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Autore: cenerella    06/10/2012    6 recensioni
Storia prima classificata al contest "Si sarebbero amati in qualsiasi storia fossero andati a finire" indetto da Postergirl sul Forum di EFP.
Penisola Olimpica 1860. Isabella Cullen, sposa annoiata, non immagina quali sorprese le riserveranno le sue passeggiate nella foresta.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black | Coppie: Bella/Edward, Bella/Jacob
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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- Questa storia fa parte della serie 'Giorni'
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Kwop kilawtley*

 

Si sarebbero amati in qualunque storia fossero andati a finire”

AU Jacob/Bella

 

 

 

Amavo la mia città distesa lungo il mare, la sua energia, e il traffico caotico delle carrozze. Amavo il sole caldo e il caldo soffocante, l'aria carica di sale, l'odore spesso delle merci lungo le calate dei moli, i vicoli sporchi, il brulicare incessante di umanità affaccendata.

Io stessa avevo condotto fino a quel momento un'esistenza frenetica, febbrile.

Forse per questo il destino mi aveva condotta in quella terra, per darmi il senso della lentezza che non possedevo, forse ero capitata lì perché riconoscessi in controluce le cose nascoste e le cose sconosciute.

 

Agosto 1860

 

Quella mattina, ciò che scorreva davanti al mio sguardo mi sembrava già familiare. Scendeva una pioggia fine che, più proseguivo la strada, più sembrava diradarsi e volersi trasformare in una nebbia densa che nascondeva allo sguardo il verde brillante della foresta ai lati della strada.

La mia destinazione era Forks, nella penisola di Olympia, nel Nord Ovest del Paese.

Non mi ero mai spinta così a nord da sola.

- Bella, - mi aveva ripetuto mia madre prima della partenza - non sei obbligata.

Sarei potuta rimanere a San Francisco, a casa dei miei genitori ad aspettare che lui facesse ritorno per cominciare finalmente la mia vita da donna sposata. Invece avevo deciso di partire e di condividere con mio marito la sua missione. Portare la Parola in quel piccolissimo insediamento, ai confini con le regioni ancora inesplorate.

 

Lo avevo conosciuto ad una riunione della nostra congregazione. Le autorità cittadine erano molto attive nel reclutare coloni desiderosi di trasferirsi a Nord, in modo da aprire nuove vie commerciali ai traffici che gravitavano intorno al porto di San Francisco.

Seduta in cima alle scale, accanto alla figlia del pastore, ero intenta a passare in rassegna uno per uno i giovanotti riuniti nel salotto della canonica e a commentarne senza ritegno le doti fisiche, sicure di essere fuori dalla portata degli sguardi severi delle nostre madri.

- E quello, - mi informò Jessica, - è il reverendo Cullen. Naturalmente è uno schianto ma non farti illusioni: non ha occhi per nessuna.

Invece, inaspettatamente, Edward Cullen cominciò a frequentare casa nostra, a parlare con mio padre di strategie mercantili e con mia madre dell'opportunità di prendere moglie, per avere qualcuno al proprio fianco che lo sostenesse e lo confortasse nel duro lavoro della cura delle anime nell'ultimo avamposto della civiltà.

Di lui mi avevano colpita lo sguardo intelligente e l'atteggiamento riservato, curiosamente in contrasto con le vibranti parole che aveva pronunciato durante il sermone.

Non finsi di essere sorpresa, dunque, quando mia madre mi informò dell'interessamento di Edward nei miei confronti e mi incoraggiò ad assecondarne, se mi avesse fatto piacere, le sue richieste di trascorrere un po' di tempo insieme.

Fu così che mi ritrovai fidanzata.

Lui passava ogni sera e, dopo essersi brevemente intrattenuto con mio padre, sedeva insieme a me sul dondolo del portico sorseggiando una bevanda fresca e conversando amabilmente di letteratura e di arte, sotto lo sguardo attento e compiaciuto di mia madre.

Il giorno delle nostre nozze mi fece dono di un anello antico, che la sua famiglia aveva portato dall'Europa. Sarebbe stato il pegno del suo amore, mi disse, lo avrei portato al dito perché tutti sapessero che il suo cuore mi apparteneva.

Dopo la cerimonia, al termine di un pomeriggio di balli e brindisi, varcai tremante la soglia della nostra camera nuziale.

Mi preparai per la notte e mi coricai su quel letto troppo ampio.

Spensi la lampada e attesi, impaziente e curiosa.

Naturalmente sapevo cosa aspettarmi, mia madre mi aveva informata sui miei doveri di moglie e Jessica, tra risatine e rossori, qualche settimana prima mi aveva passato di nascosto un romanzo proibito che, chissà come, era arrivato nelle sue mani.

Ero pronta a tutto ma ebbi un attimo di smarrimento quando lui, dopo aver sollevato l'orlo della mia camicia da notte, si sistemò tra le mie gambe aperte e, senza pronunciare una sola parola, si prese quello che gli spettava di diritto, lasciandomi dolorante e bagnata di lacrime.

Non ebbi nessun dubbio e nessuna incertezza, così doveva essere. Sicuramente.

Non era il caso di fare nessuna domanda a nessuno, nemmeno a me stessa.

E per quanto riguardava quello che avevo letto nel libro passatomi da Jessica, sicuramente si trattava di esagerazioni.

Appena possibile ci trasferimmo a Fort Forks, dove i miei giorni da donna sposata iniziarono a scorrere pigri e noiosi.

Edward non conduceva una vita regolare, spariva per intere settimane, a cavallo di un mulo carico di Bibbie e di provviste, per occuparsi della cura spirituale dei coloni sparpagliati per le colline circostanti e tornava carico di pellicce già conciate che accumulava nel magazzino.

Avevo compreso presto che erano ben poche le occasioni in cui era richiesta la mia presenza. Le funzioni, naturalmente, e il tè settimanale con le mogli degli altri pezzi grossi della comunità, dove, più che occuparsi di iniziative di beneficenza, si spettegolava senza freno al riparo da orecchi indiscreti.

I miei doveri casalinghi erano ridotti al minimo, la madre di mio marito governava la casa e dirigeva con piglio da generale un piccolo esercito di domestici.

Mi rimaneva un sacco di tempo libero per dedicarmi a letture edificanti o ad attività operose come il ricamo e il disegno ma anche tutto questo, dopo poco, mi veniva a noia.

Avevo preso l'abitudine di avventurarmi in piccole esplorazioni nei dintorni di casa, dapprima spingendomi poco oltre l'orto, ma poco per volta addentrandomi sempre più nel bosco, alla ricerca di erbe e fiori sconosciuti da poter copiare ad acquarello e comporre un manuale sulla flora locale.

Questo mio passatempo era noto a tutti e accettato sia da mio marito che da mia suocera i quali ritenevano che non vi fossero pericoli che io potessi correre se fossi rimasta ad una ragionevole distanza da casa.

Durante un raro pomeriggio di sole mi ero arrischiata ad inoltrarmi lungo un sentiero, attratta dal piumaggio grigio azzurro di una creatura che avevo visto zampettare al limitare del sottobosco.

La foresta, quel giorno, era piena di sussurri, i cinguettii degli uccelli si mescolavano agli schiocchi improvvisi di rami spezzati, sentivo il fruscio dell'acqua scorrere in lontananza e cercavo di capire da quale direzione provenisse.

Mi addentravo in quell'umido paradiso troppo verde raccogliendo qua là una fragolina di bosco o un mirtillo, cercando di vincere la curiosità che mi suggeriva di portare alla bocca anche frutti a me sconosciuti.

Continuavo a camminare, inebriata dal ricco odore di terra bagnata che impregnava la foresta, curiosa di esplorare quell'universo completamente estraneo.

Improvvisamente l'atmosfera umida avvolse tutto.

Feci ancora qualche passo, lo sciabordio dell'acqua si faceva sempre più vicino, i miei piedi calpestavano un tappeto di aghi di pino, le mie mani accarezzavano i tronchi degli alberi ai quali mi appoggiavo, timorosa di compiere un passo falso.

La nebbia si diradò improvvisamente e fu allora che lo vidi per la prima volta.

Davanti a me un piccolo specchio d'acqua, una pozza in realtà, formata da un avvallamento del terreno e nella quale si gettavano le acque bianche e tumultuose di un ruscello. Le sponde erano decorate dalle larghe foglie di una pianta sconosciuta il cui fresco profumo impregnava l'aria. La luce del sole che filtrava dal fogliame regalava a quel luogo un'atmosfera stregata.

La superficie dell'acqua, immobile fino ad un attimo prima, si ruppe improvvisamente e ne uscì un uomo dalla pelle ambrata che, tra spruzzi e sgocciolii, raggiunse in pochi passi la riva distante solo pochi metri da me.

Mi affrettai a nascondermi dietro un tronco, sentivo il rombo del sangue nelle orecchie, il cuore martellarmi dentro il petto e una moltitudine di emozioni contrastanti affluirmi al volto infiammandolo... curiosità, paura, imbarazzo...

Naturalmente sapevo come era fatto un uomo nudo. Immaginavo che, se mio marito o gli altri membri della congregazione si fossero presi la libertà di fare il bagno nei laghetti della foresta quello che avrei visto non sarebbe stato tanto diverso.

L'uomo mi voltava le spalle.

Il mio sguardo indugiò a lungo sui disegni misteriosi che gli decoravano le braccia. Quelli, insieme alla massa di capelli bagnati e pesanti che gli coprivano le spalle e dai quali scendeva un rivolo d'acqua al centro della schiena, lo identificavano chiaramente come appartenente alla comunità di nativi che vivevano nei boschi lungo la costa.

I raggi del sole colpirono la sua pelle ancora bagnata, sbirciai nuovamente tra i rami e posai lo sguardo sui due piccoli avvallamenti al termine della schiena, proprio sopra... un cambiamento improvviso della direzione del vento mi spinse i capelli davanti al volto, proprio mentre lui si girava di scatto nella mia direzione. Trattenni il respiro e rimasi impietrita, pregando che la penombra del bosco mi proteggesse da quello sguardo penetrante.

Stette immobile alcuni istanti, il petto che si alzava e si abbassava, come ad annusare l'aria. Solo per un attimo mi parve di indovinare l'intenzione di venire verso di me, ma poi si chinò a raccogliere qualcosa nell'erba mentre io serravo gli occhi come fanno i bambini quando credono di rendersi invisibili.

Quando li riaprii potei vedere in lontananza l'alta figura che si allontanava nella foresta, i fianchi e le gambe fasciati dalle brache di pelle, il fucile stretto in una mano e cinque o sei pesci ancora attaccati agli ami che penzolavano dall'altra.

Tornai sui miei passi, il respiro affrettato e una morsa che mi stringeva lo stomaco e, per diversi giorni, non mi azzardai a riprendere le mie esplorazioni.

   
 
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