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Autore: Alex_J    09/10/2012    1 recensioni
"...mi chiamo Michael ed amo Rachel. Perché amarla mi rende ciò che sono, amare lei e come amare me stesso."
" Cosa ne pensi del suicidio Mich?"
" Penso che sia poco nobile togliersi la vita, soprattutto se non c'è un motivo preciso. Anche se ci fosse, bisogna reagire di fronte alle difficoltà, non tirarsi indietro"
Rachel guarda dritto davanti a se.
" Io non ci riuscirei mai, insomma è qualcosa di brutale e stupido. E io mi ritengo una persona intelligente "
" La più intelligente" "o la più stupida , visto che di intelligenti ce ne sono tanti " Rachel ride e io la seguo.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se dovessi presentarmi a una persona, qualsiasi persona direi il mio nome e la mia età. Se una persona invece mi chiedesse di parlare di me stesso, del mio carattere, hobby e preferenze direi questo: mi chiamo Michael ed amo Rachel. Perché amarla mi rende ciò che sono, amare lei e come amare me stesso. E' facile farsi male, e facile farle male. Ed è difficile continuare ad amare, soprattutto quando lei non ti ama e mai potrà amarti.
 
" Mich, Mich! Ho una meravigliosa notizia!" la sua voce è stata un lampo di luce nell'ombra perenne della mia stanza. Non avevo nemmeno sentito i suoi passi sulle scale della villa di nonna Martha , perso tra la musica e i miei pensieri. Era letteralmente piombata in camera, cosa che non aveva mai fatto nei due anni in cui la conoscevo, con un sorriso largo da orecchio a orecchio. Quel sorriso mi rese immensamente felice, complice delle sue emozioni.
Da un anno a quella parte vivevo in simbiosi con lei, nutrendomi delle sue emozioni e dei suoi sorrisi radiosi come se fossero il nettare proibito degli dei. Era una gioia stare accanto a lei, un gioia vedere una ragazza così piena di vita, sempre pronta a spronarti e a farti sorridere; una gioia che mi seguiva anche a casa, come se lei fosse ancora con me. Era un amore fresco e libero, anche se ero solo io a provarlo. Da tutta la gioia che mi trasmetteva non mi accorgevo che il mio sentimento non era affatto ricambiato. Mi voleva bene, sì. Ma niente di più. Non sognava ad occhi aperti le mie labbra incontrarsi con le sue. Ma io, accecato com'ero da tutta quella luce che mi donava, non lo sapevo.
"Dimmi, Rach" le dissi, voltandomi verso lei ma senza smettere di sorridere.
"Ti ricordi quel ragazzo di cui ti parlavo? Beh, penso di interessargli" il sorriso sul mio volto rimase, come una paralisi. Continuavo a guardarla, con i suoi occhi color cioccolato luminosi e i capelli come la terra di Siena, quella bruciacchiata , come il mio mondo in quel momento. Erano fiamme quelle che divampavano sul mio cuore? Credo di si, ma fiamme di dolore. Il mondo intento diventava più lento, così lento che sentivo il battito del mio cuore forte e chiaro, preciso e netto. Insieme al fuoco, e a quella sottospecie di metronomo umano sentivo che il mio cuore , ormai messo a dura prova, stava crollando. E in quel momento che , dalla disperazione, mi promisi di non lasciarla andare, di seguirla sempre. Perché io non ero niente senza di lei. Io ero l'amore che provavo per lei, la gioia di vivere che mi trasmetteva.
Ma sentii nello stesso tempo, che stava già scivolando via da me.
 
Da quel giorno dedicai un'ora a piangere, esattamente due ore prima in cui dovevo incontrarmi con lei o quando ero solito incrociarla in giro. Piangere, versare lacrime. Faceva male, aumentava la caduta dei pezzi volta per volta, ma almeno stabilizzava il bruciore quando ero con lei. Stavo decisamente meglio in sua compagnia, dopo che mi ero sfogato da solo.
Erano passate due settimane da quel giorno e ormai stavano insieme, ma nessuno lo sapeva. A parte me, ovviamente e io preferivo far parte delle persone che non lo sapevano. Assistevo alla sua completa dedizione verso di lui, l'amore malsano- quasi soffocante- che la sbiancavano, scavavano fino a renderla uno spettro di se stessa. L'avevo vista passare giorni mentre correva continuamente in bagno, nella paura che fossero arrivate le mestruazioni e queste non arrivavano mai. Capii in quel momento che la stava usando completamente e che la sua paura stava nel fatto che non voleva rimanere incinta, almeno non all'inizio. Le faceva credere che la ex-fidanzata lo stava controllando e che la loro storia doveva rimanere segreta. Non sono ancora pronti per noi. Intanto lei gli aveva già donato anima, cuore e corpo. Tutti insieme, tutti nello stesso momento.
Volevo aiutarla, mi ero promesso di non lasciarla andare. Ma non era facile e le mie lacrime- per ogni gesto strano che vedevo farle, per ogni mania, per ogni osso sempre più sporgente e per ogni sorriso inquietante - lo dimostravano.
Soprattutto perché lei non voleva ascoltarmi. Jack era il suo nuovo dio e l'amava, ne era fermamente convinta e chiunque lo negasse era considerato blasfemo.
 
Quando lo vidi un pomeriggio mentre camminava con quella che doveva essere per Rachel la sua ex, senza preoccuparsi di nascondersi, la speranza di salvarla si riaccese in me. Quando venne da me per copiare i compiti- ormai lo studio era qualcosa di troppo superiore alla sua condizione - glielo dissi.
"Sì, me lo ha detto Jack che ti ha visto e ha aggiunto anche che ti ha salutato. Sei stato maleducato a non salutarlo anche tu" parlava in modo atono, con un fare bambinesco, come per rimbeccarmi.
Non vidi più niente dopo quelle parole. Diventai pietra, tenendo strette quelle frasi per l'ultimo pianto che mi aspettava dopo.
" Hai copiato tutto. Ora, fuori" le sibilai, freddo. Lei mi guardò ancora priva di emozione, per poi alzarsi senza battere ulteriormente ciglio. Accompagno la porta, perché non aveva la forza ne l'emozione necessaria per sbatterla. Inizia a piangere, credevo per l'ultima volta.
 
Passai la settimana successiva, il mese dopo , a costruire giorno per giorno la mia corazza di ghiaccio, evitando tutto e tutti. Tutto era svolto meccanicamente. Anche quella sera, mentre andavo a buttare la spazzatura , tutto era normale nella mia asettica normalità.
Tranne lei, di fronte a casa mia, con in mano una bottiglia di whisky e lo sguardo ancora più vuoto di un mese prima.
 
I'll carry you home, tonigh*
 
 
Non ragionavo, il mio corpo faceva tutto in automatico. Buttai il sacchetto per strada e corsi verso di lei. Le strattonai via la bottiglia senza alcuno sforzo e appoggia il suo braccio sulle mie spalle, trascinandola fino a casa, mentre mormorava frasi sconnesse. Riuscii solo a capire che l'aveva lasciata . Quella sera sperai che i suoi genitori avrebbero potuto farla rinsavire e farle capire che a diciassette anni i ragazzi - non tutti, ma la maggior parte- sono degli stronzi con tanto di patente e tu sei solo il loro strumento di piacere. Ti prendono, ti usano e ti gettano via. Lo avevo sentito raccontare molte volte dai miei compagni di classe.
Sperai che riuscissero a farle capire che la vita va avanti. Credevo di essere riuscito a salvarla veramente quella volta. Ma mi sbagliavo ancora.
 
Era un giorno di maggio, il 23. Il sole splendeva e i miei pensieri negativi iniziavano a scemare come le nuvole in quel cielo terso. I miei occhi incontrarono una luce più forte di quella solare: Rachel, la vera Rachel. Quella Rachel sempre sorridente, da colorito rosato e il fisico magro e tonico, proporzionato in tutto. Non lo spettro di se stessa di qualche mese prima. Camminava sul marciapiede, con indosso un vestitino bianco e leggero. Non riuscivo a vedere gli occhi, ma ero sicuro che risplendessero della loro luce originale.
Stupido.
I secondi seguenti sono ancora vividi nella mia mente anche se cercano di essere oscurati dalle mie lacrime. Incontrai i suoi occhi: erano ancora vuoti. Le andai incontro, lei faceva lo stesso  ma mentre io continuavo a camminare, lei si abbassava fino a sdraiarsi in mezzo alla strada. Iniziai a corre con non so quale forza. Provai a farla rialzare, le urlai di tutto , trascinandola con forza. Chiedevo aiuto ma nessuno accorreva. Cercavo di prenderla di peso, ma non ci riuscivo. Continuavo a ripeterle che doveva alzarsi, che avrei saputo renderla felice, che poteva essere gli stessi amici , stupidi come una volta e che lei non poteva fare la cosa più stupida di questo mondo rimanendo li. La imploravo, ricordandole che non poteva lascairla e sopratutto rimanendo li si sarebbe fatta ammazzare.
Lei allora, sembrò riprendere vita. " Non importa, è meglio così" non c'era alcuna traccia di dolore in quella frase, solo rassegnazione . E quasi sollievo.
" Ma io ti amo, non puoi farmi questo! " le lacrime ormai scorrevano, rabbiose e supplicanti. il suo sguardo era stupito: finalmente aveva capito.
" Vattene, tu ha una vita , vai" mi disse.
" No, perché anche tu hai una vita. La puoi ricostruire, io posso aiutarti! Non ti lascerò andare Rach" risposi disperato, stringendole la mano sinistra.
Lei mi guardò ancora una volta , sempre più confusa. Stava per dire qualcosa quando senti lo stridio delle ruote e un forte colpo alla testa , poi il buio.
 
Avrei potuto sdraiarmi accanto a lei e sentire per sempre quello che voleva dirmi. Chissà cosa voleva dirmi, chissà. Il rimorso logora le mie giornate da quel 23 maggio. E non posso più saperlo, cosa voleva dirmi.
Non in questa vita.
Guardo la pillola bianca nella mia mano, la stessa che ha preso lei quella mattina. Amare Rachel mi rendeva un ragazzo migliore, un uomo quasi. Amare Rachel significava amare me stesso.
Ora che Rachel non c'è più e non posso più amare, la mia vita sta arrivando alla fine. Ho sempre avuto un rapporto burrascoso con me stesso, accompagnato da un odio e un disprezzo profondo per quello che ero, alimentato dalla mia famiglia. Io sono sempre stato il figlio nullafacente, quello che non spiccava in nessuna attività, nonostante avessi dieci in qualsiasi materia. Io disonoravo quel nome tanto importante che i miei avi si erano costruiti nel tempo. Non sapevo cosa volevo fare della mia vita, magari solo l'insegnate o magari avrei voluto viaggiare per il mondo insieme alla gemella.
Capelli troppo ricci, occhi troppo scuro. Non ho mai avuto una ragazza a cui interessassi io e non i miei soldi, o i miei compiti. Con Rachel avevo trovato la speranza, lei era diversa. Si era avvicinata a me per controbattere una mia affermazione e da li non mi aveva più lasciato. Strozzo un singhiozzo e respiro.
Forse dovrei andare avanti, ma non ho mantenuto la mia più grande promessa. Sono un disonore, per tutti.
Ingoio la pastiglia.
 
So excuse me forgetting , but these things I do
You see I've forgotten If they're green or they're blue
Anyway the thing is, what I really mean
Yours are the sweetest eyes I've ever seen**
 
Vedo Rachel sorridermi. Come se fosse ancora qui con me, viva. Capisco allora che questo è un addio, un addio al mondo.
 
" Cosa ne pensi del suicidio Mich?"
" Penso che sia poco nobile togliersi la vita, soprattutto se non c'è un motivo preciso. Anche se ci fosse, bisogna reagire di fronte alle difficoltà, non tirarsi indietro"
Rachel guarda dritto davanti a se.
" Io non ci riuscirei mai, insomma è qualcosa di brutale e stupido. E io mi ritengo una persona intelligente "
" La più intelligente" "o la più stupida , visto che di intelligenti ce ne sono tanti " Rachel ride e io la seguo.
 
La risata riecheggia nella mia mente, così come il ricordo. Brutale e stupido. Ma alla fine lei era stata coerente, sono io che non sono riuscita a salvarla. E' morta per colpa della macchina che la investita , non solo per la pastiglia che aveva ingerito e che le stava bruciando i neuroni. Ora Rachel non mi sorride più.
" Perché lo stai facendo?" mi chiede.
" Perché ti amo Rach"
" Sei incoerente lo sai? Avevi detto che non ti saresti mai tolto la vita." mi rimprovera.
Non rispondo e lei chiude gli occhi.
" Non dovresti farlo, lo sai" inizia in tono accusatorio e cantilenate. Con quella voce da bambina capricciosa che la caratterizzava negli ultimi istanti.
" Perdonami" biascico, mentre sento le forze abbandonarmi. Riapre gli occhi, per l'ultima volta.
Sono marroni, cioccolato fuso. Ancora più belli di come li ricordavo. Ora brillano, luce pura.
E amore, che mi avvolge e mi fa sperare che tutto questo non sia mai esistito.
 
Ragazzo appena diciottenne trovato morto in camera sua: aveva ingerito una nuova droga sintetica, che brucia in neuroni nel giro di cinque minuti.
La famiglia è in lutto , non vuole rilasciare dichiarazioni. Gli amici sì, quei pochi che riescono a parlare.
L'intervistatrice vede un ragazzo dallo sguardo vuoto verso il basso e il suo sguardo si illumina.
"Come ti chiami ragazzo?"
"Jack" biascica continuando a fissare il pavimento.
"Cosa puoi dirci di Michael? Lo conoscevi bene?"
Alza lo sguardo, che sembra rianimarsi.
" Posso solo dire che ora lui è felice. Ora sono felici. E mi dispiace, perché ho rovinato la vita ad entrambi"
L'intervistatrice fa fermare le riprese , perché il pianto del ragazzo è troppo straziante anche per la televisione. E' un pianto fatto di rimorsi, di un dolore troppo profondo.
Che lei, non riesci a spiegare che lo possa provare un ragazzo di diciotto anni appena.
 
Trovate le ultime parole del diciassettenne suicida.
 
Questa volta non ti lascerò andare, mai più. Guardami Rach, sono già li.
 
 
* testo tratto dalla canzone We are young –Fun
** strofa di Your song-Elton John
  
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