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Autore: Tsukino Chan    20/04/2007    3 recensioni
Racconti più o meno brevi, più o meno sibillini, della vita passata presente e futura di alcuni personaggi.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...), Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Lo spadaccino

Lo spadaccino

 

 

 

 

Metallo su metallo, rumore di spade.

 

Due occhi castani si socchiusero, disturbati dal flebile raggio di sole che li colpiva.

Fruscio di lenzuola.

Ciocche di capelli rossi come il fuoco si posarono davanti a quegli occhi, costringendoli a chiudersi.

Lentamente poi si riaprirono, accogliendo il sole che filtrava dalle finestre chiuse, unica illuminazione della semplice stanza.

Un armadio chiaro ai piedi del letto, pareti bianche, e vicino alla porta uno specchio ovale.

Sulla sua superficie trasparente giochi di luce si riflettevano, cambiando in continuazione, invisibili all’occhio umano come piccoli arcobaleni.

Fruscio di lenzuola.

Due piedi nudi si posarono sul pavimento, le caviglie coperte da un morbido pigiama color crema, così come i polsi appoggiati alla sponda del materasso.

La figura sul letto sollevò le braccia in alto, stiracchiandole, per poi posare una mano sulla bocca aperta in uno sbadiglio.

Poi con la calma del risveglio si alzò in piedi, e si avvicinò allo specchio.

La sua ombra infranse i riflessi della luce, e poco dopo la superficie piatta rifletteva la sua immagine.

Una giovane non molto alta, capelli di fiamma, curiosi occhi castani.

Sotto il largo pigiama si muovevano al ritmo del suo respiro due seni pieni, e sotto di essi un’altrettanto pieno pancione.

Lina sorrise nel vedersi allo specchio.

Era di un aspetto bellissimo, come sempre, sembravano dire i suoi occhi, mentre si passava una mano sulla frangetta, cercando di sistemarla.

Finita la contemplazione mattutina, la giovane si spostò davanti all’armadio, aprendone delicatamente le ante.

C’erano parecchi pantaloni e magliette, di varia foggia tendenti soprattutto sul rosso.

La ragazza però non li degnò neppure di un’occhiata, e diresse la sua mano verso un vestito semplice, color crema, con dei piccoli fiori blu sopra.

Ultimamente non poteva indossare altro, se non quel genere d’abito.

 

Ferro con  ferro, rumore di spade.

 

Indossato il vestito, pettinati i capelli, legatasi la nera fascia alla fronte, Lina era pronta.

Si guardò ancora una volta allo specchio, per controllare che tutto fosse in ordine, e prima di lasciare la camera, aprì il balcone.

Una luce intensa e calda l’avvolse, dandole il buon giorno.

Davanti a lei l’erba verde dei prati brillava sotto il sole estivo, ed il cielo limpido era sgombro da qualsiasi nube.

Il venticello si divertiva a scuotere le verdi foglie degli alberi li attorno, accompagnando il canto dei giovani uccellini con il loro fruscio.

Un’esemplare giornata primaverile, pensò la maga, la terra che si risvegliava e portava ovunque allegria e spensieratezza.

L’unica pecca era quel pezzo di terreno brullo vicino alla casa: la terra aveva una colorazione rossastra, i pochi fili d’erba li presenti erano secchi, bruciati dal sole e come tocco finale una pozzanghera di modeste dimensioni  spiccava alla vista, esattamente al centro di quel terreno.

Nessuna persona con un po’ di buon senso sarebbe passato da quella parte quando tutt’intorno la terra era ricoperta da un soffice strato di erbetta fresca.

Eppure, sotto quel sole di primavera due figure si affannavano a rimanere entro quei pochi metri quadrati di terreno.

La più piccola con una spettinata chioma castana, saltellava impaziente da un piede all’altro, sporcando così i già provati pantaloni di schizzi di fanghiglia rossastra.

Le piccole mani erano strette in maniera quasi ossessiva sull’elsa della corta spada, la cui lama poco affilata oscillava leggermente a destra e sinistra, seguendo il tremito delle braccia che la sorreggevano.

La faccia simpatica di un undicenne era concentrata a fissare i propri occhi sulla lama che avevano di fronte, molto più grande di quella che lui impugnava.

Il suo avversario era la figura più grande, dalla zazzera biondo dorata e dolci occhi azzurri.

La maglia azzurra che indossava risaltava la muscolatura del suo petto, muscolatura che secondo il parere della maga, era semplicemente perfetta.

Il suo volto era calmo, la sua voce serena mentre insegnava al suo impaziente avversario a calibrare il peso della sua spada.

Muovendosi a scatti il ragazzino si spostava sul terreno brullo, cercando di allontanarsi dalla pozzanghera alle sue spalle e tenendo sempre puntata la lama contro l’uomo che aveva davanti.

Incapace di attendere oltre la figura più piccola si avventò contro il suo avversario, accompagnando l’assalto con un urlo liberatorio.

 

Acciaio su acciaio, rumore di spade.

 

Il primo affondo venne parato con facilità dall’uomo che osservava divertito il suo giovane attaccante.

Seguirono altri affondi, tutti parati semplicemente, senza però rispondere colpendo il ragazzino sui fianchi esageratamente scoperti. Si sbilanciava troppo in avanti, spinto dalla foga di colpire l’avversario,  incespicando a volte nei suoi stessi passi, a volte utilizzando troppa forza nel colpo: così all’ennesimo scontro tra le due lame smussate, la forza impiegata dal ragazzino gli tornò indietro, per nulla smorzata dall’avversario.

Le mani persero la presa dell’elsa e il corpo il momentaneo sostegno delle gambe, facendo cadere a terra il ragazzino, esattamente col fondoschiena sulla pozzanghera che aveva tenuto alle sue spalle.

Lina aveva osservato la scena dalla finestra, il braccio che sorreggeva la testa appoggiato sul davanzale, a poca distanza da un vasetto di viole.

Ora la maga aveva gli occhi chiusi, e ascoltava rapita la risata cristallina che usciva dalle labbra dell’uomo: nella sua mente si era formata l’immagine di un cristallo colpito dalla luce, e lei osservava incantata la luce proiettata tutt’intorno.

Si sentì di nuovo il rumore secco delle due lame che si incontravano, ancora e ancora.

 

  
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