Crossover
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Autore: Siirist    07/10/2012    3 recensioni
Siirist Ryfon è un giovane ragazzo della città di Skingrad, figlio di benestanti agricoltori che sogna di entrare nella Gilda dei Guerrieri per ricevere onore e gloria. Ma non è una persona comune, discende da un'antica casata elfica, della quale fece parte millenni prima un Cavaliere dei draghi leggendario. Un giorno la sua vita cambierà drasticamente e verrà catapultato in un mondo di magia, tecnologia, intrighi politici, forze demoniache e angeliche, per poi affrontare la più grande crisi della storia di Tamriel. Questa fanfic è una crossover tra tre mondi fantasy che amo: Final Fantasy (di cui troviamo le ambientazioni, come Spira, Lindblum), "Il ciclo dell'eredità" di Paolini (di cui sono presenti molti dati, quale i draghi con i Cavalieri e il sistema della magia, ma l'ispirazione è molto libera) e The Elder Scrolls IV: Oblivion (di cui sono presenti le città). Oltre a questo ci saranno anche alcune citazioni di One Piece e di Star Wars. I personaggi principali sono tutti originali. Ci saranno alcune comparse da vari manga (Bleach, ad esempio) e in alcuni casi i nomi saranno riadattati (Byakuya), in altri saranno quelli originali (Kenpachi).
NB: il rating è arancione in quanto è adatto alla maggior parte della storia, ma in alcuni capitoli dove compaiono i demoni (non il primo che si incontra all'inizio, quello è ridicolo) gli scontri possono essere anche molto cruenti.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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LA DANZA DEL SANGUE

 

I residui organici dello spostamento della shelock si facevano sempre più freschi. Dai primi che avevano trovato ad Alftand, che Oghren aveva supposto potessero essere vecchi di un mese, erano arrivati al punto della strada dove avevano massimo una settimana. Non avendo tempo da perdere, quasi non si fermavano a riposare. Mangiavano cibo freddo mentre camminavano, Sylgja mai mostrava di essere stanca, per le pause bagno trovavano le vecchie latrine o semplicemente andavano in una via laterale. La galleria era lunga e piegava ad angolo retto diverse volte. Siirist iniziava a non sapere dove stessero andando. Più volte ebbe giramenti di testa, visioni di knurlock che non c’erano, momenti in cui il cervello gli si disconnetteva e si riaccendeva attimi, secondi, o persino minuti dopo, e lui si ritrovava a camminare imperterrito contro una parete, tutta la parte frontale del suo corpo immersa nei liquami della madre della nidiata, oppure steso a terra, prono o supino; camminava sulle mani, si metteva a girare sul posto, gli occhi vuoti, da come gliela raccontavano gli altri due. Stava impazzendo. Se quella era la corruzione tenuta sotto controllo, non voleva sapere come un leccapietre si potesse sentire dopo un’intensa slinguazzata. Lui era solo felice che leccarla alle donne non produceva quell’effetto, o si sarebbe astenuto dal farlo e Alea lo avrebbe sicuramente amato di meno. Dopo l’ennesimo mancamento, Siirist si riprese e si ritrovò seduto sopra ad un detrito, la schiena contro una parete di roccia. Sylgja era davanti a lui che lo guardava preoccupata, Oghren faceva la guardia. Alla sua sinistra, a una decina di metri di distanza, vide la galleria ricoperta di residui vomitevoli. Il nano doveva averlo portato fuori e messo a sedere quando era svenuto a terra o chi sa che altro. Strinse gli occhi e il ponte del naso con pollice e indice sinistri. Non ce la stava facendo più. Sylgja gli parlava, ma la voce gli giungeva distorta, aliena, l’immagine della ragazza oscillava ed i colori erano impazziti. Ella aveva occhi gialli, capelli verdi, pelle nera, denti rossi. I corti peli nelle narici, che poteva distintamente vedere quando gli pareva che il busto della ragazza si piegasse all’indietro, erano arancioni, le sue unghie parevano avessero ognuna uno smalto di colore diverso. Le labbra erano bianche, la lingua viola. Chiuse ancora gli occhi e si massaggiò le tempie.

‹Tutto questo non è reale, tutto questo non è reale.›

Continuò a ripeterselo ancora e ancora. Iniziò a raddoppiare i numeri, da 1 a 2, poi a 4, 8, 16, 32, 64... fino ad arrivare a 65536. Aveva imparato quel trucco quando era ancora un adolescente, quando si ubriacava e gli serviva di capire esattamente quanto la sua mente fosse reattiva.

‹Mi serve un favore.› chiese a Rorix.

‹È un’idea folle.› rispose dopo qualche secondo, capendo che cosa il suo Cavaliere volesse grazie al legame mentale.

‹È l’unico modo per essere sicuri che la smetta di collassare. Se vado ad affrontare altri sharlock, rischio di rimanerci. Appaiono senza preavviso, nemmeno il settimo senso può fare nulla, e con quegli stridii mi inibiscono. Volevo lanciare un incantesimo, ma non ci riuscivo. Nemmeno riuscivo ad usare i miei poteri demoniaci!›

‹Puoi usare una magia per mettere su una barriera che ti impedisca di sentire gli stridii, che ti difenda dai loro attacchi. Usa l’Ambizione, non lo so, ma metterti sotto un’illusione... È da matti.›

‹Fallo e basta.›

Rorix ringhiò selvaggiamente, il boato che rimbombò in tutta la torre mentale di Siirist e fino alla foresta che la circondava. Il mezz’elfo rimaneva irremovibile.

‹E va bene.› acconsentì infine in un ringhio.

L’Inferno non era un illusionista come il suo Cavaliere, ma qualcosa aveva imparato da lui e molto probabilmente era il drago più abile in tutto l’Ordine (oltre a Skimir) a lanciare illusioni mentali. La strutturò perché Siirist non avvertisse più gli sconforti causati dalla corruzione in atto; faceva anche in modo che gli stridii risultassero come i miagolii di un gatto. Più non poteva fare.

‹Vai con l’Esercito eroico quando li affronti. Potrebbe far fuori gli sharlock e, chi sa, anche la shelock. Io vado a dormire, se serve qualcosa, non esitare a chiamare.›

Quindi era ora di dormire fuori nel mondo reale. Così sotto terra, a Ryfon sembrava di essere in un’altra dimensione.

Si alzò in piedi, sano come dopo aver bevuto il sangue di Oghren. Solo che ora sapeva che non si trattava di una sensazione apparente, per quanto fosse causata da un’illusione.

«Andiamo ad ammazzare qualche knurlock.» disse carico.

Gli altri due lo guardarono stupiti mentre si incamminava lungo la galleria principale evitando i grumi di residui più grossi. Siirist era ora ricoperto da testa a piedi di sangue e altri schifi di quei mostri sotterranei ed era più che intenzionato a ritornare il prima possibile a Tronjheim per lavarsi adeguatamente. Ma non prima di massacrare tutti quei luridi figli di puttana. Ragazza e nano non obiettarono, non chiesero, semplicemente seguirono.

Non ci volle molto prima che una banda di hurlock bloccasse loro il passaggio. Senza che potessero fare niente, Siirist liberò il colore del re che li stordì tutti; prese una spada dalla mano del più vicino e un’ascia dal secondo; continuò a camminare sempre dritto, decapitando tutti gli hurlock a cui passava accanto. Quando fu arrivato alla fine del gruppo di nemici, lanciò l’ascia che roteò in aria finché andò a piantarsi nel cranio di uno dei mostri. Siirist riprese a muoversi lungo la galleria e lasciò ad Oghren il compito di sbarazzarsi dei knurlock a cui non aveva badato.

 

«Dovremmo riposarci ora.»

Siirist si fermò di colpo, richiamato dal suggerimento del nano. Lo fissò.

«I residui sono diventati molto freschi, siamo vicini al nido. Questo potrebbe essere l’ultimo thaig prima della shelock. Non so cosa ti abbia preso, ma è bene fare una pausa prima di raggiungere il nido e affrontare l’intera orda di knurlock.»

Ryfon guardò da nano a ragazza. Sylgja era distrutta. La vedeva, a malapena si reggeva in piedi, gli occhi quasi le si chiudevano, era debole e affamata. Senza l’illusione di Rorix, effettivamente, il mezz’elfo non sapeva quanto sarebbe resistito ancora. Si analizzò internamente, operazione resa più difficile senza l’ausilio della magia organica, ma comunque possibile con le sue abilità mentali: non era messo tanto meglio di lei. Strinse la mandibola nel deglutire, la bocca secca, le labbra serrate e sgretolate. Gli occhi guizzarono ai lati della testa.

«D’accordo.»

Esplorarono il thaig per assicurarsi di non venire assaliti e allestirono l’accampamento. Sylgja e Oghren mangiarono senza tanti preamboli e senza proferire parola. Siirist pure rimase in silenzio, ma a malapena toccò cibo. La ragazza se ne accorse. Le sorrise e addentò il pezzo di pane vecchio che teneva in mano. Non vedeva l’ora di tornare a Tronjheim e mangiare un buon pasto caldo. Se faceva attenzione ai funghi delle profondità, Siirist apprezzava la cucina dei nani, per quanto a volte fosse esageratamente piccante, ed era certo che pure Rorix l’avrebbe amata. Ma più di tutto avrebbe voluto una piccola cena cucinata da Alea in cui lui avrebbe aiutato. Poi insieme avrebbero mangiato con una candela tra loro, guardandosi negli occhi e sorridendo.

Oghren e Sylgja si misero a dormire, ma Siirist non riusciva a chiudere occhio. Quando la ragazza si svegliò, aprì gli occhi per vedere il mezzo demone fissarla con occhi malati, che emanavano una luce strana.

«Tutto a posto?» gli si avvicinò.

No, non era tutto a posto. La fame lo stava divorando, stava facendo tutto ciò che era in suo potere per non assalirla e strapparle a morsi la giugulare.

«Sveglia Oghren, è ora di ripartire.»

Con un po’ di fortuna, la battaglia che lo attendeva lo avrebbe soddisfatto e avrebbe acquietato la sua voglia di sangue.

Di nuovo intrapresero la galleria ricoperta da residui organici e dopo una decina di minuti, il settimo senso del ladro iniziò a trasmettergli una sensazione come di solletico. C’erano nemici nelle vicinanze.

«State in guardia.» mormorò.

Giunsero alle sue orecchie dei suoni leggeri di zampe appuntite che velocemente e agilmente si muovevano lungo quella strada vomitevole. No, non era solo lungo la strada; il suo fine udito elfico gli disse che qualunque cosa stesse arrivando, lo stava facendo anche lungo le pareti e attaccata al soffitto. I suoni erano tanti. E sì, ecco i rumori più pesanti di un genlock che correva su quella distesa nauseante di materiale organico.

«Genlock, parecchi. E... non lo so, una qualche sorta di insetto?»

Siirist si vide arrivare addosso una creatura grande quanto un cavallo che ricordava un centopiedi, se non per la grande testa simile ad un cobra. Era ricoperto da un esoscheletro nero, all’apparenza molto duro e resistente. Il mezz’elfo lo ricollegò subito alle armi dei knurlock e al forziere.

Afferrò il mostro con la destra sul “collo”, se così si poteva chiamare, impedendogli di addentarlo, ma esso sputò del veleno verdastro che bruciò la pelle, e soprattutto gli occhi, del biondo. In un ringhio lasciò la presa, chiuse gli occhi e abbassò la testa, facendo un passo indietro. Sentì la familiare sensazione dei capillari nei bulbi oculari ingrossarsi e i denti gli formicolarono, accennando una trasformazione in demone involontaria. Era così arrabbiato, spazientito e affamato che il suo lato demoniaco stava prendendo il sopravvento dopo tutti quegli anni, e pure la sua forma draconiana si risvegliò. Quello sarebbe stato pericoloso. Trasformarsi in draconiano in quella condizione mentale instabile lo avrebbe ridotto ad un mostro privo di ragione come era accaduto a Vroengard contro Raiden. Entrò in stato di calma assoluta e represse entrambe le trasformazioni, rimanendo con il suo aspetto di base da mezz’elfo. Ma intanto il centopiedi lo aveva assaltato di nuovo, accompagnato da un altro. Oghren non aveva modo di aiutarlo, impegnato com’era a evitare di essere sopraffatto mentre proteggeva la fragile ragazza. Il nano era dotato di una forza, una durabilità e una maestria con l’ascia lodevoli, tratti che avrebbero fatto vergognare qualunque dei Campioni della Gilda dei Guerrieri, ma non si poteva negare che negli ultimi giorni avessero sostenuto dei ritmi pazzeschi e nessuno di loro era al massimo della forma. Ryfon pensò all’Esercito eroico, ma doveva vaneggiare per solo aver pensato un momento a poterlo usare nel suo attuale stato mentale. Stesso discorso per le illusioni reali di più basso livello. Manipolare le menti dei nemici era inutile, erano troppo deviati perché Siirist, con le sue abilità, potesse farci niente. Adeo certamente avrebbe potuto calmare knurlock e centopiedi, oppure li avrebbe potuti far uccidere tra loro, e senza nemmeno entrare in stato di calma assoluta, ma Ryfon non era ancora a quei livelli. No, non era quello il modo di procedere. E se non voleva usare alcun potere mistico o demoniaco, non c’era altra soluzione.

In un ruggito draconico, il Cavaliere d’Inferno spinse via con forza gli insetti che lo avevano sovrastato, mandandoli a schiantarsi contro una gigantesca bolla nella parete che esplose in una fontana di sangue putrido misto ad altri liquidi che era meglio non analizzare troppo attentamente. Represse l’animo draconiano e le pupille ritornarono normali, le iridi rosso sangue. Le zanne si appuntirono e gli artigli si affilarono; la sua rigenerazione vampirica incominciò subito a guarirgli gli occhi. Un genlock gli corse incontro, ma non fece in tempo a fare nulla perché un altro centopiedi lo assaltò, schiacciandolo a terra e riversandogli addosso il suo veleno. Tra le altre cose, quegli insetti mostruosi pesavano come minimo trecento chili, e lui era così indebolito che quel peso era diventato considerevole. Lo spinse via e subito assestò un pugno in faccia al genlock. Un centopiedi lo attaccò alle spalle, mettendolo in ginocchio; con un ringhio lo afferrò per la testa e lo lanciò in avanti. Era ridicolo come lui, con la sua immensa forza, si stesse trovando in difficoltà con dei miserabili insetti e delle mezze seghe tanto stupide da finire con il leccare dei sassi e venire mutati in degli sgorbi. La forma draconiana era stata perfezionata, eppure ora la sentiva andare fuori controllo. Si stava lentamente trasformando nel corpo e nella mente, ma non avvertiva l’incremento di douriki fisici. Piuttosto si sentiva indebolito. La sua mente stava perdendo il controllo, ma anziché diventare la bestia in preda alla furia più cieca che aveva imparato a domare grazie agli insegnamenti di Eleril, si sentiva più come un verme decerebrato, e la sua forza fisica era degna di questo nuovo stato mentale. Nonostante l’illusione di Rorix, la corruzione dei knurlock stava mandando a puttane i meandri più profondi della sua psiche. La forma draconiana era solo un inconveniente al momento, ma il mezz’elfo era così arrabbiato che non riusciva a reprimerla.

‹Sei patetico.›

La voce fin troppo conosciuta del suo alter ego richiamò l’attenzione di Siirist. Aveva ragione. Con un ringhio tutto demoniaco che non aveva niente di draconico, liberò una tremenda onda di energia elettrica che fulminò tutti i nemici, carbonizzandoli. A causa della sua situazione mentale, il mezzo demone non aveva avuto l’abilità necessaria per far girare i suoi fulmini attorno ai due alleati, perciò aveva pensato di risparmiare del tutto il punto in cui si trovavano. Invece estese il braccio che si protese in avanti sotto forma di ombra, la mano che si ingrandiva a sufficienza per afferrare un genlock e stritolarlo. Dall’avambraccio si formarono altre due mani che schiacciarono due centopiedi contro il pavimento, attraversando i liquami, che esplosero in una fontana nauseante, e raggiungendo la roccia.

«Tutto bene?»

Oghren incominciò a ridere, ma Sylgja lo guardò preoccupata. Non tanto perché aveva appena usato ciò che la ragazza poteva aver scambiato per magia, quanto a causa di ciò che vide in faccia al biondo. Egli era bianco come un vampiro comune, madido di sudore, gli occhi arrossati e non solo nelle iridi, il fiato era pesante. Gli si avvicinò preoccupata.

«Come stai?»

«Male...» deglutì a fatica.

Il fiato corto, Siirist aveva difficoltà a respirare. Si mise seduto, troppo stanco per preoccuparsi di essere seduto sopra alle schifezze del corpo della shelock. Tanto ci era finito dentro con la faccia in più di un’occasione ed era completamente ricoperto di materiale organico, quindi non faceva poi tanta differenza.

‹Tanta fatica per degli esseri così inferiori che dovresti schiacciare mentre cammini senza nemmeno accorgertene? Magari adesso inizi a farti sottomettere dalle formiche per strada. Potresti portare le spade per Akira, o lavare i piedi di Tomoko.› disse disgustato il falso.

‹Stai zitto.› rispose con difficoltà, febbricitante sul suo trono.

‹Dovrei essere io seduto lì, non tu, miserevole umano! IO sono il demone, IO sono il sangue di Obras! Senza di me non saresti nulla!› sbraitò, colpendo violentemente le sbarre della sua gabbia.

‹Ho detto di stare zitto!›

Siirist ebbe un capogiro e cadde di lato. Maledizione. Maledizione, maledizione! Non perse i sensi solo grazie a Sylgja che gli schiaffeggiò la faccia.

«Non pensare nemmeno di svenire ora, abbiamo ancora un nido di knurlock da sterminare. Potrai riposare dopo.» cercò di incoraggiarlo.

Ryfon cercò di rispondere, ma non ne aveva la forza.

«Porca puttana, Siirist! Se ti fermi ora, sarà solo peggio! Dobbiamo andare avanti! Sbarazziamoci di questi mostri e poi torniamo subito a Tronjheim!»

Aveva ragione. Siirist si concentrò. L’illusione di Rorix era ancora in atto, per quanto fosse troppo debole per neutralizzare tutto il casino che aveva in testa, perciò la rinforzò personalmente. Si sentì subito meglio. Si rialzò, il respiro di nuovo normale, per quanto il colorito non fosse migliorato, e guardò verso gli altri due.

«Andiamo.»

Si rimisero in marcia e in mezz’ora raggiunsero il nido. Molto probabilmente era stato un palazzo o una residenza importante di qualche sorta. L’intero thaig era una distesa di vomitevoli residui organici, violacei e rossastri. Era come camminare all’interno del corpo di un grosso mostro, grandi bolle pulsanti di Obras solo sapeva cosa disseminate per il pavimento, sul soffitto trenta metri in alto, lungo le pareti. C’erano bozzoli, pile di ossa, fuochi. E tanti, tanti knurlock, più di quanti Siirist avesse potuto immaginare. Con una rapida perlustrazione mentale, individuò circa ottocento genlock, trecento, trecentocinquanta hurlock, una settantina di sharlock e, al centro del thaig, nell’edificio principale le cui pareti erano completamente vischiose e vive, una massa disgustosa che il mezz’elfo non volle vedere più chiaramente. L’avrebbe vista quando fosse andato a distruggerla, con i suoi due occhi. Ma sentire la presenza di creature viventi con la mente era qualcosa di più profondo, entrare in contatto con le loro coscienze poteva essere difficile. Dagli altri knurlock percepiva una sofferenza, una fame, una rabbia, un’urgenza di qualcosa che lo faceva star male. Gli ricordava il suo lato oscuro, per certi versi si sentiva sulla loro stessa onda, e ciò gli faceva rivoltare lo stomaco. Ma quello che avvertì nel toccare la mente della shelock era stato di gran lunga peggio. Essa era puro desiderio, un desiderio di cibo e un desiderio di sesso. I nani gli avevano detto che le shelock non facevano che accoppiarsi per sparare fuori tanti piccoli e (non) teneri knurlock che avrebbero portato tanta gioia e distruzione nel mondo, ma la shelock non ne aveva mai abbastanza. Voleva sempre accoppiarsi, con più di un maschio alla volta, voleva sempre mangiare. La sua mente era un ammasso di avidità e follia, una voglia contorta, deviata, che lo repelleva. La mente di Ryfon aveva toccato quella della knurlock femmina per nemmeno un secondo, che ne era dovuto fuggire. Represse un conato di vomito, causato principalmente da lei, e la vista del resto del thaig di certo non aiutava, prima di prepararsi ad affrontare l’apparentemente infinita ondata di nemici in arrivo.

Aveva dato le sue armi a Materia a Oghren, dicendogli di divertirsi. Non ne aveva bisogno, aveva capito cosa doveva fare per mantenere il più possibile il controllo sulla sua forza e la sua mente. Fanculo alla grazia degli elfi, avrebbe gioito nella danza del sangue dei demoni. Richiamò il suo sangue demoniaco e si trasformò; nemmeno badò di togliere la tunica perché sapeva che l’avrebbe buttata via, stracciata e insozzata com’era. Le sue ali la lacerarono quando si aprirono in tutta la loro estensione. Le ripiegò e camminò tranquillamente incontro ai nemici. Le mani gli tremavano, la bocca gli salivava. Sentiva i brividi negli artigli e nelle zanne, voleva squartare, sbranare, strappare. Prima si era sentito male a quel modo non solo per via della corruzione, anche la fame lo stava attanagliando; l’aveva repressa per troppo tempo, non aveva ucciso, non aveva fatto sesso, e la carne che aveva mangiato non era certo stata abbastanza. Ora si sarebbe soddisfatto. I primi genlock erano a pochi metri da lui quando estese le ali e balzò in avanti, roteando su se stesso. Falciò tutti i nemici che entravano in contatto con lui all’altezza della vita; quando incontrava un hurlock, alzava l’ala perché potesse prendere anche i knurlock più alti appena sopra le anche, poi la riabbassava per il genlock che seguiva. Dopo aver tagliato in due sessantadue nemici, allungò il braccio sinistro nell’esatto momento in cui fermò la sua rotazione mortale; afferrò per il capo un genlock, lo tirò a sé, appoggiò la mano destra sulla spalla e spinse mentre continuava a tirare con la sinistra: gli strappò la testa in un getto di sangue che lo inondò. Scagliò la testa contro la fronte di un hurlock, spaccandogli il cranio. Estese le ali e le mosse verso l’alto, tagliando verticalmente a metà due knurlock. Il settimo senso lo avvertì del pericolo imminente alle spalle, che evitò con un passo laterale verso sinistra. L’hurlock che lo stava caricando con la spada protesa in avanti si ritrovò con il cuore strappato dalla schiena. Siirist alzò la gamba sinistra e roteò di novanta gradi sul piede destro per menare un calcio laterale in faccia ad un genlock, poi alzò ancora di più la gamba e roteò ancora sul piede per prendere un hurlock su uno zigomo e spezzargli il collo nel momento in cui estese le ali per trafiggere il petto di altri due mostri. Ritrasse le ali e balzò in aria, roteando su se stesso e schizzando sangue dalle sue lucide penne nere. Alzò la gamba sinistra, il ginocchio a contatto con il naso. Abbatté il tallone con l’irruenza di un tuono contro il capo di un hurlock, facendone esplodere il contenuto. Fece forza sulla gamba sinistra e alzò la destra per schiacciare la faccia di un genlock che gli stava correndo incontro; la potenza del colpo gli staccò la testa dal corpo. Sbatté le ali e si alzò in volo, ritornando a terra solo per falciare altri knurlock.

Non sembravano finire mai, e lui continuava ad ucciderne. Ancora, ancora, ancora, ancora e ancora. Di nuovo e ancora, ripetutamente, sempre di più, ancora, di nuovo e ancora. Si bagnava nel loro sangue, godeva in quell’esplosione di liquido scuro, nero. Non era come Oghren, che veniva inondato dal sangue delle sue vittime perché semplicemente non gli interessava di evitarlo. Siirist si faceva sporcare appositamente. Non era il vivido sangue rosso che aveva imparato ad amare, quello che soddisfaceva il suo appetito, altrimenti avrebbe sempre tenuto la bocca aperta per bere. Ma la sua fame era placata da quel massacro. Afferrò due hurlock per la testa e li sbatté uno contro l’altro, spezzando i loro crani. Infilò le mani nel petto di altri due hurlock, strappando loro il cuore. Trafisse la gola di un genlock con la mano messa a lama, con la punta delle ali trapassò l’addome di altri due, poi li falciò con un avvitamento sul posto a cui seguirono diverse decapitazioni. In venti minuti il thaig era completamente ripulito e fu allora che arrivarono gli sharlock, consci che la situazione poteva essere diventata pericolosa. E per Obras se avevano ragione. I loro stridii stordirono Sylgja che perse la presa del suo fucile, ma Oghren, avvolto dalla sua aura arancione, ne fu immune, e continuò a fare a pezzi i knurlock che li stavano attaccando, proteggendo sé e Orla. Lanciò un profondo e possente urlo e la ragazza fu di nuovo attiva, dando fuoco (aveva preso lei il lanciafiamme) a tutti i nemici a cui sparava. Loro non sembravano avere difficoltà, bene. D’altronde tutti i knurlock parevano aver capito chi dei tre invasori fosse veramente quello pericoloso e che avevano bisogno di tutte le loro forze per eliminarlo. Come se avessero avuto anche solo una piccola speranza.

Siirist incrociò le ali, decapitando uno sharlock, e le riaprì, mozzando il capo ad un altro. I rimanenti otto sharlock che lo avevano circondato sparirono, muovendosi quasi istantaneamente indietro di dieci metri. Lanciarono tutti insieme uno stridio, ma l’illusione di Rorix impediva al suo Cavaliere di sentirne gli effetti. Sorrise e pure lui si mosse al massimo della velocità che i suoi 500mila douriki gli conferivano. Il suo movimento fu invisibile all’occhio nudo e riapparve fra due sharlock: con le mani posizionate a lama li decapitò nel momento in cui estese le ali per falciarne altri due. Ma sapeva che quel tipo di attacco non era sufficiente per sbarazzarsi definitivamente di quella tipologia di knurlock. Con un movimento rotatorio mosse le ali per fare a pezzi i quattro sharlock e gli altri che lo circondavano. Le ali si muovevano verso l’alto e verso il basso, riducendo il corpo dei nemici a brandelli. Gli sharlock erano rapidi e agili, degni del loro retaggio elfico. Siirist non credeva che così tanti elfi fossero stati corrotti, piuttosto era possibile che la shelock fosse originariamente stata un’elfa. Eppure erano presenti anche moltissimi hurlock, anche più degli sharlock. No, non aveva importanza: tutto ciò che contava era il massacro.

Siirist balzò in avanti con le ali rivolte davanti a sé. Tagliarono in due i nemici che ne vennero colpiti e subito dopo afferrò due hurlock per il mento, le dita che avevano penetrato la loro gola. Strappò la mandibola e entrambi caddero. Alcuni degli sharlock che non aveva sufficientemente fatto a pezzi si stavano rigenerando e si preparavano a riattaccare. Bene, non sarebbe stato soddisfatto se il combattimento fosse stato così breve. Sorrise felice, il viso imbrattato dal sangue nero dei knurlock, saliva che colava dalle labbra, gli occhi che brillavano di una nuova, intensa luce. La sua brama di sangue non aveva mai raggiunto livelli simili. Era inebriante, soddisfacente. Sentiva di voler uccidere, uccidere ancora e ancora. Nella sala del trono della sua torre mentale, le pareti erano ricoperte di sangue, completamente riverniciate di rosso, con gocce che colavano. Immagini ci si formavano, macabre, grottesche ombre nate da giochi di luce sul liquido rubino. Mostravano zanne, artigli, ali, sorrisi maniacali, occhi con espressioni omicide. C’erano scene di mutilazioni, squarciamenti. Seduto sul suo trono, Siirist era circondato da parole che comparivano a mezz’aria, anch’esse scritte con sangue gocciolante, parole che sentiva anche come disperati e sofferenti sussurri.

Sangue, Morte, Sangue, Morte, Morte, Uccidi, Sangue, Distruggi, Massacra, Morte, Sangue, Sofferenza, Piacere, Sangue, Uccidi.

E dietro c’era il falso, nella sua gabbia, che rideva, le sbarre della sua prigione che tremavano violentemente.

I tatuaggi del Sigillo di sangue apparvero sugli avambracci di Siirist, rosso brillante, mentre lui continuava a trucidare. Sapeva che gli sharlock non morivano così facilmente, ed era proprio quello il divertimento.

Sentì qualcosa richiamarlo, qualcosa attrarlo da un’altra dimensione. Si sentiva incompleto, sentiva che parte di sé era da un’altra parte e che il suo bisogno di uccidere non si sarebbe placato senza quel qualcosa. Il suo sorriso si allargò solo di più quando comprese che cosa gli mancasse. Portò il braccio sinistro in avanti, ruotato, il palmo rivolto verso l’esterno. Da esso si liberò l’energia necessaria a formare il sigillo rosso/argento dell’aquila e nella sua mano si materializzò Agar hyanda. La portò verso l’alto in un movimento che tracciò una semicirconferenza in senso antiorario. Si guardò intorno, assaporando il momento, sentendo la sua anima diventare un tutt’uno con quella della sua spada. Compì un altro quarto di circonferenza fino a che ebbe il braccio parallelo al terreno con la punta rubina rivolta esternamente. E in uno scattò menò un tondo manco dritto, più trascinato dalla spada che mosso dai suoi muscoli, che spazzò via tutti i knurlock che aveva davanti come fossero stati degli insetti. La forza del colpo creò un’area simile a quella di un trapezio equilatero, in cui il lato corto era il percorso segnato dalla punta di Agar hyanda, da cui si diramavano i lati obliqui che formavano con il lato corto un angolo interno di 135°. Tutti quelli che erano stati all’interno di questo ipotetico trapezio erano stati ridotti in innumerevoli e minuscoli pezzi. Oghren, con Sylgja dietro di lui, si era trovato esattamente a mezzo centimetro dal lato obliquo e non sentì nulla del devastante tondo se non una leggera brezza.

Agar hyanda vibrò di felicità, ma ora voleva un contatto diretto con le sue vittime e voleva assaporarne il sangue. Il suo padrone era lungi dal deluderla.

Si voltò e incominciò a menare la spada con una ferocia e una gioia nel massacrare mai provata fino a quel momento. Era bello come i knurlock non avessero alcun istinto di sopravvivenza, altrimenti sarebbero fuggiti, obbligandolo a mettersi al loro inseguimento. Invece si lanciavano contro di lui, permettendogli di semplicemente muovere il braccio e farli a pezzi, la lama di Adamantite che tagliava i loro corpi come se il mezzo demone stesse menando colpi all’aria.

Lentamente Siirist si mosse verso la grande residenza al centro del thaig, che aveva supposto essere dove la shelock aveva fatto il suo nido, e quando vi entrò, trovò l’essere più ripugnante mai visto in vita sua.

Uccidila, gli disse una voce nella sua testa, un sussurro di donna, sensuale e perverso, e lui era più che felice di assecondarla.

La shelock era al centro di una sala rivestita di materiale organico come tutto il resto del thaig. Essa era un colossale ammasso di grasso flaccido, impossibile da riconoscere come nana, umana o elfa. La pelle era grigia e cadente, piena di rotoli, con seni che le ricoprivano tutta la pancia e la schiena. La metà inferiore del corpo era un globo di orrendi tentacoli a cui il mezzo demone vide attaccati numerosi hurlock. Probabilmente erano nel mezzo di un caldo accoppiamento. Molto romantico. Probabilmente Siirist avrebbe vomitato se fosse stato in sé. Purtroppo per i knurlock quello non era il caso. Mosse il braccio sinistro quando un tentacolo spuntò dal terreno e lo avvolse, ma dopo una scossa di fulmini rubini, esso si ritrasse. Sharlock e hurlock attaccarono l’invasore, ma questi avvolse la lama di Agar hyanda di fiamme azzurre e la mosse davanti a sé, liberando in avanti l’energia dell’arte demoniaca che diede fuoco a tutto ciò che di organico c’era in quel luogo. Il crepitio e l’odore di carne bruciata si propagò per tutta la stanza assieme ai suoni sofferenti dei knurlock. Il modo in cui si incendiò la shelock particolarmente colpì Siirist. Tutto il suo grasso produsse una fiamma dall’aspetto spettrale, grigiastra, quasi trasparente se non per un’anima rosso-arancio.

Per quanto Ryfon amasse sentire gli urli sofferenti delle sue vittime, il terribile puzzo che lo investì era diventato insopportabile oltre ogni immaginazione, dunque puntò in avanti la sua spada, alcune rune lungo la lama che brillarono dello stesso colore del suo fuoco azzurro.

«Incenerimento.»

Tutte le fiamme incrementarono il loro potere ed esplosero in una grande luce azzurro/violacea che lasciò intatto ciò che un tempo i nani avevano costruito, ma rimuovendo ogni traccia del nido e dei suoi abitanti. Soddisfatto, il mezzo demone stava per rimandare Agar hyanda a Oblivion quando sentì dei passi dietro di sé. Stava per voltarsi e tagliare chi gli stava correndo incontro, ma una tremenda fitta gli percorse tutto il corpo, perse la presa della spada, cadde in ginocchio con le mani a stringersi la testa e capì che l’illusione di Rorix era stata dissipata.

‹Che sta succedendo?!›

‹Dovrei chiedere lo stesso a te! Eri assalito da una brama di sangue senza eguali! Hai invocato Agar hyanda e usato l’arte della Vampa! Sei pazzo?! Hai usato arti mistiche! E stavi per attaccare Sylgja e Oghren!› gli rispose il drago.

Siirist si guardò gli avambracci e vide i suoi tatuaggi ritornare ad essere neri. La gabbia del falso smise di tremare e le sbarre, che si erano piegate, ritornarono dritte.

‹Guastafeste.› commentò questi con tono apparentemente noncurante, ma palesemente acido e furioso.

‹Grazie.› disse il vero.

‹Figurati, ci sono sempre per te.› rispose gentile il suo compagno mentale.

«Cos’è successo qui?!» esclamò Oghren.

«Eliminato la shelock e i suoi amichetti. Niente di che.»

«Così velocemente?»

«Non è così difficile se dai loro fuoco con fiamme che bruciano a tremila gradi.»

Sylgja guardò preoccupata verso il mezzo demone. Stava per dire qualcosa, ma Ryfon scosse la testa e lei rimase zitta. Oghren si guardò intorno con meraviglia, poi posò lo sguardo su Agar hyanda a terra e sul suo proprietario dai capelli rossi e le grandi ali nere.

«Non sono un esperto di umani, ma da quello che so, non avete le ali. E nemmeno gli elfi, o i mezz’elfi come te dovrebbero averne.»

«Amico mio, non posso darti torto.» rispose a fatica Siirist.

«Sei un demone?»

«In parte. Spero non sia un problema.»

«Per me potrebbe saltare fuori che sei un incrocio tra un millepiedi e un ragno gigante, sarai sempre il mio compagno di bevuta che ha preso per il culo tutta la casta nobiliare!» rise sonoramente.

«Lieto di sentirlo.» sorrise.

«Quella è la tua spada? È forte. Capisco perché dicevi che avrebbe potuto rivaleggiare con l’ascia di marmo nero dei Dorrak.»

«Già, ma è pericolosa.»

Siirist puntò la mano in direzione di Agar hyanda e la rimandò a Oblivion attraverso il sigillo rosso/argento dell’aquila. Il nano si guardò intorno.

«Non avrai mica incenerito anche i tesori che erano probabilmente stati radunati qui? Come il corno, ad esempio?» suppose.

«No, mi sono solo liberato di materiali organici. Ma a proposito di tesori... Già che ho usato le arti mistiche, tanto vale farlo ancora. Canto del leone.»

Diede vita al suo famiglio di fuoco d’Inferno che mandò al forziere dove avevano trovato l’incudine ingemmata. La fiera fiammante partì in corsa e dopo qualche falcata parve dissolversi, solo per riapparire all’uscita del thaig e di nuovo scomparire. Era veloce. Il mago usò anche un incantesimo organico per sbarazzarsi del problema della sua corruzione; rimase orripilato nello scoprire che non ne era in grado, non importava che cosa facesse. Lo disse ai compagni e Oghren raccomandò di andare a vedere il guaritore personale di Durin che aveva aiutato lui in passato. Siirist annuì, ma decise di farlo dopo aver trovato i tesori mancanti e, per il momento, si applicò un incantesimo organico che avrebbe tenuto a bada la corruzione come stava facendo prima l’illusione di Rorix. Si mise in piedi e disse di cominciare a cercare il corno. Dopo dieci minuti si stufò e riutilizzò il metodo usato a Ilirea per localizzare la formula di Adamantio.

«Niente, in questi thaig non c’è la minima traccia di un corno da bevuta.»

«E se fosse ancora nel palazzo di Mzulft? I knurlock sono attratti a ciò che luccica, potrebbero aver ignorato il corno.» suppose Sylgja.

«Sono io il nano, perché ci hai pensato tu e non io?!»

«Perché tu hai birra e tette nel tuo cervello peloso, a differenza mia. E io ho dato ascolto a Durin mentre mi spiegava dei knurlock.» rispose con un sorriso.

Oghren ruttò.

«Giusto.»

Siirist e Sylgja scossero la testa ridendo. Il mezz’elfo ebbe un’immagine mentale del forziere attraverso gli occhi del suo famiglio e dislocò la cassa piena di ricchezze ai suoi piedi mentre il famiglio si dissolveva per davvero. Oghren saltò indietro per la sorpresa di vedersi comparire davanti il forziere; il mago gli spiegò che cosa fosse successo e quello, imprecando, rise. I tre si misero in cerca della strada che li avrebbe condotti verso l’alto, con il forziere che levitava dietro di loro.

«Sicuro sia saggio continuare a usare la magia? Non avevi detto che il Consiglio ti può rintracciare se lo fai?»

«Sì, ma ormai ho fatto uso di magia e invocazione, sapranno già che sono qui, tanto vale continuare ad usare il misticismo finché sono oltre Orzammar. Anche se il Consiglio sa dove sono, nessun Cavaliere può andare oltre Orzammar senza distruggere tutti i tentativi di riconciliazione con i nani che ci sono stati negli ultimi cinquemila anni. Il problema sarà trovare un modo per lasciare Orzammar: sono sicuro che i Cavalieri appostati saranno tutti fuori pronti ad accogliermi. Probabilmente avranno anche messo su una barriera per individuare la mia presenza, qualunque cosa io cerchi di fare per nasconderla.»

«Non è ancora ora di partire, hai tempo per pensare ad un piano.»

Siirist le sorrise e le scompigliò i capelli.

 

Aulauthar stava apprezzando il piacere di una tazza di tè freddo nella sua stanza quando sentì qualcuno bussare alla porta.

«Avanti.» disse con tono gentile.

Ad entrare fu Enmon, della settima brigata. Aveva oltre due secoli di vita, era propenso ad usare una daga assieme alla sua spada, aveva uno stile di combattimento molto rapido e agile, era specializzato in magia e stregoneria basate sugli elementi oscurità, terra e acqua. Era un discreto alchimista e, più importante di tutto, era un membro della Gilda dei Ladri. Il Cavaliere d’argento capì subito perché il ladro fosse venuto da lui.

«Prego, accomodati. Vuoi una tazza di tè?»

Il ladro chiuse la porta e si accomodò sulla sedia che il Consigliere gli stava indicando. Accettò la bevanda che gli veniva offerta con un sorriso ed un cenno della testa.

«Tutto bene? Come sta tua sorella?» si interessò l’altmer.

«Molto bene, grazie, sebbene non ami particolarmente il freddo. Stare per anni di guardia davanti ai cancelli di Orzammar può diventare stancante. Però non ha molto di cui lamentarsi, dice che le persone che passano per lì possono essere molto interessanti. Giusto qualche giorno fa dice di aver visto un bel ragazzo con capelli biondi e occhi azzurri. E può sembrare strano, ma era quasi certa avesse le orecchie a punta! Divertente, non credete?» e rise.

Aulauthar concordò. Siirist era passato a Orzammar? Perché? E perché la Gilda glielo stava dicendo, perché ora?

«Ma non importa quanti bei ragazzi possa vedere, è stanca di stare lì al freddo, specie quando sa che io sono qui al caldo.» ridacchiò e prese un sorso di tè.

«Posso solo immaginare. Nemmeno io sono un grande amante delle temperature basse, soprattutto quelle dei Beor. Ma nemmeno il caldo troppo afoso mi piace, ecco il perché di una bevanda fresca.» alzò il suo bicchiere.

Enmon fece altrettanto ed entrambi bevvero contemporaneamente.

«Non trovo io abbia molto di cui lamentarmi. Il clima qui a Vroengard è molto più gradevole che in altri luoghi. Come il deserto di Dalmasca, ad esempio.»

Aulauthar fissò i suoi intensi occhi verdi sull’umano che aveva davanti. Prese un sorso del suo tè e continuò ad ascoltare.

«Deve essere terribile stare lì, senza poter usare il misticismo per mitigare la calura. Almeno a nord si trova la Foresta Antica, con la sua aria di casa, mentre a sud ci sono solo i Beor, con i loro alti picchi e le sole abitazioni sono nelle loro viscere. E la maggior parte nemmeno è più abitabile.»

In mezzo a Dalmasca senza poter usare le arti mistiche, due destinazioni, una delle due “casa”. Aulauthar sorrise e annuì. Enmon svuotò il suo bicchiere con un ultimo sorso.

«Vi ringrazio per il tè, Aulauthar. È sempre un piacere parlare con voi.»

Si alzò e aprì la porta, portando un altro Cavaliere a battere il suo pugno a vuoto.

«Scusami tanto, non sapevo fossi lì.» disse con aria bonaria Enmon.

L’altmer rise tra sé e sé, sicuro che il ladro avesse percepito l’arrivo del nuovo Cavaliere con il settimo senso e che avesse abbandonato la stanza appena in tempo. Il Consigliere guardò verso il dunmer appena giunto e lo vide con un’espressione seria.

«Aulauthar, Ashemmi ha convocato il Consiglio.»

Questa sarebbe stata bella. Il Cavaliere d’argento guardò verso il suo compagno mentale che riposava sul tappeto. Questi si alzò e seguì l’altmer fuori dagli alloggi degli anziani e fino alla Sala del Consiglio.

«Sono felice tu abbia deciso di convocarci tutti.» sorrise alla donna.

Ashemmi lo fissò con odio.

«Non siamo noi che abbiamo deciso di tradire le nostre leggi.»

«Ci dipingi come dei criminali. Se uno di noi impazzisce e la maggioranza lo segue, è solo il dovere della minoranza mostrare loro l’errore delle loro azioni.» scherzò Eimir.

I cinque fedeli di Delmuth rimasero in silenzio, ma se uno sguardo avesse potuto uccidere, Aulauthar e gli altri tre sarebbero stati polvere. L’altmer sorrise nel suo solito modo amabile.

«Qual è l’urgenza?»

«I filatteri di Siirist, Gilia e Alea hanno reagito ad un loro uso di energia spirituale. Alea è nella Foresta Antica, nei pressi della Foresta Proibita, e Gilia è in mezzo ai Beor. Entrambi hanno collaborato in una stregoneria diretta ad Alea. Siirist è nelle profondità dei Beor, oltre Orzammar, e ha usato un’invocazione e una magia.»

Aulauthar capì perché la Volpe Grigia aveva deciso di fargli sapere l’ubicazione dei tre allievi di Althidon: lo avrebbe scoperto comunque a causa dei filatteri.

«Io dico che c’è un errore, Siirist non può certamente essere oltre Orzammar.» disse con aria innocente.

«I filatteri non commettono errori.» rispose secca Ashemmi.

«Bisogna catturarlo. Dopo aver attaccato Delmuth, è ufficialmente un traditore dell’Ordine.» sentenziò Injros.

«Non possiamo dar retta a quelli che ci hanno riportato Delmuth. Affermano che Siirist ha usato un’invocazione istantanea di oggetti inanimati, che ha usato una magia di sabbia e che ha ridotto Delmuth in quello stato nel giro di un secondo con un attacco mentale. Tutto questo è impossibile, lo sapete bene quanto me.» disse Syrius.

Ma Soho solo sapeva quanto il suo rivale di una vita si stesse divertendo a deridere gli altri sei. Ma di sicuro non quanto i due creatori delle tecniche che Siirist aveva usato. Aulauthar era solo felice che Syrius avesse smesso di dargli contro e che avesse capito l’importanza del Cavaliere d’Inferno. Se a guidare la maggioranza del Consiglio fosse stato lui anziché Delmuth, il ragazzo avrebbe avuto un ostacolo ben più grande da superare.

«Anche se Siirist avesse in qualche modo superato Orzammar, non possiamo prenderlo lì, i nani non ce lo permetterebbero.» disse Adamar nel suo tono pacato.

«Hanno permesso a lui di passare, perché non dovrebbero fare altrettanto?» fece Ashemmi.

«È un abile ladro, deve averli elusi in qualche modo.» suppose Eimir.

«Uno dei miei informatori a Orzammar mi dice che ha visto due umani venire scortati nella galleria per Tronjheim.» disse Xander.

Aulauthar odiava come quell’umano fosse pieno di risorse. Sapendo che la Gilda dei Ladri, l’agenzia investigativa “ufficiale” dell’Ordine dei Cavalieri, riportava sempre tutto a lui, Xander aveva trovato il modo di piantare delle sue spie personali per Tamriel. Per fortuna non aveva le stesse conoscenze della Volpe Grigia, con amici anche nelle profondità dei Beor e a Hellgrind.

«Ammesso che sia vero, Siirist deve aver avuto un modo per convincere i nani a farlo passare, modo che a noi manca. Potremmo anche invadere il loro regno, ma questo rovinerebbe tutti gli sforzi compiuti negli ultimi cinquemila anni, quindi è qualcosa da evitare.» disse chiaramente Syrius, il tono che non accettava discussioni.

«Lo sappiamo bene. Ma Siirist dovrà lasciare i Beor, prima o poi, e per farlo c’è solo Orzammar. I Cavalieri appostati fuori dal cancello avranno l’ordine di rimanere all’erta. Quando Siirist uscirà, lo arresteranno.»

«Se Siirist ha davvero neutralizzato Delmuth così facilmente, credete davvero che i Cavalieri di Orzammar saranno in grado di fermarlo?» disse con aria divertita Eimir.

Aulauthar avrebbe voluto condividere il divertimento dell’amico, ma c’era qualcosa di più pressante.

«Xander, il tuo informatore ha avuto modo di vedere che aspetto avesse questa ragazza?»

«No, purtroppo.»

Come se gli potesse credere.

«È tutto?» domandò ad Ashemmi.

«È tutto.»

Aulauthar lasciò la Sala del Consiglio e si diresse verso gli alloggi della settima divisione, ma si fermò dopo una ventina di passi. La Volpe avrebbe certamente pensato ad un’eventuale compagna di Siirist e avrebbe pensato lui a come evitare che venisse catturata e interrogata. Non c’era niente di cui preoccuparsi. Accarezzò Skryrill e insieme ritornarono alla loro stanza.

 

Dopo essersi accampati e aver dormito, Siirist, Oghren e Sylgja si misero in cerca della via per salire dal livello degli antichi thaig per arrivare alla più moderna (o meglio, “meno antica”) Mzulft. Incontrarono pochi altri gruppi di knurlock che eliminarono senza problemi e nel giro di dodici ore erano in vista del punto in cui Siirist aveva ucciso il millepiedi gigante.

«Trovato niente?»

Oghren aveva fatto razzia di tutte le case che avevano incontrato, buttando all’aria tutto ciò che vi trovava dentro. Coppe, bicchieri, calici, caraffe... Ma del leggendario corno d’avorio non c’era traccia.

«No, no, no, no, no... no!» esclamò innervosito il nano.

Siirist sospirò.

«Spiriti della pietra, dell’aria, dell’acqua e della memoria, io vi chiamo a me in questo luogo per chiedere il vostro aiuto nella mia ricerca. Mostratemi questa città come era nei suoi giorni di grandezza, mostratemi cosa è accaduto al corno d’avorio.»

Tutto intorno a lui lo spazio tremò, ma Oghren e Sylgja non ne risentirono, perciò Ryfon capì che gli spiriti che risiedevano nelle rovine di Mzulft stavano interagendo solo con lui. Sopra alla città morta che vedeva con i suoi occhi si sovrappose il fantasma della città che era stata, una città viva, operativa, ricca. Siirist fu investito dagli odori che avevano permeato le strade di Mzulft, dai suoni delle voci dei nani che ci avevano vissuto. Immagini dei suoi abitanti gli saettavano intorno, apparendo e scomparendo in un batter d’occhio. Si sentì spinto in avanti e assecondò gli spiriti che lo stavano guidando. Camminò su un ponte che si ricostruì per il volere degli spiriti, lungo una strada che era stata sepolta dalle macerie, le quali si spostarono per permettergli di passare. Attraversò una piazza demolita, ma ai suoi occhi la fontana al centro spruzzava acqua e dei bambini correvano felici intorno ad essa, mentre altri suoni di vita gli giungevano alle orecchie: battenti che si aprivano e chiudevano, nani che ridevano ubriachi nella taverna, fabbri che battevano i loro martelli. Arrivò ad una casa che era diventata un tutt’uno con la parete rocciosa, ma che lui vide perfettamente scavata in essa. Vi entrò, e ne vide l’arredamento sfarzoso, seppur nel modo scomodo e semplicistico dei nani, ma in verità era solo un ammasso di pietre cadute. Superò diverse stanze e corridoi fino a che raggiunse una stanza in cui trovò quattro coppie di armature rivolte una verso l’altra disposte in due file che delimitavano lo spazio in cui un tempo si era trovato un tappeto. Al termine di esso vi era un piedistallo su cui riposava il grande corno da bevuta. Era stato senza dubbio ricavato da una zanna di olifante; era lungo cinque metri, con una circonferenza di novantacinque centimetri. L’interno era stato svuotato, ma l’esterno, un meraviglioso avorio, era stato tempestato di gemme e anelli di oro giallo, nero e rosso.

I suoi compagni lo raggiunsero.

«Salta fuori che è molto prezioso! Deve essere stato questo posto introvabile ad averlo protetto dalle grinfie dei knurlock. Fortuna la tua magia!» commentò Sylgja.

«Era stregoneria.» puntualizzò senza però credere veramente che gli altri due sarebbero stati interessati.

«Per tutto il piscio dei miei antenati, questo sì che è un corno da bevuta!» se ne uscì Oghren.

«Felice che ti piaccia. Ti andrebbe di portarlo a Tronjheim adesso?» gli propose il mezz’elfo.

«Se mi andrebbe?! Ma prima di tornare da Orik, voglio fare una visitina a Erthic e ripulirlo di tutta la sua birra!»

«Fai come ti pare, ma non aspettarti che paghi per i tuoi debiti.»

Il nano ridacchiò e aprì il forziere levitante, da cui estrasse una manciata di ricchezze.

«Se cambio questi in incudini, avrò più che abbastanza soldi per bere fino a svenire!»

«Molto probabile. Facciamo così: porta anche il forziere a Tronjheim e ti permetto di usarne il contenuto per bere finché ti ritieni soddisfatto.»

«L’incantesimo di levitazione rimarrà attivo?»

«Sì, ma ora lo modifico perché non sia più io a sostenerlo.»

Attorno al suo anulare destro, Siirist aveva legato dieci douriki di Flusso necessari per mantenere attiva la magia per far fluttuare il forziere, e ciò era un continuo peso, per quanto insignificante, sulla mente del mago, perciò richiamò altro Flusso vitale e diede all’incantesimo una potenza di centomila douriki. La differenza si trovava nell’alimentazione dell’incantesimo, che non era più costantemente sostenuto dal mago, ma consumava l’energia utilizzata, perciò, quando essa si fosse esaurita, la cassa sarebbe caduta a terra. Ryfon spiegò questo ad Oghren che partì subito alla volta di Tronjheim. Si girò verso Sylgja.

«Siamo rimasti solo noi due.» sorrise lei.

«Dovremmo mangiare un po’ prima di andare a Mzinchaleft.»

«Finalmente.»

Siirist notò il barlume di impazienza negli occhi della ragazza. Era chiaro che non avesse aspettato altro da quando, quattro giorni prima, Orik gli aveva assegnato il compito di trovare i tre tesori perduti. Si sedettero e consumarono le ultime delle provviste che si erano portati. Ryfon si accorse che la compagna era lì per dire qualcosa, ma che per qualche ragione si stesse trattenendo.

«Che c’è?»

Lei alzò lo sguardo.

«Forse non è il caso di andare subito a Mzinchaleft.»

«Perché dici così? Credevo non vedessi l’ora.»

«Infatti, però... Stai male, non voglio che ti metti fretta solo per farmi contenta. Dovremmo tornare a Tronjheim, dove ti puoi far visitare, poi possiamo ritornare qui.»

Siirist scosse la testa.

«Non ho voglia di ritornare a Tronjheim per poi andare a Mzinchaleft. Troviamo il segreto del marmo nero e ce ne ritorniamo a Tronjheim. Posso resistere ancora un po’, tranquilla. E se incontriamo altri knurlock, li riduco in cenere prima che possano fare niente.»

Finito di mangiare, si rimisero subito in cammino. Lasciarono la deviazione per Mzulft e arrivarono alla lunga galleria che collegava la capitale con la città-cancello e procedettero in direzione di quest’ultima. Quando arrivarono alla deviazione successiva, anche essa sulla sinistra come lo era quella per Mzulft, Siirist utilizzò una seconda stregoneria.

«Spiriti della pietra, della luce e della memoria, date ascolto alla mia supplica e aiutatemi ancora. Conducetemi al luogo in cui riposa il segreto del marmo nero. Spiriti del vento e della malattia, assecondate il mio animo dispettoso: se il Consiglio degli Anziani è in grado di percepire quale misticismo io stia usando, infastidite i cinque che mi sono nemici: date loro il solletico, riempiteli di allergie e fateli andare al bagno in preda ad una diarrea cronica.»

Siirist sentì le Dominazioni ridere attorno a lui prima di dirigersi a Vroengard e attaccare i Consiglieri. Le ringraziò prima di seguire i Troni di pietra, luce e memoria che avevano creato una scia luminescente azzurrina che si dirigeva fin dentro Mzinchaleft.

«Prima le donne.» si inchinò verso Sylgja, il braccio sinistro esteso ad indicare la via per la città in rovina.

La ragazza fece un leggero inchino di risposta e si incamminò, il mezz’elfo subito dietro di lei. La città era un rudere a metà tra Alftand e Mzulft. Non protendeva verso l’alto come l’antica sede del casato di Orik, ma era evidente dalla struttura che un tempo vi fosse stata una grossa porzione alla luce del sole. Ma non erano lì per fare i turisti. A differenza dei due tesori perduti precedenti, Siirist e Sylgja sapevano perfettamente dove dovevano andare, e si diressero verso il thaig Kagrenzel, con gli spiriti che li guidavano nella direzione giusta. Seguirono i resti di una strada, attaccati più volte da mostri che vi avevano fatto la tana. Uno era un varterral, una creatura che si era addirittura guadagnata un posto nel grimorio di Eleril. Era alta oltre cinque metri, vagamente rassomigliante a un ragno con cinque zampe. Il corpo era sollevato da terra di quattro metri, e le zampe erano lunghe e agili, terminanti in delle punte capaci di perforare facilmente la roccia. Era famelica e i due esploratori avrebbero certamente avuto dei problemi se il Cavaliere si fosse ancora astenuto dall’usare il misticismo. Ma visto che l’aveva già usato, non si era fatto problemi a dar fuoco al mostro con l’arte della Vampa e imprigionarla in un blocco di pietra senza aspettare che venisse completamente consumata dalle fiamme. I suoi occhi rossi, si sentì pervadere dalla gioia dell’uccisione. Lasciò andare il suo sangue demoniaco e le iridi ritornarono azzurre. Lui e Orla continuarono la loro ricerca, imbattendosi in alcuni automaton che erano rimasti interi e avevano considerato i due degli intrusi, ma ancora erano stati facilmente neutralizzati dai fulmini demoniaci del mezzo demone. Quasi gli mancava il non usare i suoi poteri, demoniaci o mistici, perché con essi era tutto fin troppo facile. La sua fame era stata momentaneamente saziata dopo lo splendido massacro dei knurlock, ma aveva bisogno di un altro scontro soddisfacente o di una colossale scopata. Guardò la ragazza che gli camminava di fronte, i glutei che ondeggiavano ad ogni passo, ed un leggero ringhio gli salì dalla gola, mentre la bocca andava in iper salivazione, i denti formicolavano e gli occhi bruciavano. Odiava quelle trasformazioni involontarie. Chiuse gli occhi e se li massaggiò.

«Tutto bene?»

Rialzò le palpebre per vedere la sua compagna di viaggio ferma a fissarlo dubbiosa. Le sorrise e le passò oltre, appoggiandole una mano sulla spalla per rassicurarla.

Dopo un paio di ore avevano trovato le indicazioni per Kagrenzel ed erano scesi più in profondità, fino a che Siirist avvertì lo scontro di due forze spaventose. Bloccò Sylgja e si concentrò di più per capire chi o cosa rischiava di incontrare e affrontare. No, poteva essere?

«Aspetta qui.»

Partì in corsa, lungo i cunicoli scavati nella roccia traspirante dei Beor, accanto a case abbandonate e franate, quando percepì un’esplosione di potere ed una delle due forze gli arrivò addosso, sfondando una parete. Era alto un metro e ottantasette, indossava abiti neri, aveva corti capelli neri ed una barba dello stesso colore, uniforme, due millimetri spessa, che gli copriva la gola e la mandibola. Era diventato anche più grosso fisicamente, più massiccio; a Siirist un fisico simile non avrebbe mai donato, ma c’era da ammettere che era appropriato per quell’altro. Nella mano destra impugnava una spada di Cristallo rivestita di argento nero, nella sinistra un’ascia.

«Ma che...?» fece sorpreso.

«Levati.» intimò il biondo.

Gilia sgranò gli occhi, incredulo.

«Siirist?! Che cazzo ci fai qui?!»

«Potrei chiedere lo stesso a te, amico mio. Ora levati prima che ti faccia saltare io. Gli anni passano, ma il mio odio a stare troppo a contatto con un uomo resta.»

Il Cavaliere d’Incubo si mise in piedi e Ryfon fece altrettanto.

«Bene, bene, che piacevole sorpresa! Giusto te cercavo, Cavaliere d’Inferno.» esultò una malefica voce.

L’interessato guardò verso il buco nella parete da cui era volato fuori l’amico e vide uno spettro che impugnava una sorta di triplice nunchaku. L’idea gli parve geniale.

«Bella arma! Ti spiace se te la copio?» si eccitò.

Lo spettro, lo sentiva chiaramente, era forte. Niente del suo essere era sotto il livello di Serafino. Il sangue del mezzo demone ribollì, i suoi occhi diventarono rossi e ringhiò di piacere, la prospettiva dello scontro che lo entusiasmava.

«Stanne fuori.» disse con voce piatta Gilia.

Siirist lo guardò e capì. Non c’era spettro in tutta Gaya che l’amico avrebbe voluto affrontare e uccidere da solo ad eccezione di uno.

«È tuo cugino?»

«Era.» rispose secco.

«Capisco.»

Ryfon andò verso una pietra che si trovava a terra e vi si sedette. Lo spettro sorrise e si mise in posizione per riprendere il duello.

«Se perdi interverrò prima che ti uccida e ti sfotterò a vita.» disse il biondo al moro.

Questi sorrise e annuì e rimandò la sua ascia a Oblivion. Alzò il braccio sinistro a mo’ di protezione e su di esso apparve un grosso scudo nero, generato dal sigillo nero dell’aquila.

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola LO SPETTRO DI CORVINUS. Gilia regolerà i conti con suo cugino e scoprirà qualcosa di molto importante.

  
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