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Autore: sku    18/04/2007    4 recensioni
Il ricordo di un incontro speciale in un posto che lo è altrettanto.
"Oggi ti ho visto di nuovo dopo tanto tempo..."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Taro Misaki/Tom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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le volte che ti ho visto I personaggi di Taro Misaki e suo padre sono di proprietà di Yoichi Takahashi e sono usati senza fine di lucro.


Oggi ti ho visto di nuovo dopo tanto tempo. Anche se non avessi seguito la tua carriera ti avrei riconosciuto tra mille; hai ancora la stessa risata, lo stesso sguardo sincero e la stessa passione per il calcio. Ti guardavo e pensavo che le probabilità che avevo di rivederti erano veramente scarse, poi l’Atalanta ha avuto una gran botta di culo lo scorso campionato e si è guadagnata l’accesso alla coppa UEFA. E così ora tu sei qui, con il Paris Saint-Germain, per disputare una partita che vi sembra semplice, un piccolo contrattempo per una grande formazione. Per me è diverso. Per me questa partita è stata decisa dal destino.
Ti guardavo dagli spalti insieme a qualche altro curioso durante gli allenamenti e sono rimasta impressionata da quanto tu sia cresciuto, hai un fisico muscoloso ma elegante, sei ancora agile e veloce come allora, come quando ti conobbi in un assolato pomeriggio di aprile. Durante le partite sei sempre lo stesso giocatore generoso coi compagni, la spalla ideale che serve assist perfetti che gli attaccanti devono solo trasformare, vivi nella loro ombra in un certo senso. Ma quando tu non sei in campo la tua mancanza si sente e solo allora tutti si accorgono di te, del tuo lavoro instancabile.
Eri così anche allora, ogni ragazzino ti voleva nella sua squadra certo che li avresti aiutati a vincere. E allora come oggi, io ti guardavo affascinata e divertita.
Ti ricordi di me? Probabilmente no. Hai viaggiato così tanto, conosciuto così tante persone che io sarò diventata una tra le mille facce indistinte del passato. Non mi interessa. Io non ti ho mai dimenticato, questo è l’importante, almeno credo.

La prima volta che ti ho visto ti ho odiato. Buffo, vero? Ero seduta su una panchina delle mura di Città Alta che mi godevo il tepore del sole leggendo un libro. O meglio, stavo cercando di leggere un libro, ma per mia sfortuna c’era un ragazzino che continuava a correre lungo il sentiero che costeggia le mura calciando un pallone; su e giù, inesorabilmente, rincorso da un paio di coetanei che gridavano cercando di togliergli la palla senza riuscirci.
Avrei voluto urlarti addosso tutta la mia rabbia ma non mi sembrava molto educato. Furiosa, ho alzato gli occhi dalla pagina e tu eri lì, bello come adesso, sorridente e ansante per la corsa. Ma io non ho visto questo, ho visto solo un odioso calciatore che mi disturbava. Poi i tuoi occhi hanno incrociato i miei, mi hai sorriso, io sono arrossita e mi sono rituffata nelle pagine del libro.
Ti sei avvicinato a me e con il tuo italiano stentato mi hai chiesto: - Ti disturbo con pallone? - Eri di una gentilezza disarmante.
Cosa potevo risponderti? - No, se non urlate. -
- Io sono Taro, vengo da Giappone. - ti sei presentato.
- Io sono Angelica. - ho risposto intimidita.
Poi sei corso dai tuoi amici e siete andati via con mio grande sollievo. Ma la sera mentre guardavo le stelle dalla mia finestra ho ripensato a te e ho deciso che forse non eri poi così odioso, eri stato gentile. Quanti altri ragazzi nostri coetanei gentili conoscevo? Nessuno, a quell’età i maschi tendono ad essere arroganti e sbruffoni, per lo meno quelli che ho conosciuto io.

La seconda volta che ti ho visto ti stavo cercando. Ero tornata sulla stessa panchina il giorno dopo, alla stessa ora sperando di vederti, ma tu non c’eri. Poi è arrivato un pittore che si è sistemato vicino a me e ha cominciato a fare uno schizzo del paesaggio che si stendeva a nostri piedi. Ero incantata da quelle mani esperte. E mentre lo osservavo, il pittore ha alzato gli occhi, la sua espressione si è addolcita e io ho guardato nella stessa direzione e ti ho visto, allegro col pallone sotto braccio. Anche tu mi hai vista, ti sei diretto verso il pittore, l’hai salutato e poi ti sei avvicinato a me.
- Ciao. -
- Ciao, lui è mio papà. -
E così abbiamo iniziato a parlare, di te, del Giappone, del perché ti trovavi in Italia al seguito di tuo padre. Mi hai spiegato che tuo padre girava l’Europa dipingendo e che la tappa a Bergamo era stata un imprevisto, ma che poi tuo padre si era innamorato di Città Alta e avevate deciso di fermarvi per un po’. Non è stata una conversazione di quelle che cambiano la vita. Anzi mi sbaglio, quella conversazione mi ha cambiato l’esistenza. Tu sei entrato nel mio cuore e io mi sono innamorata di te, come solo una dodicenne alle prese con le prime cotte può innamorarsi: incondizionatamente, senza ripensamenti e senza dubbi.
Tu non te ne sei accorto, almeno credo.

La terza volta che ti ho visto ci eravamo dati appuntamento alla stessa panchina. Tu sei arrivato in ritardo, mentre io ero sull’orlo delle lacrime pensando ad un bidone. Si è molto tragici a quell’età, basta un nonnulla per distruggerti. Ma è bastato un tuo sorriso per rendermi nuovamente felice. Un niente può ucciderti, un niente può salvarti.
Ci siamo affacciati dalle mura e ti ho indicato tutti i paesi che si vedevano, le zone della città bassa, l’aeroporto di Orio. Tu mi ascoltavi interessato, mi facevi tante domande.
- Tu ami questo posto. - hai affermato ad un certo punto, come se avessi capito tutto di me.
- Come si può non amarlo? - ti ho chiesto. - Vieni con me, così ne vedrai il motivo. - ti ho proposto poi. Tu mi hai guardato in modo strano, poi hai chiesto qualcosa a tuo padre che ha annuito.

Così, giorno dopo giorno, ti ho mostrato Città Alta, i posti frequentati dai turisti e quelli che invece loro non conoscono; ti ho raccontato la sua storia e le sue leggende. Tu in cambio mi insegnavi qualche parola di giapponese, mi raccontavi del tuo paese e della sua intricata cultura. Parlavamo di noi, dei nostri amici e della nostra breve vita. Io mi sono innamorata di te sempre più, della tua gentilezza, della tua gioia di vivere. Non so perché stessi tutti i pomeriggi liberi con me, non mi interessava saperlo, volevo solo vivere quei momenti insieme.
 Spesso venivo ad assistere agli allenamenti della tua squadra. Era un piacere osservarti, vedere come ti divertivi e come eri concentrato sul gioco. Già allora si vedeva che avresti fatto carriera, avevi il senso del gioco, sapevi valutare attentamente ma velocemente tutte le alternative ed eri l’elemento che teneva legata la squadra. Eri un buon compagno di gioco, onesto e leale. In tutto il campionato non sei mai stato espulso e hai ricevuto poche ammonizioni. Giochi ancora così, sei uno dei pochi calciatori corretti. Sono proprio felice che tu non sia cambiato.

L’ultima volta che ti ho visto pioveva. Era una pioggia leggera, che inzuppava gli abiti senza che la gente se ne accorgesse. Non sapevo che non ci saremmo più incontrati, ero contenta anche se infastidita dal tempo. Sei arrivato puntuale, senza ombrello e con la faccia scura. Io ti ho protetto con il mio e ho cominciato a parlare della mia giornata e tu annuivi in silenzio. Poi mi hai interrotto e hai sganciato la bomba: saresti partito il pomeriggio del giorno dopo, tuo padre voleva continuare il suo viaggio alla ricerca dell’ispirazione e della tecnica perfetta. Io sono rimasta di sasso e senza parole, tu mi hai guardata e mi hai detto che ti sarebbe dispiaciuto non rivedermi. Io ho cominciato a piangere e a singhiozzare, mi sembrava di morire; tu eri impacciato, non te l’aspettavi e non sapevi come consolarmi. Mi hai fatto sedere sotto un portico e mi hai messo la mano sulla spalla. A pensarci bene era una scena comica, io coi lacrimoni che tiravo su col naso e tu con l’espressione spaesata, seduti per terra. Allora non mi sembrava molto divertente, in ogni caso. Cercavi di rassicurarmi, mi dicevi che mi avresti scritto, che avresti convinto tuo papà a ripassare da Bergamo, che ci saremmo rivisti. Dopo un po’ ho smesso di piangere e tu ti sei rasserenato. Ti ho detto che mi saresti mancato e che avrei voluto saperlo prima per lasciarti un ricordo di me, qualcosa che avresti potuto portare con te. Tu mi hai dato una scatola, l’ho aperta e conteneva un album fotografico che raccontava la tua permanenza a Bergamo. C’erano tanti momenti divertenti e tante fotografie ritraevano noi due in giro per Città Alta da soli o coi nostri amici, dietro alcune avevi scritto un commento. - Perché tu non mi dimentichi. - Era un regalo bellissimo, l’ho sfogliato tante volte, ancora adesso ogni tanto lo riguardo e penso a come sono stati indimenticabili per me quei mesi passati insieme. Quel regalo ha assolto il suo compito più che degnamente.
E’ stato allora che ho avuto l’idea del mio regalo, mi sono avvicinata a te e ti ho baciato. Era il mio primo bacio e devo dire che non è stato per niente male. Sono stata molto sfacciata ma sentivo che anche per te era il primo bacio e sapevo che così non mi avresti mai scordato. Adesso non sono più così sicura.
Dopo la tua partenza ho pianto tanto, sai? I  primi tempi ci siamo scritti molto, ho ancora tutte le tue lettere, ero molto aggiornata sui vostri spostamenti, sui tuoi progressi calcistici e su quelli pittorici di tuo padre. Tutte le volte che arrivava una tua lettera andavo a leggerla sulla panchina dov’ero seduta quando ti ho conosciuto. Mi sembrava così di averti più vicino. Speravo sempre che saresti ripassati da Bergamo, ma poi siete partiti per la Francia e  io non ti ho più rivisto.
E’ stato il tempo ad allontanarci, più che la distanza. La corrispondenza si è fatta più rada, la speranza di un nostro incontro si è spenta e il dolore si è attutito col passare dei giorni, dei mesi, degli anni. La vita si è intromessa tra noi due.
Guardarti giocare oggi ha risvegliato in me quel sentimento che consideravo scomparso. Forse è vero che il primo amore non si scorda mai.

La prossima volta che ti vedrò giocherò il tutto per tutto. So che dopo la partita di domani sera non partirete subito, tornerete in albergo per la notte e so anche dove alloggiate.
Domani sera sarò lì ad aspettarti, davanti all’hotel. Chissà se mi riconoscerai. Per sicurezza porterò con me il nostro album di fotografie. Adesso che ti ho ritrovato non voglio sprecare l’occasione, non voglio vivere per il resto della mia vita col rimpianto di non averci provato.
Non so cosa succederà, magari non mi riconoscerai, magari non vorrai neanche parlarmi. Chissà. Significherà che non era destino, io mi metterò il cuore in pace e tu andrai avanti con la tua vita e io con la mia.
Però…
Però, magari, tu mi riconoscerai, mi saluterai, ti fermerai con me e ricorderemo insieme quei giorni spensierati. Forse anche tu non mi hai mai dimenticata e coglierai l’occasione. Forse la vita questa volta ci aiuterà.
Dove sta scritto che tutto deve sempre andare per il verso sbagliato?

***Fine***


Questa one-shot è dedicata alla mia città, che sa essere meravigliosa e orribile al tempo stesso.
E' la  mia prima ff su Capitan Tsubasa e Taro è sempre stato il mio personaggio preferito, forse perchè era sempre in giro per il mondo!
Spero vi sia piaciuta, grazie per averla letta
sku
  
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