Perfezione
Si ricorda mille e uno descrizioni di bellezza, charme, fascino.
Vere, pure e limpide perfezioni., secondo la gente che non si chiama Edward Elric.
Gli viene in mente anche quella donna, la vecchia amica di sua madre che vive a Central City.
Quella reduce della guerra, che ora soffre di schizofrenia (“Troppe schifezze, ecco la sua malattia. Quella donna ne ha viste troppe, durante la guerra. Proprio troppe” ha detto il dottore che l’ha in cura) e quando sono entrati non ha capito chi fossero, nonostante gliel’avessero già spiegato ampiamente.
Non ha spiaccicato parola, vedendoli, lei che si ricorda a volte tutto a volte nulla, i tramonti li vede verdi e piange davanti ai bambini troppo piccoli.
Ha sgranato gli occhi, invece, poi si è alzata e gli ha preso il viso tra le mani.
Lei, che con quegli occhi scuri e velati di un panico anziano e stanco, le dita fredde che gli gelavano le ossa oltre che la pelle, è rimasta a specchiarsi nei suoi occhi chiari e gli ha detto:
-Prega, figliolo. Che tu creda o no, prega qualche dio di lasciartela. Erano anni che non la vedevo.-
E non ce l’aveva proprio fatta a resistere, Edward. Glielo aveva dovuto chiedere, anche se lei era malata, era pazza, era tutto. Era la guerra quando non c’è più nessuno che riesce a urlare.
-Vedeva cosa?-
E già lo sapeva, che qualunque risposta avesse dato non se la sarebbe scordata più.
-Una bellezza che è come dovrebbe essere ogni bellezza. Perfetta e un po’ triste.-
Gli aveva lasciato qualcosa nella gola, quella frase. Qualcosa di un sacco amaro, che anche se era difficile andava ributtato sempre giù.
*
Eppure in quell’istante, in quel preciso istante, Edward non ha nulla da buttare giù.
Non c’è bisogno di buttare più niente giù, perché tanto gli sta uscendo tutto dagli occhi quell’amaro.
Da quella massa di idee confusi e felici che ha in mente, invece, riesce ad emergere solo un filamento di coerenza: che la cosa più pura, la bellezza più vera e la perfezione più limpida esistenti e un po’ tristi se ne stanno su quella sedia a pochi metri dal suo letto di ospedale militare.
Se ne stanno lì, addormentate, perché finalmente un sonno vero e involontariamente caduto addosso possono goderselo.
Sono pure concentrate in una sola superficie: la pelle bianca e morbida di suo fratello.
Quando l’ha stretta forte dalle parti della mano destra, subito prima di svenire, ne è stato sicuro che era morbida.
Morbida come aveva sempre sospettato sarebbe stata, una volta recuperata.
*
-Niisan, ma stai piangendo?! E io
che mi sono addormentato, accidenti! Che è successo?!
Ti fanno male le ferite?!
-
-Però?-
-Però ti va di fare una cosa per me?-
-Tutto quello che vuoi, niisan. Tutto quello che vuoi.-
E il nuovo sorriso grande e luminoso di cui Ed già sa non potrà più fare a meno spunta sulle labbra del suo fratellino.
Sorride anche lui, perché mai una debolezza gli è sembrata tanto dolce, e glielo chiede:
-Siediti su quella sedia, quella di prima. Dormi. Mica tanto eh, ma per un po’ fammi questo piacere. Sta’
seduto su quella sedia. Sta’ lì,
Fine
Nota
di Melchan:
Finita.
E’ un getto da due
ore ricontrollato fino alla nausea, sistemato rileggendo a voce alta, con le
immagini che prima che su Windows sono finite nella
testa.
Come al solito per le True Colors, è ispirata al tema ”I see you in that
chair, with perfect skin” .
Ora, rileggendola
un’ennesima volta, mi sorge dubbio che mai avrei pensato
di avere, in tutta la mia carriera di fanwriter (w la modestia XD): ma ho
scritto una cosa shonen-ai? O____O
Nel caso non mi fa
problema, ma…non ne sono sicura.
Cioè, bo XD
Certamente Eddino venera
Vabuò, comunque sia è scritta col cuore è_é
Quindi chissene, io sono soddisfatta :P
Spero vi sia
piaciuta e di ricevere un po’ di opinioni spassionate ^o^
Solita e dubbiosa
ma soddisfatta
Mel