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Autore: Medea00    09/10/2012    20 recensioni
Ecco la mia Klaine week, in stile Blame it on Blaine!
Ebbene sì: sono tutti spin off della mia prima fanfiction, e questa cosa mi ha emozionata molto. Ha superato le 150 preferite e dopo tanto tempo ancora c'è gente che la legge, la recensisce e che mi ringrazia per quella storia. Beh io ringrazio voi. E ho voluto ringraziarvi così. Spero che vi piaccia :)
Genere: Commedia, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Warblers/Usignoli | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Lime, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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I professori mi avevano parlato della Dalton come di un’accademia seria e di classe, fatta di studenti a modo e, soprattutto, diligenti.
Nessuno, quindi, mi aveva accennato a chiodi di gruppo per giocare a calcetto, o a festini improvvisati nella stanza di qualcuno –spesso e (s)fortunatamente, la mia-, oppure a esibizioni corali degli Warblers nei posti più frequentati della scuola.
 
Blame it on Blaine – capitolo 2
 
(Questa OS è ambientata poco dopo il trasferimento di Kurt alla Dalton.)



 

 
A volte essere in camera con Flint era davvero estenuante.
C’erano dei momenti in cui si svegliava nel bel pieno della notte saltando sul letto e recitando qualche frase strana, come se stesse vivendo un film tutto suo, o una fanfiction venuta male. (*)
Altre volte, semplicemente, mi svegliavo con il suo viso a dieci centimetri dal mio, e no, ve lo assicuro, non era una immagine confortante.
“Cavolo Blaine, i tuoi capelli lievitano davvero di notte.”
Questo era grossomodo il commento che mi dava il buongiorno tutte le mattine.
Ma i momenti più snervanti sicuramente erano la quantità indefinita di festini, raduni, partite di football e cene al contrario che venivano organizzate nella nostra camera. Era come se fosse una specie di piazzetta degli Warbler; dopo cena non c’era bisogno di dire il luogo di ritrovo, finivano tutti da noi. Anche se, magari, io avrei dovuto fare qualcosa di utile tipo studiare, rilassarmi, ascoltare musica, parlare con Kurt insomma, vivere.
Per questo, ogni volta che arrivavo in sala mensa per salutare tutti gli altri facendo colazione, e incontravo Kurt, un po’ invidiavo il suo aspetto perfetto e il suo umore raggiante, così come il fatto che si risvegliasse ogni volta con il canto degli uccelli e una dolce suoneria del cellulare, e non con qualche infarto multiplo. Una volta vide le mie profonde occhiaie e gli sguardi omicida che lanciavo a Flint, e si era avvicinato a me con fare preoccupato.
“Blaine, ma hai dormito questa notte?”
“Tra un assalto di zombie e un rapimento alieno? Sì. Per due ore.”
“Un... cosa?”
Non ci fu bisogno di spiegargli la situazione: bastò pronunciare il nome di Flint.
“Ho fatto un sogno stranissimo”, stava dicendo a Ed e Colin che sembravano entusiasti e rilassati. Loro non avevano certo problemi di convivenza, erano praticamente identici; tifavano perfino per la stessa squadra di football, insomma, era il paradiso.
Un po’ li invidiavo. Tutto ciò che volevo era passare una serata tranquilla, senza frecciatine tra me Kurt e il mio ipotetico Kurt-sorriso, senza Pannocchia che soffiava e si strusciava sul letto cercando di sgattaiolare sotto le coperte, con un sonno durato almeno sei ore e, soprattutto, con Kurt.
Oh.
Quell’ultimo pensiero attraversò la mia mente senza nemmeno averci fatto molto caso.
“Blaine?”
E il mio migliore amico era proprio lì, con i suoi occhi azzurri e splendenti, le sue labbra rosee e-
No Blaine. Basta fare pensieri sul tuo migliore amico. Devi smetterla.
“Insomma, che hai fatto ieri sera?”
“Sono stato da Rachel”, mi rispose lui; il suo viso si sciolse in un piccolo sorriso, uno di quelli che ormai sapevo fossero collegati alla sua nostalgia per il McKinley.
“Siamo stati bene – continuò – abbiamo visto Com’eravamo e Mercedes è scoppiata a piangere sul cuscino a forma di renna.”
“Oh, c’era anche Mercedes?”
“Ah, sì, non te l’avevo detto scusami. I pigiama party sono sempre organizzati da noi tre.”
Oh no.
Oh no, no no.
“Blaine, perchè mi guardi così?”
Perchè aveva appena pronunciato la parola innominabile. Il tabù di ogni Warbler; ma Nick si era già alzato in piedi in mezzo a tutta la sala mensa, impugnando la forchetta come se fosse uno scettro, un sorriso fiero e smagliante, che lo rendeva ancora di più irrequieto.
E poi, con tono solenne, che non ammetteva repliche, sotto alla folla di Warblers esultanti dichiarò: “Stasera gli Warblers faranno un pigiama party!”
 
Ovviamente non avrei mai pensato che la cosa sarebbe andata veramente in porto. Insomma, in realtà il mio sogno primario era quello di dormire; Kurt invece era sin troppo emozionato: aveva già scelto il pigiama, la lista di film da vedere, il tipo di cibo da cucinare abusivamente nella mensa della Dalton e, per ultimo, ma non per importanza, il cuscino con il quale avrebbe dormito in camera mia.
Perchè, ovviamente, il pigiama party si teneva in camera mia. Non c’era nemmeno bisogno di dirlo.
Non sapevo bene come spiegarli che il loro tipo di pigiama party non era esattamente lo stesso che si aspettava lui; in realtà quel tipo di party degli Warbler fu ufficialmente abolito dal consiglio studentesco dal millenovecentoottantanove. Esattamente, dopo l’ultima volta che la camera di un ragazzo profumò di incenso per otto mesi e le tende di casa sua erano state tagliate con la forma di una decorazione natalizia. Senza nulla togliere alla cucina completamente distrutta, al corridoio inondato da birre vuote, alla televisione rotta e ad un paio di calzini appesi sul balcone. Ancora dovevo ben capire quell’ultimo dettaglio.
Stavo quasi per dire tutto quanto a Kurt, ma poi Jeff mi mandò a prelevare – o meglio, rubare – la televisione dallo stanzino del bidello, e fui costretto a separarmi dal mio migliore amico.
“Ci vediamo dopo, okay?”
“Non vedo l’ora, sono così emozionato!” Sussurrò battendo le mani con convinzione, “Dici che riusciremo a vederci tutte le edizioni de La Fabbrica di Cioccolato?”
Oh, Kurt.
“... Sì, perchè no.”
C’era una buona probabilità di vederlo durante le nostre prossime e infinite ore di punizione.
 
 
Dopo due ore distruttive della Pitsbury, senza neanche preoccuparmi di salutare gli altri ragazzi, corsi verso camera di Kurt tenendo ancora stretto il cellulare tra le mani. Mi aveva esattamente scritto: “Ho bisogno di vederti il prima possibile”, e sinceramente ero molto preoccupato. Kurt non mi mandava mai messaggi del genere; non quando andava tutto bene, almeno.
Tuttavia, nel momento in cui arrivai alla sua porta e feci per bussare, questa si spalancò lasciandomi completamente basito di fronte ad un Chase in felpa intento a lavarti i denti.
“...Ah.”
Dopo qualche secondo di silenzio, dedussi che quello fosse il suo bizzarro modo per salutarmi.
“Ciao anche a te, Chase. Kurt?”
Non rispose. Ovviamente. Mi rendeva sempre le cose così facili, lui.
“Senti, lo so che questa è un’ottima occasione per riempirmi di insulti o prendermi in giro per la mia voce da cantante pop-star di seconda mano, ma-“
“Aspetta.”
Colto in flagrante da quella parola, mi fermai di colpo, confuso. Chase sembrava incredibilmente serio mentre mi disse: “Non credo che la tua voce sia da pop-star.”
“...No?” Chiesi, gli occhi un po’ più grandi, l’umore un po’ più sereno. Forse Chase non era poi così tanto orribile cinico e menefreghista!
“No. In effetti ti vedo meglio a Broadway. Come turista.”
...Dicevamo?
“Senti, tu mandami Kurt e basta.”
“Non posso, è sotto la doccia.”
Rischiai seriamente di perdere la pazienza e sbattere la testa contro il muro perchè, davvero, non poteva dirlo prima!? Glielo dissi, in preda ad un attacco di nervi, e la sua unica risposta fu: “In effetti sì. Ma mi annoiavo. E tu sei uno spasso. Ci sono così tanti argomenti su cui prenderti in giro che penso creerò una specie di ruota, la girerò una volta al giorno e quella sceglierà l’argomento per me. Oggi a quanto pare riguarda il tuo estro canoro.”
“Dì a Kurt di chiamarmi, io vado in camera mia.”
Non avevo veramente voglia di stare a sentire i discorsi senza senso di Chase per tutta la serata; Kurt sarebbe stato bene, e poi, non avremmo forse avuto tutta la notte per parlare?
 
Ovviamente la notte cominciò alle sette di sera; esattamente, bastarono due vodka alla fragola, un apple martini, una bottiglia di rhum e una di limoncello, che Wes dopo il quinto giro aveva ufficialmente decretato essere membro onorario degli Warbler.
“E’ tutto così bello”, piagnucolò Ed, piangendo sulla spalla di Colin che, invece, era più concentrato a battere Jeff al Tetris della Supernintendo montata in camera.
Non c’era più una divisa che potesse essere definita tale, trasformate in camicie sgualcite, cravatte snodate e capelli spettinati. Qualche Warbler aveva cominciato a cantare la canzone dell’amicizia di qualche programma per bambini scovato alle sei di mattina; io stavo tentando inutilmente di isolarmi dal mondo, tappandomi le orecchie con i libri, quando un messaggio di Kurt mi fece improvvisamente destare:
“Non posso venire stasera. Divertitevi.”
Come?
“Blaine, che succede?”
“Ah, no aspetta!”
In meno di un attimo, tutti gli Warbler si radunarono accanto a me, chi sul mio letto, chi per terra, chi con una lente di ingrandimento.
“Osservate bene”, Flint aveva la voce del narratore di Nat Geo Adventure, “Gli occhi più brillanti, le labbra leggermente incurvate.”
“Ma non è un sorriso!”
“Questa è una rarissima variante del Kurt-sorriso. Si chiama, Kurt-sorriso-sono-troppo-preoccupato-per-il-mio-non-ancora-ragazzo.”
La stanza si riempì di una fila infinita di “aww” che mi fecero venire voglia di sparare a qualcuno. E poi sparare a me stesso.
“Allora cosa dice il nostro Kurt?”
“Lui... dice che non può venire.”
“Ma come non può venire. E’ ridicolo!”
“Secondo me Chase l’ha legato ad una sedia, come in qualche tortura cinese – commentò Ed – gli starà facendo vedere tutta la serie completa di 24 ore in Sala Parto senza pause.”
“Oh Dio, che trauma.”
“Ragazzi, dovremmo andare a vedere come sta.”
L’ultima frase di David scaturì una serie di mormorii e di facce pensierose in tutti gli Warbler, troppo ubriachi e pigri per decidere veramente di voler abbandonare il covo per andare a controllare Kurt. Sì: la mia stanza era stata ribattezzata il covo. “Tipo una bat caverna, senza tutta quella cosa gay tra Batman e Robin”, aveva detto Flint. Aggiungendo, anche, un “senza offesa, amico.”
Così, avrei dovuto immaginarmelo che la dichiarazione successiva sarebbe stata: “Mandiamo il più piccolo di noi a controllare.”
Il più piccolo di noi, in teoria, era Jeff: era nato il sette Gennaio, e si era iscritto proprio quell’anno.
Ma poi, qualcuno specificò: “Il più piccolo, Blaine Anderson.”
Ah. Intendevano, il più piccolo di statura; certo. Che amici adorabili che avevo.
Ma dopotutto, non era un grande problema andare a trovare Kurt, eccezion fatta per il dover incontrare di nuovo Chase e subire ogni sua lamentela.
Quando richiusi la camera del covo, sentendo la serratura da dietro la porta scattare immeditamente, una parte di me realizzò di non aver preso le chiavi della camera; perfetto, quindi. Ero ufficialmente diventato un senza-letto. Una versione Warbler di senza-tetto. Avrei vagato per i corridoi con un cartone di succo di frutta alla mano cantando canzoni di Johny Cash.
Con mia grande sorpresa e fortuna, ad aprire la porta della camera diciassette fu proprio Kurt.
“B-Blaine!” Aveva l’aria di uno che aveva appena scoperto una festa a sorpresa; il chè era buffo, contando che la festa fosse dall’altra parte della scuola.
“E’ il mio nome”, scherzai. “Sono passato a vedere come stavi.”
“I-io non sapevo esattamente che, cioè non credevo che, non-non avrei mai detto di-“
“Kurt. Ti prego.”
E non ero stato io a fare quel commento esasperato. E nemmeno Kurt, ovviamente. Chase si presentò dietro di lui con una smorfia poco convinta, incrociando le braccia al petto; il suo compagno di stanza si voltò, e in quel momento fece un’espressione che non potei vedere: doveva essere un’espressione piuttosto strana, o particolarmente eloquente, perchè un attimo dopo vidi Chase sgranare gli occhi e poi scuotere la testa ripetutamente.
“Devo farlo io?”
Kurt non rispose, ma potei leggere una certa esitazione nei muscoli tesi delle sue spalle, e quello mi fece confondere ancora di più.
“E va bene. Lo faccio io. Che palle però, tra tutti e due siete una tortura.”
“N-no Chase, aspett-“
Ma un secondo dopo il ragazzo aveva agguantato cuscino e coperta per uscire a grandi passi fuori dalla stanza, lanciando un’occhiata cinica a Kurt, e una gelida a me.
“Mi devi un favore, nano.”
“I-io?!” Balbettai; ma Chase era già sparito dalla nostra vista, lasciandoci completamente da soli, e io che dovevo ancora capire cosa stesse succedendo.
La prima risposta alle mie domande arrivò una volta che mi voltai di nuovo verso Kurt, osservandone l’abbigliamento: indossava un delizioso pigiama di seta blu, con dei risvolti bianchi; la sua pelle era liscia e luminosa, e i suoi occhi fissi a terra come imbarazzati.
“Kurt, ma perchè stai in pigiama? Ti senti poco bene?”
Realizzai solo troppo tardi tutto quello che stava succedendo.
“Io... niente, sono un cretino e-“
“Kurt.” Lo interruppi. Feci un passo avanti, afferrandolo delicatamente per le braccia. “Non sei un cretino. E ora mi dici cosa sta succedendo?”
Lo vidi deglutire più volte, come se non sapesse bene quali parole usare; alla fine, con molta calma, e tantissima esitazione, mi rivelò tutta la verità, e io restai semplicemente attonito.
“Pensavo... pensavo di venire ad un pigiama party. Ad un pigiama party come quelli che faccio con Rachel e Mercedes; credevo, sì insomma, pop corn e film d’epoca accompagnati da chiacchiere e risate. Cose così. Ma poi Chase mi ha detto che voi siete soliti festeggiare con birre e super alcolici facendo colazione alle cinque di mattina... e allora mi sono sentito un cretino perchè era ovvio che fosse così, sono sempre il pesce fuor d’acqua, e non volevo rovinarti la serata quindi... non sono venuto. Ecco.”
Non sapevo nemmeno da dove cominciare; innanzi tutto, dovevo far capire a Kurt in qualsiasi modo che tutto quello non era stupido. Ma adorabile.
“La tua idea di pigiama party e trenta volte più bella della nostra.”
Ero davvero sincero mentre dicevo quelle parole, e Kurt lo capì: sorrise come se si fosse svegliato da un brutto incubo, come se avesse capito solo in quel momento quanto io e lui fossimo simili.
“Non puoi capire quanto sia stufo di festini, alcool e discorsi su ragazze.”
“Soprattutto di discorsi su ragazze, immagino”, ridacchiò lui facendomi entrare nella stanza, completamente messa a soqquadro da vestiti e cofanetti di dvd. Riconobbi qualche collezione di Kurt mischiata ai film di Chase, e in quel momento mi voltai di scatto verso di lui inarcando un sopracciglio: “Aspetta. Perchè Chase se n’è andato?”
Oh. A giudicare dal rossore delle guance di Kurt che aumentava sempre di più, intuii che le rivelazioni apparentemente imbarazzanti non fossero finite.
“Io... no niente, lascia stare.”
“Kurt, dico sul serio.”
“Volevo fare un pigiama party con te”, ammise, tutto d’un fiato. “Volevo guardare tutti i musical della mia raccolta e poi svegliarti l’indomani a suon di cuscinate. E’-è stupido, lo so.”
“No.”
Era la cosa più bella che avessi mai sentito.
 
Non ci fu bisogno di esprimere a parole quel concetto; semplicemente, gli chiesi in prestito un pigiama, e mi cambiai velocemente in bagno; le maniche mi stavano un po’ lunghe, ma non era un vero problema. Mi sedetti sul letto, feci cenno a Kurt di unirsi accanto a me, prendendo in mano il telecomando del dvd e cominciando a selezionare un musical dalla sua infinita lista.
Alla fine optammo per Rent; lo avevamo visto insieme anche a teatro, ma eravamo semplicemente innamorati di quella storia e delle sue canzoni. Cantammo insieme ogni pezzo possibile soffermandoci nei momenti più romantici o particolarmente esilaranti; finimmo per sdraiarci sul suo letto a una piazza e mezzo l’uno di fronte all’altro, lui con un grosso cuscino a forma di cuore – regalo di Rachel -, io con un peluche a forma di orsacchiotto che ricordava molto quello della mia infanzia.
Ci raccontammo tutti i nostri sogni più strani e quelli che ci facevano svegliare nel bel mezzo della notte; mi raccontò di quanto gli mancasse avere suo padre in giro che borbottava qualcosa circa la difficoltà di cucinare una frittata decente. Mi raccontò del McKinley, dei suoi amici.
E io ascoltai ogni singola parola, perchè le avrei conservate dentro al mio cuore facendogli capire che poteva fidarsi di me; che sarei stato lì per lui.
Kurt, alla fine, sorretto da un piccolo e timido sorriso, si addormentò, senza nemmeno terminare il suo discorso sulle sue dieci canzoni che avrebbe voluto eseguire.
Ed era così bello guardarlo dormire; era così bella l’idea di svegliarsi la mattina dopo rivedendo lo stesso sorriso, ridacchiando per le nostre condizioni assurde, raccogliendo insieme le forze per alzarci dal letto caldo e affrontare la giornata.
Era bella l’idea di essere il compagno di stanza di Kurt, di trovarlo ogni volta che rientravo in camera, di sfogarmi con lui per ogni compito andato a male, magari, dopo aver passato notti intere a studiare insieme.
Quella fu una delle pochissime volte in cui, veramente, invidiai Chase con ogni singola parte del mio cuore.
Ma poi sognai di fare tutte quelle cose, e senza bisogno di sostituirmi al suo compagno di stanza.
Semplicemente, sognai di essere il suo ragazzo.
Ma io non ricordo mai i sogni che faccio.







***

(*)Sì. Mi prendo in giro da sola. E francamente mi diverto molto.
Angolo di Fra

Fluffosissima e davvero assurda, perchè mi pare di aver scritto della prima volta in cui Blaine dorme insieme a Kurt oltre Blame it on the Alchool, ed è prima del suo trasferimento al McKinley, vero?
Vabè, prendetelo un po' come un'AU della mia ff. Ahahah! Che cose contorte.
Non mi convince molto questa OS, ma spero che quanto meno vi faccia sorridere.
A domani!
   
 
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