Zarista, assolutamente.
L'avrebbe capito, in quel
caso.
L'avrebbe riconosciuto.
-Grazie, Capitano-
Ecco, se fosse stato uno
Zarista non l'avrebbe mai chiamato così, se non per prendersi gioco di lui, e
non erano certo queste le sue intenzioni.
Forse era una vittima come
i Forradalmi.
-Как
тебя зовут?- Kak tibjà zovut? Come ti chiami?, gli
domandò, con una gentilezza che sembrò scuotere il ragazzo fin nel profondo dell'animo,
considerato il leggendario criminale con cui stava parlando.
-Innokentij- sussurrò il giovane, esile e bruno e dai lucenti occhi verdi, chiari
e dal taglio sottile.
-Innokentij Savel'evič Kovalev-
L'Ungherese non riuscì a
trattenere una risata, a quel dire.
-Innokentij! Proprio! Ti si addice! E di cognome come hai detto? Kovalev? Come quel poveretto di Gogol'
che ha perso il naso? Ah, grandioso!-
Innokentij si strinse
nelle spalle.
L'unica cosa su cui il
Capitano non aveva ancora avuto niente da ridire era il fatto che suo padre si
chiamasse Savelij.
Ma cosa ci poteva fare lui
se era talmente timido e candido, proprio come uno di quei primi fiocchi di
neve che cominciavano ad affacciarsi alla volta del cielo pietroburghese, da
far ridere di cuore chiunque lo scoprisse chiamarsi Innokentij?
Quello che Innoček non
avrebbe mai e poi immaginato, però, era di far ridere anche il Capitano.
Per
quel semplice fatto, per quel solo motivo, il giovane Kovalev fu quasi grato ai
suoi genitori di averlo battezzato con quel nome spesso tanto inopportuno, che
però era risultato gradito a Feri Desztor, al
terribile Feri Desztor in persona.
-E dimmi, сколько
тебя лет, Nočen'ka?-
Skol’ko tibjà ljét?
Quanti anni hai?
-Семнадцать-
Sjémnátsat’.
Diciassette.
-Семнадцать?
Pensa un po'. Uno in meno di Lys-
-Lys? Quella Lys?-
-Quella, quella. Non è che
siano poi molte, qui in Russia, le decerebrate bionde che si chiamano Natal'ja
e si fanno chiamare Lys-
-Ma voi l'avete... Conosciuta... Davvero...Lys?- mormorò Innokentij, quasi senza fiato.
Feri gli rivolse un sorriso
spezzato dalla malinconia.
-Conosciuta, amata e persa. È per lei, o meglio, anche per lei che sono qui. Per
la mia Lys.
Perché quando t'innamori,
Nočen'ka, se t'innamori quanto mi sono innamorato io di quella
disgraziata, non te ne frega niente neanche di farti ammazzare dallo zar.
Però credimi, Innokentij
Savel'evič, questo povero pazzo che hai davanti ha le sue buone ragioni
per credere che sarà lui ad ammazzare lo zar-
A quelle parole Innokentij
sussultò, ma non di paura, bensì d'ammirazione.
Feri sorrise, compiaciuto.
Certo che non era uno Zarista, Santo Cielo!
A parte l'aria da tordo stordito, quel ragazzo
aveva un animo da sovversivo!
Un discreto numero di
persone, quelle che poco prima s'erano voltate a guardarli con curiosità, e poi
s'erano raccolte loro intorno, incapaci di andarsene ognuno per la propria
strada, ora erano tutte sbiancate come gessetti, perché quella testa calda d'un
Feri Desztor aveva parlato niente meno che di uccidere lo zar, e ne aveva parlato
in mezzo alla strada, anzi, in mezzo alla
Prospettiva Nevskij, quant'era vero Iddio!
Accorgendosene -e come avrebbe potuto ignorarlo?-, Feri
si voltò, inviperito.
-Ebbene, signori? Cosa
sono queste espressioni innevate, questi sguardi increduli come se avessi detto
chissà cosa? Ammazzare lo zar, ho
detto, e mi sembra uno dei propositi più buoni, ragionevoli e giusti del
secolo, davvero! Com'è che se avessi parlato del primo treno in partenza per
Mosca o del diretto per Varsavia non avreste sbarrato gli occhi a quel modo? Ammazzare lo zar, cosa ci sarà poi di
male? Avete forse paura della libertà? Guardate,
ve lo dico: sono qui per questo, io. Altrimenti,
non credete, me ne sarei ritornato già da un pezzo in Ungheria.
E adesso sguinzagliatemi
pure contro i segugi della Terza Sezione, se vi pare!
Impareranno che sarebbe stato ben più prudente andare
a tartufi che a sovversivi-
Uno, tra la folla, si fece
avanti.
-Ma lo fai per lei?-
Feri guardò il cielo, quel
cielo carico di neve che gli era letteralmente crollato con le sue schegge negli
occhi quando aveva incontrato Lys, e sorrise di un sorriso triste, mordendosi
le labbra screpolate dal vento e spaccate e guarite già mille volte nelle risse
in Osteria.
-Per lei? Lei è partita, ormai. E io sono partito
per venire qua. Ma è difficile da spiegare...
Io questo lo dovevo fare, prima o poi. Con o senza di lei. Era la mia promessa, il mio
sogno.
E ora giuro che lo
faccio... Che lo ammazzo, quel
bastardo... Sì, per la sua libertà.
Poi penserò anche alla mia-
Nessuno di coloro ch'erano
radunati intorno al Capitano, nessuno di quelli avrebbe mai immaginato
d'intrattenere, un giorno, uno scambio d'opinioni con Feri Desztor di Forradalom.
Qualcuno di loro non ci credeva ancora.
Però non era poi così terribile,
in fondo, quel Capitano.
Era un ragazzo
intelligente, con un cuore fin troppo grande e un sorriso meraviglioso.
Era un ragazzo, prima di essere un criminale.
Ed era straordinariamente sincero.
Coraggioso come nessuno in
quel mondo, come nessuno era mai stato.
Feri Desztor era senza
dubbio l'uomo più sorprendente di
quel secolo, per la storia della Russia.
Notevole, per non essere nemmeno
russo, o almeno non del tutto, di origini ma non per nascita.
Il Diciannovesimo Secolo
aveva conosciuto un uomo, un giovane uomo, un Ungherese, che quel tale
arrogante Achille di Ftia l'avrebbe tranquillamente menato per il naso, come Kutuzov con Napoleone.
Feri Desztor era, soprattutto,
incredibilmente umano...
Ed era per questo che alla fine avrebbe perso anche
lui.
Non del tutto, certo.
Mai del tutto, non lui.
Solo un po' di più di quello che aveva già perso ad
Omsk, quel tanto che gli sarebbe bastato a morire.
Ma sarebbe morto solo lui,
non i suoi ideali.
Com'era vero che il patibolo
raccoglieva le gocce di sangue dei suoi condannati, che mai e poi mai le
avrebbe lasciate scivolare via, quella parte della sua anima che gli uomini del
suo tempo erano riusciti a decifrare, sarebbe rimasta per sempre scolpita sulla pietra,
l'ultima superficie su cui il Capitano avrebbe posato i piedi, prima che il
boia, tirando la corda, gli facesse sfiorare il cielo.
Ci sarebbe stato scritto
il suo nome, Feri Desztor, le date e
i luoghi di nascita e di morte, e tutto il male che aveva fatto.
Ma quanto gli uomini non
erano riusciti a comprendere e ad accettare, sarebbe volato in cielo, anche se
non in Paradiso.
Se fosse esistito un
Paradiso per gli assassini, gli sarebbe stato accordato, come ai soldati, il
diritto di uccidere, perché lui un motivo l'aveva avuto sempre, ogni volta che
aveva sparato o incendiato o colpito con la lama del pugnale.
Il Paradiso forse
l'avrebbe meritato, lui che mai aveva tradito, ma aveva versato troppo sangue
per poter essere perdonato.
Lui il Paradiso l'aveva
cercato in vita, e già allora gli era stato negato.
Gliel'avevano negato loro, che credevano di avere
più diritti di lui.
No, Feri Desztor si
sarebbe accontentato di stringere la mano di Satana.
Dopo anni che gli
ripetevano ch'era suo figlio, quando lui era sicurissimo d'esser nato da Zsófike
Szebenics e Kolnay Desztor, tanto valeva scoprire che tipo era, questo benedetto
demonio.
Che idee politiche aveva, soprattutto.
E se avesse scoperto ch'era uno Zarista...
Feri sorrise, scuotendo la
testa.
Che stupido, stupido ragazzino.
Troppa fantasia, vero?
Oh, ma lui non ci
riusciva, a fare a meno di sognare...
D'altra parte era uno
zingaro, e gli zingari erano sempre, a loro modo, di mentalità un po' troppo
aperta.
E poi, quella storia che
sapeva leggere il destino sulla mano, era mai stata vera?
Lui credeva di sì, perché
qualcosa vedeva.
Però era uno zingaro un po' particolare, lui.
Troppa fantasia, davvero.
Ma in fondo, che male
c'era?
Era pur sempre un ragazzino.
Senza perdere quel mezzo
sorriso, Feri fece un vago gesto con la mano, come per scacciare tutto quel
vortice di pensieri fin troppo infantili, e si rivolse di nuovo ad Innokentij.
-Nočen'ka, potresti
accompagnarmi ad una locanda? Non ho neanche mezzo rublo, ovviamente, ma ho la
mia pistola, e sai com'è...-
Gli fece l'occhiolino
e, con un sorriso ancora più raggiante, voltò le spalle alla folla che lasciò
confusa e pensierosa pochi sazhen' dietro di lui, mentre lui, all'esatto
contrario, aveva, in quel momento, le idee più chiare che mai.
Diabolico?
Forse.
Ma in realtà erano i Pietroburghesi a non esserci
abituati.
Come un sasso che
L'acqua tira giù
Io mi perdo nel blu
Degli occhi tuoi
La mia libertà
Non la voglio più
Amo il bianco, e tu sei candida
(Io mi fermo qui, Dik Dik)
Krasnojarsk, 28 Dicembre 1831
Futura Forradalom
-Tu sei un eroe, vero?-
Feri si strinse nelle
spalle, guardando di traverso la sorridente biondina russa seduta accanto a
lui, ed abbozzò un sorriso a sua volta, confuso.
-Sono solo evaso di
galera, Lys-
Natal'ja scosse la testa,
testarda come sempre.
-No, dico sul serio. Tu sei un eroe-
-Perché l'hai detto tu?-
-Perché sei l'unico a cui lo direi-
Il futuro Capitano sentì come
un brivido, a quelle parole.
Un eroe.
Per lei.
Poi sorrise, le sorrise,
passandole un braccio intorno alle spalle e stringendola a sé.
-Allora sì-
La promessa di uno zingaro ungherese a una fiammiferaia
siberiana non poteva non passare alla Storia.
E lei, e
lei, e lei
Era incredula
E lui, e lui, e lui
All'orecchio le si avvicinò
Le bisbigliò qualcosa
E lei sbiancò
“Tu sai tutto di me
Mi vuoi dire chi sei?
Solamente un profeta conosce i segreti di ognuno di noi”
E quel
forestiero di tanta bellezza
Guardò quella donna con molta dolcezza
E disse: “Sono io, colui che dici tu”
(Il
Forestiero, Adriano Celentano)
Note
Vammi
a prendere la sella, che il mio impegno ardimentoso l’ho promesso alla mia
bella Dulcinea del Toboso - E questo pazzo scatenato che è il più ingenuo dei
bambini - È un testardo, un idealista, troppi sogni ha nel cervello: Don
Chisciotte, Francesco Guccini.
Il
senso delle stelle non è quello di un uomo: Le lettere d’amore, Roberto
Vecchioni.
Never
gonna get my love - Non avrò mai il mio amore, Sheepdogs.
E
tu resterai un’anima persa: Ho perso la testa, Overdreams.
Dopo
una settimana infernale, con ben tre verifiche, dalla quale sono uscita più
massacrata di Leonida alle Termopili -neanche il Capitano avrebbe potuto
ridurmi così-, finalmente riesco ad aggiornare ;)
Basti
pensare che la prima parte del capitolo l’ho scritta ieri dopo la verifica di
latino, sono passata dalla battaglia di Maratona alla Rivoluzione di Feri come
se niente fosse ;)
Feri
è arrivato a San Pietroburgo, ci è arrivato con le idee chiare, e con
l’intenzione di chiarirle anche a qualcun
altro...
Quanto
ad Innokentij...
Beh,
il nostro Capitano non è mai prevedibile, nell’approcciarsi alle persone, ma
c’è un motivo se si è comportato così con Nika -diminutivo di Innokentij ;)-,
lui i Rivoluzionari o futuri tali li riconosce a prima vista ;)
Quanto
all’ultima parte... La lascio commentare a voi ;)
Spero
che abbiate perdonato anche Feri con questo capitolo, io ho letteralmente
adorato scriverlo, e mi auguro che vi sia piaciuto!
A
presto ;)
Marty