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Autore: AbsynthFairy    09/10/2012    1 recensioni
« Non puoi sapere proprio niente di me, di come mi sono sentito, di come mi sento tutt'ora. »
Sono passati tre anni dagli eventi di Black & White. N ha provato a cambiare vita, allontanandosi dall'isolamento impostogli e incominciando a vivere, per la prima volta, per se stesso. La sua fragile quiete viene tuttavia pericolosamente scossa quando ritrova un articolo di giornale vecchio di tre anni, in cui viene citata una persona che, nonostante tutto, non è riuscito a dimenticare.
[ N/Black - Isshushipping ] [ non tiene conto degli eventi narrati in Black&White2 ]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
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Da adesso in poi la fanfiction sarà tutto un flashback che rimanderà alla situazione descritta nel Prologo.
Vi ringrazio per aver letto il capitolo 00, e mi auguro che continuiate a seguirmi :)

01 . Life through my lens


[ flashback – un anno prima ]

Dopo quattro anni, quando le parole di Ghetcis sembravano essere definitivamente scomparse dalla sua mente, N era tornato in città.

Aveva trovato un nuovo obiettivo per se stesso. Ci era voluto tanto tempo e tanta fatica, tuttavia ce l'aveva fatta. Il tempo trascorso sulle montagne lo aveva rinvigorito, reso una persona migliore. Si sentiva un po' più forte e indipendente: vivere contando solo su se stesso per così tanto tempo aveva dato i suoi frutti.

Aveva seguito un percorso personale lungo e tortuoso. Aveva trascorso i primi mesi in solitudine con Reshiram, volando da una regione all'altra, cercando di dare un significato alla propria esistenza. Da quando era nato, non aveva fatto altro che essere la pedina di qualcuno; aveva trovato quindi veramente difficile l'idea di pensare a se stesso, piuttosto che ai Pokèmon.

Per imparare qualcosa di più sulla natura degli esseri umani e su come convivere serenamente con loro, sotto consiglio di Reshiram aveva abbandonato la solitudine e si era trasferito a Pallet Town, un pacifico paesino in una regione che conosceva soltanto grazie ai libri, dove l'incidente con Reshiram e Zekrom non era nient'altro che un mormorio discontinuo e di poco conto, e dove nessuno sapeva chi o cosa fosse il Team Plasma.

I primi mesi non erano stati facili per lui, e scoprire tante abitudini degli esseri umani lo aveva gettato in uno stato di profonda frustrazione. Cose che per lui erano veramente assurde per gli abitanti di Pallet erano normalissime, addirittura ovvie. Diversamente da quanto gli era stato insegnato, aveva scoperto che gli esseri umani davano un enorme valore alla famiglia e ai sentimenti, e il suo desiderio di instaurare rapporti di amicizia non gli era sembrato più strano o indecente, come lo aveva definito Ghetcis, bensì quanto di più naturale potesse esistere.

Aveva reso proprie alcune cose fin dai primissimi giorni, altre invece continuava a non comprenderle appieno, nonostante fossero indispensabili per una vita corretta in società. Le persone davano fin troppa importanza, a suo avviso, al denaro e all'indipendenza economica, e lui stesso trovò estremamente fastidioso e imbarazzante farsi ospitare – pesare sulle spalle di qualcun altro – mentre cercava di racimolare abbastanza denaro per potersi permettere un appartamento tutto suo.

Ma piano piano si abituò. Non fece troppa fatica ad amare il suo nuovo lavoro, e lentamente incominciò a salutare con più naturalezza il prossimo. C'erano alcune cose che continuavano a metterlo a disagio – le urla, la folla, la violenza – ma Pallet era un paesino tranquillo e pacifico, dove episodi che lo avessero potuto gettare nello sconforto erano accaduti veramente poche volte.

In tutto quel tempo, però, il suo pensiero fisso era stato su Black. Se da un lato sentiva una profonda angoscia a pensarlo così lontano e irrangiungibile, da un altro era veramente convinto che la cosa migliore da fare fosse trovarlo, in qualche modo, e per lo meno ringraziarlo a dovere per tutto quello che aveva fatto per lui.

Cercava comunque di non farsi influenzare troppo dai quei pensieri, e si impegnava seriamente affinché, con l'unico sostegno di Zorua, la sua vita acquistasse almeno un senso.

Ciò che diede una scrollata forte alla sua vita tranquilla, tuttavia, fu il ritrovamento di un vecchio articolo di giornale in un afoso pomeriggio di luglio. N aveva trovato lavoro, con un po' di difficoltà e dopo tante suppliche, presso il Laboratorio Pokémon del Professor Oak; non aveva il ruolo di ricercatore, in quanto secondo il professore l'umanità e il tuo legame con i Pokèmon sono notevoli e possibile soggetto di studio in futuro, ma ciò di cui manchi è l'esperienza biologico-scientifica, tuttavia era riuscito a convincere lo scienziato ad affidargli la gestione delle pratiche e dell'archivio del Laboratorio. Era stato abbastanza complicato all'inizio, in quanto non sapeva neppure cosa significasse la parola lavoro, tuttavia una volta abituatosi aveva iniziato a trovarla un'esperienza incredibilmente interessante. Sfogliando gli archivi aveva scoperto l'esistenza di Pokémon che a Unova non aveva mai visto, e il confronto diretto con il Professor Oak era per lui un enorme stimolo umano e intellettuale, nonostante i punti di vista spesso molto diversi.

Riordinando gli archivi, un giorno ritrovò un album che, scorrendo le prime pagine, sembrava raccogliere gli articoli di giornale che menzionavano avvistamenti di Pokémon misteriosi o estremamente rari. Alcuni secondo lui erano vere e proprie fandonie (Avvistato Pokémon Misterioso presso la Cerulean Cave – gli abitanti di Cerulean City in allarme), altri invece, per quanto assurdi potessero sembrare, erano abbastanza vicini alla verità (Pokémon leggendari invadono e distruggono la Lega Pokémon di Unova – menzogna o realtà?)

Fu un articolo in particolare a farlo cadere dalla sedia.

« Tutto bene N? » Sentì il professor Oak dal laboratorio.

Confuso, N si rimise seduto sulla sedia. « Non si preoccupi, professore! Sono solo caduto! »

« Sei sempre il solito sbadato, ragazzo. »

Nonostante gli dispiacesse molto fare la figura del maleducato, decise di ignorare il professore e concentrarsi esclusivamente sull'articolo fra le sue mani.
 

Misterioso assalto a Unova : una gita si trasforma in tragedia per tre quindicenni
La Polizia indaga con l'aiuto della professoressa Juniper ma ancora nulla: Pokémon o ribellione di Madre Natura?

Un ragazzo è in coma e gli altri due continuano a dormire profondamente, nonostante le pronte cure ricevute dall'ospedale di ?? City. I medici non riescono a spiegare questo strano fenomeno, e la Polizia brancola nel buio.
L'uomo che li ha soccorsi, e che desidera rimanere nell'anonimato, ha confidato di essere arrivato lì per puro caso.
- Sembrava veramente opera di Madre Natura, o di un Pokémon furioso e pontentissimo, - racconta tremando ai nostri registratori - ricordo tutto come se fosse successo cinque minuti fa. Il mio Golem mi ha aiutato a liberare uno dei ragazzini, ma non abbiamo potuto fare niente per il Pokémon che li accompagnava. Siamo arrivati che era morto da un bel pezzo, mi sa. -
L'avventuriero prende fiato, visibilmente commosso, e procede nel suo racconto.
- Conosco quei posti come se fossero le mie tasche, è da vent'anni che faccio escursioni laggiù. Però non mi è mai capitato di vedere qualcosa di simile! La terra era scoscesa e dislivellata, quasi come se ci fosse stato un terremoto, ma solo nell'arco di quei venti metri! Il resto era tutto perfetto! -
Le autorità sembrano escludere la possibilità che sia stato un Pokémon, ma la professoressa Juniper non sembra essere d'accordo: - E' tutto troppo strano perché si tratti di un evento puramente naturale. Non solo il sonno-incubo dei due ragazzini è incredibilmente sospetto (tutt'ora essi giaciono in stato di incoscienza presso l'ospedale di Castelia City ndA), ma le stesse circostanze del presunto terremoto non sono spiegabili razionalmente. È naturale supporre l'intervento di un Pokèmon. La domanda che dovrebbero porsi le autorità, invece di interpellare geologi e scienziati, è la seguente: “Che tipo di Pokémon può causare un simile disastro?” e “Cosa può aver alimentato tale forza distruttiva?” -

 

Per quanto in passato avessero avuto degli screzi, N ammetteva serenamente che la professoressa Juniper era una professionista nel suo campo, e lo stesso professor Oak nutriva per lei rispetto e ammirazione; era veramente raro che si sbagliasse in fatto di Pokémon.

Strinse le labbra e rilesse l'articolo, ripromettendosi di chiedere in seguito al professore qualche informazione in più al riguardo. A giudicare dalla data scritta a penna a lato dell'articolo, era un avvenimento accaduto subito dopo il suo arrivo a Pallet Town.

Ci mise una manciata di secondi per realizzare chi fossero le persone nella foto, e quando il suo sguardo riconobbe il viso sorridente di Black, lasciò istintivamente cadere l'album a terra, sconvolto.

Fra tutti, proprio lui.

Deglutì sonoramente.

Non riusciva proprio a capacitarsene. L'articolo era vecchio, certo, ma forse il professor Oak aveva qualcosa da aggiungere al riguardo: a prescindere dalla situazione, tutto ciò che gli interessava in quel momento era la salute del suo ex rivale.

Raccattò da terra con mani tremanti il raccoglitore, lo chiuse con cura, tenendo un dito come segno nella pagina dell'articolo che tanto lo aveva colpito, e corse dentro l'ufficio del professore senza bussare.

« N, ma che diavolo...? » Il professore sussultò alla suo impetuoso ingresso nella stanza, rovesciando il caffé per terra. L'uomo si chinò subito a terra e ripulì alla bell'e meglio la superficie, borbottando parole acide sull'irruenza giovanile

Mai nella vita N si era sentito tanto agitato. « Signore, » iniziò, e Oak, sentendo quanto il suo tono fosse confuso e concitato, si rimise seduto correttamente e divenne improvvisamente serio « quest'articolo » aprì di scatto il raccoglitore e lo voltò verso il suo interlocutore « mi dica di più su questo fatto, la prego. »

A N sembrò di intravedere un bagliore negli occhi del professore, ma fu soltanto un attimo e, quando questi gli rivolse un sorriso affabile, pensò di esserselo sognato. « Ehi, ehi, calma ragazzo, siediti. » gli indicò con un rapido gesto della mano la sedia di fronte alla scrivania di mogano « siediti e parliamone con calma. »

Il ragazzo si sedette, ma era tutto fuorché calmo. « E' successo tre anni fa vero? Poco dopo il mio arrivo qui, giusto? »

Il professore strinse le labbra, lo sguardo improvvisamente imperscrutabile. « E' successo il giorno stesso del tuo arrivo qui, ragazzo. Io non ho assistito personalmente, ovviamente, ma la mia collega di Unova mi ha raccontato per filo e per segno ciò che gli ha riferito il soccorritore, un allenatore di passaggio. Costui ha raccontato che era a quasi un chilometro di distanza dal luogo dell'incidente, quando il cielo si oscurò all'improvviso; a questo fatto, già di per sé allarmante, si aggiunge che l'area lì attorno – ti parlo di venti, trenta metri al massimo – era totalmente distrutta, quasi come se si fosse manifestato un terremoto di alta intensità. Un avvenimento inspiegabile a livello geologico. »

« Il ragazzo, professore. » Dalla voce adesso calma di N trapelava però molta impazienza « C'erano dei ragazzi. »

« Sì, è questa la cosa più incredibile di tutte, a mio avviso. Solo uno di loro non è penetrato nello stato onirico sospetto che ha coinvolto gli altri. I dottori parlano di “trauma”, ma mi sembra una spiegazione poco accurata. C'è qualcuno o qualcosa che ha salvato quel ragazzo da un destino orribile, ma le autorità scientifiche non riescono a stabilire di preciso come sia stato possibile. Un fenomeno naturale, dicono. Gli scienziati non credono alla fortuna – se quel ragazzino cammina sulle sue gambe ed è sveglio c'è un motivo, e né io né la professoressa Juniper riusciamo a capire perché non siano state fatte ulteriori indagini. »

Il morso alla gola di N si allentò un poco. Quindi Black stava bene, era sano e salvo, non gli era successo nulla... Ripensò brevemente a tutto ciò che avrebbe voluto dirgli, e a quei lunghi istanti in cui aveva pensato di non potergli più parlare. L'angoscia percorse ogni fibra del suo corpo.

Si morse il labbro inferiore, la voce leggermente tremante. « Professore, perché non è andato di persona a indagare? Con la sua esperienza, sicuramente- »

« Se non ce l'ha fatta la professoressa, dubito che io abbia qualche possibilità in più di lei, che è nata e cresciuta lì. Abbiamo qualche teoria, certo, ma nulla che possa essere concretamente provato. » Oak tirò un sospiro e si sistemò meglio sulla poltrona di cuoio « Sia io che lei escludiamo una catastrofe naturale... no, assolutamente, gli elementi in nostro possesso puntano più verso una forza esterna, un macchinario oppure un Pokémon. »

Lo sguardo di N si raffreddò. « I Pokèmon non sono creature violente. Attaccano solo se minacciate. »

« Dipende dal tipo di Pokémon, ragazzo. Non sappiamo ancora se sia stato effettivamente un Pokèmon oppure qualcos'altro. Probabilmente non lo sapremo mai, e le famiglie di quei poveri ragazzi non avranno mai giustizia. » Oak sbuffò e incominciò a giocherellare con la penna posata lì vicino.

Quindi Black era ancora vivo, in salute, avrebbe potuto parlargli e aiutarlo, se possibile, e con la sua abilità naturale di poter dialogare con i Pokémon forse avrebbe potuto aiutare anche il professor Oak nella sua indagine ormai sospesa. « Ho il suo perm- »

Il professore lo interruppe con un sorriso: « Naturalmente sì, N. Questa forse può essere l'unica possibilità che abbiamo per avere un minimo di giustizia, e per farci riscattare dalle autorità. La scoperta di una creatura dotata di simili poteri segnerebbe senz'altro un'epoca. »

« La ringrazio. »

E lo pensava davvero.

 

************

 

Era l'incubo che lo tormentava da tre anni, e ogni volta dentro la sua mente era sempre più vivido e reale.

Sognava il calore del sole sul suo petto nudo, mentre Bianca e Cheren si divertivano a stuzzicarsi e spruzzarsi a vicenda l'acqua in riva al torrente; la sensazione dell'acqua ghiacciata contro le gambe, i piedi immersi in quel scivoloso refrigerio... era tutto così dannatamente vivido e vero ogni volta, che al risveglio gli faceva perfino male.

Come quel giorno non erano soli, no: a giocare con loro c'erano alcuni dei loro cari Pokémon, quelli che potevano permettersi un po' della naturale freschezza dell'acqua. Gli altri erano semplicemente poco distanti da lì, sdraiati chi su un sasso particolarmente grosso chi vicino alla riva, a godersi, come i padroni, l'intensità e il tepore del sole estivo.

Era tutto così perfetto, così giusto: la mano di Cheren che sfiorava timidamente quella lievemente più scura di Belle, e i suoi stupidi scherzi per attirare l'attenzione dei suoi migliori amici, tutto era come doveva essere, com'era sempre stato fin dalla loro infanzia. Ogni particolare era reso con estremo realismo e chiarezza; dalla limpidezza dell'acqua alla fresca risata di Belle, sembrava davvero che stesse rivivendo quel dannato ventisette luglio.

Improvvisamente, il cielo si fece scuro, quasi come se sopra le loro teste fosse calata una notte vagamente tinteggiata di rosso, e dall'alto planò una cratura strana, che nessuno di loro aveva visto prima, i cui lineamenti nel sogno erano vaghi e sfocati, come se la stesse guardando attraverso un vetro appannato.

Cheren ebbe appena il tempo di lasciarsi sfuggire un'esclamazione di stupore, che i suoi occhi si chiusero e il suo corpo cadde a terra, inerme come un pupazzo, seguito immediatamente da quello di Bianca. Si gettò al loro fianco, provò a chiamarli un'infinità di volte, ma non accennavano a riprendere coscienza; e mentre la figura scura si avvicinava, fece ciò che gli sembrò più logico in quel momento di panico: mettere al sicuro tutti i Pokémon nelle Poké Ball, lasciando fuori soltanto quello più fidato (Samurott) in caso la creatura si fosse dimostrata ostile.

Più si avvicinava, più le immagini si facevano confuse e distorte: la terra che tremava furiosamente, un dolore lancinante alla gamba destra, il calore delle proprie lacrime sugli zigomi...

Poi, il nulla.

Si svegliava ogni volta madido di sudore e col viso bagnato dal pianto.

Nonostante i suoi (quasi) diciannove anni di età, Black non si vergognava ad ammettere che quel sogno aveva il potere di nausearlo e farlo sentire indifeso come un bambino.

Da quella terribile giornata, la sua vita era stata segnata da due decisioni fondamentali: la prima,era che non avrebbe più né toccato né allevato un Pokémon, la seconda, che avrebbe cercato di stare il più possibile vicino ai suoi migliori amici.

Nessuna delle due era stata presa a cuor leggero; la prima soprattutto, era stata una diretta conseguenza dell'incidente, della morte – a causa della sua incompetenza – del suo Samurott. Nelle lunghe notti di degenza in ospedale, quando ancora i medici non sapevano se avrebbe potuto riprendere a camminare, il suo unico pensiero era stato quello di vendicare il suo compagno e i suoi amici. Una volta ritornato a casa aveva però avuto modo di ragionare in modo più ponderato: era senz'altro vero che la morte di Samurott era ancora avvolta nel mistero, ma tutto ciò non sarebbe successo se lo avesse messo al sicuro assieme agli altri, e questo era stato un'ovvia conseguenza della sua inesperienza, della sua incapacità di riflettere razionalmente.

Il senso di colpa lo aveva tormentato a lungo, e tutt'ora era suo fedele compagno quotidiano, nonostante con il passare del tempo si fosse abituato ad esso. Di giorno lo faceva sprofondare nell’apatia e nell’insofferenza, e di notte la sua mente dava sfogo, attraverso quegli incubi che tanto odiava, a tutte le emozioni che si impegnava a reprimere.

La realtà, Samurott a parte, era che aveva paura. Erano stati interpellati numerosi esperti, sia geologi che Pokémon, e nessuno era riuscito a fornire una spiegazione coerente sull'avvenimento testimoniato sia da lui stesso che dall'Avventuriero.

La riabilitazione era stata dura. Se da un lato era stato oggetto di attenzioni invadenti e sgradevoli da parte dei giornalisti, dall'altro si era ritrovato catapultato in una vita del tutto nuova: lui, che fino a poche settimane prima trascorreva giornate intere viaggiando a piedi o in bicicletta, aveva dovuto imparare nuovamente a camminare.

Dopo un anno di cure attente e scrupolose, aveva ripreso pieno controllo del proprio corpo. Certo, molte cose che prima gli erano naturali gli erano state precluse per sempre, come le lunghe camminate o le corse in bicicletta, ma dopotutto erano ininfluenti e facilmente sopportabili, dal momento che viaggiare alla ricerca di Pokémon era davvero l'ultima delle sue priorità.

Raggiunti i 18 anni, scelse per sé una facoltà del tutto priva di Pokémon (Architettura), per vivere una vita per quanto possibile serena e lontana da quello che era diventato il suo peggiore incubo. Era difficile; il suo pensiero era costantemente rivolto verso la vita che aveva condotto fino a un paio di anni fa, e sapere che Cheren e Bianca giacevano ancora su un freddo letto d'ospedale certo non lo aiutava a stare in pace con se stesso.

Ma ci riuscì. Dopo due anni soffocanti, passati a visitare dottori e a ricevere costantemente occhiate preoccupate e pietose da qualsiasi abitante della sua cittadina di origine, una volta che decise di andarsene via di casa riuscì a trovare un suo equilibrio, per quanto dentro di sé fosse convinto che fosse precario e fragile. La sua vita, che prima di allora era stata abbastanza facile e serena, si divideva fra gli studi e i mille lavoretti di cui aveva bisogno un po’ per una questione economica, un po’ per tenere la mente e il corpo impegnati, per non farsi assalire dai tetri pensieri che, altrimenti, lo avrebbero tormentato anche di giorno.

Andava bene così, sebbene la nostalgia lo accompagnasse in ogni minuto della sua vita. Quello che faceva era giusto e socialmente accettabile, e sicuramente era meglio soffocare i propri problemi lavorando o studiando che in altri modi. Sua madre, dopo due anni trascorsi nella preoccupazione e nella paura dei continui sbalzi d’umore del figlio, aveva ripreso a sorridergli e a trattarlo come una persona qualsiasi; suo padre non faceva altro che ripetergli che era orgoglioso di lui e della sua indipendenza. L’unica scontenta sembrava sua sorella White, l’unica persona al mondo capace di leggere dentro il suo cuore come un libro aperto, per questo evitava di vederla il più possibile; ogni sua visita a Castelia City, ogni volta che il suo lavoro glielo permetteva, era costellata di ammonimenti e brontolii su quanto « non lo riconoscesse più ». Black scuoteva il capo e le sorrideva, limitandosi a lasciarla parlare e parlare: era sempre stata sincera e loquace, dopotutto, e dentro di sé ringraziava la sua personalità aperta, che spesso gli evitava di tirare fuori nuovi argomenti di conversazione.

Pensando a quello che era riuscito a ottenere, potesa ritenersi moderatamente soddisfatto. C’erano ancora grosse lacune nella sua vita, ma non se la sentiva ancora di colmarle. Stava bene così, dopotutto, senza legami di alcun tipo.

C’erano alcune cose che lo scocciavano immensamente, purtroppo, e gli eventi mondani e sociali erano fra quelle. Aveva presto imparato che, frequentando l’università, era praticamente necessario avere un minimo di relazioni sociali: passarsi gli appunti e confrontarsi gli esercizi si rivelava spesso di fondamentale importanza. Dato che il lavoro (o meglio - i lavori - ) impegnavano il suo tempo laddove non lo faceva lo studio, frequentare i suoi compagni di corso al di fuori dell’ambiente accademico era praticamente impossibile. Le uniche occasioni di socializzazione che si concedeva, al di fuori dei pranzi in mensa, erano le feste universitarie, organizzate dai ragazzi accademici almeno una volta al mese. Spesso erano situazioni che lo infastidivano, ma aveva deciso che, almeno per mantenere qualche rapporto di amicizia, avrebbe fatto lo sforzo di recarvisi.

 

Viaggio nel Pokédex – prima festa a tema dell’Università di Castelia City!

Allenare è la tua passione?
 

« Ma anche no. » Commentò ad alta voce, sorseggiando il latte caldo macchiato. Fin da bambino, ogni sera prima di andare a dormire sua mamma preparava a lui una tazza di latte caldo, mentre a sua sorella, intollerante ai latticini, una tazza fumante di camomilla. Quando si era trasferito a Castelia City aveva deciso di mantenere quel piccolo rituale, sperando che White, seppure fosse ormai adulta e conducesse la sua vita, facesse altrettanto.

Ami i Pokémon come noi?

Black rabbrividì istintivamente. Forse, una volta…

Allora vieni a trovarci presso il locale Moonstone, e porta il migliore travestimento da Pokémon che hai!

In calce, vi erano i nomi e i contatti degli organizzatori per la prenotazione.

Avrebbe voluto evitare di andarvi, ma non se la sentiva neppure di non presentarsi, quando aveva detto ai suoi amici (conoscenti, l’amicizia è ben altra cosa) giusto quel pomeriggio che, come sempre, si sarebbe presentato.

  
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