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Autore: Lady_Cassandra    09/10/2012    2 recensioni
"Unforgivable" nasce in una notte d'estate, è una storia che vi porta dentro una vita di Spencer diversa da ciò che conosciamo. Ci troviamo diversi anni avanti, tutto è cambiato, Spencer non è più il "ragazzino" di tempo, è sposato ed è ormai padre.
Ritroverete i personaggi che conoscete, ma nulla sarà come vi aspettate. Spero di avervi incuriosito e gradiate la mia storia. Buona lettura!
[REVISIONATA FINO AL 10° CAPITOLO]
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Unforgivable.'
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 Idee sbagliate

 
Ogni impulso che tentiamo di soffocare, germoglia nella nostra mente, e c’intossica” (Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray)
 
“Quindi mi sta dicendo che il fatto che due ragazze, a cui lei aveva offerto un contratto, si siano suicidate a distanza di due giorni è una pura coincidenza?” intimò Spencer guardando il sospettato con estrema indifferenza.
“A quanto pare, sì. Io non ricordo nemmeno chi siano queste ragazze! Ha idea di quante persone si rivolgono a me?” rispose Davis con noncuranza.
“Devo dedurre che lei offre contratti a chi le capita a tiro?” gli domandò.
“Deduca quel che gli pare…” farfugliò Davis con tono sempre più annoiato. A quelle parole, Spencer uscì fuori dalla stanza, sbattendo la porta; quell’uomo era riuscito ad irritarlo profondamente; c’era qualcosa in lui che non quadrava, aveva un brutto presentimento, come se avvertisse che qualcosa di molto peggio sarebbe successa, senza riuscire capire cosa. Morgan lo raggiunse immediatamente con aria estremamente contrariata, “Ma come ti è saltato in mente di uscire in quel modo?” gli urlò indicando lo studio di Davis.
Spencer non rispose, sapeva di aver sbagliato ma non aveva alcuna voglia di ammetterlo. “Sarà meglio che tu torni lì dentro e ti comporti come ci si aspetta che tu faccia, hai capito Reid?” lo rimproverò con tono severo . Spencer annuì e rientrò nella stanza.
“Non abbiamo nessuna prova per poterlo in centrale” comunicò Anne sottovoce, fissando il collega con espressione preoccupata “Credo che dobbiamo lasciar perdere” continuò.
“Lasciar perdere? Non se ne parla, lui ha a che fare con questa storia ne sono più convinto!” esclamò Spencer
“Mi dispiace, Reid. Ma credo che dovrai rinunciare. Ha ragione Anderson, non abbiamo uno straccio di prova per poter insistere, e poi per oggi hai fatto abbastanza danni, non credi?” sottolineò il suo capo senza nascondere il suo disappunto.
“Ci vuole ancora molto? Avrei un appuntamento tra mezz’ora” li interruppe Davis guardando l’orologio che portava al polso.
“Non si preoccupi, non lo tratteniamo oltre. Arrivederci” annunciò Anne ed uscì dallo studio accompagnata dagli altri due agenti.
 
“Spencer si può capire che ti è preso lì dentro?” le domandò Anne mentre si sistemava i capelli.
“Ho perso un po’ il controllo…” sussurrò
“Un po’? Eri praticamente uscito fuori di testa” affermò con tono divertito.
“Solo il pensiero che ciò che è successo a Chelsea Garrison sarebbe potuto succedere ad Elizabeth, mi fa impazzire” riconobbe Spencer che ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva le immagini del collo livido di Chelsea associato al viso di sua figlia.
“Sì, ma non è successo. Quindi stai calmo, ok? Non ci servi quando fai l’esaurito!” gli disse facendogli un sorriso.
Anche il dottor Reid abbozzò un sorrise e boccheggiò per dire qualcosa quando li chiamò JJ. “Ragazzi, venite in sala riunioni. Lucas ha scoperto qualcosa d’interessante riguardo Davis”
“Allora, a quanto pare quelli di Mary Alice Evans e Chelsea Garrison non sono gli unici suicidi che vedono coinvolto Davis” annunciò Lucas una volta seduti tutti.
“La scorsa primavera a Richmond due ragazzi, James Duff e Tim Brown, 16 e 20 anni, entrambi membri di una band come Chelsea, si sono improvvisamente suicidati poco prima di firmare un contratto discografico di tre anni con l’agenzia di Davis” disse mostrando le foto dei due ragazzi sullo schermo.
“Due ragazzi?” chiese perplessa Anne guardando gli altri.
“Questo cambia del tutto la vittimologia” affermò JJ. “Già” confermò Spencer sempre più confuso.
“Credevamo che fossero le ragazze gli obiettivi dell’ S.I.” continuò.
“Come sono morti?” domandò Morgan. “Duff si è impiccato, mentre Brown si è buttato dal 10° piano del palazzo in cui abitava assieme alla sua ragazza” rispose.
“Nessun collegamento con Davis oltre il contratto?” chiese Spencer.
“No, nessuno. Gli agenti che hanno seguito le indagini le hanno chiuse dopo pochi giorni, Davis non è stato nemmeno interrogato” spiegò Lucas.
“Vorrà dire che aspetta a noi capire il ruolo di Davis in questi suicidi, se ne ha veramente uno” affermò Morgan e si diresse verso il suo ufficio lasciando i suoi colleghi in sala riunioni.
 
 
“Come procede l’indagine?” chiese Elizabeth a suo padre la mattina seguente mentre facevano colazione.
“Punto morto. Non riusciamo a trovare un qualche appiglio per fermare Davis” confessò Spencer.
“L’ufficio vuole chiudere l’indagine” la informò con tono rassegnato.
“Chiudere l’indagine? Ma sono impazziti! Chelsea non si è uccisa, e neanche quell’altra ragazza. Come fanno a chiudere l’indagine?” esclamò Elizabeth furiosa. Non riusciva a credere che l’F.B.I. avesse deciso di far finta che non fossero degli omicidi.
“Non abbiamo prove per poter andare avanti. Senza contare il fatto che, a parte Davis, tutto sembra indicare che questi ragazzi si siano suicidati” le disse.
“Chelsea non si è uccisa, hai capito? La verità è non t’importa nulla di scoprire chi è stato!” gli urlò contro.
“Ma come ti salta in mente di dire una cosa simile? È logico che mi interessa, ma non posso farci nulla se l’ufficio chiude l’indagine, tra l’altro l’F.B.I. non indaga sui suicidi, questo dovresti saperlo”
“Comunque Elizabeth ti prego, non peggiorare la situazione” lo pregò Spencer notando l’espressione di odio cieco di sua figlia.
“Non preoccuparti, non ti darò alcun fastidio” gli rispose con tono acido.
“Non usare quel tono con me, hai capito signorina?” la minacciò Spencer.
“Io uso il tono che voglio. Le tue minacce non hanno alcun valore per me” aggiunse la ragazza.
“Non hai alcun diritto di mancarmi di rispetto. Smettila subito e non costringermi a fare qualcosa di cui potrei pentirmi” affermò Spencer.
“Vaffanculo” urlò Elizabeth in tutta risposta e se ne andò uscendo dalla cucina.
“Elizabeth, torna qui immediatamente!” le gridò Spencer, ma ormai sua figlia non lo ascoltava più. Aveva già afferrato le chiavi della sua auto ed era uscita sbattendo la porta d’ingresso.
 “Che è successo?” chiese Madison entrata in cucina dopo aver sentito le urla dei due.
“Niente, un’altra litigata con Elizabeth. Come al solito, nemmeno oggi è riuscita a farne a meno” le rispose passandosi una mano sul viso.
“Spence, lascia perdere. Lo sai com’è fatta nostra figlia, Ellie è impulsiva e a volte dice cose senza pensarci.” cercò di rassicurarlo e si sedette accanto a lui.
“In ogni caso ecco il tuo regalo” gli disse, porgendogli un pacco rosso con un enorme fiocco blu sopra.
Spencer sorrise, sua moglie riusciva sempre a tirargli su il morale. Aveva un dono per queste cose.
“Maddie, ma dai! Credevo che oramai non ci facessimo più regali ad ogni compleanno”
“E invece no! Allora aprilo” insistette Madison mordendosi le labbra, fremeva dalla curiosità di vedere la reazione di suo marito.
“Va bene…”
 Iniziò a scartare il pacco rimanendo per qualche fermo senza riuscire ad articolare un suono. “E’ bellissimo!” esclamò commosso abbracciando Madison.
Era una fotografia incorniciata che ritraeva loro insieme ai ragazzi, scattata qualche anno fa, nel Hyde Park a Londra durante una vacanza. Si ricordava bene di quella vacanza; Madison, infatti, dopo aver partecipato ad una gara di nuoto nel Tamigi, si era ammalata di polmonite, costringendoli a rinviare la partenza di circa due settimane, ma soprattutto la ricordava perché quella fu l’ultima vacanza che avevano trascorso tutti insieme prima che il suo rapporto con sua figlia andasse in frantumi. In effetti, fino a poco tempo fa, tra i due c’era una grande intesa; Elizabeth si confidava con lui ed era Spencer la persona a cui si rivolgeva quando aveva un qualche problema o anche per un semplice consiglio. Ma all’improvviso qualcosa fra loro si ruppe ed Elizabeth smise di cercarlo.
Ora si chiedeva se questa situazione sarebbe durata per sempre o se un giorno sarebbe tornato tutto come prima.
“Sono contenta che ti piaccia. Ora scusami, ma devo andare in ospedale, mi hanno cambiato il turno. Ci vediamo dopo” gli disse, dopodiché gli diede un bacio sulla fronte e se ne andò.
“A dopo!” rispose suo marito salutandola con la mano. Dopo essersi versato un’altra tazza di caffè, andò nello studio, posò la fotografia sulla scrivania e rimase lì in silenzio a fissarla.
 
 
Arrivata a casa, Elizabeth buttò lo zaino sul pavimento e prese subito la chitarra, sentiva il bisogno urgente di suonare qualcosa, ma soprattutto di smettere di pensare. La notizia della chiusura delle indagini l’aveva profondamente turbata, sentiva la necessità di fare qualcosa, non poteva accettare che la morte di Chelsea fosse considerata un suicidio quando la verità era che era stata uccisa.
Era completamente immersa nei suoi pensieri quando lo squillo del telefono riportò Elizabeth alla realtà; “Non c’è nessuno che risponde?” gridò dopo aver sentito il telefono squillare tre volte.
S’affrettò a scendere le scale e alzò la cornetta del telefono.
“Pronto?” rispose la ragazza.
“Morgan? Come mai ci hai messo così tanto a rispondere?” le domandò Diana dall’altro capo del telefono.
“Nonna, ciao”  esclamò Elizabeth, riconoscendo subito la voce di sua nonna, d’altronde era l’unica persona al mondo a chiamarla con il suo secondo nome, deciso da suo padre, che al momento della sua nascita decise di darle un nome significativo, e non poté non chiamarla come il suo miglior amico, che si prese cura della sua figlioccia assumendosi quell’impegno con serietà e senza battere ciglio.
 “Scusa se ci ho messo un po’, ma credevo che ci fosse Jules a casa, invece sono sola. Comunque dimmi, è successo qualcosa?” chiese sua nipote preoccupata; sua nonna non telefonava mai, a parte che quando si era cacciata in qualche guaio, cosa che ultimamente succedeva spesso. Elizabeth le voleva un gran bene, le piaceva passare del tempo insieme a lei, ma ciò che amava di più di lei era la sua stravaganza; con sua nonna, infatti, si sentiva libera di fare e dire qualsiasi cosa, parlavano ore e ore delle cose più assurde senza mai stancarsi.
“No, non è successo nulla. Ho chiamato solo per dare gli auguri di compleanno a Spencer” spiegò la motivazione della telefonata Diana.
“Nonna, oggi non è il compleanno di papà…” ribadì con sicurezza e lasciandosi sfuggire un sorriso.
Sì, invece. Il compleanno di tuo padre è il 9 marzo, è una delle poche cose che mi ricordo!” esclamò Diana un po’ confusa.
“Oggi è 9?!” domandò allarmata Elizabeth, sentì sua nonna fare un ‘aha’ dall’altra parte della linea e si batté il palmo della mano libera contro la fronte.
 “Oh merda…” sussurrò la ragazza dopo aver realizzato di essersi scordata del compleanno di suo padre.
“Come tesoro? Non ho capito” le domandò la donna.
“Nulla, nonna. Senti, papà non c’è adesso. Ti faccio chiamare più tardi, ok?”
“Sì, va bene. Ci sentiamo allora” rispose e chiuse la telefonata.
“E ora che faccio?” si chiese. Doveva come minimo comprargli un regalo per farsi perdonare, specialmente dopo averlo mandato a quel paese il giorno del suo compleanno, anche se era convinta che non sarebbe servito a molto e, in ogni caso, non aveva la minima idea di cosa avrebbe potuto regalargli, in effetti, fare regali non era il suo forte. Perciò decise di farsi aiutarsi dalle sue amiche, e dopo averle chiamate, andò al centro commerciale.


“Allora Ellie, cosa hai in mente?” le domandò Nicole una volta arrivate nello shopping center.
Entrarono in un negozio di abbigliamento uomo piuttosto elegante e iniziarono a dare un’occhiata ai vari capi. “Non lo so, ho solo 20 dollari, quindi qualcosa di poco costoso” rispose guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa che colpisse la sua attenzione.
“Che ne dici di questa camicia? Secondo me potrebbe andar bene, e poi Spencer sta benissimo con il celeste”  propose Blair sorridendo.
Elizabeth annuì, era una bella camicia e rientrava nello stile di suo padre. “Quanto costa?” s’informò.
 “45 dollari” rispose Blair controllando il cartellino del prezzo.
La ragazza sgranò gli occhi. “Cosa?! Non se ne parla proprio!” esclamò con fervore. “Hai ragione, è un po’ troppo costosa. Comunque le starebbe davvero bene, quasi quasi gliela compro io” disse con aria sognante.
“Smettila, Blair!” la minacciò Elizabeth; la cotta di Blair per suo padre la irritava parecchio, a volte pensava che venisse a casa sua unicamente per vedere il dottor Reid.
Blair posò di nuovo la camicia appendendo come dovuto e fece spallucce. “Un vero peccato” disse a bassa voce e continuando ad accarezzare la manica, Elizabeth le lanciò un’occhiataccia e roteò gli occhi.
“Andiamo via prima che Blair gliela compri sul serio” affermò Nicole ridendo.
“Ma io non ho comprato nulla…” farfugliò Elizabeth con espressione leggermente disperata.
 “Scusa, ma è proprio necessario che gli compri qualcosa? Perché non gli suoni una canzone? Secondo me è più bello, è più personale. Senza contare il fatto che tuo padre l’apprezzerebbe molto di più” le suggerì l’amica.
 “Mi associo” affermò decisa Blair prendendo a braccetto Nicole.
Ellie arricciò le labbra. “Sì, avete ragione voi” rispose Elizabeth dopo averci riflettuto sopra.
 “Ora andiamo da Nima’s!” annunciò indicando la vetrina del negozio di frontee prese per mano le sue amiche trascinandole fuori.
“A fare che?” domandò Blair incuriosita.
 “A comprare il braccialetto che è in vetrina” rispose, avviandosi dall’altra parte, in fin dei conti in qualche modo li doveva spendere quei soldi.
 
 
“Posso entrare?” domandò Elizabeth dopo aver bussato alla porta dello studio.
“Sì, certo! Entra pure…” le rispose Spencer, mettendo da parte i fascicoli.
“Buon compleanno”  trillò cercando di far finta di nulla. “Scusa per stamattina, non lo pensavo veramente…” sussurrò fissando il pavimento.
“Non ti preoccupare, Ellie. Non è successo nulla” la rassicurò Spencer.
“Sapessi chi mi ha ricordato il tuo compleanno!” esclamò sua figlia, cambiando argomento, “Nonna Diana!” continuò, scoppiando a ridere.
“Mamma?” chiese sorpreso Spencer, scoppiando anche lui a ridere.
“Incredibile, vero? Cioè la stessa nonna che ci manda dei regali ogni tre mesi perché non si ricorda mai quando sono i nostri compleanni, mi ha ricordato del tuo” fece una pausa per prendere fiato e continuò: “Senti, ho provato a comprarti un regalo, ma non ho concluso nulla, in compenso mi sono comprata questo braccialetto!” gli riferì esibendo con fierezza il braccialetto che portava al polso.
 “E’ molto bello” rispose ironico Spencer.
“Comunque io un regalo te lo vorrei comunque fare, ma devi venire con me giù di sotto” gli disse e si diresse verso le scale dopo aver aspettato suo padre.
“Accomodati” suggerì al dottor Reid, indicando la poltrona accanto al pianoforte. Suo padre si sedette e si sistemò un cuscino dietro la schiena per stare più comodo.
 Elizabeth, dopo essersi accertata di avere l’attenzione di suo padre, fece un respiro profondo per calmarsi e cominciò a suonare.
 Era la prima volta che suonava qualcosa per suo padre, ad essere sinceri, Elizabeth suonava solo per sè stessa; non amava molto esibirsi, in effetti, essere al centro dell’attenzione la metteva a disagio, anche se con il suo atteggiamento non faceva altro che ottenere il contrario.
Nel frattempo che suonava, notò l’espressione sbalordita di suo padre con la coda dell’occhio, il quale rimase incantato dopo aver sentito Elizabeth suonare, non pensava che fosse così brava.
“Ma dove hai imparato a suonare così?” le chiese muovendo le dita come se stesse suonando il piano. “A casa! Al contrario di quello che pensi tu, io qualcosa la combino” affermò sua figlia con tono scherzoso.
Suo padre sorrise. “Sei veramente brava, Ellie. L’hai composta tu?” domandò incuriosito.
“Mmm…si. Sto scrivendo anche il testo, ma per il momento è solo musica” spiegò Elizabeth intanto che sistemava gli spartiti.
“Quando finisci di scriverlo, me lo devi assolutamente cantare!” affermò Spencer alzandosi dalla poltrona ed andandole vicino.
“Va bene, se ci tieni…” rispose sua figlia stupita per la reazione di suo padre. “Comunque io vado, ho un po’ di compiti da fare, cioè dovrei fare qualcosa. Buonanotte” continuò, in seguito, salì le scale portandosi con sé gli spartiti.
“Sbaglio o hai appena tenuto una conversazione civile con Elizabeth?” chiese sua moglie che nel frattempo era rientrata a casa.
“Sì, mi ha chiesto scusa e mi ha suonato una sua canzone. Non avevo idea che suonasse così bene, mi ha ricordato te quando eravamo più giovani. Ti ricordi? Quante ore abbiamo passato a suonare il piano insieme?” le ricordò Spencer abbassando lo sguardo, non riusciva a ricordare l’ultima volta che avevano passato un po’ di tempo insieme.
Madison si accorse della velata tristezza negli occhi di suo marito e si avvicinò. “Il piano è sempre lì e possiamo suonarlo quando vogliamo” lo rassicurò facendogli un sorriso materno.
Anche il dottor Reid abbozzò un sorriso. “Mi manchi, Maddie” sussurrò prendendola per mano, sua moglie sollevò le sue mani verso la sua bocca e le baciò. “Che ne dici se andiamo a cena fuori? È il tuo compleanno, festeggiamo!” gli propose sicura che quella proposta avrebbe fatto piacere a Reid.
Spencer annuì elettrizzato, tuttavia il suo entusiasmo si spense quasi subito. “E i ragazzi?” chiese perplesso a sua moglie che aveva già indossato la giacca.
 “Non preoccuparti! Non sentiranno la nostra mancanza” le rispose divertita e lo tirò per la manica. “Dai, andiamo! Sarà come avere trenta anni di nuovo!” esclamò trascinando suo marito verso la porta.
“Maddie, tu non hai mai smesso di avere trent’anni!” la prese in giro prendendo il cappotto dall’appendiabiti.
“Hai ragione” ammise la dottoressa mordendosi il labbro inferiore. Aspettò che suo marito la raggiungesse e aprì la porta, era sul punto di uscire quando suo marito la bloccò afferrandola per la vita. “Aspetta, ho dimenticato una cosa” le disse con voce suadente.
Madison inarcò un sopracciglio e lo fissò stranita. “Cosa?”
“Questo” sussurrò al suo orecchio, dopodiché l’avvicinò a sé prendendo il suo viso fra le mani e la baciò.
 
 
“Dove sono mamma e papà?” domandò Elizabeth a Jules quando scese al piano di sotto per informarsi sulla cena.
 “Sono andati a cena fuori” le riferì lanciandole un’occhiata d’intesa. Ultimamente anche loro si erano accorte che i loro genitori trascorrevano sempre meno tempo insieme, cosa creò dispiacere nelle due ragazze.
Si erano sempre ritagliati del tempo per stare insieme, nonostante avessero tre figli a cui badare, tuttavia, a causa i loro ritmi di lavoro, si erano un po’ allontanati.
 “Io e Thomas vogliamo ordinare la pizza, per te va bene?” le chiese.
“Sì, va benissimo. Appena arriva chiamami. Io sono di sopra, devo finire una ricerca” mentì Elizabeth.
 “Ok…” rispose Jules che non aveva prestato molta attenzione alle parole della sorella.
Elizabeth salì al piano di sopra in fretta e dopo essersi accertata che suo fratello fosse di sotto, entrò nello studio di suo padre, chiudendosi la porta alle spalle. Cercava i fascicoli del caso, era sicura che suo padre li aveva lasciati lì, lo faceva sempre.
“Eccoli!” esclamò dopo averli trovati. Li lesse velocemente senza trovare però l’indirizzo di Davis. Poi notò il notebook di suo padre, “Sicuramente tutte le informazioni saranno lì…” pensò.
Lo accese convinta di non trovare nessun ostacolo, ma non fu così; infatti, il computer era protetto da una password e lei non aveva idea di quale fosse. Dopo una serie di tentativi andati a vuoto, stava per rinunciare quando si ricordò di una conversazione avuta con Penelope qualche anno prima.
“Zia Penny che fai?”
“Nulla, sbircio le conversazioni di Kevin”
“Ma non è violazione della privacy questa?”
“Tesoro mio, leggere le conversazioni di tuo marito non è violazione della privacy, ma uno dei tuoi diritti in quanto moglie!”
“Beh, questo cambia decisamente le cose. Ma se il computer è protetto da una password come si fa?”
“Che domande! Ti faccio vedere, è semplicissimo, basta che premi qui e scrivi questo ed ecco fatto”
“Mhm…interessante! Vedrò di metterlo in pratica”
“Assolutamente tesoro, è un ottimo modo per tenere tutto sotto controllo!”
La ragazza esitò un attimo prima di procedere in quella direzione, ma alla fine la curiosità vinse e riaccese il pc.
“Bene, allora devo premere qui poi scrivere…” disse a voce alta augurandosi vivamente che quel sistema funzionasse. Dopo qualche minuto di attesa, comparvero tutti i file di suo padre.
“Ci sono riuscita. Grazie, zia Penny!” esclamò Elizabeth parlando da sola. Poi cercò l’indirizzo di Davis, lo scrisse su un foglio ed uscì dallo studio. Ora sapeva cosa avrebbe fatto il giorno dopo.
  
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