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Autore: TheMask    08/10/2012    3 recensioni
Questa storia è nata per un'amica, e solo in un secondo momento ho pensato di pubblicarla. Spero sarà di vostro gradimento.
Lupa Nera
Estratto dai prossimi capitoli:
Perché legarsi alle persone, quando sai che presto o tardi, o ti tradiranno o moriranno, o se ne andranno? In questo luogo l’amicizia non esiste, è impossibile. Convivenza, tolleranza, rassegnazione in stile “se non c’è niente di meglio mi accontento”, questo lo capirei. Ma … amicizia… è una parola che qui non si una neanche più… scomparsa dal vocabolario. Qui non ci sono amici.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beyond Birthday, Matt, Mello, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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THINKS OF BEYOND BIRTHDAY
Che cazzo volevano da me ora? Non avevo fatto niente!
Questo era quello che pensavo mentre due uomini di Roger mi trascinavano per il carcere, verso il suo ufficio. Nei corridoi si vedevano pochissime persone, ma coloro che per caso capitavano, si scansavano in fretta rivolgendomi uno sguardo spaventato. Tutti mi conoscevano li, solo perché ero l’unico che era andato più di due colte in quell’ufficio ed era ancora vivo.
Guardavo per terra, quegli sguardi mi facevano troppa rabbia e troppa pena.
Arrivammo, e mi fecero sedere, per poi uscire. Roger non c’era. E non mi avevano legato.
Mi guardai in torno, sicuro che ci fosse qualcosa sotto. Cosa stava succedendo? C’era qualcosa che non andava.
L’ufficio era naturalmente normalissimo. Quando mi voltai vidi tutto l’arsenale di Roger, e rabbrividii. Il possessore, arrivò solo dopo qualche minuto, e si sedette alla sua scrivania, con due caffè in mano. Me ne porse uno, ma io ero troppo occupato a guardarlo con gli occhi sgranati. Ma cosa cazzo faceva?
“Beh, B, non lo vuoi?” mi chiese con quella falsità che ormai faceva parte della sua voce.
“Cosa vuoi da me?”
“Come siamo freddi! E vedo che sei anche dimagrito, come mai? Non ti piace più la marmellata?”
“Cosa vuoi?” ribadii.
“Tranquillo, si tratta di una formalità. Vedi, credo che tu l’abbia sentito, ma in ogni caso: sta per arrivare un nuovo componente di questa grande famiglia, e visto che anche tu ne fai parte credo di doverti dire alcune cose prima che tu-”
“Sono arrivati molti nuovi da che sono qui. Cos’ha questo di speciale?”
“Beh B… se tu non avessi la cattiva abitudine di interrompere la gente quando parla lo sparesti. Dunque, questo nuovo componente, è un po’ particolare, capisci?” chiese come se stesse parlando a un neonato, sorseggiando il caffè. Poi poggiò la tazzina, e mi porse alcuni fogli.
Li presi, lanciandogli alcune occhiate al di sopra di essi per capire le sue intenzioni. Speravo di non dover uscire di li ancora più dolorante di quanto non fossi.
Guardai i suddetti fogli e riconobbi in essi una specie di test che Roger faceva fare per “Capire chi si unisce alla famiglia!”  a coloro che stavano per arrivare nel carcere.
Erano anonimi e c’erano poche domande, che io personalmente avevo giudicato stupide.
 
Come mai hai ucciso?
Che te ne frega?
Chi hai ucciso?
Come se non lo sapessi.
Ti sei pentito/a?
No.
Hai compiuto altre violzioni alla legge?
Questo test comincia a stufarmi.
Ti senti triste all’idea dell’esgastolo?
Immagino che questa sia per capire se sono debole.
Vuoi parlarne con qualcuno?
Ma cos’è uno psicologo o il direttore di un carcere?
 
E andava avanti così per un pezzo. La cosa che mi stupì, fu che quelle risposte erano quasi le stesse che avevo dato io. alzai lo sguardo, come sempre impassibile.
“Cosa vuoi da me?” chiesi per la terza volta scandendo insistentemente le parole , guardandolo negli occhi e appoggiando i fogli sul tavolo.
“Ma come BB, non tradisci neanche un po’ di stupore?”
Sbuffai, annoiato.
“Il punto è BB, forse la tua mente perde colpi e non se lo ricorda, che le sue risposte, sono quasi uguali alle tue, mi segui?”
“Quante volte ti devo dire che non sono idiota?”
“Ah-ah, BB, lo sai che devi darmi del lei! Ma a questo pensiamo dopo, d’accordo? Ora,  devi sapere che la lettera che presto arriverà, è un soggetto molto… particolare. E non vorrei che tu, ne tantomeno la tua amica, E, stimolaste, come dire, la sua follia, oltre il necessario. Devi sapere che nel vecchio carcere, ha compiuto molte azioni illecite fino quasi a fuggire! Pensa un po’! E non voglio che questo episodio si ripeta, è chiaro BB?”
“Cristallino.”
“Bene, allora passo a rimproverarti una mancanza che porti avanti da molto tempo- dentro di me alzai gli occhi al cielo- ovverosia quella di dimenticare che io sono un tuo superiore. Sappi che al prossima volta potrei arrabbiarmi BB.”
“Posso andare ora?” fu la mia risposta, con una voce ancora più annoiata di prima.
“Certo, ma ricorda che io posso sentirti e guardarti in ogni momento e in ogni luogo, va bene?”
“Perché concludi le tue frasi con una domanda?”  chiesi alzandomi.
“Per sapere se ti è chiaro tutto. Ma a quanto pare non è così!”
Ebbi un momento di incertezza. Che avevo… ma certo, avevo dimenticato completamente di dare del lei a quel rospo sputacchioso!
A un suo cenno entrarono due guardie che mi fecero sedere di nuovo, e mi legarono come al solito. Sospirai. Cazzo, mi faceva ancora male tutto, specie quella maledetta spalla, e sicuramente mi avrebbe colpito li, vista la sua schifosa perversione verso il dolore. Altrui.
Lo guardai, chiedendomi come sarei uscito di li.
Egli andò dietro di me, fischiettando. Ma come faceva? Che uomo era? Era un vigliacco, uno che aveva paura delle sue azioni, era…
Ritornò nel mio campo visivo  con uno strano pezzo di ferro. Era una specie di braccio di metallo, di cui non volevo capire la funzione. Sotto il mio sguardo, Roger lo aprì mediante una cerniera metallica, e potei capire.
Al suo interno c’erano alcuno punte, abbastanza sottili e profonde per fare male senza essere fatali. Una specie di vergine di Norimberga, a dimensione braccio.
 “Sai BB, questo è un nuovo acquisto, che sarai il primo a provare! Non sei orgoglioso?”
Distolsi lo sguardo.
 
IL GIORNO DOPO
Venni sbattuto di malo modo in camera, e mi permisi di chiudere gli occhi per un momento e rilassare i muscoli. Ero messo abbastanza male devo dire.  Sospirai, e mi alzai.
Tre secondi dopo, come immaginavo, Eloin irruppe nella stanza, fermandosi sulla soglia.
“Si può sapere cos’hai fatto ora a quel-”
Prima che continuasse la frase, la raggiunsi di scatto, e le tappai la bocca.
“Va tutto bene, ok?” le dissi, nonostante mi tremasse il braccio dal dolore.
Ella annuì, e io la lasciai. Era pieno di microfoni e videocamere in quel posto. Figuriamoci in camera mia.
…ma ricorda che io posso sentirti e guardarti in ogni momento e in ogni luogo, va bene?
“Cos’è successo?” mi chiese poi guardandomi negli occhi.
Stemmo li a guardarci per un po’, mi venne persino da sorridere, vedendola tutta preoccupata per uno come me. Per una volta, nessuno dei due aveva voglia di chiedere perché con aria critica. Accettavamo semplicemente la nostra amicizia per quello che era.
 
Erano passate un paio di ore, ed Eloin era appena uscita per andare dal suo ragazzo a giocare a Need for Speed. Io ero rimasto in camera a riflettere su quanto mi era stato detto da Roger. Avvertii una punta di curiosità verso l’indomani, verso l’arrivo di qualcuno che magari, anche se non ci speravo, poteva capirmi. Qualcuno che era quasi riuscito a scappare! Mi convinsi che il carcere in cui era, doveva avere molte meno forme di controllo che li. Non c’è possibilità, mi dicevo, che si scappi qui. Eppure in me si era insinuato quel raggio che è la speranza, raggio che da troppi anni non vedevo, e per millenni, per qualche secondo, mi cullai in quella luce divina che faceva vedere tutto più chiaramente distorto.
Sentii il bisogno di confrontarmi con quello ch era la realtà, per non perdermi e per punirmi della mia leggerezza, e strinsi gli occhi, provando quasi subito quella strana percezione con la quale mi tormentavo da giorni. Ce l’avrei mai fatta a vincerla?
 
Era notte ormai. Saranno state le undici. Eppure, Eloin non dormiva. La sentivo muoversi ansiosa come un animale in gabbia. Cos’aveva? Riusciva a trasmettermi tanta irrequietezza che, preso da uno strano coraggio che non mi apparteneva, uscii dalla stanza e spalancai la sua porta, mandando lampi di impazienza, curiosità e irritazione allo stesso tempo. Eloin mi guardò, percependo quei lampi, e mi chiese come mai fossi entrato con tanto furore.
“Ma che hai? Avanti e indietro avanti e indietro, ma non stai mai ferma? Si può sapere che cosa ti impedisce di stenderti sul letto e dormire?”
Alzò un sopracciglio, nella luce artificiale della stanza, scoppiando subito dopo a ridere.
“Scusa BB, non volevo metterti ansia. È che… non posso fare a meno di tormentarmi- disse tornando seria-  come mai oggi Roger ti ha fatto chiamare? E cosa ti è successo al braccio?”
“Tutto qua?”
“Si…” ammise, spostando il peso da una gamba all’altra.
“è per il nuovo. E il braccio… beh… sai cos’è una vergine di Norimberga?”
“Tipo una tomba piena di spunzoni in cui si chiude una vittima per trafiggerla e dissanguarla?”
“Si. Immaginatela dimensione braccio.”
Fece una smorfia di dolore, e il suo sguardo cominciò a tentare di evitare il mio braccio, ottenendo un effetto contrario. Sbuffai.
“Ora dormirai?” le chiesi, senza guardarla, irritato da quella repulsione.
“Si, si, non ti secco più.” Mi rispose con un filo di freddezza.
Vedendo che si voltava, aspettandosi un saluto spiccio e una porta sbattuta, sospirai dentro di me, chiedendomi cosa avessi di sbagliato per riuscire a toglierle sempre l’allegria che la caratterizzava, con due parole. È un’arte, mi risposi. D’altra parte, ciascuno ha la propria arte, la mia è questa evidentemente, continuai. Volendo però rimediare, rendendo esplicito il mio sospiro, le parlai tentando di rendere la mia voce più amichevole.
“Scusa Eloin se non so sempre essere l’amico che vorresti. ” e me ne andai, sperando di aver fatto la cosa giusta.
 
La mattina seguente, come sempre, vennero a ammanettarci e a trascinarci per i corridoi, e come sempre fui compiaciuto dagli sguardi di timore e rispetto che mi lanciarono alcuni, distinguendosi dalla pietosa massa di occhiate compassionevoli dei loro compagni. Al solito, avevo a un fianco Mello e all’altro Near, che mi lanciò uno sguardo nervoso, come quello che un coniglio lancia a una volpe. Tentai di sedermi in maniera da rendere sopportabile la scomodità delle sedie, e attesi, con uno sguardo freddo e tagliente che mi isolava dagli altri, che accadesse qualcosa. Eloin mi disse poi che era stupita e anche divertita da come tutti si muovessero e dimenassero, o bisbigliassero, facendo un netto contrasto con la mia immobilità. Lei stessa si mise a raccogliere chiacchiere sul conto del nuovo arrivo, tendendo le orecchie e ponendo domande ai suoi vicini. Quando Roger entrò calò uno strano silenzio, interrotto solo da colpi di tosse trattenuti, e da chi si muoveva sulle sedie. Allora, con questi silenzi da concerto, è facile lasciarsi prendere dalla’arte fine dell’ascolto. E puoi sentire i fruscii più intimi di due maniche di amanti nascosti che si sfiorano impercettibilmente, o lo scricchiolare delle rare scarpe nuove, o il rumore metallico di un orologio che viene consultato di nascosto, o infine, i rari se non unici bisbigli incuriositi da chi è qui da meno tempo e ha più voglia di vivere, spettegolare, scoprire.
Vivere, spettegolare, scoprire. Ma com’è possibile che qua dentro si pensi a cosa del genere? Perché c’è chi sembra non rendersi conto dell’aria di morte, degli sguardi in cui leggi il suicidio imminente, delle ferite e dei lividi di alcuni, e degli occhi di altri, dalle pupille dilatate e cicatrici sulle braccia?
L’uomo a causa del silenzio piacevole solo a me, camminò sino ad arrivarci davanti, e poi si fermò, guardandoci con un grande quanto finto sorriso.
“Buongiorno ragazzi!” esclamò poi, come un grande orso benevolo.
“BUONGIORNO ROGER” rispondemmo con funerea esasperazione.
“Oggi, come avrete saputo, si aggiunge alla nostra Grande famiglia- continuò Roger includendoci in un unico cerchio con le braccia  -un componente nuovo! Mi aspetto che lo accogliate con l’educazione che vi insegno ogni giorno, ma vi devo mettere in guardia rispetto a costui: stategli lontano o vi ridurrà a quello che anche lui è- disse rendendo la voce più seria e guardando la porta da cui sarebbe arrivato- ovverosia, un perdente.”
Pronunciò l’ultima parola caricandola di disprezzo, e causando curiosità fra le fila delle sue bestie da macello.
“Lascerò che si presenti.” Concluse poi, discostandosi e facendo cenno alle guardie  di portarlo dentro.
Chiusi per un secondo gli occhi, tentando di non illudermi che chi sarebbe uscito da quella porta avrebbe potuto avere qualche possibilità di comprendermi o anche solo di farsi osservare da lontano. Mi aspettavo un qualcuno di ombroso, di scuro. Un ragazzo che avesse come me vissuto cose che non doveva vivere, per sua spontanea volontà. Sapevo che non avrei dovuto farmi illusioni, ma non riuscivo a estirpare da me quel filo di speranza che si era insinuato con prepotenza nella mai testa.
Infine, dopo milioni di anni, dopo pochi secondi, entrò.
  
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