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Autore: Withoutdreams    06/10/2012    3 recensioni
Mentre scappava pensò ai giorni che aveva trascorso solo chiuso nella sua grande e vuota stanza. Non aveva nessuno con cui parlare, se non il vecchio grammofono dalla puntina danzante che gli faceva lunghi ed esaltanti discorsi jazz. L’unico suo amico era il jazz, ma il maestro non glielo avrebbe mai insegnato, per lui solo musica classica.
I suoi grandi occhi verdi s’illuminarono di gioia e sorridente corse incontro al padre. Quando poi gli fu più vicino notò che aveva le labbra sporche di rossetto e che sulla mano destra vi erano scritte delle cifre. La gioia che fino a pochi istanti prima l’aveva pervasa si trasformò in disgusto e odio. Non sarebbe mai cambiato, sarebbe rimasto sempre un traditore.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Maka Albarn, Soul Eater Evans
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SOMIGLIANZA

 
- No, no e ancora no, signorino Evans! Dopo il si ci va il fa, non il do – sbottò frustrato l’insegnante di pianoforte in direzione del suo piccolo allievo dalla criniera d’avorio.
Il piccolo Soul guardò il tanto odiato professore con le lacrime agli occhi. Si stava impegnando con tutta l’anima per riuscire a suonare quella canzone, ma proprio non ci riusciva. La sedia era troppo bassa, i tasti troppo lontani perché lui, con le sue corte braccia, ci arrivasse e non riusciva ad arrivare ai pedali.
- Io non ci riesco! – urlò con le lacrime che gli rigavano le guance paffute.
- Tu devi riuscirci! Ah! Se solo fossi un po’ più somigliante a tuo fratello, tutto sarebbe più facile – si lagnò con voce nasale il maestro portando gli occhi al cielo.
Di nuovo. Non c’era giorno in cui non venisse paragonato a suo fratello. Lui non era Wes, non lo sarebbe mai stato, per quanto s’impegnasse, per quanto cercasse di somigliargli non ci sarebbe mai riuscito.
- Riprendiamo dal quarto pentagramma. E vedi di metterci più impegno – gli intimò austero e scocciato l’uomo.
Non voleva più suonare il pianoforte, lo odiava. Sarebbe voluto andare al parco giochi a giocare a palla con gli altri bambini, non rimanere chiuso in quell’immensa stanza immersa nella penombra.
- No – disse con la voce piccola e gli occhi fissi sui tasti bianchi come i suoi capelli del pianoforte.
- Come hai detto scusa? Non ho capito – chiese sbalordito e rabbuiato il maestro.
Soul sapeva che l’unico motivo per cui quell’uomo sopportava di trascorrere otto ore alla settimana con lui nel vano tentativo di insegnargli a suonare il piano era il denaro e per questo lo odiava. Anche il maestro odiava Soul, già, lui sapeva anche questo, non poteva sopportare il modo in cui stonava e martoriava la musica che lui tanto amava.
Soul scese dalla sedia con fatica e poi si diede alla fuga, letteralmente. Corse come un leprotto verso la porta e nonostante fosse discretamente pesante non impiegò molto tempo per aprirla. Scivolò rapido per i corridoi di casa Evans, superando numerose porte e spaventando altrettante numerose cameriere con la sua piccola ma furiosa fuga.
- Signorino, dove state andando? – urlò una cameriera.
Non lo sapeva neanche lui, voleva solo andarsene da quella casa troppo grande e sempre troppo stretta. Mentre scappava pensò ai giorni che aveva trascorso solo chiuso nella sua grande e vuota stanza. Non aveva nessuno con cui parlare, se non il vecchio grammofono dalla puntina danzante che gli faceva lunghi ed esaltanti discorsi jazz. L’unico suo amico era il jazz, ma il maestro non glielo avrebbe mai insegnato, per lui solo musica classica.
Di nuovo le lacrime fecero capolino nel suo volto e mentre era intento ad asciugarsele con la manica della camicia andò a sbattere contro qualcuno.
- Ahi – esclamò più per la sorpresa che per il dolore il ragazzo che tanto somigliava a Soul, ma che era così lontanamente perfetto.
- Wes! – urlò Soul. Era l’ultima persona che avrebbe voluto incontrare. Era colpa sua se tutti pretendevano troppo da lui, non poteva essere come tutti i ragazzi normali, non poteva essere semplicemente mediocre come lui?
- Mi hai fatto male testa vuota – continuò a lamentarsi mentre con la mano con cui non teneva la custodia del violino si massaggiava il petto nascosto sotto la camicia.
Soul gonfiò le guance offeso e riprese la sua corsa senza mancare di fare la linguaccia al suo fratellone.
La porta d’ingresso era un enorme pezzo di mogano blindato che imponente gli sbarrava la strada. Non si sarebbe fermato davanti al primo ostacolo, no, lui avrebbe vinto anche contro quell’enorme porta pur di uscire da quella gabbia d’oro in cui era rimasto per troppo tempo. Strinse la maniglia nelle sue piccole mani dalle dita lunghe e cercò ti tirare la porta con tutta la sua forza, senza ottenere risultati.
- Sai, Soul, sei proprio un moccioso – lo schernì la voce bassa di Wes.
Suo fratello maggiore era appoggiato al muro con una spalla, le braccia incrociate sul petto e il violino appoggiato accanto a lui e lo fissava con aria di rimprovero.
Soul non riuscì a non arrossire per la vergogna. Chissà da quanto lo stava osservando mentre cercava goffamente di aprire la porta di casa. Rimasero a fissarsi negli occhi, rubino nel rubino, fino a quando Wes abbassò lo sguardò sospirando in modo teatrale. Scosse la testa e si avvicinò a Soul, per poi superarlo e avvicinarsi alla porta. Gli bastò una sola mano e una semplice tirata per aprire la porta. Anche se non voleva, Soul si ritrovò ad ammirare il fratello maggiore.
Senza ringraziare o dire niente scivolò rapido fuori dall’uscio e si lasciò alle spalle la tristezza e la solitudine.
 
Angolo dell’Autrice
Spero di non aver scritto un’enorme cavolata e di aver descritto bene come si sente il piccolo Soul. Forse non è un granché dato che l’ho scritta di getto, ma ci tenevo a condividerla con voi di EFP!
  
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