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Autore: Natalja_Aljona    06/10/2012    1 recensioni
Natal'ja vende fiammiferi e sogna la Rivoluzione.
Siberiana fin nelle ossa e nel sangue, nel cuore e nell'anima, nipote di uno dei capi dei Decabristi ed ultima erede della famiglia russa più temuta dallo zar, è quasi impazzita in prigione ma sa che non è finita.
Geórgos vive per la guerra e per il cielo di Sparta.
Nato durante la Guerra d'Indipendenza Greca e nipote del capo dei Kléftes, i briganti e i partigiani del Peloponneso, ogni notte spara alle stelle perché ha un conto in sospeso con gli Dei.
Feri è uno zingaro ungherese, il terzogenito di Kolnay Desztor, il criminale del secolo, e il più coraggioso dei suoi fratelli.
Legge il destino tra le linee della mano, e tre anni di galera e lavori forzati non sono bastati a fargli smettere di credere nel suo.
Nikolaj, ussaro polacco e pianista mancato, crede di aver perso tutto.
Sa che l'epilessia, i complessi d'inferiorità nei confronti del padre morto, l'ossessione per sua cugina e i suoi sogni infranti lo uccideranno, ma la sua morte vuole deciderla lui, e a ventidue anni s'impicca per disperazione e per vendetta.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Trecentosessantadue



Trecentosessantadue

Vammi a prendere la sella, che il mio impegno ardimentoso

L’ho promesso alla mia bella, Dulcinea del Toboso

Questo pazzo scatenato che è il più ingenuo dei bambini

È un testardo, un idealista, troppi sogni ha nel cervello...

Il senso delle stelle non è quello di un uomo

Never gonna get my love

E tu resterai un’anima persa

 

"Era un’asciutta giornata di gelo del principio di Novembre, con un cielo calmo, d’un grigio plumbeo: radi fiocchi di neve, da poterli contare, volteggiavano a lungo ed evasivamente prima di toccare il suolo e d’annidarsi poi, polvere grigia e lanuginosa, nelle buche della strada".

(Il Dottor Živago, Boris Pasternàk)

 

San Pietroburgo, 5 Marzo 1843

 

Questo folle non sta bene, ha bisogno di un dottore
Contraddirlo non conviene, non è mai di buon umore
È la più triste figura che sia apparsa sulla Terra
Cavalier senza paura di una solitaria guerra
Cominciata per amore di una donna conosciuta
Dentro a una locanda a ore dove fa la prostituta
Ma credendo di aver visto una vera principessa
Lui ha voluto ad ogni costo farle quella sua promessa
E così da giorni abbiamo solo calci nel sedere
Non sappiamo dove siamo, senza pane e senza bere
E questo pazzo scatenato che è il più ingenuo dei bambini
Proprio ieri si è stroncato fra le pale dei mulini
È un testardo, un idealista, troppi sogni ha nel cervello
Io che sono più realista mi accontento di un castello

(Don Chisciotte, Francesco Guccini)

 

Ed ecco San Pietroburgo.

Luminosa e altera come se la ricordava.

La Neva scorreva, più limpida e azzurra che mai, riflettendo un sole che non c’era, e i venti gradi sotto zero della Capitale zarista a Feri erano del tutto indifferenti, dopo quindici anni che viveva a Krasnojarsk.

Ad ogni passo in più che faceva, si rendeva conto di quanto il suo intento fosse profondamente folle.

Pugačëv aveva un esercito.

Per quanto con la sua sola presenza il giovane zingaro ungherese facesse venire un tuffo al cuore e cadere in una vertigine di terrore chiunque lo vedeva passare, per quanto lo chiamassero Capitano, lui era solo, quel giorno, contro lo zar.

I suoi ventitré anni tra periferia e prigione contro i quarantasei di crudele autocrazia e sfarzo di Nikolaj Romanov I.

Lui, davvero, era solo un ragazzino.

Alto un metro e settantanove, sì, e discretamente imponente, nel suo fisico prestante da eroe di guerra, sebbene la guerra preferisse lasciarla ai suoi fratelli, Pál e Csák, che tanto ne andavano matti: a lui un anno di Accademia Militare obbligatoria era bastato e avanzato.

Un peccato, forse, per l’Esercito, che di soldati come lui avrebbe avuto bisogno, ma Feri era stato categorico, in questo, e assolutamente irremovibile: lui era un soldato della Rivoluzione.

Quello che gli altri non avevano capito, pur temendolo moltissimo, era che lui, non volendo arruolarsi, sognava più in grande di Pál e Csák: aspirava a molto di più.

Forse aveva confuso i sogni con le illusioni...

Come sempre, del resto.

Come aveva fatto con Lys.

Ma era certo che ne valesse la pena.

Quel giorno, quel 5 Marzo 1843, gli sguardi che i Pietroburghesi gli puntarono addosso non furono diversi da quelli ricevuti nel centro di Krasnojarsk; affatto.

L’unica cosa che differiva, invece, nei loro sussurri e bisbigli concitati, era il mancato accento siberiano.

Ma non poteva certo aspettarsi di sentirlo nella Capitale.

L’avrebbero ascoltato, al massimo, gli altri da lui, che l’aveva imparato da Lys.

E comunque non contava poi molto, questo particolare: quello che avevano in testa non cambiava.

Erano dei begli ipocriti, tutti.

Lo guardavano con rispetto, un rispetto dettato dalla paura e da un istinto di sopravvivenza che al Capitano era sempre risultato odioso, se includeva quell’oscena finzione, battendo i denti dal terrore.

Ma sarebbero stati ben felici, quei codardi, di vederlo sulla forca.

Allora il loro grande rispetto si sarebbe trasformato in grande derisione, avendone finalmente la possibilità.

Ma un eroe della Rivoluzione non poteva essere deriso da quegl’infami nemmeno il giorno dell’esecuzione.

Feri Desztor, zingaro di Budapest, conosceva il destino, e loro, Pietroburghesi e Siberiani fedeli allo zar, non avevano mai capito niente.

Quanto poco, per esempio, Nikolaj Romanov I fosse fedele a loro.

Quelli continuavano così, altalenando: inchinandosi a Feri Desztor davanti a Feri Desztor, inchinandosi allo zar davanti allo zar.

Ma dopo, chi erano?

Chi erano loro?

Romanov era un autocrate ingiusto, mandato in delirio dalla brama di potere.

Feri era un terrorista, un sovversivo, un criminale, ma bruciava d’ideali, ed era nato troppo povero per pensare di poter morire così.

Aveva un orgoglio e una dignità troppo grandi, e non poteva finire così.
Non quando i troni di Russia e d’Ungheria erano così profondamente immeritati.

La Rivoluzione aveva un futuro, lo zar no.

Non con lui.

Feri aveva un piano politico ben preciso, e cento volte più giusto di quello zarista.

E poi c’era l’amore per Lys, che gli faceva fare quelle favolose follie.

Assediare il Palazzo d’Inverno da solo poteva esserne un esempio abbastanza significativo.

Sì, era pazzo, Feri Desztor.

Pazzo e geniale.

Non tanto perché era la regola, quale regola, poi?

Lui non era sempre stato così.

Fino al 1828 era stato uno spensierato e sregolato ragazzino ungherese, un teppistello della via Rákos, nato e cresciuto tra la maestosa, sconfinata steppa magiara e la più estrema periferia.

Era felice, davvero.

Ma loro l’avevano fatto impazzire.

Loro, i Russi, i Siberiani.

Per conto dello zar.

E gli Austriaci, per gli Asburgo.

L’avevano fatto impazzire, e adesso ne avrebbero pagato le conseguenze.

 

I stuck around St. Petersburg
When I saw it was a time for a change
Killed the czar and his ministers
Anastasia screamed in vain

 

Ero nei paraggi di San Pietroburgo

Quando vidi che era tempo di cambiamenti

Uccisi lo zar e i suoi ministri

Anastasia urlò invano

(Sympathy for the Devil, The Rolling Stones)

 

Il vento soffiava come sui Monti dell'Altaj, quel giorno, sferzante e gelido quasi come a Krasnojarsk.

Non era mai stato un vento dolce e carezzevole neanche quello di San Pietroburgo, e scompigliava violentemente i capelli neri del Capitano, dandogli un aspetto ancora più

selvaggio e feroce del solito, stagliando la sua immagine come quella d'un eroe d'altri tempi, quell'eroe che Feri sarebbe stato in qualsiasi tempo, col vento o no.
A breve avrebbe nevicato, Feri se lo sentiva.

Non era come a Krasnojarsk, che non smetteva mai.

A Pietroburgo il freddo aveva dei limiti, quei limiti che invece la Siberia calpestava, come Feri stava calpestando la neve pietroburghese, la neve del giorno prima.

E, sempre rispetto a Krasnojarsk, nevicava tanto, sì, ma pur sempre di meno che nella sua cara Siberia, meno che a Forradalom, lì.

A Feri la neve piaceva, gli piaceva da morire, e del resto non aveva mai visto la sua Forradalom senza neve, mai da quindici anni che viveva a Krasnojarsk.

Era così bianca, la neve, e anche una parte del suo cuore era ancora bianca.

Non aveva perso tutto, ad Omsk.

Era sopravvissuto alla Casa dei Morti, Feri Desztor.

 

A un ragazzo, probabilmente uno studente, che lo guardava come allucinato, con un'insistenza esasperante, assolutamente fastidiosa, il Capitano rischiò di tirare un pugno sui denti.

-Sì, sono proprio io, Feri Desztor- sibilò, non proprio con il suo tono più rassicurante.

-Posso fare qualcosa per voi?-

Al che il ragazzino, povero, aveva scosso la testa, indietreggiando, tanto sconvolto che se dietro avesse avuto un lampione ad olio ci si sarebbe schiantato sicuro.

E Feri, in un moto di simpatia per quel giovane che in fondo non gli aveva fatto niente di male, oltre all'essere talmente allocco da guardarlo come se fosse stato un pellicano in poddëvka -tipico soprabito russo-, gli diede un buffetto su una guancia, e con un sorriso né di scherno né beffardo, ma di sincera simpatia, senza un soffio d'ironia, gli disse, per non vederlo più così tremante senza una ragione:

-Suvvia, ciccio, non è mica il caso di farsi prendere dal panico: sono Feri Desztor, non lo zar-

Il ragazzo ricambiò il sorriso assai timidamente, e Feri pensò che più di così, per fargli passare la paura, lui non poteva fare.

Quel giovane non poteva essere uno Zarista, né il figlio o il nipote di uno Zarista, assolutamente.

L'avrebbe capito, in quel caso.

L'avrebbe riconosciuto.

-Grazie, Capitano-

Ecco, se fosse stato uno Zarista non l'avrebbe mai chiamato così, se non per prendersi gioco di lui, e non erano certo queste le sue intenzioni.

Forse era una vittima come i Forradalmi.

-Как тебя зовут?- Kak tibjà zovut? Come ti chiami?, gli domandò, con una gentilezza che sembrò scuotere il ragazzo fin nel profondo dell'animo, considerato il leggendario criminale con cui stava parlando.

-Innokentij- sussurrò il giovane, esile e bruno e dai lucenti occhi verdi, chiari e dal taglio sottile.

-Innokentij Savel'evič Kovalev-

L'Ungherese non riuscì a trattenere una risata, a quel dire.

-Innokentij! Proprio! Ti si addice! E di cognome come hai detto? Kovalev? Come quel poveretto di Gogol' che ha perso il naso? Ah, grandioso!-

Innokentij si strinse nelle spalle.

L'unica cosa su cui il Capitano non aveva ancora avuto niente da ridire era il fatto che suo padre si chiamasse Savelij.

Ma cosa ci poteva fare lui se era talmente timido e candido, proprio come uno di quei primi fiocchi di neve che cominciavano ad affacciarsi alla volta del cielo pietroburghese, da far ridere di cuore chiunque lo scoprisse chiamarsi Innokentij?

Quello che Innoček non avrebbe mai e poi immaginato, però, era di far ridere anche il Capitano.
Per quel semplice fatto, per quel solo motivo, il giovane Kovalev fu quasi grato ai suoi genitori di averlo battezzato con quel nome spesso tanto inopportuno, che però era risultato gradito a Feri Desztor, al terribile Feri Desztor in persona.

-E dimmi, сколько тебя лет, Nočen'ka?-

Skol’ko tibjà ljét?

Quanti anni hai?

-Семнадцать-

Sjémnátsat’.

Diciassette.

-Семнадцать? Pensa un po'. Uno in meno di Lys-

-Lys? Quella Lys?-

-Quella, quella. Non è che siano poi molte, qui in Russia, le decerebrate bionde che si chiamano Natal'ja e si fanno chiamare Lys-

-Ma voi l'avete... Conosciuta... Davvero...Lys?- mormorò Innokentij, quasi senza fiato.

Feri gli rivolse un sorriso spezzato dalla malinconia.

-Conosciuta, amata e persa. È per lei, o meglio, anche per lei che sono qui. Per la mia Lys.

Perché quando t'innamori, Nočen'ka, se t'innamori quanto mi sono innamorato io di quella disgraziata, non te ne frega niente neanche di farti ammazzare dallo zar.

Però credimi, Innokentij Savel'evič, questo povero pazzo che hai davanti ha le sue buone ragioni per credere che sarà lui ad ammazzare lo zar-

A quelle parole Innokentij sussultò, ma non di paura, bensì d'ammirazione.

Feri sorrise, compiaciuto.

Certo che non era uno Zarista, Santo Cielo!

A parte l'aria da tordo stordito, quel ragazzo aveva un animo da sovversivo!

Un discreto numero di persone, quelle che poco prima s'erano voltate a guardarli con curiosità, e poi s'erano raccolte loro intorno, incapaci di andarsene ognuno per la propria strada, ora erano tutte sbiancate come gessetti, perché quella testa calda d'un Feri Desztor aveva parlato niente meno che di uccidere lo zar, e ne aveva parlato in mezzo alla strada, anzi, in mezzo alla Prospettiva Nevskij, quant'era vero Iddio!

Accorgendosene -e come avrebbe potuto ignorarlo?-, Feri si voltò, inviperito.

-Ebbene, signori? Cosa sono queste espressioni innevate, questi sguardi increduli come se avessi detto chissà cosa? Ammazzare lo zar, ho detto, e mi sembra uno dei propositi più buoni, ragionevoli e giusti del secolo, davvero! Com'è che se avessi parlato del primo treno in partenza per Mosca o del diretto per Varsavia non avreste sbarrato gli occhi a quel modo? Ammazzare lo zar, cosa ci sarà poi di male? Avete forse paura della libertà? Guardate, ve lo dico: sono qui per questo, io. Altrimenti, non credete, me ne sarei ritornato già da un pezzo in Ungheria.

E adesso sguinzagliatemi pure contro i segugi della Terza Sezione, se vi pare!

Impareranno che sarebbe stato ben più prudente andare a tartufi che a sovversivi-

Uno, tra la folla, si fece avanti.

-Ma lo fai per lei?-

Feri guardò il cielo, quel cielo carico di neve che gli era letteralmente crollato con le sue schegge negli occhi quando aveva incontrato Lys, e sorrise di un sorriso triste, mordendosi le labbra screpolate dal vento e spaccate e guarite già mille volte nelle risse in Osteria.

-Per lei? Lei è partita, ormai. E io sono partito per venire qua. Ma è difficile da spiegare...

Io questo lo dovevo fare, prima o poi. Con o senza di lei. Era la mia promessa, il mio sogno.

E ora giuro che lo faccio... Che lo ammazzo, quel bastardo... Sì, per la sua libertà.

Poi penserò anche alla mia-

Nessuno di coloro ch'erano radunati intorno al Capitano, nessuno di quelli avrebbe mai immaginato d'intrattenere, un giorno, uno scambio d'opinioni con Feri Desztor di Forradalom.
Qualcuno di loro non ci credeva ancora.

Però non era poi così terribile, in fondo, quel Capitano.

Era un ragazzo intelligente, con un cuore fin troppo grande e un sorriso meraviglioso.

Era un ragazzo, prima di essere un criminale.

Ed era straordinariamente sincero.

Coraggioso come nessuno in quel mondo, come nessuno era mai stato.

Feri Desztor era senza dubbio l'uomo più sorprendente di quel secolo, per la storia della Russia.
Notevole, per non essere nemmeno russo, o almeno non del tutto, di origini ma non per nascita.

Il Diciannovesimo Secolo aveva conosciuto un uomo, un giovane uomo, un Ungherese, che quel tale arrogante Achille di Ftia l'avrebbe tranquillamente menato per il naso, come Kutuzov con Napoleone.

Feri Desztor era, soprattutto, incredibilmente umano...

Ed era per questo che alla fine avrebbe perso anche lui.

Non del tutto, certo.

Mai del tutto, non lui.

Solo un po' di più di quello che aveva già perso ad Omsk, quel tanto che gli sarebbe bastato a morire.

Ma sarebbe morto solo lui, non i suoi ideali.

Com'era vero che il patibolo raccoglieva le gocce di sangue dei suoi condannati, che mai e poi mai le avrebbe lasciate scivolare via, quella parte della sua anima che gli uomini del suo tempo erano riusciti a decifrare, sarebbe rimasta per sempre scolpita sulla pietra, l'ultima superficie su cui il Capitano avrebbe posato i piedi, prima che il boia, tirando la corda, gli facesse sfiorare il cielo.

Ci sarebbe stato scritto il suo nome, Feri Desztor, le date e i luoghi di nascita e di morte, e tutto il male che aveva fatto.

Ma quanto gli uomini non erano riusciti a comprendere e ad accettare, sarebbe volato in cielo, anche se non in Paradiso.

Se fosse esistito un Paradiso per gli assassini, gli sarebbe stato accordato, come ai soldati, il diritto di uccidere, perché lui un motivo l'aveva avuto sempre, ogni volta che aveva sparato o incendiato o colpito con la lama del pugnale.

Il Paradiso forse l'avrebbe meritato, lui che mai aveva tradito, ma aveva versato troppo sangue per poter essere perdonato.

Lui il Paradiso l'aveva cercato in vita, e già allora gli era stato negato.

Gliel'avevano negato loro, che credevano di avere più diritti di lui.

No, Feri Desztor si sarebbe accontentato di stringere la mano di Satana.

Dopo anni che gli ripetevano ch'era suo figlio, quando lui era sicurissimo d'esser nato da Zsófike Szebenics e Kolnay Desztor, tanto valeva scoprire che tipo era, questo benedetto demonio.

Che idee politiche aveva, soprattutto.

E se avesse scoperto ch'era uno Zarista...

Feri sorrise, scuotendo la testa.

Che stupido, stupido ragazzino.

Troppa fantasia, vero?

Oh, ma lui non ci riusciva, a fare a meno di sognare...

D'altra parte era uno zingaro, e gli zingari erano sempre, a loro modo, di mentalità un po' troppo aperta.

E poi, quella storia che sapeva leggere il destino sulla mano, era mai stata vera?

Lui credeva di sì, perché qualcosa vedeva.

Però era uno zingaro un po' particolare, lui.

Troppa fantasia, davvero.

Ma in fondo, che male c'era?

Era pur sempre un ragazzino.

Senza perdere quel mezzo sorriso, Feri fece un vago gesto con la mano, come per scacciare tutto quel vortice di pensieri fin troppo infantili, e si rivolse di nuovo ad Innokentij.

-Nočen'ka, potresti accompagnarmi ad una locanda? Non ho neanche mezzo rublo, ovviamente, ma ho la mia pistola, e sai com'è...-

Gli fece l'occhiolino e, con un sorriso ancora più raggiante, voltò le spalle alla folla che lasciò confusa e pensierosa pochi sazhen' dietro di lui, mentre lui, all'esatto contrario, aveva, in quel momento, le idee più chiare che mai.

Diabolico?

Forse.

Ma in realtà erano i Pietroburghesi a non esserci abituati.

 

Come un sasso che
L'acqua tira giù
Io mi perdo nel blu
Degli occhi tuoi
La mia libertà

Non la voglio più

Amo il bianco, e tu sei candida

(Io mi fermo qui, Dik Dik)

 

Krasnojarsk, 28 Dicembre 1831

Futura Forradalom

 

-Tu sei un eroe, vero?-

Feri si strinse nelle spalle, guardando di traverso la sorridente biondina russa seduta accanto a lui, ed abbozzò un sorriso a sua volta, confuso.

-Sono solo evaso di galera, Lys-

Natal'ja scosse la testa, testarda come sempre.

-No, dico sul serio. Tu sei un eroe-

-Perché l'hai detto tu?-

-Perché sei l'unico a cui lo direi-

Il futuro Capitano sentì come un brivido, a quelle parole.

Un eroe.

Per lei.

Poi sorrise, le sorrise, passandole un braccio intorno alle spalle e stringendola a sé.

-Allora sì-

La promessa di uno zingaro ungherese a una fiammiferaia siberiana non poteva non passare alla Storia.

 

E lei, e lei, e lei
Era incredula
E lui, e lui, e lui
All'orecchio le si avvicinò
Le bisbigliò qualcosa
E lei sbiancò
“Tu sai tutto di me
Mi vuoi dire chi sei?
Solamente un profeta conosce i segreti di ognuno di noi”

 

E quel forestiero di tanta bellezza
Guardò quella donna con molta dolcezza
E disse: “Sono io, colui che dici tu”

(Il Forestiero, Adriano Celentano)

 

 

 

Note

 

Vammi a prendere la sella, che il mio impegno ardimentoso l’ho promesso alla mia bella Dulcinea del Toboso - E questo pazzo scatenato che è il più ingenuo dei bambini - È un testardo, un idealista, troppi sogni ha nel cervello: Don Chisciotte, Francesco Guccini.

Il senso delle stelle non è quello di un uomo: Le lettere d’amore, Roberto Vecchioni.

Never gonna get my love - Non avrò mai il mio amore, Sheepdogs.

E tu resterai un’anima persa: Ho perso la testa, Overdreams.

 

Dopo una settimana infernale, con ben tre verifiche, dalla quale sono uscita più massacrata di Leonida alle Termopili -neanche il Capitano avrebbe potuto ridurmi così-, finalmente riesco ad aggiornare ;)

Basti pensare che la prima parte del capitolo l’ho scritta ieri dopo la verifica di latino, sono passata dalla battaglia di Maratona alla Rivoluzione di Feri come se niente fosse ;)

Feri è arrivato a San Pietroburgo, ci è arrivato con le idee chiare, e con l’intenzione di chiarirle anche a qualcun altro...

Quanto ad Innokentij...

Beh, il nostro Capitano non è mai prevedibile, nell’approcciarsi alle persone, ma c’è un motivo se si è comportato così con Nika -diminutivo di Innokentij ;)-, lui i Rivoluzionari o futuri tali li riconosce a prima vista ;)

Quanto all’ultima parte... La lascio commentare a voi ;)

Spero che abbiate perdonato anche Feri con questo capitolo, io ho letteralmente adorato scriverlo, e mi auguro che vi sia piaciuto!

 

A presto ;)

Marty

 

  
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