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Autore: Aliens    07/10/2012    3 recensioni
Boston 2010.
Ally e Tom si conoscono da una vita e condividono tutto in una forte e bellissima amicizia. La ragazza però è da sempre attratta dall'amico. La vita li separa quando Tom diventa il Playmaker dei Boston Celtics realizzando un sogno che da sempre lo tormentava. Qui incontra Brooke, una delle Boston Celtics Dancer in cerca di successo. Per lei tutto si infrange. Ma Allison rimane la massina di Tom, la persona che più di tutte lo ispira e quando tutto sembra volgere verso il baratro, Tom si accorgerà che è davvero troppo tardi?
Perchè, in fondo, cosa c'è di scinitillante in un modo sotto le luci della ribalta se il sole che la illuminava si è spento?
Genere: Angst, Commedia, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: Bondage, Contenuti forti, Triangolo
Capitoli:
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1.

 

 

 

 

 

 

Boston, novembre 2008.

«Certo che sei proprio una schiappa» rise il ragazzo mentre, con un gesto veloce, rubava la palla all’amica e la buttava a canestro direttamente dal centro del campo «Tre punti» esultò sfoderando il suo ormai celeberrimo sorriso da faccia da cazzo.

Così lo chiamava Allison.

Di fatti la ragazza non notò nemmeno il pallone che cadeva, pesantemente, sul campo e lo guardò male.

Si portò le mani sui fianchi dalla forma sinuosa coperti da un attillato jeans nero e lo guardò attraverso le lenti dei grandi occhiali da nerd che indossava. Gli occhi turchesi mandavano bagliori di sfida mentre, le braccia che ricadevano verso i fianchi, sorpassava l’imponente amico per andare a riprendere la pesante palla che aveva smesso di ribalzare sotto il canestro che lei doveva proteggere.

«Non sono certo Tom Kaulitz, io!» esclamò lei mentre si piegava per riprendere la sfera dalla superficie ruvida e di un arancione pallido.

Il ragazzo la guardò con un mezzo sorrisetto. Nonostante professasse la sua totale assenza di attrazione per quell’incantevole creatura che aveva accanto, il suo sguardo scivolò sulla forma perfetta che aveva quel sedere sodo e costretto dagli attillati jeans scuri.

Era comunque un maschio e per quanto volesse bene alla sua piccola, adorata, Ally, ella rimaneva una ragazza e, soprattutto, una gran bella figa.

«Lo so, Ally, molti vorrebbero essere me!» ridacchiò il treccinato beffardo.

La ragazza si tirò su e si girò guardandola «Mi fissavi il sedere, per caso?»

Tom alzò un sopracciglio «Sto cercando di capire dove nascondi il terzo occhio» ridacchiò, per poi fissarla negli occhi «Sarai una gran rompipalle, Ally, e me le rompi da più di dieci anni, ma se mi metti il tuo culo in faccia penso che mi sia impossibile non notarlo» rispose sincero.

Allison si rizzò e con un colpo secco lo colpì con la palla sullo sterno togliendogli appena il respiro «Porco» lo apostrofò guardandolo male.

Tom rise ancora mentre sentiva scemare il dolore «No, sono un uomo»

«Porco è un sinonimo adatto» lo corresse la mora «Come se non sapessi che sei un sesso-dipendente»

Eh già, Ally lo conosceva, fin troppo bene.

«Come se tu non lo avessi mai fatto» trillò Tom palleggiando la palla.

«Cosa, fissarmi il culo?» chiese lei mentre si dirigeva verso il portico di colonne e legno che costeggiava l’ormai decrepito campo da basket del parco di Southie sotto cui aveva posato la sua cartella nera colma di libri e il suo giubbotto di lana nero a doppio petto.

Tom bloccò la palla tra le mani «No, Ally, il mio sedere» scosse la testa sconsolato.

Allison afferrò la sua borsa e infilò una mano in una delle tasche della borsa «La verità Tom?»

«Certo»

«Il tuo sedere è inesistente, lo sguardo mi scivola su altro…» confessò mentre estraeva il cellulare dalla sua borsa.

«Oh» Tom rimase colpito da quella risposta «Io non ho un sedere inesistente» si lamentò avvicinandosi.

«Ma sei insaziabile, Tom» esclamò lei senza guardarlo davvero.

Con il dito fece scivolare verso il basso la schermata con le notifiche che le segnalavano un messaggio di Emma tramite WhatApp. Lo lesse velocemente mentre rispondeva a Tom che l’aveva sovrastata con la sua ombra «Ti sto facendo un complimento ad un organo molto più utile del culo, se non te ne fossi accorto» poi sorrise.

Tom conosceva quel sorriso, era il sorriso delle grandi uscite.

Si preparò psicologicamente alla presa del culo della giornata e la guardò portandosi le mani sui fianchi. Inclinò appena la testa attendendo la bomba.

«Almeno che tu non usi più il tuo culo che il tuo pene, Tom».

Eccola. Tom lo sapeva.

Incassò la battuta con sportività sorridendo all’amica prima di rispondere «Chiedilo a Lorena, Laila, Kyla, Donna, Nora, Ella, Medison, Amy, Katia, Chanel, Violetta, Camilla…» elencò contando i nomi sulle dita delle grandi mani.

«Ho capito» lo interruppe Allison «Non mi interessa la lista»

«Queste sono solo quelle di questa settimana Ally, dovresti saperlo…» le guardò beffardo.

«Sì, lo so che… ti sei fatto Camilla?» esclamò incredula «Camilla Spancer? La Vergine Camilla?» lo guardò stupita mentre Tom allarga il suo sorriso.

«Beh, è ancora vergine, diciamo…» sorrise Tom «Ed è anche abbastanza porca, devo dire, davvero una sorpresa» commentò soddisfatto.

«Quando?» afferrò la borsa e se la mise tracolla «Comunque Emma ci aspetta allo “Starship”» gli comunicò.

Tom annuì appena «Durante l’intervallo, oggi» rivelò.

«Ecco dove eri finito» Allison annuì guardandolo male «Io ed Raja ti stavamo cercando per andare a fumare, e abbiamo perso un intero intervallo a cercarti»

Tom ridacchiò appena. Affondò una mano nella grande tasca del felpone rosso che indossava e afferrò un pacco da venti di Malboro bianche. Aprì il pacchetto e afferrò una sigaretta per poi offrirla all’amica che l’accettò di buon grado anche se considerava quel tipo di sigarette troppo forti. Tom richiuse il pacchetto infilandosi la stecca tra le labbra piercingate prima di afferrare il suo accendino dalle fantasie militari. Era l’accendino che suo fratello aveva la mania di lanciargli contro prima di partire per Yale.

Bill gli mancava davvero tanto ma non lo avrebbe ammesso a nessuno a parte lui stesso –facendosi sfottere da quello stronzo con la sua stessa faccia- e la morettina sexy che aveva accanto.

«Beh» continuò accendendo la sigaretta e prendendo il primo tiro «Erano due settimane che cercavo di convincerla» iniziò a raccontare «Alla fine, ieri sera, su face, mi ha scritto che il suo pastore le aveva detto che il sesso orale non era un diretto assalto al suo voto di castità e mi ha detto che per farmi contento mi avrebbe fatto un pompino»

Non c’era imbarazzo tra lui e Allison, non più almeno.

Ormai era nella prassi che i due si raccontassero le esperienze sessuali. C’erano volte in cui Tom non riusciva a guardare i suoi amici senza ridere ripensando ai racconti di Ally.

La ragazza annuì esortandolo a parlare.

«Il sesso orale mi piace, lo sai» continuò Tom « E se una che ha due tette del genere me lo offre di sua spontanea volontà mi va più che bene» ridacchiò «Così le ho detto che andava bene anche farlo nei bagni della scuola, durante l’intervallo, lei ha accettato… sai, pensavo facesse storie» poi sorrise e la guardò «Poi mi sono ricordato che l’unica femmina che fa storie per un pompino sei tu Ally, quindi…»

«Lo sai come la penso sui pompini, Tom» si rabbuiò lei «Sono una cosa degradante»

«Creano dipendenza» la contraddì il ragazzo ridacchiando.

Allison lo fulminò con lo sguardo mentre varcavano il cancello del parco e si dirigevano verso la metropolitana «Continua»

Tom annuì sorridendo «Beh, sono andato lì e lei mi ha indicato uno dei loculi, l’ho seguita e poi l’ho baciata, abbiamo pomiciato per diversi minuti e credo che avesse intenzione di esplorare la mia laringe per quando spingeva con quella dannata lingua, mi ha sbottonato i pantaloni e si è inginocchia» sorrise malizioso «Credo sia stato il miglior pompino della mia vita»

Ally lo guardò «Quindi non te la sei fatta»

Tom sorrise ancora «Dopo che mi ha fatto venire la prima volta –nella sua boccuccia da verginella porca, sì- si è alzata e mi ha detto che c’era un altro modo per non infragere il suo voto di castità»

«E sarebbe?» domandò Allison alzando un sopracciglio.

«La porta di servizio, Ally» ridacchiò Tom «Ha detto che se la prendevo da dietro lei sarebbe stata comunque vergine».

«Quella è malata» esclamò Allison agitando le mani «Cosa significa che se fai con lei del sesso anale lei rimane vergine?»

«Beh, non tocco il suo imene, Ally, mi pare ovvio che sulla carta lei si vergine no?»

La mora si sistemò gli occhiali e scosse la testa «Impossibile» mormorò «Non pensavo che La Vergine Camilla fosse tanto troia»

«Oh sì, anche se è stato abbastanza snervante mettermi sul retro, se capisci cosa intendo» trillò malizioso Tom «Ed era anche vestita perché non voleva che vedessi quel ben di Dio che ha davanti».

Entrarono nella metro.

Lo stridere dei freni del treno che era appena partito li colpì alle orecchie mentre si sedevano su una delle panchine adossate alla parete nera e gialla. La metro era deserta come piaceva a loro, vi erano solo due o tre vecchiette che andava a fare spesa in centro e una famigliola di ritorno da qualche parco divertimenti. Il bambino, grassoccio e rossiccio, mangiava del zucchero filato blu confetto mentre la madre, altrettanto grassoccia e rossiccia, dannava l’anima al marito riguardo una birra.

«Io continuo a pensare che quella sia malata» commentò Allison «Prima ti da la sua entrata posteriore e poi fa la pudiga» brontolò «Mah»

«L’importante è che mi sono scopato anche la Regina delle Vergini facendola contenta» terminò spiccio lui.

«Hai buttato almeno il preservativo, vero?» Allison lo guardò apprensiva mentre lo schermo elettronico che si buttava sui binari segnava che mancavano tre minuti all’arrivo di un nuovo treno. Tom lo guardo di sfuggita e riportò l’attenzione sull’amica. Allison aveva accavallato le gambe in un gesto elegante e allo stesso tempo malizioso.

Tom guardò quelle lunghe gambe coperte dal jeans prima di rispondere «Non l’ho usato»

«Ma sei pazzo!» Allison si alzò in piedi come fosse stata presa da una scossa elettrica. Strinse i pugnetti dalle unghie smaltate di rosso e li fece ricadere sul pullover corto e largo grigio che indossava a coprire le sue forme generose nonostante la statura che copriva anche un semplice top bianco che la copriva dalle intemperie. Il suo ventre era piatto e il bottoncino dell’ombelico ben in vista. Era un corpo praticamente perfetto che non poteva non essere ammirato.

«Ally, mia grandissima scassa coglioni, se sono entrato da retro come facevo a metterla incinta?» domandò sospirando «A meno che non abbiate anche un utero lì dietro, mi pare improbabile».

Allison si ammutolì e si fece ricadere al fianco di Tom.

Il ragazzo ridacchiò posandole una mano sul ginocchio «Per quanto possa sembrare, non sono uno sprovveduto»

«Non farmi ridere» esclamò la ragazza guardandolo «Vogliamo ricordare come ti sei smerdato quando a Karolina non tornavano».

Eh sì, si disse Tom, ricordare quel periodo lo faceva ancora ridere e sudare freddo.

Aveva quasi sedici anni e una ragazza da due anni. Con Karoline, nonostante le corna, era sempre stata una cosa seria, spesso la ragazza passava i week end a casa sua ed era volta più volte in Germania con lui per andare a trovare quell’orda di parenti che lo consideravano “Il cugino americano”. Karoline era stata la sua prima cotta, la sua prima ragazza fissa, la sua prima volta.

Era stato un maledetto falso allarme a metterli in crisi. Quel giorno Tom se lo ricordava bene. Stava cercando di studiare con Bill, il gemello stava dando segni di evidente nervosismo mentre lui sbatteva la testa davanti alla storia della rivoluzione americana con impegno minimo quasi quanto la sua voglia. Il cellulare era squillato mandando Bill su tutte le furie. Il gemello aveva buttato all’aria tre quaderni e il libro di storia americana e se ne era andato sbuffando come una ciminiera. Tom l’aveva guardato colpevole e aveva risposto.

«Pronto?»

Era seguito un silenzio tombale che l’aveva fatto rabbrividire.

«Tom, sono Karoline» aveva pigolato la voce della sua ragazza e quel tono di voce allarmato mise all’erta anche lui.

«Sì, che c’è?» domandò quasi balbettando.

Bill si era girato e l’aveva guardato con un sopracciglio alzato. La sua paura doveva essere tanto evidente?

«Senti, io devo dirti una cosa, sei seduto?» gli chiese sempre con voce mesta.

«Sì, sono seduto» e qualcosa gli disse che era un bene.

«Ecco… è difficile dirlo… Tom, ho un ritardo» confessò titubante «Penso di essere incinta»

Ciò che ricordava era solo il nero. Bill gli aveva raccontato che era crollato sul pavimento come una pera cotta e che la madre l’aveva portato all’ospedale.

«Non me lo ricordare, ti prego» piagnucolò Tom portandosi le mani sul viso «Ci faccio incubi ancora adesso e sono passati quasi quattro anni».

E sì, se lo sognava ancora quel dannato giorno, specialmente quando era ubriaco.

Uno stato, che a conti fatti, aveva praticamente dalle quattro alle cinque volte a settimana. Specialmente da quando il fratello era migrato verso il College. Avevano Harvard lì a Boston ma Bill voleva Yale e la sua intelligenza glielo aveva permesso. Lui, invece, era rimasto al Liceo con Allison.

Di fatti frequentavano gli stessi corsi e Tom non aveva alcuna intenzione di seguire il gemello. Non che fosse stupido ma odiava le istituzioni scolastiche e, di conseguenza, faceva sega praticamente quattro giorni in cinque di scuola e quando c’era non si applicava.

Allison, al contrario, era la prima di ogni corso.

Il treno si annunciò con un odioso stridere di freni che fece aggrottare la fronte di Tom mentre si alzavano dalla loro postazione e si avvicinavano alle porte che si aprivano automaticamente.

La metro era affollata e piena di chiacchiere. Tom trovò un posto vicino a un cinese intento a smanettare con un nuovo e costosissimo I-Phone 4s, un qualcosa che lui non avrebbe mai potuto permettersi. Allison lo fissò mentre allargava le gambe e si sistemava comodo e sbragato come il suo solito.

«Certo che è proprio vero» sbottò lei guardandola «La cavalleria è morta all’avvento dell’età moderna, eh?»

«Non mi alzo nemmeno morto, Ally» esclamò lui guardandola beffardo «Più tosto, siediti sulle mie ginocchia» le indicò il jeans chiaro che indossava.

Allison lo guardò appena e poi, tirando su la testa, si accomodò su di lui. Non era strano farlo, quando erano piccoli, Evangeline faceva fare loro il bagno insieme. Quante volte Tom era entrato in bagno mentre lei si faceva il bagno e quante volte lei aveva fatto lo stesso con lui. Quante volte lei si era palesata davanti a lui con un accappatoio legato alla vita e quante volte lui aveva girato in boxer davanti a lei. Non vi era imbarazzo ed arrivare a quel rapporto, si diceva Tom, non era da tutti.

Erano come fratello e sorella.

Tom fece scivolare una mano sul ventre della ragazza reggendola mentre Allison si appoggiava al petto del ragazzo. Le grandi mani di Tom la strinsero e lei sorrise.

Nascondere il piacere di sentire quelle mani su di lei diventava sembre più difficile.

«Quindi…» iniziò Tom malizioso «Tu mi guardi il pacco, eh?»

Allison arrossì furiosamente e ringraziò il cielo di essergli di spalle. Poteva non esserci imbarazzo tra loro ma confessargli di rimanere a fissarlo quando girava per casa con i boxer non sembrava una buona mossa.

«Sei tu che giri in boxer per casa, Tom» lo rimbeccò lei lottando furiosamente con la voglia di schiaffeggiarsi.

«Resta il fatto che me lo guardi» rincarò Tom maligno.

«Anche tu mi guardi il culo»

«Non dici un po’ troppe volte quella dannata parola, Ally»

«No, Tomi» si voltò verso di lui e gli sorrise mostrando la perfetta dentatura bianca.

Tom non potè far a meno di guardare quel viso dalle fattezze angeliche scoperto dalla scombinata cippolla che aveva sulla testa retta da un fermaglio nero che si fondeva con i suoi capelli di un castano che ricordava la cioccolata fondente.  Gli occhi erano uno specchio d’acqua baciato dal sole, le lunghe ciglia sembravano sfiorare le lenti dei suoi occhiali da Nerd che, il più delle volte, scivolavano giù per il suo nasino alla francese, regolare ed elegante che terminava nelle sue labbra piene al punto giusto che nascondevano quella dentatura perfettamente bianca e dritta. Solo il viso aveva il potere di far girare la testa. Allison lo fissò appena e gli sorrise ancora.

Era bello sentire gli occhi di Tom su di lei perché le ricordava che Tom, con lei, faceva solo quello.

I suoi primi drammi adolescenziali li aveva avuti per quel motivo. Per quanti ragazzi potessero girarle attorno, per quante ragazze potessero invidiarla, per quanti potessero indicarla come la ragazza più bella della scuola, lei si sentiva sempre uno schifo perché il vero ragazzo più bello di Southie la considerava solo un’amica.

I complessi glieli aveva ragalati tutti lui.

Guardava le ragazza con cui usciva e, mentre tratteneva la gelosia, rimuriginava. Tom si faceva qualsiasi essere respirasse tranne lei. Era snervante e umiliante.

La prima volta che si era dimostrata apertamente ostile verso una delle “amiche” di Tom, fu per Chantalle, la biondina del secondo che lo tormentava da quando a scuola c’era anche Bill. Tom se l’era fatta più per pietà che per altro e quella bambolina di plastica aveva preso a vantarsi e a fingersi la sua ragazza. Allison, gelosa fino al midollo, l’aveva presa per i capelli e maltrattata davanti a tutti gli amici di Tom e i suoi –visto che uscivano insieme-.

Non riuscivano a piacerle e quando Tom aveva scaricato Karoline lei era sul punto di festeggiare davvero. E tutte le ragazze del gruppo lo sapevano.

Chiuse appena gli occhi mentre il treno si fermava alla loro fermata. Allison si alzò e Tom la seguì posando una mano sul suo fianco coperto da un top bianco e presero l’uscita che portava ad Harvard Square.

 

Harvar Square era al ridosso del famoso college e tutti i negozietti che circondavano quel piccolo pezzettino di pazza erano stracolmi di ragazzi che, libri in mano e caffè a volontà studiavano, socializzavano e scappavano da quell’alcova di sapere dall’aspetto antico. Lo Starship era da anni il locale di ritrovo del gruppo di Allison e Tom. Era un bar dall’aspetto newyorkese la cui ombra si proiettava sulla piazza. Il chiacchiericcio degli universitari si mischiava a quelli dei liceali che si riunivano lì per parlare.

Il gruppo occupava il solito tavolo di finaco alla vetrina. La prima che vide fu Raja Clack. La massa di capelli mossi e neri le ricadeva sul maglioncino a pipistrello di maglina beige e pobabilmente portava la classica mini di jeans che la contraddistingueva. La borsa, come al solito, era posata su una sedia vuota che lui avrebbe occupato buttando quella massa di pelle beige per terra. Aveva le gambe accavallate e i piedi coperti da eleganti stivaletti stringati bassi. Al suo fianco vi era la sportiva Emma Allen. Indossava una larga maglietta a maniche lunghe grigia con una stampa di un teschio e un jeans che terminava in delle superga nere e carich di palliettes argento. I capelli biondi le ricadevano davanti al viso delicato mentre beveva il suo ormai famigerato Mappuccino caldo. Al fianco sinistro di Raja c’era la darkettona del gruppo, la rossa Sophie Bianchi. I suoi occhi azzurri erano resi vitrei al trucco pesante e i suoi lobi dilatati da un cerchio pieno leopardato rosa e nero, era l’unico punto di colore apparte la chioma di un rosso acceso che le copriva uno degli occhi e che si abbinava allo smalto color sangue e alle labbra piercingate al centro colorato di un bordoux acceso. Il resto dell’abbigliamento  ra nero eccezzion fatta per la scritta Slipknot bianca spruzzata di rosso come a formare del sangue che scendeva sulla stoffa nera della pesante felpa che le andava grande e scendeva su uno short dello stesso colore. Le gambe erano coperte da un paio di calze nere appena trasparenti. Indossava un capello di magliana sui capelli e degli anfibi neri di pelle a dieci passanti. Sophie era, di certo, la più strana e appariscente del gruppo.

Seduta sulle gambe del suo ragazzo c’era Alyssa Bennet. Al confronto con la rossa sembrava una bambolina timida. I capelli neri erano legati in una treccia bassa che le ricadeva fino al seno piccolino coperto da un cardigan rosa posto sopra un top bianco che terminava in dei jeans chiari e si infilavano in delle superga rosa pallido. Sembrava davvero fragile come non lo era in realtà. era davvero una donna con le palle per aver conquistato così il suo compagno di squadra Kynan Herris. Kynan –o Herris, come il resto del mondo lo chiamava- era nato a Sauthie come lui, l’unica differenza che c’era tra lui e Herris era che ad Herris mancava la madre, non il padre come a lui. Aveva la stessa età di Allison e per quel motivo si trovavano nella stessa squadra di basket. Teneva sulle ginocchia la dolce Alyssa facendo calare, ancora di più, i suoi jeans scuri coperti appena dalla lunga t-shirt bianca posta sotto un felpone dello stesso colore. I capelli platino erano lasciati al vento mentre una delle collane che aveva al collo fungeva da giocatollo per la sua ragazza. Accanto a Herris c’era Jason Hill, americano fino al midollo e dall’aspetto da figo. Gli occhi azzurrini sorrisero quando lo videro e si sistemò il maglioncino nero che indossava sopra dei jeans abbastanza costosi. Per ultimo, in quel tavolo affollato, c’era Derek Turner, lo stranbo del gruppo con il suo solito cappellino di maglina verde sui capelli castini lunghi e ribelli. Smanettava sul suo I-Phone 5 appena comprato con i soldi guadagnat nella discoteca in cui lavorava e dalla vendita del suo vecchio I-Phone 3gs, l’I-Phone 4s l’aveva regalato a Tom per il suo compleanno.

Era stato, per Tom, un regalo ben accetto visto il suo stato economico non del tutto florido.

Erano sempre stati poveri loro, abbandonati da un americano e poi lasciati in povertà a Southie. Mamma Simone –che era un po’ la mamma di tutti, al dire il vero- si era sempre fatta in quattro per i suoi figli e quando anche Tom aveva avuto l’età per lavorare l’aveva aiutata. Bill, al college, lo mantenevano i loro nonni in Germania – dei borghesucci di Magdeburg con tanti soldi da dare ai nipoti, questo Tom doveva ammetterlo- ma comunque lavorava in un bar nel campus. Ma, in fin dei conti, non stavano così male, almeno si trovavano a Boston dove c’era davvero poca criminalità e avevano un tetto sulla testa –anche bello solido- e non vivevano nei sobborghi di New York o di Detroit.

Southi in confronto all’8 Mile dove viveva Eminem era un quartiere residenziale di borghesi.

I due arrivarono e furono accolti da un coro di ciao. Allison salutò tutti con un bacio sulla guancia –in pieno stile italiano- mentre Tom salutò tutti con una mano.

Con un sorriso serafico si avvicinò a Raja afferrando la sua pregiata borsa «Questa si toglie» ridacchiò facendola cadere a peso morto per terra.

Il leggero tonfo fece voltare la testa della mora verso Tom che si stava sedendo «Ma sei deficiente?!?» esclamò indignata osservandolo omicida.

Tom fece semplicemnte spallucce e si sbragò ancora di più «Serve un culo per poter occupare una sedia, la borsa non ce l’ha!»

Raja gli rifilò un’altra occhiata non tanto amichevole e poi torno al suo bicchiere di Diet Cola.

Allison si andò a sedere di fianco alla rossa che le sorrise.

«Allora?» iniziò Tom poggiando i gomiti sul tavolo «Dove andiamo questa sera?» domandò guardando la tavola.

«Io ho parlato con Jackson e Pierce, loro vanno allo Skyline» rispose Herris guardandolo «Non mi dispiacerebbe seguirli, che dici?»

Tom fece spallucce «Non lo so, lo sto chiedendo a voi, a me basta che si esce»

«Ma voi non dovreste essere in ritiro pre partita?» chiese Emma guardando i due «Volete devastarvi?»

Tom le sorrise.

Da quando faceva parte della squadra di Basket (precisamente cinque anni di cui quattro come capitano) non era mai andato in ritiro pre partita (cioè niente alcool, donne e sesso –soprattutto sesso-) anche se faceva credere als uo coach che fosse così.

Se si era bravi lo si era sempre. Herris era dello stesso avviso.

E poi la partita ci sarebbe stata quella domenica e poteva godersi il suo venerdì sera. Aveva tutto il sabato per riprendersi.

«Tom non ha mai fatto il ritiro di clausura» rise Allison «Credo che in più di una partita si sia fattoq ualche cheerleaders prima di entrare»

Guardò l’amico e non seppe se quello sguardo era incattivito o divertito.

Tom scosse la testa «Ho un giorno per riprendermi e dormire quanto mi pare… allora che vogliamo fare?»

Allison fece spallucce «Per me va bene»

«Io odio le discoteche» sbraitò Sophie «Ma dove andate vengo anche io»

«Non avevo dubbi!» le sorrise Tom «C’è qualche obbiezione? Andiamo allo Skyline? Chi ha qualcosa da dire parli ora o taccia per sempre» ridacchiò facendo ridere gli altri.

La tavola rimase in silenzio e Tom sorrise.

«Andata!» esclamò sorridendo «Skyline e poi?»

«I miei sono a New York per tutta la settimana» prese parola Sophie «Se volete dopo possiamo andare da me»

«Perfetto» acconsentì Jason «Credo che siano quattro mesi che non metto piede a casa tua»

La rossa la trapassò con lo sguardo «Questo perché hai preso la mania di Tom di darloa  destra e manca e non ti ricordi più di noi»

Jason rise mentre Tom si sentì preso in causa «Si può sapere perché dovete mettermi in mezzo sempre?»

Derek se la rise sotto i baffi.

«In mancanza di Bill qualcuno deve pur romperti i coglioni» si giustificò Sophie ridendo.

«Mi basta Ally» sbuffò il treccinato poggiando la testa sulla sua mano.

«A proposito di Bill» esordì Dereke «Quand’è che torna?»

«Adesso» la voce di Bill si diffuse dietro di loro facendoli trasalire.

La prima ad alzarsi fu Allison. Strusciò la sedia senza vergogna e si buttò al collo del ragazzo che era ritto dietro di loro.

I capelli biondi, di solito acconciati in una cresta, erano stati lasciati in basso sulla testa. La barba incolta e i veri percing che adornavano le sue labbra, il suo naso, le orecchie e il sopracciglio destro. Gli occhi identici a quelli di Tom erano coperti dal classico paio di occhiali a goccia calati sul nasino alla francese. Il collo da cigno sbucava da un’abnorme felpa grigia dell’università che frequentava e si posava, sfloscia, sui fianchi dle ragazzo coperti da un paio di jeans neri strappati sulle ginocchia che si andavano ad infilare dentro un paio di snikers nere abbastanza usate. Un Bill abbastanza inedito e sicuramente in pre-esame.

Allison si strinse al collo dell’amico che l’abbracciò ridendo «Ehi ehi, calma, così mi strozzi!»

La mora, invece, rafforzò la presa «Mi manchi tanto Bill!»

«Anche tu mi manchi, nana, ma staccati, mi stai soffocando» sbuffò divertito Bill.

La mora annuì e si staccò da lui mentre Tom si alzava e lo guardava «Non dovevi tornare domani?»

«Un professore ha dato for fair ieri, così il week end è iniziato prima» spiegò Bill mentre Tom lo salutava allungando una mano e dandogli un leggero abbraccio.

Fu Bill a bloccarlo per le spalle e ad abbracciarlo.

Dei due, in effetti, era il più espansivo.

Ma il treccinato non sciolse l’abbraccio, lo ricambiò. Il fratello gli mancava sempre di più. Gli mancava la sua schiettezza, la sua nascosta cattiveria, la sua intelligenza.

Avrebbe preferito che Bill prendesse Harvard invece che Yale, almeno lo avrebbe avuto a portata di mano, ma la borsa di studio era arrivata solo dall’università di New Heaven nel Connecticut. Il rettore Levin aveva personalmente contattato Bill dopo il suo ultimo esame all’High School, il migliore dello Stato del Massachusetts. Forse ad Harvard non erano mai arrivati quei risultati. La verità,  e questo Tom l’aveva scoperto solo a storia finita, Bill desiderava frequentare la facoltà di legge di Yale, considerata tra le migliori degli Stati Uniti e il suo test d’ingresso era stato talmente brillante che era schizzato primo in graduatoria su 22.357 domande.

La brosa di studio era stata inevitabile.

Tom sciolse l’abbraccio e lo guardò «Che hai fatto ai capelli? Non erano neri prima di partire?»

Bill gli sorrise e afferrò una sedia «Già, solo che tra lezioni, esami e altre cose, non ho avuto tempo di tingerli, così, la fidanzata del mio compagno di stanza mi ha consigliato di lasciarli del mio colore naturale in modo da non pensarci più, almeno in periodo pre esame» spiegò «Come lo sono adesso, ho portato due valigie, e una e mezza è solo di libri» spiegò sedendosi in parte al fratello «Non avevo immaginato che il secondo anno fosse così duro»

Tom annuì «Sarai dei nostri, questa sera?» domandò.

Bill sospirò «Da bravo studente dovrei rifiutare» iniziò con sguardo furbo «Ma uno strappo alla regola si può pur fare» sorrise «Dove si va?».

«Allo Skyline» lo illuminò Allison «È un piano di tuo gradimento?» sorrise la mora.

«Uhm…» Bill si portò un dito sul mento «Mi dovrò accontentare»

Tutti risero.

Sembrava davvero un venerdì normale. Uno di quelli tutti uguali e tutti da ricordare. Quei venerdì in cui non ti accorgi che il tempo passa velocemente.

Ma, in effetti, niente e mai come sembra.

 

 

«Andavamo tutti i venerdì in discoteca, chiudeva all’una (quando in Europa, le discoteche aprivano a quell’ora), ma noi restavamo in piedi fino all’alba a fare stronzate… quel vederdì, anzi, rettifico, quel sabato sera, fu tutto diverso, e sì, lo ammetto, la prima ad essere diversa era Allison…

Tutto per colpa di quella bottiglia…

Il solo pensarci mi fa sorridere perché, in effetti, tutto inizia con uno stupido gioco per bambocci…»

 

 

 

To Be Continued…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’angolo di Aliens :)

 

 

Lo ammetto, questo capitolo non è il migliore dei miei, ma è solo il cardine tra l’inizio della vera storia. Questa FF la dedico a due miei amici che, in un certo senso, non sono più qui. Uno fisicamente perché è morto due settimane fa, l’altro perché, in un certo senso, stiamo vivendo una situazione simile, non proprio identica ma a ruoli invertiti. Credo che solo in una FF possa succedere ciò che sto scrivendo perché, nella realtà, si rovina tutto. Penso che abbiate già capito! :( Tra Allison e Tom non succederà ciò che è successo tra me e questo mio amico ma ci siamo vicini… magari vi spiegherò più in là, scusate il cripticismo!

Un bacio a tutte voi :)

 

P.S. Vorrei farvi notare che alla fine di ogni capitolo c’è una citazione del libro immaginario che ho attribuito a Tom e che è un’anticipazione del capitoloche lo segue. Questa FF è strutturata come se fossi la mente di un lettore!

   
 
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