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La Sfinge
comprese cosa Ian stava osservando e arcuò appena le morbide
labbra in un sorriso.
«Da
come lo guardi, sembra che già conosci il potere del sacro omphalos. E’ per questo che sei
qui?»
Sacro
omphalos.
Così lo chiamavano gli antichi greci, che
per primi avevano scoperto la sua esistenza. L’ombelico del
mondo.
Ian
deglutì ancora una volta. Era così incredulo che
gli sembrava di
osservare se stesso da fuori, come se non fosse davvero lui davanti
alla Divina
Sfinge. Incapace di sostenere oltre lo sguardo della dea,
chinò il capo, meditando
cosa avrebbe potuto dire alla Sfinge e cosa invece avrebbe dovuto
tacere.
La dea gli
sfiorò il mento con un’unghia smaltata
d’oro e gli sollevò
delicatamente il volto, costringendolo di nuovo a perdersi nelle sue
iridi
d’oro liquido.
Ian
sentì un brivido percorrergli la schiena. Non riusciva a
parlare,
non riusciva nemmeno più a pensare. Cercò di
concentrarsi su Isabeau, sul suo
viso candido e delicato come porcellana.
L’immagine
della sua amata affiorò dai ricordi e svanì un
istante dopo.
La Sfinge gli
colmava ogni senso. Non c’era che lei. Non c’era
posto per
altro.
Per qualche
istante Ian si dimenticò persino di respirare.
Poi la dea si
rialzò e camminò con calma verso la Delicata
più giovane
che aveva aggredito Monika, ferendola a un fianco. La ragazza, Ian
pensò che
non poteva avere più di diciassette anni, era visibilmente
sconvolta e si
prostrò ancora di più ai piedi della
divinità.
Monika
sogghignò. «Vi avevo avvertito che la vostra
padrona vi avrebbe
fatto frustare come schiave per averci attaccato senza
motivo.»
La Sfinge non si
curò delle parole del Maggiore, afferrò la testa
della
giovane per una ciocca di capelli e la costrinse ad alzare lo sguardo.
«Tanisha...»
La Delicata era
a un passo dalle lacrime. Dal sopracciglio ferito il
sangue aveva disegnato una striscia rosso scuro che le solcava il volto
fino al
mento.
La dea le
passò una mano sugli occhi. La ferita scomparve.
Monika
aggrottò la fronte e arretrò di un passo.
La Sfinge si
voltò di scatto verso di lei. «Sei stata tu a
ferire una
delle mie Delicate, non è vero?»
Monika
guardò Ian in cagnesco e maledì mentalmente
Hyperversum.
***
«Il
tuo corpo è il più sacro dei luoghi»
sibilò Monika, cercando per
istinto la sua Beretta calibro 9, dimenticandosi per un istante
dov’era. Le sue
dita trovarono soltanto la fibra grezza del mantello che
l’avvolgeva, intrisa
del suo stesso sangue dove la lama della sua avversaria
l’aveva ferita.
«Sai
batterti bene» aggiunse la Sfinge. «Ben pochi sono
coloro che
sopravvivono dopo uno scontro con una Delicata. Dove hai imparato a
combattere,
straniera?»
«Sono
stata addestrata nel corpo dei marines, mia signora»
esclamò con
orgoglio Monika.
La dea
inarcò un sopracciglio. «Marines, hai detto? Non
conosco questo
popolo.»
Monika fece
schioccare la lingua. «Uomini grandi e grossi, tutti muscoli
e coraggio, col cervello come optional, specie quello che ho
sposato» sibilò il
Maggiore. «Per qualche tempo non credo che ne vedremo da
queste parti.»
La Sfinge
allungò una mano verso di lei e Monika
indietreggiò di un
passo.
«Se
volessi farti male, avrei lasciato che le mie Delicate svolgessero
il loro compito fino alla fine» le sorrise la
divinità. Monika sentì la sua
mano che le sfiorava un fianco. Osservò
la dea che intingeva un dito nel suo sangue e tracciava
sul mantello un
simbolo del tutto simile a un geroglifico. Sentì caldo e la
ferita sembrò
bruciare.
Quando la Sfinge
tornò a guardarla, Monika capì che
l’aveva guarita.
La creatura
allora si voltò verso Ty e lo fissò intensamente.
«Tu
possiedi un’abilità davvero speciale, ho visto
come hai creato dal
nulla quel frutto luminoso. Fallo ancora per me, ti prego.»
Ty
obbedì con un sorriso sciocco stampato sul volto. La mela
del gioco
apparve ancora, fluttuando a mezz’aria, e subito dopo lui le
ordinò di sparire.
Quando la dea
gli sorrise, Ty arrossì fino alla punta delle orecchie.
«Bene»
esclamò la Sfinge. «Ora immagino che vorrete
sapere qualcosa di
più su questo monile, non è vero?»
aggiunse giocherellando col ciondolo che
aveva appeso al collo.
Ian, Monika e ty
annuirono, col fiato sospeso.
«Questo
oggetto tu trovato molto tempo fa, alle pendici di un monte
chiamato Parnaso, in una terra al di là del mare che bagna
l’Egitto.»
La dea si
riavviò i scintillanti capelli neri.
«Fu
mia madre a forgiarlo, in un atto estremo di disperazione, come
ultimo dono ai Figli dell’Uomo.»
Per un istante
vi fu soltanto silenzio.
«Voi
conoscete mia madre, non è vero?»
«Lei
è la madre di tutti noi, mia signora» rispose Ian
con voce
tremante.
«Eva
era il suo nome» disse la Sfinge. «E
l’alito di vita che l’ha
generata è custodito per sempre in questa
clessidra.»
***