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Autore: Wren    20/04/2007    10 recensioni
Matsuda tende a passare inosservato, chi lo noterebbe mai in mezzo a tante personalità tanto più forti di lui? Eppure in fondo... anche lui...
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri personaggi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Porta in ufficio questi documenti, li abbiamo già visionati

“Porta in ufficio questi documenti, li abbiamo già visionati.

“Agli ordini!”

E recupera i fascicoli XTB-16 e WTF-02.”

“Va bene!”

E ricordati di passare dal capo a fare rapporto!”

“Sì… certo…”

Stava già per uscire quando sentì la voce di L richiamarlo indietro.

“Ah… Matsuda-san…”

“Sì, Ryuzaki? Hai bisogno che faccia qualcos’altro?” domandò speranzoso che quella sarebbe stata finalmente la volta buona per dimostrarsi utile al grande detective che tanto ammirava.

“Sì… Comprami un tubo di Smarties al bar qui all’angolo, mentre torni qui…” e detto questo, L tornò a concentrarsi sulle prove che stava esaminando, accatastate insieme a scatole di cioccolatini, carte di caramelle e una brioche sbocconcellata.

“…non c’è problema, Ryuzaki…” annuì il giovane poliziotto a testa bassa, chiudendosi la porta della stanza d’albergo alle sue spalle.

.

***

.

Era ormai pomeriggio inoltrato quando fu finalmente libero da tutti i compiti che gli erano stati assegnati. Aveva svolto ciascuno dei suoi doveri con impegno e dedizione, come se da essi fossero dipese le sorti dell’indagine. Sì, persino andare a comprare i dolci per L nel bar all’angolo.

Matsuda poteva dare l’impressione di essere un po’ stupido, ma l’esser parte della squadra investigativa testimoniava che non lo era affatto in fondo. Il fatto era che, lavorando a stretto contatto con personalità molto più forti e carismatiche di lui, la sua ne risultava sempre schiacciata. Per quanto si impegnasse, non sarebbe mai stato efficiente e preciso come Aizawa, Ukita o Mogi. Non avrebbe mai avuto la forza di volontà e la risolutezza del Capo Yagami. Men che mai avrebbe mai potuto eguagliare la genialità di L.

Matsuda aveva una discreta intelligenza, forse appena sopra la norma, ma sempre nulla di eccezionale. Aveva un carattere semplice, non nascondeva mai nessuna emozione, a partire dalla sua infantile tendenza ad entusiasmarsi troppo facilmente, passando per i melodrammatici sospiri di delusione riservati ai momenti di sconforto e concludendo con la paura. La più semplice, pura e micidiale paura. Non che credesse che gli altri non ne avessero, ma lui era sempre il solo a mostrarla così sfacciatamente. Diceva con sincerità tutto quello che pensava e per quanto più e più volte gli fosse stato detto che quella era una virtù, nella maggior parte dei casi finiva col parlare a sproposito. Infine era sentimentale, decisamente troppo per il lavoro che faceva.

Forse l’unica vera qualità eccellente che possedeva era di accettare senza troppi patemi d’animo la coscienza della propria normalità.

E di fare sempre tutto quello i suoi colleghi (i suoi amici, sperava) gli chiedevano di fare, naturalmente.

La ventiquattrore pesava come se fosse stata piena di mattoni e Matsuda aveva l’impressione che gli si sarebbe staccato un braccio a furia di portarsela appresso. Fortunatamente l’albergo in cui si erano stanziati quel giorno era di fronte al bar dove aveva recuperato i dolcetti, proprio oltre la strada.

Aveva già un piede sulle strisce pedonali, pronto ad attraversare di corsa per non finire travolto dal camion che stava sopraggiungendo, ma si bloccò di colpo e ritornò sul marciapiede. Il traffico sulla strada, il vociare delle persone che andavano avanti ed indietro con passo spedito, le note di una canzone che uscivano dalla porta spalancata di un negozio, la voce di uno speaker dal grande televisore esposto in una vetrina, tutto formava una cacofonia stordente a cui aveva imparato a non prestar troppo orecchio se voleva evitarsi un brutto mal di testa in serata. Però per un istante un suono diverso, un piccolo flebile cambiamento tra i rumori conosciuti aveva catturato la sua attenzione, forse proprio perché nel mezzo di quella confusionaria orchestra cittadina suonava tremendamente stonato.

Matsuda tornò sui suoi passi e prese a guardarsi attorno, cercando di sentirlo di nuovo, di capire da dove provenisse, e pazienza se qualche passante troppo disattento o frettoloso lo urtava superandolo. Fece su e giù per il marciapiede più volte, si avvicinò ora ad un negozio, ora ad un altro, e per un istante credette di esserselo solo immaginato. Era stanco, era stata una giornata pesante e da quando lavorava al caso Kira aveva i nervi letteralmente a fior di pelle, quindi era perfettamente normale che la sua mente gli giocasse qualche scherzo una volta ogni…

Improvvisamente lo sentì ancora, decisamente più chiaro e forte, stavolta. Di fianco al ristorante tailandese (nel quale l’avrebbero senz’altro spedito a recuperare la cena per tutti quella sera, dato che era l’unico take-away del circondario) si apriva una piccola vietta secondaria, il tipico vicolo cieco, buio e un po’ sporco, riempito soltanto da un cassonetto della spazzatura. E da lì, ne era sicuro stavolta, era arrivato quel suono.

Con circospezione si infilò nel vicolo (troppo stretto perché una persona ci passasse comodamente senza strusciare i vestiti contro i muri anneriti dal traffico, ma Matsuda era troppo concentrato su altro per badare alla sua giacca) e si sporse per guardare oltre il cassonetto. Era una bambina a produrre i singhiozzi che aveva sentito, se ne stava rannicchiata contro il muro e teneva la testa appoggiata alle ginocchia, strette convulsamente dalle braccia.

“Ehi…”

La bambina alzò il volto si scatto, letteralmente atterrita dalla presenza di un altro essere umano, tanto da mettere anche Matsuda in agitazione.

“No, no non ti preoccupare, non voglio farti del male!” esclamò Matsuda sollevando la mano non costretta a sorreggere la valigetta in segno di pace. “Stavo solo passando di qui e ho sentito qualcuno che piangeva e mi sono preoccupato, così sono venuto a controllare… Ma tu? Stai bene?”

L’unica risposta che ottenne fu che la bambina prese a piangere più forte e Matsuda per l’ennesima volta nella sua vita si accorse che nelle situazioni critiche non sapeva mai cosa fare.

Beh… qualcosa si sarebbe inventato!

.

***

.

“Mh… capisco… e così le tue compagne di classe ti trattano male, eh?” domandò dispiaciuto Matsuda, porgendo alla piccina il gelato appena acquistato al chiosco del parco.

La bambina annuì energicamente, afferrando il dolce che le veniva offerto e cominciando subito a mangiarlo con foga. Matsuda sorrise comprensivamente e si sedette accanto a lei sulla panchina, mangiucchiando il ghiacciolo che si era concesso.

Ad un certo punto la bambina brontolò qualcosa mentre mangiava.

Cosa? Non ho sentito..

“Ho detto che spero che Kira punisca tutte le persone cattive. Così le mie compagne di classe imparerebbero a comportarsi male e non mi picchierebbero più.

Matsuda ci rimase di sasso. La bambina ora aveva ripreso a piangere.

“Vorrei proprio tanto che Kira le uccidesse tutte… le persone cattive… così nessuno farebbe più del male! Sarebbe un mondo molto più giusto!”

Una goccia gelata cadde sulla mano di Matsuda, facendolo riprendere dallo stupore con cui ascoltava lo sfogo della bambina. Sapeva di dover dire qualcosa eppure ogni parola gli si fermava sulla lingua. Come poteva dire alla piccina che sbagliava, se le cose che diceva in parte le aveva pensate anche lui?

Tirò fuori dalla tasca un altro fazzoletto di carta (quello che aveva usato per ripulirle il viso dopo che l’aveva convinta ad uscire dal vicolo era ormai inutilizzabile) e le asciugò gentilmente i lacrimoni che le bagnavano le guance.

“Sai… io non credo che sarebbe un mondo giusto…”

Lei lo guardò aggrottando le sopracciglia, come se avesse detto la più grande scemenza della terra, ma Matsuda era abituato a ricevere quel genere di sguardo e non ci diede troppo peso.

Se Kira uccidesse tutti i criminali, forse è vero, nel mondo nessuno commetterebbe più nulla di malvagio… Ma lo farebbe solo perché costretto. Perché avrebbe paura di essere ucciso da Kira. Io non credo che sarebbe un bel mondo… saremmo tutti come in un gigantesca gabbia trasparente e avremmo paura di fare qualsiasi cosa perché temiamo venga giudicata malvagia. Faremmo tutti la cosa giusta, non perché ci crediamo davvero, ma perché costretti. Io non credo che questa sia Giustizia… In un mondo come quello che vuole Kira, la Giustizia morirebbe… Perché la vera Giustizia è nel scegliere di fare la cosa giusta, non credi?”

Le sorrideva mentre parlava e pian piano l’espressione della bambina cambiava. Lo scetticismo diventava comprensione ed alla fine lei chinò lo sguardo in segno d’aver compreso di aver detto una cosa sbagliata.

Però anche se le mie compagne mi picchiano, non è giusto…” mormorò a mezza voce.

“So cosa significa… sai, quando avevo la tua età, i compagni di classe se la prendevano sempre con me…”

La bambina alzò lo sguardo sorpresa e lui le rispose con un altro sorriso rassicurante.

E come hai fatto?”

“Eh… le ho prese. Per un bel po’ di tempo. E sono stato così male che anche io speravo che morissero tutti… Però un giorno ho capito che se c’era qualcosa che non mi sembrava giusto, dovevo combattere per cambiare le cose… Chiedi aiuto a un’insegnante… a un adulto… e mostra sempre alle tue compagne che non hai paura di loro, perché quelle che sbagliano sono loro!”

Matsuda appoggiò una mano sulla testa della bambina e le scompigliò affettuosamente i capelli.

“Non ti preoccupare, vedrai che andrà meglio… La Giustizia trionfa sempre!”

Lei gli sorrise e riattaccò a mangiare il suo gelato, prima che si sciogliesse. Solo in quel momento Matsuda si accorse che il suo ghiacciolo gli si era sciolto completamente sulla mano e sulla manica della giacca, ma visto che la cosa strappò una risatina alla piccola, non gli riuscì proprio di prendersela per quello.

“Ora è meglio che vai a casa! I tuoi saranno in pensiero, no?” le disse quando lei ebbe finito di mangiare.

“Sì!” rispose lei, saltando giù dalla panchina.

Però signore, non mi hai detto come ti chiami!”

Matsu… i. Mi chiamo Matsui!” si corresse rapidamente lui. Non importava che fosse una bambina, era sempre meglio non usare il suo nome con tanta leggerezza.

“Ciao Matsui-san! Grazie mille per il gelato!”

Matsuda la salutò con la mano e si accorse che nemmeno la bambina si era presentata, ma era ormai lontana e non gli parve il caso di richiamarla solo per quello. Le sembrava decisamente più sollevata mentre andava via, quello per lui era più che sufficiente.

“Bene… ora che questo caso è chiuso e ho dato un nuovo motivo ai miei colleghi di rimproverarmi, posso tornare al Quartier Generale!” esclamò con divertita rassegnazione, pulendo come meglio poteva la sporcizia sulla giaccia (col solo risultato di allargare la macchia nerastra che si era procurato nel vicolo) e recuperando la valigetta che aveva appoggiato con cura accanto a sé sulla panchina.

.

***

.

Era quasi il tramonto ora e Matsuda si diresse verso la stanza l’albergo dove, in gran segreto, un piccolo gruppo di uomini rischiava la vita per una giusta causa senza che il mondo ne fosse cosciente.

Lui sapeva bene, l’aveva capito fin da subito, che non avrebbe mai contato nulla la sua presenza in quel gruppo, non avrebbero mai catturato Kira grazie a lui.

Ma lui c’era.

E ce la metteva tutta in ogni caso.

.

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Owari

  
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