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Autore: Alopix    07/10/2012    4 recensioni
Cato e Clove.
Due Favoriti, i tributi più odiati da quelli degli altri distretti, ma idolatrati e portati in gloria a casa, nel loro.
Ma com'è la vita di un Tributo Favorito, aldilà della gloria e dell'onore?
Enjoy :)
(Sì, le mie introduzioni sono sempre spettacolari, eh)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Cato, Clove
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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THE RULER AND THE KILLER

"you're gonna go far, fly high, you're never gonna die,
you're gonna make it if you try"
[Pink Floyd- Have a Cigar]* (N.d.A)



Capitolo 7

Clove’s POV

Ci sono quelli che, in questa situazione, vedrebbero il fuoco come un ostacolo, dato che produce luce.
Ma io penso che sia un grande vantaggio. Scoppiettando e sfrigolando, copre ogni minimo rumore che sfugge ai nostri lesti e silenziosi passi. Mentre ci avviciniamo, le nostre ombre si mescolano con la danza di luce e ombra creata dalle fiamme.
Finalmente, il nostro obiettivo è in piena vista. Osservando la situazione, ora, non ho alcuna idea del perché fossi tanto preoccupata.  Con il sostegno di Cato, sarà facilissimo. Penso.
Sto allungando una mano verso un coltello, quando sento Orsin muoversi. La mia testa scatta verso l’alto, per controllarlo, ma sta solo aggiungendo della legna al fuoco.
Mi rilasso, posiziono il coltello e sto quasi per lanciarlo quando inizia a parlare.
“Voi, bambini, dovreste andarvene, finché potete”.
 Inspiro bruscamente.
Non è possibile che ci abbia sentiti arrivare, il crepitio del legno bruciato era troppo rumoroso ed insistente. Lui se ne sta lì seduto, a osservare le fiamme.
Guardo Cato, mimando la parola “Bluff?”. Lui annuisce in conferma. Non può sapere che ci sia più di uno di noi, sta solo supponendo che nessuno sarebbe così stupido da venire qua da solo. Devo solo calmarmi.
Sto continuando a fare stupidi rumori vani. Se continuo così, non uscirò mai da questa situazioneviva.
Cato inizia a muoversi per girargli attorno. O almeno penso che quello si a il suo scopo. Dove diavolo ha imparato a comunicare?
E’ così strano, a volte.
Ma annuisco lo stesso, facendo finta di aver capito le sue intenzioni.
Lui ammicca è scompare fra le ombre. Ugh. Non potrebbe semplicemente comportarsi in maniera normale? Siamo in pericolo di morte!
Rivolgo la mia attenzione all’uomo accanto al fuoco. Non si è mosso per niente.
E ora che faccio?
Sentirlo parlare mi ha fatto capire esattamente di cosa avevo paura e quanto incredibilmente stupido sia tutto questo.
Ma non ha importanza.
Dimostrerò quello che valgo.
Lui è la mia vittima, quindi devo fare io la prima mossa, non Cato. Potrei tirargli contro un coltello, ma se avesse addosso un qualche tipo di armatura? Gli avrei solo regalato un’arma.
Scuoto la testa, frustrata per essere così insicura. Questo non assolutamente il momento adatto.
Respiro profondamente, non posso permettermi di dubitare di me stessa proprio ora.
Assicuro la presa sul coltello, mi concentro e tiro. Il lancio è perfetto, ma lui si muove esattamente nello stesso momento, quindi manco il mio obiettivo, il collo, ma riesco comunque al colpirlo al petto.
Lui grugnisce rumorosamente, dal dolore, penso.
Ghigno e allungo la mano per impugnare un secondo coltello, quello che dovrebbe finirlo.
Ma Orsin inizia a ridere.
Sta ridendo? Lo guardo e vedo che sta sfilando il coltello. Non c’è alcuna traccia di sangue, sopra.
… Avevo ragione per quanto riguarda l’armatura.
Si alza in piedi.
“E’ questo il meglio che sapete fare?”, chiede, e inizia a camminare dritto verso di me.
La paura inizia a farsi strada velocemente dentro di me. Non riesco a credere di essere stata così stupida. Ma devo agire.
Rimpiazzo velocemente il pugnale con una lama più lunga, buona per la scherma, non fidandomi delle mie abilità con la spada.
Sono un tutt’uno con l’adrenalina, ora.
Orsin mi raggiunge e cerca di colpirmi con il coltello che gli lanciato contro. La lama risalta lucente nel buio della notte. Io mi scanso, saltando lateralmente, e mi  interpongo fra lui e il fuoco.
Prova una nuova mossa, con un ghigno sadico stampato in volto e lo scontro ha inizio.
Ci muoviamo attorno al fuoco, rispondendo a ogni colpo, mentre le lame riflettono la luce del fuoco creando un inquietante gioco di luci.
Presto diventa chiaro che è un esperto spadaccino. Scontrarsi con me non sembra costargli alcuna fatica.
L’unica ragione per cui sono ancora viva è perché lui sta giocando. Si sta divertendo.
Ma non è l’unico.
Tutto questo mi piace. L’eccitazione. Il potere. La paura.
Continuo a mettere in atto ogni singola mossa che Cato mi ha spiegato durante il pomeriggio.
Chissà se si sta godendo lo spettacolo, mi chiedo.
Prima ancora che me ne possa rendere conto, il suo coltello mi colpisce la coscia destra ed io urlo di dolore. La mia mano libera vola istintivamente verso la ferita.
Quando la ritiro è coperta di sangue.
Lui si ferma per schernirmi. Resisto all’impulso di chiamare Cato e lo attacco.
Ma, stavolta, so che perderò.
L’adrenalina mi scorre per le vene, ma sto perdendo troppo sangue. E il dolore …
Urlo di nuovo quando mi colpisce la spalla sinistra. Dov’è Cato?
No, mi dico. Non ho bisogno di lui.
Orsin èilmio obiettivo. Devo farlo da sola.
Continuo a combattere, volendo continuare. Volendo vincere. Ma la quantità di sangue che ho perso sta iniziando a farsi sentire. Mi gira la testa.
E Orsin è un miglior combattente.
Ma continuo a combattere, colpo dopo colpo.
A un certo punto, riesce a farmi volare il coltello di mano. Lui ghigna, pregustando il momento in cui vedrà la vita lasciare i miei occhi. Ed io so che riuscirà a vederlo.
Mi reggo a mala pena in piedi e lui si sta armando di spada. L’aveva appesa alla cintura, me ne sono accorta solo ora. Combattermi con il mio coltello era solo un altro modo per umiliarmi.
Sono costretta a imitarlo, ma ormai non credo neanche io di poterlo fare.
 Vedo un movimento alla mia destra e improvvisamente Cato è illuminato dalla luce del fuoco, la spada sguainata, pronto ad agire.
Orsin è colto si sorpresa, lo so. Ha spalancato gli occhi ma il ghigno non gli abbandona il volto.
Cato lo colpisce, ferendolo alla spalla e poi alla coscia e il nostro avversario emette un terribile verso di dolore.
Ora siamo pari, penso.
“Puoi farcela!”, mi urla contro Cato, ritirandosi. La sua voce mi giunge ovattata alle orecchie mentre il mondo attorno a me ruota velocemente. Scuoto la testa, nel tentativo di schiarirmi la mente.
Devi batterlo. E’ solo un altro ostacolo fra te e i Giochi.
 Mi muovo.
Posso farcela.
Attacco in quello che ormai mi sembra più un sogno che la realtà. La confusione rende i miei movimenti molto più goffi del solito ma sono più determinata di prima a farla franca. E anche lui, comunque, adesso ha dei problemi di agilità.
Il vecchio ha meno resistenza di me alle ferite. E di certo anni di ubriacature non lo aiutano.
Ghigno quando me ne rendo conto.
Posso farcela.
Tento una serie di mosse, più per capire il suo stile che per ferirlo.  Rimane sostanzialmente fermo al suo posto limitandosi a muovere solo la spada e solo qualche indispensabile passo per stabilire il suo equilibrio.
Fa fare a me tutto il lavoro, facendomi spostare attorno a lui. Vuole farmi stancare.
Vedremo.
Fermo i piedi nell’esatto punto in cui si trovano. Farò il suo stesso gioco. Vedo con la coda dell’occhio Cato sorridere, capendo le miei intenzioni.
Orsin si trova costretto a muoversi e ora capisco perché cercava ostinatamente di non farlo. Zoppica. Ha problemi a muovere la gamba sinistra, che Cato gli ha colpito.
Mi basterebbe mettergli fuori uso l’altra gamba per avere una vittoria assicurata.                     
Posso farcela, mi ripeto, e ce la farò. Non importa quanto mi stia girando la testa. Ce la farò.
Manovro la spada più velocemente, cercando di colpirlo in ripetutamente in più punti possibili, per confonderlo. Lui para ogni mio affondo, ma si vede che sta avendo difficoltà.
Continuo.  E continuerò fino a che non avrò raggiunto il mio scopo.
Lo vedo vacillare pericolosamente quando appoggia il proprio peso sulla gamba infortunata e colgo l’occasione al volo. Colpisco pesantemente il suo ginocchio destro e affondo subito dopo la spada nella coscia della stessa gamba, non aspettando di sentire il suo grido di dolore. Che comunque non tarda ad arrivare.
Lo spingo a terra facendogli perdere l’equilibrio. Da qualche parte, poco lontano da me, sento Cato esultare, incitandomi a finirlo.
Orsin continua a resistere anche da terra. La sua spada perseguita a rispondere ad ogni attacco della mia lama. Sta cercando di temporeggiare. E non a torto. Anche i miei movimenti, ora, sono molto più lenti di prima, e ho la vista offuscata. Ma persisto ad attaccarlo.
Cerca di colpirmi allo stomaco, ma io scanso la sua lama. Prima di iniziare a cadere.
Era una finta. Ha usato quella mossa per distrarmi e mettere in atto il suo vero obiettivo :farmi un sgambetto.
In qualche modo, però, durante la caduta, la mia spada riesce a trovare la sua strada verso il suo cuore e vengo ricoperta da un caldo liquido rosso.
Collasso a terra vicino al corpo, ormai senza vita del mio avversario.
Sto lentamente scivolando nel sonno, quando sento dei passi avvicinarsi. E sono di nuovo spaventata. No, non spaventata, terrorizzata.
Ho bisogno di correre.
 Urlare.
Combattere.
Fare qualcosa.
Qualsiasi cosa.
Ma poi riconosco un familiare paio di stivali e mi calmo di nuovo. E’ Cato. Non Orsin. Sono al sicuro.
Ma è tutto così confuso.
Dove mi trovo? Perché sono qui? E perché la mia gamba è bagnata? Dovrei essere a letto, domani avrò allenamento. Ed è così scomodo qui…
Qualcuno sta parlando. Lo ignoro, cercando di capire cosa stia succedendo, nonostante la vista offuscata e le palpebre che lottano ostinatamente per rimanere chiuse.
Ma poi sento il mio nome. “Clove?” e, in qualche maniera, riesco ad aprire gli occhi.
Per poco non urlo alla vista dell’uomo morto che mi ritrovo di fronte. Ma per poco, perché non ne ho la forza.
Lentamente mi allontano e delle tremende fitte mi attraversano una spalla.
“Clove”, sento di nuovo. Attraverso una fitta foschia, riesco a vedere un fiero angelo biondo che mi sovrasta.
Forse sono morta e questo è il motivo per cui riesco a vedere i morti.
Questo è normale quando si muore?
“Stai bene?”. Stupido angelo. Sembro star bene?
Ma annuisco lo stesso.
Non posso dimostrare dolore.
 Il dolore è una debolezza.
Lui ride e si accovaccia vicino a me. A guardarlo meglio assomiglia molto a- oh. Non è un angelo. Tutt’altro.
E, improvvisamente, tutto ritorna con violenza nella mia mente intorpidita.
“Cato!”, dico affannosamente, spalancando gli occhi.
“Ce l’ho…”, non riesco a finire la domanda. La mia testa è ancora troppo confusa perché possa trasformare i miei pensieri in parole.
Lui annuisce. “Certo che sì, piccola tigre”, ridacchia. Ho improvvisamente l’urgenza di rispondergli male, ma mi limito a guardarlo in cagnesco. Ma questo lo fa solo ridere di più.
Poi sento più forte il dolore alla gamba e il mio sguardo è accompagnato da una smorfia quando mi rendo conto che mi sta bendando la ferita.
Un piccolo gemito di dolore evade dalle mie labbra mentre lui stringe il bendaggio. Lui mi guarda, e i suoi soliti occhi freddi si addolciscono. “Ti riporto a casa”, dice con un lieve tono gentile.
Per una volta, essere compatita non m’infastidisce. Mi sento malissimo e non ho neanche la forza per fingere diversamente.
Mi sto comportando da debole, lo so, ma al diavolo. Non sono nell’arena. E se Cato volesse farmi del male, fingere di essere forte non mi aiuterebbe in alcun modo comunque.
Il suolo scompare all’improvviso da sotto di me ed io gemo, il dolore alla gamba intensificato da un movimento così repentino. Tenendomi con cautela, Cato inizia a farsi strada verso il cuore del Distretto Due.
Capisco adesso che stasera Cato ha avuto il controllo più totale del mio destino. Avrebbe potuto lasciarmi morire, se avesse voluto. Sarebbe potuto non intervenire.
Allora perché l’ha fatto?  Io sono solo un ostacolo per lui. Senza di me avrebbe delle lezioni private. Private nel vero senso del termine.
E perché mi sta portando in braccio? Sono stata stupida abbastanza da lasciarmi ferire e dovrei pagarne le conseguenze. Non ci sarà nessuno a prendersi cura di me quando sarò ferita o starò per morire, nell’arena.
Pensare mi sta facendo girare la testa. Mi sta venendo la nausea.
“Cato, io non-”, balbetto.
“Cosa?”, chiede, suonando preoccupato ma comunque continuando a sembrare infastidito.
Solo lui.
  “Non mi sento bene”.
Mi guarda come se fossi pazza. “Certo che no.”, replica con condiscendenza. “Hai idea di quanto sangue tu abbia perso?”
“No”, ricomincio. “Ho la na-”, ma non riesco a finire la frase, le parole sostituite da conati. Che gli finiscono addosso. Bé, in realtà mi sono girata per non colpirlo, ma la mia cena riesce comunque a trovare un modo per raggiungere la sua gamba.
Lui semplicemente sospira, posandomi a terra contro la roccia più vicina e mi allunga una bottiglia d’acqua.
“Bevi. Lentamente”, mi ordina. Obbedisco e dopo poco minuti ogni sensazione di nausea e di vertigine sparisce, sostituita da una schiacciante spossatezza.
“Va bene”, dico, non avendo la forza di formare una frase completa.
Anche ora che è sporco della mia cena mi prende in braccio e mi porta attraverso le cave. Il perché non lo so. E non m’importa saperlo. La temperatura si è abbassata e lui è molto più caldo della fredda aria notturna. Mi aggrappo al suo collo per farmi più vicina al suo calore.
Ed è in questo momento che realizzo che non sta indossando una maglietta. Deve avermi bendato con quella.
Ugh.
Non sono stata così vulnerabile in tutta la mia vita. Ma, esattamente in questo momento, fra le braccia del ragazzo che mi ha appena aiutata ad uccidere un assassino di massa, mi sento al sicuro.
Mi addormento prima di raggiungere la fine delle cave.
Sono violentemente svegliata dall’urlo di una donna. “Clove!”, grida, dopo essersi ripresa da un iniziale stato di shock.
Apro gli occhi e vedo che siamo arrivati a casa mia. Come faceva Cato a sapere dove abito? Lo guardo, confusa, ma i suoi occhi sono fissi su mia madre. Seguo il suo sguardo e vedo che lei ci sta avvicinando velocemente.
“Che cosa è successo?”, chiede, la sua voce e i suoi occhi carichi di preoccupazione.
“Un incidente di allenamento”, risponde Cato mellifluamente, ponendo solo la giusta quantità di ansietà nella sua voce. Ma mia madre non se la beve. Lo osserva attentamente, anche se lui non può vedere il suo sguardo indagatore, dato che è intento nell’affidarmi alle braccia di mio padre senza importunarmi la gamba.
“E’ quasi mezzanotte”, replica lei. Cato non dice niente, facendo finta di essere preoccupato per me. Probabilmente pensano che io sia troppo stordita e che non abbia idea di quello che sta succedendo, quindi non mi tocca dire niente.
“Avrebbe dovuto essere a casa per le nove”, continua mamma, imperterrita.
“Abbiamo iniziato tardi”, dice lui vago. Che ha intenzione di fare? Mia madre non è stupida. Raccontarle una mezza-verità la porterà dritta alla verità completa.
Mi ucciderà se saprà cosa stavo facendo. Avevo elaborato diverse scuse da quando ho capito cosa volesse dire Cato con “più divertimento” questo pomeriggio, ma, visto che sono rimasta ferita, nessuna funzionerebbe, ora.
Se lui non s’inventa qualcosa alla svelta sono spacciata.
“Tardi? E’ quasi mezzanotte!”, urla, istericamente.
No, davvero, mamma? Mi pare che tu l’abbia già detto.
“Il centro di addestramento non è neanche aperto a quest’ora!”, continua. Strano. Non pensavo che lo sapesse.
Cato alza le spalle, “Ho delle conoscenze”. Almeno sta facendo sembrare che fossimo al Centro. Mamma lo guarda torva e ho l’impressione che non avrebbe mai smesso di farlo se papà, stranamente silenzioso,  non si fosse mosso, provocandomi un’intensa fitta di dolore. Gemo e l’espressione di mamma cambia immediatamente quando mi guarda.
Il suo sguardo si addolcisce e si rivolge di nuovo verso Cato.
“Grazie per averla riportata a casa al sicuro”, dice, sinceramente.
Lui le risponde con un mezzo sorriso che lei prende come un’accoglienza alle sue parole piena di rimorso. Com’è ingenua, la mia mamma. Io invece lo vedo per quello che è. Un debole tentativo di nascondere il suo divertimento che trova nell’ironia della sua frase.  Visto che, tecnicamente, è colpa sua se sono in queste condizioni.
Mamma ritorna a rivolgere la sua attenzione a me e io vedo Cato girarsi per andarsene. Voglio gridargli di fermarsi, per ringraziarlo. Ma sarebbe stupido, adesso e la mia gola è completamente secca, comunque.
La sua schiena che si allontana nel buio del Distretto Due è l’ultima cosa che vedo prima di ripiombare nell’oscurità.









N.d.A.
*"Andrai lontano,
volerai in alto,
non morirai mai.
Ce la farai se ci provi"


Scusate il ritardo!!! La scuola è una brutta bestia...
Spero che il capitolo vi piaccia e che mi farete sapere cosa ne pensate. Non mi convince molto. Ma vabbé, non ho intenzione di riscriverlo. Mancano ancora troppi capitoli e troppe cose da raccontare per potermi permetterei un lusso del genere.
Al più presto...
Slytherin :3
   
 
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