Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: valina_babi    06/10/2012    0 recensioni
Ho sempre amato New Moon, credo che dell'intera saga sia il mio libro preferito, e come personaggio amo in modo incondizionato Edward, anche se in certi momenti lo prenderei a noci; di lui mi affascina la mente, il modo di ragionare, pensare, vivere la vita e i sentimenti.
Per questo motivo quando zia Steph decise di scrivere Midnight Sun ho gongolato come non mai saltellando come una pazza per giorni... per poi avere istinti omicidi sia verso di lei, sia verso chi non ha retto e ha pubblicato tutto sul web, con conseguente decisione della Steph di non continuare (sgrunt).
Come era prevedibile non ho saputo resitere e ho divorato i 12 capitoli di Midnight Sun, e secondo il mio modesto parere la saga vista da Edward sarebbe molto pià bella, per questo ho deciso di scrivere la mia personalissima versione di New Moon, vista da Edward ovviamete, mostrando i luoghi e le fasi più buie della sua lontananza da Bella.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ciao a tutti! 
sono in imperdonabile ritardo lo so! avevo promesso che avrei pubblicato subito dopo le ferie... ma a riprendermi da Venezia ci ho messo più del previsto! 
senza altri indugi vi lascio il capitolo! 
grazie a chi mi ha inserito nelle ricordate, recensite, reguite e anche a chi è solo passato di qui!
Vale



3
La fine
 
Corsi a casa sfrecciando più veloce del vento nella foresta verde e muschiosa di Forks, avrei desiderato perdermici, lasciare libera la mente, ma non appena imboccai il viottolo che portava alla radura dove si trovava la grande casa bianca fui assalito dai pensieri infuriati di Rosalie.
“Brutto cretino! Perché ci dobbiamo rimettere tutti? Non voglio andarmene! Ci siamo appena trasferiti e ambientati! Egoista! Dovevi pensarci prima! Lasciare che io e Jasper sistemassimo le cose un anno fa o che si trasformasse!” questi erano solo i più carini e gentili, gli altri erano davvero irripetibili.
Non potevo ignorarli, mi urlavano nella mente a un volume esagerato. In quel momento avrei solo voluto silenzio, e invece dovevo ascoltare anche le lamentele di Rose; perché si comportava come una bambina egoista? In fondo era la sua natura, ma avrebbe potuto riflettere prima di parlare. Se solo avesse saputo cosa passavo, cosa soffrivo all’idea di lasciare Bella, il mio cuore, la mia anima, la mia ragione di vita, non avrebbe parlato così. Ma era Rosalie, sempre tutta concentrata su se stessa, sempre solo sulla sua bellezza, mai un pensiero per gli altri… non avrebbe capito, lei con Emmett non aveva problemi di questo tipo, non li avrebbe mai avuti, si sarebbero amati per l’eternità, io invece per l’eternità avrei sofferto…
Alice mi venne in contro sulle scale «Non c’è nulla che io possa fare o dire per farti cambiare idea vero?», la mia sorellina, lei si che mi voleva bene, vedeva quanto male stavo e sarei stato. In un certo senso mi capiva, non avrebbe mai sopportato l’idea di perdere il suo Jasper, lo amava troppo, di un amore troppo profondo… per questo capiva o almeno immaginava il mio dolore.
«No, Alice, ormai ho deciso. Hai già detto agli altri?»
«Sì, almeno quella te l’ho risparmiata. Si stanno già muovendo. Partiamo domani. Tu? Non puoi andartene così, senza dirle nulla, ne soffrirebbe troppo. Devi parlarle.»
«Lo so.» Risposi secco ed entrai. Non avevo voglia di parlare. Superai il salone e raggiunsi lo studio di Carlisle. Lui era la seduto alla sua scrivania.
«Carlisle. Ho fallito.» Era lo sconforto, la disperazione a parlare per me.
«Edward. Non disperarti. Una soluzione alternativa potremmo trovarla.» provò.
«No. Non intendo più esporla ad alcun pericolo.»
«Sai che soffrirà immensamente… lo sai che tu non la dimenticherai…»
«Lo so. Ma è umana le sue emozioni sono volubili, guarirà e troverà la sua felicità, una che sia giusta. Non pericolosa…» risposi provando a credere a ciò che stavo dicendo.
«Va bene. Se questo è ciò che desideri ti appoggio. Gli altri non quasi già pronti. Alice ci ha avvisato appena siete usciti ieri sera di fare le valige. Ho voluto fare un tentativo. Ma se questa è la tua decisione partiremo. Ho già mandato un fax con le mie dimissioni all’ospedale. Domattina recupererò tutte le mie cose e poi ce ne andremo a Denali.»
«Va bene. Grazie.»
«Tu però non puoi andartene senza parlarle. Dei dirle addio, spiegarle.»
«Sì. Lo farò e poi vi raggiungerò. A Denali. E li forse troverò pace.» Mi squadrò con aria preoccupata, sentivo la preoccupazione nei suoi pensieri. Sapeva che senza Bella non potevo trovare pace, era lei la mia pace, il mio paradiso. Uscii dallo studio e mi diressi verso la mia stanza. Non potevo sopportare lo sguardo pieno di dolore di Carlisle, meno ancora avrei sopportato quello di Esme, sentivo che soffriva per me, o la rabbia di Rosalie, o la frustrazione di Jasper che si sentiva colpevole. “Andatevene dalla mia testa!” avrei voluto gridare. Ma non potevano. Era il mio dono e insieme la mia condanna sentire ogni loro pensiero, condividere ogni loro emozione. Mi vestii per la nuova giornata e presi la Volvo. Non lo salutai nemmeno, non lo avrei sopportato, lasciai un foglio sullo scrittoio di Esme in cui le dicevo che li avrei raggiunti in breve tempo dai nostri cugini di Denali, da Tanya, ma non potevo sopportare di leggere il dolore della partenza nei  loro occhi. Mi diressi verso la scuola. Troppo velocemente arrivai nel parcheggio deserto. E mi ritrovai solo con i miei pensieri, a riflettere su come dire addio alla mia unica ragione di vita.
Il tempo trascorreva lento, eterno. Ogni minuto di quell’ora in cui attesi seduto nella mia  auto mi sembrò una eternità. Poi finalmente i primi studenti cominciarono ad arrivare, a fare commenti sul perché “strambo – Cullen” fosse li così presto. Ma era facile ignorare quelle insignificanti voci umane. Sentii il rombo del Pick-up di Bella quando era a circa un chilometro, scesi dall’auto e mi appoggiai alla portiera, ad attenderla. Parcheggiò nell’unico posto disponibile. Lontano, al limite del parcheggio, la raggiunsi e le aprii lo sportello.
«Come stai oggi?». Le chiesi, forse ero troppo apprensivo..
«Splendidamente», mentiva, glielo si leggeva negli occhi, non era una brava attrice. Sobbalzò quando chiusi la portiera. Camminammo in silenzio fino all’aula, la vedevo riflettere, una ruga disegnata in mezzo alla fronte, sul viso che tanto amavo era disegnata la concentrazione. Avrei tanto voluto sapere cosa pensava, cosa ardeva di chiedermi. Ma non lo fece. Non parlò, non chiese nulla. Passai la mattinata a osservarla, a guardare ogni minimo cambiamento sul suo viso, a seguire ogni guizzo dei suoi occhi. Le chiedevo ogni tanto se le faceva male il braccio. Ero sinceramente preoccupato, ma appena la sua risposta giungeva mi richiudevo nel mio mutismo. Pensavo, meditavo, cercavo le parole migliori con cui dirle che stavo per lasciarla, che sarei uscito dalla sua vita per sempre, per non rientrarvi mai più. Ma non le trovai in quel mattino.
Arrivò finalmente l’ultima campanella del mattino, e ci sedemmo a mensa, sapevo che Bella aveva un grande spirito di osservazione e si sarebbe subito accorto della mancanza di Alice, ma evitai l’argomento fino a quando mi fu possibile.
«Dov'è Alice?», chiese, non mi sbagliavo, l’aveva cercata con lo sguardo per tutta la mensa e non vedendola si era preoccupata.
Senza volerlo però aveva fatto precisamente la domanda che non volevo, sbriciolai quello che avevo tra le mani, dovevo assolutamente calmarmi o non avrei controllato la mia voce spaventandola: «Con Jasper», le risposi atono
«Come sta? Sta bene?».
«Se n’è andato. Ha deciso di prendersi un periodo in cui stare lontano, a riflettere». Risposi con una mezza verità.
«Cioè? Dove?» era sinceramente preoccupata e dispiaciuta per mio fratello.
Mi strinsi nelle spalle, sapevo mentire bene e non volevo che l’argomento andasse troppo avanti dopo tutto ero io quello che fuggiva, non Jasper, ero io quello che stava per andarsene: «Non sa ancora di preciso».
«E Alice gli farà compagnia», non era una domanda. Era fin troppo perspicace, sapeva che quei due non potevano stare lontani, dove era l’uno era l’altra, due metà di un’anima… “come noi” pensai e questo mi procurò una forte fitta di dolore.
«Sì, starà con lui per un po’. Vorrebbero trasferirsi a Denali.». una mezza bugia, saremmo andati tutti lì, anche se la versione ufficiale era un trasferimento a Los Angeles. Deglutì in maniera evidente.
«Ti fanno male i punti?», chiesi premuroso.
«Chi se ne importa dei miei punti!», l’avevo fatta arrabbiare.
Rimasi in silenzio, lei appoggiò la testa sul tavolo. Le avevo fatto passare l’appetito. Era triste, lo sapevo le sarebbe mancata Alice, ed era sconfortata, si sentiva in colpa. Quando la campanella suonò le diedi un buffetto sulla testa e la accompagnai a biologia. Sedetti a fianco a lei per le restanti due ore mantenendo le distanze, in silenzio, fingendo attenzione al professore, come se mi importasse qualcosa di quella stupida lezione, quelle cose già le conoscevo a memoria!
«Puoi venire un po’ dopo, stasera?», mi chiese mentre la riaccompagnavo al pick-up
«Perchè?». La sua richiesta mi stupiva, una parte di me sperava che il suo spirito di conservazione si stesse risvegliando e stesse cominciando a temere il suo fidanzato – vampiro.
«Oggi lavoro. Recupero la giornata libera di ieri ».
«Ah».  
«Però ti aspetto quando ho finito, d'accordo?». Esitò temendo la mia risposta.
«Se vuoi…» la scelta doveva essere sua, non mia, lei doveva essere libera anche di fuggire da me se lo avesse desiderato, lo avevo sempre messo come prima condizione.
«Certo che sì! Che domande fai?», ribadì quasi scocciata dalla mia domanda. Le risposi indifferente.
«D'accordo», di nuovo la baciai sulla fronte, chiusi la portiera e mi avviai alla mia Volvo. La vidi uscire dal parcheggio turbata, era triste, glielo leggevo in faccia, le mie parole o le mie azioni l’avevano ferita? Decisi di seguirla, da lontano solo per essere sicuro che stesse bene.
Mi fermai a qualche centinaio di metri da lei, la vidi discutere con se stessa dentro al pick-up e per la miliardesima volta mi maledissi perché non potevo sentirne i pensieri. Poi la vidi scendere ed entrare nel negozio. Mi avvicinai. Sentii Mike Newton informarsi su come fosse stato il suo compleanno, se si fosse divertita, quali regali avesse ricevuto; Bella con molto buon senso glissò l’argomento. Bene, neanche lei voleva parlarne era una certezza ormai: l’avevamo spaventata. Era giusto che la lasciassi vivere tranquilla, che togliessi dalla sua strada il pericolo che rappresentavo. Avrebbe trovato lo stesso la felicità, con un umano come Newton, anche se a questo pensiero la gelosia mi uccideva, dilaniandomi il cuore. Sarebbe stata felice, serena, sicura, avrebbe avuto una famiglia e non mi avrebbe più rivisto. Quando vidi che il suo pomeriggio sarebbe stato tranquillo, che nessun pericolo era in agguato decisi di andare a casa sua, parcheggiai la Volvo dall’altro lato della strada, scesi e mi sedetti sui gradini davanti alla porta.
Dovevo tenere la mia mente occupata, non potevo permettere che vagasse indisturbata, che mi portasse a pensieri cupi di quello che sarebbe stato il mio futuro senza Bella. Per non pensare mi misi a contare una fila di formiche che correva verso uno degli alberi. Una, due, tre… alla formica tremilaseicentoventisei sentii il rumore della macchina di Charlie e sentii i suoi pensieri, era confuso di trovarmi li seduto, non capiva, era una cosa nuova, e come tale lo metteva in imbarazzo e lo spaventava un po’.
«Buona sera, capo Swan.» Anche io ero nervoso, nonostante i miei più di cento anni, non ero tranquillo.
«Edward, quante volte ti devo dire di chiamarmi Charlie?» era chiaro, voleva mettermi a mio agio, ma voleva anche lui un’atmosfera meno rigida.
«Aspettavo Bella, è ancora a lavoro.»
«Ah, sì, credo di sì.» Fantastico! Non aveva neanche idea di dove fosse sua figlia, un moto di rabbia mi corse nella mente, come poteva non preoccuparsi? Per quanto Forks fosse una città minuscola non poteva essere così tranquillo…
«ok, allora aspetto.» risposi pronto a tornare alla mia occupazione precedente.
«Entra. – mi disse esitante – non vorrai stare qui fuori a congelarti?» vero, avevo tralasciato che un’umano non sarebbe mai rimasto immobile davanti a una porta, dovevo stare più attento. Aprì la porta e lo seguii, Charlie si tolse la giacca e appese la fondina, io lo imitai, non avrei più sbagliato. Prese il telecomando e si accomodò sul divano. «Siediti non startene lì impalato, sembri un soprammobile.» Risi educatamente alla sua battuta e mi accomodai sulla poltrona. Charlie ordinò la sua pizza e non si scompose più di tanto di fronte alla mia mancanza di appetito, ormai ci era abituato. Io rimasi concentrato sulla partita non che mi interessasse il baseball, ma dovevo pur sempre mantenere la mia immagine, poco importava che la mia fosse una finzione. Dopo circa mezz’ora sentii il rumore del pick-up e poco dopo Bella entrò.
«Papà? Edward?».
«Siamo qui», rispose Charlie. Io continuai a guardare la tv, come se fossi veramente interessato alla partita.
«Ciao», disse.
«Ciao, Bella», rispose Charlie senza neanche voltarsi. «Se hai fame c’è della pizza in cucina».
«Grazie».
Si diresse verso la cucina, ma a metà del corridoio si fermò a guardarmi, «Arrivo subito», dissi. Ma poi tornai a guardare la TV. Sentii i suoi passi sparire veloci in cucina, dove rimase un po’, poi la sentii salire le scale, e poi di nuovo scendere. Era nervosa, sapevo bene perché, era una reazione al mio umore.
Finalmente tornò in sala dopo avere appoggiato qualcosa sul tavolo, guardai con la coda dell’occhio era la sua macchina fotografica, il regalo di Charlie. Mi girai e il flash mi colpì di sorpresa lasciandomi abbagliato per un momento. Anche Charlie si voltò accigliato. Io ancora tentavo di recuperare la vista, erano fastidiosi i mille puntini di luce bianca che mi ballavano davanti agli occhi.
«Cosa fai, Bella?», si lamentò Charlie.
«E dai». Sorrise e si sedette accanto a lui. «Lo sai che mamma chiamerà e vorrà di sicuro sapere se uso i vostri regali. Dovrò pur dirle qualcosa!».
«Sì, ma devi proprio fotografare anche me?», borbottò.
«Certo, primo sei il mio papà, secondo se un bell’uomo e poi, mi ha comprato tu la macchina no? E allora paga pegno e fatti fotografare!».
«La prossima volta col cavolo che ascolto Reneè, io odio le foto» borbottò tentando di non farsi sentire dalla figlia.
«Dai, Edward, - disse Bella indifferente, come se suo padre non avesse aperto bocca – faccene una!».
Mi lanciò la macchina fotografica, evitò di guardarmi negli occhi, sapeva che stavo collegando le cose. Forse iniziava a capire e sperava che anche noi ce ne saremmo andati, come Alice e Jasper…”oh povero amore mio, come ti sbagli, come vorrei che fosse così, ma se non ci fosse pericolo non me ne andrei neanche io”
«Bella sorridi», mormorai.
Sorrise, una smorfia tirata che non rendeva giustizia al suo sorriso, ma io scattai.
«Okay, ora è il vostro turno», propose Charlie. “Magari così evito altre foto!” e come lo sapevo io lo sapeva anche sua figlia. Mi alzai in piedi, gli porsi la macchina fotografica a mi avvicinai a Bella. Mi limitai ad appoggiarle una mano sulla spalla,  lei mi strinse forte.
«Sorridi, Bella», ribadì Charlie.
Sospirò e sorrise, entrambi fummo accecati dal flash.
«Ok, per sta sera basta. Se finisci subito il rullino poi come fai sennò?” disse Charlie e nascose la macchina fotografica tra due cuscini. Io tolsi la mano dalla spalla di Bella e tornai a sedermi sulla poltrona, se volevo abituarmi a stare senza di lei, dovevo cominciare a prendere le distanze. Bella raggiunse il padre sul divano, tremava, si rannicchiò con le gambe strette al petto, appoggiando il mento sopra queste. Non si mosse di un centimetro per tutta la serata, non fosse stato per il battito del suo cuore che martellava un ritmo veloce ma costante avremmo potuto scambiarla per uno di noi. Finita la partita mi alzai.
«Devo tornare», dissi.
Charlie non si mosse, ipnotizzato dalla televisione, accennò solamente «Ciao, ciao».
Bella barcollò giù dal divano, imprecai mentalmente contro la sua goffaggine. Mi accompagnò alla porta, che io infilai, dirigendomi diretto verso la Volvo.
 «Te ne vai? Non resti?», chiese, ma già sapeva la risposta e la temeva, lo sentivo.
«Stasera no».
Non mi chiese perché, mi lasciò andare senza aggiungere altro. Attraversai il vialetto e la strada e salii in auto. Misi in moto e mi sentii sprofondare. Nello specchietto la vidi ancora ferma davanti alla porta, evidentemente aspettava che io tornassi indietro, che tornassi da lei, che le spiegassi il motivo di tanta freddezza, ma non potevo, non in quel momento anche se l’avrei fatto presto.
Sfrecciai a centosessanta fino a casa, poi scesi, non entrai nemmeno nella grande casa bianca che ormai sapevo vuota. Mi diressi nella foresta, verso le montagne, non volevo voci nella mia testa, volevo solo solitudine, con le immagini e i miei ricordi di Bella, la Bella felice, quella che amavo, non quella in pericolo davanti al mostro. Nella mia folle corsa verso le vette ormai innevate incrociai una scia che prometteva bene, sapeva d cibo, di sangue, della promessa di placare la sete che sempre mi ardeva la gola. Estesi la mente e mi lascia andare agli istinti, avrei voluto essere un animale, non un essere senziente e, in quel momento, molto mi avvicinai ad esserlo. Mi acquattai su un ramo basso, potevo sentire il cuore della mia preda pulsare, stava accelerando doveva avermi fiutato. Sapeva che di lì a poco sarebbe diventato da cacciatore, preda, lo intuiva. Ma davanti alla morte non fuggiva, lui coraggioso felino mi attaccò per primo, mordendo e graffiando con le sue zampe poderose che nulla potevano contro il mio corpo di marmo. Fu quasi un lutto affondare le zanne nel collo del leone di montagna, degno avversario della mia furia. Lui era stato coraggioso, aveva affrontato il pericolo ed era morto nel tentativo, io sarei stato abbastanza forte? Sarei stato in grado di affrontare la prova più ardua? Vivere senza la mia ragione di unica ragione di vita. Sarei stato capace di vivere senza la mia Bella? Si, mi dissi e così sarà anche lei. Le lascerò il mio cuore, ma sopravvivrò, dopo tutto conducevo la mia esistenza anche prima di incontrarla, anche prima di conoscere il mio sole, la mia luce, l’altra metà della mia anima. “Sopravvivrai, devi farlo, devi lasciarla, devi darle la possibilità di vivere.” Riuscii a convincermi ancora una volta. Ancora una volta soffocai l’istinto che mi diceva di non abbandonarla, incurante del dolore che mi sarei provocato.
Tornai dalla caccia troppo presto, entrai veloce nella casa vuota. Trovai un biglietto di Alice sul mio divano. “So che non serve a nulla perché sei testardo come un mulo, ma ti prego ripensaci.” Sorrisi. La mia tenera sorella – veggente. Mi voleva bene e ne voleva a Bella. Si preoccupava per noi. Mi cambiai, indossando una camicia nera di cotone e un paio di jean scuri, sopra un pullover chiaro. Di nuovo arrivai a scuola troppo presto e rimasi ad aspettare Bella. Di nuovo le sedetti accanto sempre in silenzio. Anche a mensa le ero vicino, ma non dissi nulla, la vidi passare la macchina fotografica ai suoi compagni umani, vidi lo sciocco gioco che cominciò appena scattarono la prima foto, ma nulla mi toccava.
Dopo le lezioni la accompagnai al pick-up, anche quel giorno doveva lavorare. Decisi che l’avrei lasciata in pace, che non sarei andato da lei nemmeno dopo il lavoro, nemmeno la sera. Mi presi quella giornata come prova, avrei provato resistere lontano da lei. Aspettai che partisse dal parcheggio della scuola poi di nuovo mi diressi nella foresta. Corsi, per ore, a perdifiato, gli alberi che si piegavano al mio passaggio, gli uccelli e gli animali che scappavano e si rintanavano consci del pericolo che rappresentavo. Consci della minaccia che incombeva su di loro se solo avessi deciso di mettermi a cacciare ma non era giornata, non ero ancora abbastanza assetato, mi ero nutrito più che abbondantemente il giorno prima. Il sangue del puma che avevo ucciso scorreva ancora ben forte e vigoroso nel mio corpo. Passai quasi tutto il pomeriggio nella mia folle corsa senza meta. Poi senza accorgermene ripresi la via che mi portava a Forks. Guidato da una forza invisibile giunsi a casa di Bella, ormai era buio, nessuno più vagava per la città. Vidi due luci accese, quella della sala, Charlie era come sempre disteso sul divano sfondato, e quella della sua camera. Decisi di salire su un albero per vedere cosa stava facendo. Scelsi quello che mi dava la visione migliore della sua camera, un pino non troppo alto, mi acquattai tra i rami e ringraziai l’idea che avevo avuto al mattino di vestirmi di scuro. Stava sistemando le fotografie che aveva scattato nei giorni precedenti. A un tratto ne prese e le confrontò, «Sì, decisamente, ha qualcosa che non va. Non è il mio Edward» disse. E in quel momento fui pienamente consapevole che avesse capito. In qualche modo sapeva che ero cambiato. In qualche modo intuiva che sarebbe successo qualcosa di terribile e lo temeva. Finì di riporre le fotografie e di scrivere le didascalie. Rimasi quasi tutta la notte a osservarla da lontano. Non riuscivo a staccarmene. La vidi rigirarsi nel letto faticava a prendere sonno, e poi continuare ad agitarsi. Passai la notte a guardarla e riflettere. Solo poco prima dell’alba tornai a casa, veloce, per cambiarmi d’abito. Avevo deciso. Le avrei parlato e poi me ne sarei andato per sempre. Uscendo sfiorai i tasti del mio pianoforte. Una musica lenta e triste cominciava a comporsi nella mia mente. Sarebbe stata la musica dell’addio, della mia solitudine, sarebbe stata l’unica compagna del mio futuro. 
Di nuovo una mattina lenta, vuota. Non mi interessava, non ascoltavo nulla. Ero lì presente col corpo vicino a Bella, ma la mia mente non c’era, vagava, in cerca delle parole migliori, di quelle che potessero ferire il meno possibile. Non importava della voragine che mi stavo scavando nel petto, mi importava solo che lei non soffrisse.
Fu con sollievo che accolsi la campanella della fine delle lezioni, potevo finalmente fingere di essere normale, potevo comportarmi, finalmente, in modo genuino. A Bella non dovevo nascondere nulla, sapeva tutto e conosceva il mostro e non lo temeva. Ma il mostro ora stava per annientarla, l’avrebbe ferita a morte per salvarla, le avrebbe spezzato il cuore per il suo bene. Mentre la riaccompagnavo al pick-up presi il coraggio, era inutile ormai rimandare, e le chiesi «Posso venire da te?».
«Si, certo, perché non dovresti».
«Subito?», dissi mentre le aprivo la portiera.
«Sì. Volevo solo passare a spedire una cosa per Reneè. Mi aspetti a casa? ».
Voltai lo sguardo e scorsi sul sedile del passeggero una busta voluminosa. Immediatamente intuii, le foto! Aveva deciso di mandarne una parte alla madre. Immediatamente mi venne in mente un piano. Mi allungai e lo presi «Faccio io, e scommetto che arriverò lo stesso prima di te..», sorrisi velocemente il suo pick-up antidiluviano non poteva certo reggere il confronto con la mia Volvo quanto a velocità, ma fu un lampo di un istante e poi tornai a rabbuiarmi.
«Va bene», rispose. Non le lasciai il tempo di aggiungere altro, le chiusi la porta e mi diressi alla Volvo. Salii, misi i moto e guidai agile e veloce nel poco traffico di Forks fino alla posta. Soppesai il plico. Poi lo aprii, senza rovinarlo, in modo da poterlo poi richiudere. Guardai le foto e tolsi l’unica che mi ritraeva. “Come se tu non sia mai esistito” mi dissi. Era così che volevo andarmene. Volevo che lei vivesse come se non mi avesse mai incontrato e per questo dovevo togliere ogni mia traccia dalla sua vita. Richiusi il pacchetto lo imbucai e di nuovo mi diressi verso casa sua. Come previsto arrivai che il vialetto era deserto, decisi di parcheggiarmi al posto che di solito occupava Charlie, non sarei rimasto, le avrei parlato e poi sarei sparito dalla sua vita per sempre.
Arrivò pochi minuti dopo di me, la aspettavo appoggiato alla porta. Le andai incontro e le presi lo zaino togliendoglielo dalle spalle, lo poggiai sul sedile del passeggero e la guardai per un lungo istante. Aveva capito? Probabilmente immaginava qualcosa di terribile.
«Bella ti va una passeggiata? Dobbiamo parlare… », non attesi nemmeno la sua risposta, sapevo che non sarebbe arrivata, nel momento stesso in cui l’avevo guardata negli occhi vi avevo visto il terrore. Le presi la mano, mentre ancora taceva, incapace di trovare una risposta logica al mio comportamento, e la condussi nel bosco che confinava con il suo giardino, quella in cui tanto tempo prima l’avevo implorata di non entrare da sola. Era la visione di Alice che ora si concretizzava. Due persone che camminavano nel bosco, mano nella mano, una se ne sarebbe andata, l’altra sarebbe rimasta sola, sarebbe riuscita a trovare l’uscita? La visione non lo diceva..
Non la portai molto nel folto, ci fermammo appena al di là degli alberi, si vedeva ancora la casa, sarebbe riuscita a ritrovare la strada facilmente. Mi appoggiai un tronco caduto. Mi sarei strappato il cuore dal petto piuttosto che farle questo, ma dovevo, “Lo fai per lei, per il suo bene, non puoi permettere che corra altri pericoli per colpa tua” mi dissi per darmi il coraggio di parlare.
«Dimmi», disse, voleva sembrare coraggiosa, come davanti a James, voleva mostrarsi più forte di quello che era, non voleva mostrare le sue debolezze. Presi fiato. Parlare era più difficile del previsto.
«Bella, noi traslochiamo».
La sentii respirare.
«Perché? Se aspettassimo l’anno prossimo dopo il diploma...».
«Bella, non possiamo più rimandare. Fra poco la gente comincerà a parlare di nuovo di noi, e  qualcuno arriverà a capire che siamo diversi, che non invecchiamo. Dovremmo in ogni caso andarcene presto di qui».
Era rimasta perplessa, sapevo cosa sperava, voleva che ce ne andassimo io e lei, ma non potevamo. Non potevo portarla con me, il pericolo per lei derivava proprio da me. La vidi esitare, stava cercando di capire. Sostenni il suo sguardo impassibile, senza tradire nessuna emozione, decenni di finzione erano serviti a qualcosa..
«Hai detto stiamo...», sussurrò.
«Noi, i miei genitori, i miei fratelli e io». Posi l’accento su ogni parola soprattutto sull’ultima, doveva capire..
«Vengo con voi.» avevo immaginato questa sua reazione ed ero pronto.
«No, Bella. Non puoi seguirci in mezzo ad altri vampiri.».
«Il mio posto è dove sei tu».
«Ti sbagli, non sono adatto a te.».
«Non dire sciocchezze. Meglio di te non potrebbe esserci nulla per me».
«Il mio mondo e il tuo non possono coesistere, non possono intrecciarsi. »,ero risoluto nella mia decisione e non mi avrebbe smosso.
«Ma l’incidente…la festa di compleanno…Jasper…Edward non è colpa tua, non è successo nulla…non ha alcuna importanza!».
«E’ vero, era prevedibile». Ribattei freddo.
«Non puoi! Mi hai giurato che saresti rimasto con me, che non mi avresti lasciata… ».
«Solo fino a che non fosse un pericolo per te, fino a quando fosse stato per te bene. », precisai.
«NO! Non dirmi che il problema è la mia anima!», gridò, supplicò. «Carlisle mi ha detto la verità, mi ha detto quello che pensi. Ti prego non rovinare tutto, Edward, prenditi la mia anima, è già tua e senza di te non mi serve a nulla! ». “Credimi amore lo so, come la mia è già tua, insieme al mio cuore che con te ha ricominciato a battere e saranno tuoi per sempre” avrei voluto dirle quello che pensavo, quelli che erano i miei veri sentimenti. Ma non potevo, non dovevo. Presi fiato, guardai per terra. Dovevo sferrare il colpo di grazia che avrebbe ucciso il suo cuore e il mio insieme. Quando finalmente rialzai lo sguardo ero solo pietra dura, nessun sentimento traspariva dai miei occhi e dal mio corpo, ero una lastra di freddo marmo.
«Bella, non ti voglio con me». Scandii ogni parola lentamente. Ogni parola un colpo per i nostri cuori assieme. Volevo che capisse, che credesse, ma dentro di me urlavo di dolore e morivo a poco a poco.
«Tu... non... mi vuoi?».
«No». Di nuovo gelido.
Mi guardava persa. In cerca di una mia parola che non arrivò.
«Be', allora cambia tutto». La sua voce era calma ora, mi ero aspettato urla, pianti, suppliche, ma nulla di questo arrivò. Bella non era il tipo. Avrebbe pianto in silenzio, senza mostrarsi agli occhi degli altri, faceva parte del suo carattere. Sentii il bisogno di riempire il vuoto lasciato dalla sua voce. «Ovviamente, a modo mio, ti amerò sempre. Ma l’incidente al tuo compleanno mi ha aperto gli occhi. Non posso fingere di non essere un mostro. Non sono umano e ignorare la mia identità non è “utile” diciamo…sono stanco di fingere di essere qualcuno che non sono. Forse dovevo rendermene conto prima, parlarti prima..ti chiedo scusa».
«No». Sussurrò acida «Non farlo».
Le sue parole spruzzavano vetriolo, erano dette per ferirmi un poco, ma non scalfirono neppure la superficie del mio cuore ormai di nuovo freddo come pietra.
«Tu non sei la persona giusta per me, Bella». Era l’ultimo colpo. La sferzata finale.
La vidi che provava a dire qualcosa, non trovava le parole, si fermò e poi ricominciò.
«Se... ne sei certo». Sapevo bene che non si considerava all’altezza, ma mai come in quel momento avrei desiderato dirle che non era vero, che lei per me era tutto, che senza di lei non potevo vivere, ma non potevo, non dovevo farlo. Mi limitai ad annuire, non ero certo che la voce, per quanto allenata a mentire, non mi avrebbe tradito. Si paralizzò, immobile. Fu allora che mi venne in mente la fragilità della sua natura umana, quanto facilmente gli umani potessero ammalarsi, ferirsi, cercare di farsi del male di proposito… l’immagine mi assalì e il dolore fu ancora più forte. Fu per quello che aggiunsi. «Se posso ti chiederei un favore, però».
I suoi occhi furono illuminati da un lampo di speranza. Mi giurò con un filo di voce «Tutto quello che vuoi» sapevo che lo avrebbe detto. Sapevo che l’unico modo di vincolarla alla promessa era chiederglielo in nome dell’amore che io in quel momento stavo rinnegando. La guardai intensamente negli occhi, e le dissi, più un ordine che una richiesta. «Ti prego non fare nulla di stupido e insensato. Non sfidare la sorte. Capito?» annuì, ormai svuotata del tutto.
«Fallo per Charlie, stai attenta a ciò che combini… non riuscirebbe a stare senza di te.». “Neanche io amore mio, la sola idea che ti possa accadere qualcosa di male mi strazia. L’idea stessa che tu non possa vivere in eterno mi dilania, ma così deve essere, e dopo ti seguirò qualunque cosa mi aspetti.”
Annuì di nuovo. «Va bene», disse in un sussurro.
Ero un po’ più rilassato, sapevo che Charlie era l’unica altra persona che la teneva vincolata a Forks, e a lui non avrebbe mai fatto del male..
«Anche io ti faccio una promessa. Giuro che è l’ultima volta che mi vedi. Non tornerò più. Non ti metterò mai più in pericolo. Vivrai la tua vita senza più nessuna intrusione da parte mia o della mia famiglia. Sarà come se non fossi mai esistito, come se fossi morto nel 1918.».
La vidi vacillare presa dalle vertigini. Lo shock della notizia stava arrivando a fare il suo effetto. Le sorrisi dolcemente. Era comunque la mia piccola, fragile dolce Bella «Non preoccuparti. Sei umana… la tua memoria è poco più che un colabrodo pieno di buchi. Il tempo guarisce tutte le vostre ferite».
«E i tuoi ricordi?», chiese.
«Be'...». Feci una breve pausa, non dovevo pensare a me, alla sofferenza che mi aspettava. «Non dimenticherò. Ma noi ci distraiamo molto facilmente..». Sorrisi, era vero la nostra mente era molto spaziosa, ma difficilmente sarei riuscito a ignorare il mio desiderio e l’amore che provavo per Bella, speravo solo che non mi avrebbe consumato. Feci un passo indietro,verso il folto. «Tutto qui, credo. Non ti daremo più fastidio».
«Alice non tornerà». La voce non le uscì, ma capii lo stesso e scossi la testa
«No. Gli altri se ne sono già andati. Sono rimasto solo io, per dirti addio.».
«Alice se n'è andata?».
«Voleva salutarti anche lei, ma l'ho convinta che un taglio netto sarebbe stato per te meno doloroso».
Respirava ormai troppo veloce, era in iperventilazione, e in tutti i modi tentava di calmarsi senza risultato. Scosse la testa, come per mandare via un pensiero fastidioso, insopportabile.
«Addio, Bella», dissi con voce insolitamente tranquilla e pacifica.
«Aspetta!». Voleva gridarlo, ma la voce non arrivò alla bocca. Vederla così ferita, inerme di fronte alle mille spade che componevano le mie frasi mi aveva ferito nel profondo. Mi avvicinai, avrei voluto abbracciarla, baciarla, dirle quanto in realtà l’amavo, ma mi trattenni. Posai per un istante le mie labbra sulla sua fronte, l’ultimo bacio casto al mio amore.
«Fai attenzione», sussurrai e poi sparii in un vortice di vento leggero e innaturale.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: valina_babi