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Autore: yu_gin    09/10/2012    3 recensioni
Kurt è appena arrivato a New York e le cose col suo coinquilino non vanno per nulla bene.
E' freddo, scontroso, assente, senza che lui riesca a comprenderne il motivo.
Ma a volte è solo questione di partire col piede giusto. E di concedere una seconda chance.
Scritta per il secondo giorno della Klaine week: Roommates!klaine
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Second day: Roommate.

Take me back to the start.




«E mi raccomando, se hai bisogno di qualsiasi cosa-»

«Non esiterò a chiamarti. Ma sono appena arrivato, Rachel, e confido di poter sopravvivere fino a questa sera.»

«Mi dispiace così tanto, ma le lezioni-»

«Stai tranquilla. Ho già parlato con il mio futuro compagno di stanza, un certo Blake Chanderson, qualcosa del genere. Sembra un a posto.»

«Ottimo. Fammi sapere.»

«Entro sta sera saprai tutti i pettegolezzi su questo Blake e l'intero dormitorio maschile della NYADA. Contenta?»

«Non vedo l'ora. A dopo.»

Kurt chiuse la chiamata e sollevò lo sguardo sull'edificio davanti a lui: il dormitorio maschile della scuola dei suoi sogni.

«Ci siamo, Kurt. Comincia una nuova vita piena di ragazzi mentalmente aperti che come te amano la musica, Brodway e la cucina dietetica» mormorò fra sé, sorridendo.

Non vedeva l'ora di conoscere il ragazzo con cui avrebbe condiviso la stanza. Al telefono era sembrata una persona misurata e a modo.

Trascinò la propria valigia fino al quarto piano e bussò alla porta dell'appartamento numero 21.

Accostò l'orecchio alla porta e sentì una musica risuonare per l'appartamento a volume piuttosto elevato.

Riconobbe subito la canzone: Teenage Dream di Katy Perry. Se ascoltava con attenzione poteva distinguere una voce maschile duettare con la cantante.

Infastidito bussò con più violenza alla porta e poco dopo questa si aprì.

Davanti a lui c'era un ragazzo non troppo alto e coi capelli completamente all'aria e ancora bagnati dalla doccia che doveva aver fatto da poco. Addosso aveva solo una t-shirt della NYADA e un paio di pantaloncini troppo aderenti e troppo corti.

«Sì?»

«Ciao, forse ho sbagliato stanza, sto cercando Blake Chanderson» gridò, per sovrastare la musica.

«Come? Blaine Anderson?»

«Potresti abbassare la musica?» gridò.

Il ragazzo alzò le spalle e si voltò per andare a spegnere lo stereo. Solo allora Kurt poté notare la scritta sul retro dei pantaloncini: “Try to touch this butt”.

Alzò gli occhi al cielo sconsolato. In chi diavolo si era imbattuto?

«Hai detto che cerchi Blaine Anderson?»

«Qualcosa di simile, sì. Lo conosci?»

Il ragazzo rise: «Beh, sì: sono io.»

Kurt non riuscì a trattenere lo stupore.

«Tu devi essere Kurt Hummel, giusto?»

Annuì assente: «Eri tu al telefono qualche giorno fa?»

«Certo. Non ti aspettavo così presto. Di solito le matricole si perdono per New York il primo giorno.»

Kurt accennò ad un sorriso stentato, mentre nella sua mente dovette frenare l'impulso di prendere a schiaffi il ragazzo di fronte a lui.

Come poteva quel caotico e rumoroso ragazzo essere lo stesso gentelman con cui aveva parlato al telefono?

«Posso entrare?» sospirò.

Il ragazzo si fece da parte per farlo entrare.

Non appena ebbe dato un'occhiata all'interno, Kurt ebbe modo di constatare che la scarsa igiene personale del ragazzo rifletteva perfettamente il disordine che regnava in quella stanza.

Blaine raccolse velocemente un paio di mutande da terra e le gettò nel cesto della biancheria sporca.

«Scusa, c'è un po' di disordine, ma accomodati pure.»

Kurt occhieggiò alla chitarra sopra il letto che doveva essere sua. Chitarra che Blaine si apprestò a spostare.

«Okay, ora puoi accomodarti.»

Kurt posò la valigia sul letto e vi si lasciò cadere accanto con un sospiro.

«Lungo viaggio?»

«Non troppo. Diciamo che l'Ohio è più vicino della California.»

«Ohio? Columbus?»

«Lima.»

Il ragazzo lo fissò stupito: «Ma dai? Io sono di Westerville. Avremmo potuto incontrarci anni fa!»

Dio ce ne scampi, pensò Kurt, ma poi si pentì. In fondo non conosceva ancora quel Blaine e non avrebbe dovuto giudicarlo unicamente per il suo scarso senso della moda, pessimo gusto musicale e totale mancanza d'ordine.

Cominciò a svuotare la valigia e, non appena aprì l'armadio, poté constatare quanto la situazione fosse tragica. Lo stesso, ovviamente, valeva per il bagno.

«La convivenza sarà dura» mormorò.


Quella sera Blaine fece irruzione in bagno mentre Kurt era intento a seguire i suoi rituali di idratazione della pelle: «Ciao, oggi verranno a trovarmi dei miei amici. Pensavamo di occupare il divano e giocare alla playstation fino a romperci i pollici. Vuoi unirti?»

Fino a romperci i pollici? Davvero, Blaine? «Mi spiace, ma ho già un impegno. Devo vedermi con una mia amica.»

«Ah, ho capito. Serata speciale con la tua ragazza.»

«Emh, no. Rachel è davvero solo un'amica» disse, mordendosi le labbra. Pensava fosse evidente che Rachel non poteva essere più di un'amica. Alle superiori non facevano che chiamarlo “faccia da checca”. Pensava di non dover più precisare certe cose.

«Oh.»

Kurt non era tipo da sbandierare ai quattro venti la propria vita. Non amava presentarsi dicendo “Kurt Hummel, diciannove anni, nato e cresciuto a Lima, Ohio, gay dichiarato”. Ma se c'era una cosa che odiava ancora di più erano i silenzi imbarazzati nati dalle cose non dette.

«Forse è il caso di essere sinceri fin da subito. Io sono gay. Non ho problemi con la mia sessualità ma purtroppo certe persone sembrano averceli, quindi se la cosa ti crea problemi o li risolviamo subito o temo dovremo trovare entrambi un nuovo compagno di stanza.»

«Non mi crea nessun problema» disse, ma gli parve un po' freddo. «Davvero, nessun problema. Sono solo... niente. Okay. Beh, grazie per avermelo detto.»

Quando Blaine lasciò il bagno, gli parve turbato.

Kurt lo ignorò e finì di prepararsi.


«Allora, come va la tua vita a New York?»

«Rachel, sono arrivato da meno di ventiquattr'ore, lo sai, vero?»

La ragazza si accoccolò sul divano e disse: «Sì, ma scommetto che sono state le ventiquattr'ore più entusiasmanti della tua vita.»

Kurt alzò le spalle: «Insomma. Ho fatto conoscenza col mio inquilino.»

«E com'è?» chiese eccitata.

«Etero» ripose, per troncare sul nascere ogni speranza dell'amica. «E in più è disordinati e ha un pessimo gusto in fatto di musica. Insomma, ascolta Katy Perry!» protestò.

«Peccato. Sarebbe stato molto romantico.»

«Beh, per lo meno non mi sembra un omofobo, anche se non credo sia entusiasta all'idea che sia gay.»

Rachel lo guardò sorpresa: «Gliel'hai detto?»

«Sì. Sai, non volevo che si creassero in futuro situazioni imbarazzanti. Ho preferito essere sincero. Lui ha detto che non è un problema però quando se n'è andato mi sembrava... turbato.»

«Mh...» mormorò silenziosamente Rachel. «Turbato?»

«Insomma, spero che non abbia paura che ci provi con lui. Può dormire sonni tranquilli: non è davvero il mio tipo. Neppure se fosse gay – cosa che non è.»

Rachel non commentò e si limitò a sorseggiare il proprio vino, rimuginando sulle parole di Kurt.


I giorni che seguirono furono difficili per Kurt.

Le lezioni erano difficili, la competizione letale e il fatto di avere un compagno di stanza tremendamente caotico di certo non aiutava.

Vedeva Blaine appena qualche minuti al giorno, visto che ogni momento libero lo passava con i suoi “amici”. Mai una volta aveva chiesto a Kurt se voleva uscire con loro.

Forse ha davvero qualche problema con i gay, pensò Kurt, ma non si pentì di averglielo detto. Era venuto a New York anche per andarsene da una cittadina dalla mentalità chiusa come Lima e non aveva nessuna intenzione di tornare a nascondersi come aveva fatto i primi anni di liceo.

Certo, il comportamento di Blaine era davvero da immaturo. Evitarlo non era una soluzione, ma almeno non lo spingeva contro gli armadietti, né lo prendeva in giro.

Di tanto in tanto ne parlava con Rachel – unica sua amica in quella città sconosciuta – la quale continuava a ripetere che il comportamento di Blaine a lei “puzzava”.

«Che intendi dire?» chiedeva Kurt.

«Non lo so. Ma uno che quando arrivi ascolta Katy Perry con dei pantaloncini vergognosi e appena gli dici che sei gay diventa mister Virilità... mi puzza, ecco tutto.»

Kurt non dava peso alle parole dell'amica e continuava a passare le serate leggendo o riguardando per la centesima volta i propri musical preferiti.

La vita a New York si stava rivelando molto meno elettrizzante di quelli che si era aspettato.

Ma per lo meno New York non era Lima, no?


Kurt stava finendo di pulire la camera. Raccolse schifato un paio di mutande di Blaine e le gettò nel cesto della biancheria sporca e si sistemò la bandana sui capelli, passandola sulla fronte per asciugarsi il sudore.

Diede un'occhiata alla stanza e sì: finalmente poteva definirla vivibile.

In quel momento la porta della camera si spalancò e Blaine fece irruzione con la sua solita grazia.

Kurt fu stupito di incontrarlo. Di solito non si faceva vedere fino a sera.

«Kurt, devi andartene» disse, prendendo fiato. Doveva aver corso per le scale fino alla porta della camera.

«Che cosa?»

«Devi andartene per... facciamo un'ora, okay? Forse due. Ti chiamo io quando puoi tornare.»

«Blaine, se devi vederti con la tua ragazza basta dirlo, ma almeno avvertimi con un'ora di anticipo.»

«Non c'è tempo... tu non capisci!»

«No che non capisco. Se tu avessi la grazia di spiegarmi...»

«Non devo vedermi con la mia ragazza. E'... è mio padre. Sta venendo qui e non voglio... ecco, non voglio...»

«Non vuoi che mi veda» concluse Kurt.

«Sì. No.» Blaine grugnì, grattandosi la testa. «Va bene, lo ammetto. Non voglio che ti veda.»

Kurt non ebbe bisogno di chiedere perché.

«Ti ricordi quando mi hai chiesto se avevo qualche problema con i gay? Ecco, io non ne ho, ma mio padre sì. E non voglio...»

«Non vuoi che scopra che il tuo compagno di stanza è gay.»

Blaine esitò prima di dire: «Non voglio che lo scopra.»

Kurt lo guardò deluso. Si sentì ferito dalle parole di Blaine. Perché gli era capitato di sentirsi definire un peccatore, uno sbaglio di natura, un invertito, ma mai gli era capitato di conoscere qualcuno che gli dicesse “mi vergogno di te”.

«Sai che ti dico, Blaine Anderson? Sei un grandissimo stronzo. Ti lascio al tuo amato caos, ai tuoi vestiti sporchi, ai tuoi capelli disordinati e ai tuoi atteggiamenti da macho. Spero che tuo padre sia fiero di avere un figlio che non sa neppure tenere in ordine la propria camera da letto» disse, facendo un cenno alla stanza. «Ma su una cosa non transigo. È tutta la vita che mi sento gettare merda addosso e quando succede penso che un giorno quelli che mi hanno maltrattato si renderanno conto di che persone orribili sono state e resteranno col senso di colpa tutta la vita e si vergogneranno di se stessi. Ora me ne vado ma ricordati che non sono io quello che dovrebbe vergognarsi.»

Si tolse la bandana dalla fronte e la gettò sul letto. Prese il cesto della biancheria e lo rovesciò sul pavimento:

«Ecco. Non sia mai che tuo padre trovi la tua camera troppo gay» disse, andandosene e sbattendo la porta dietro di sé.

Era già per le scale quando sentì la porta riaprirsi. Blaine si sporse e stava per dirgli qualcosa, quando Kurt incrociò un uomo sulle scale e alla vista di quella persona, Blaine ammutolì.

«Ciao, papà» lo sentì dire.

L'uomo gli rispose e Kurt capì.


Quella sera, dopo aver cenato, Kurt aprì l'armadio alla ricerca del giusto outfit per uscire con Rachel e Finn.

Blaine irruppe in camera cantando California gurl ma, non appena lo vide, smise di cantare e si affiancò silenziosamente a lui davanti all'armadio.

«Volevo chiederti scusa per oggi» disse.

«Scusa per essere stato un grandissimo stronzo?» chiese.

Blaine imprecò: «Va' al diavolo. Volevo chiederti se ti andava di uscire con i miei amici per vedere un film o andare al Microfono a cantare, ma immagino che tu non esca con gente come me.»

«Oh, grazie per il cortese invito, ma ho già un impegno con una mia amica e con mio fratello» sbottò.

Blaine prese dei vestiti dall'armadio alla rinfusa e si spogliò senza mai voltarsi verso di lui.

Kurt distolse lo sguardo ma poi la curiosità superò il pudore e diede un'occhiata veloce al ragazzo.

Quello che vide lo lasciò a bocca aperta.

Nonostante le sue abitudini alimentari evidentemente deprecabili, aveva degli addominali notevoli e un fisico sportivo.

«Boxe.»

«Come?»

«Se ti stai chiedendo come faccio a rimanere in forma nonostante la mia dieta, la risposta è boxe. Che fra le altre cose mi aiuta a sfogare la rabbia» disse, prendendo la propria chitarra e lanciandogli un'occhiataccia. «Ci vediamo dopo, novellino.»

Kurt avrebbe voluto imprecare contro se stesso e contro quell'individuo esecrabile conosciuto come Blaine Anderson.

In quel momento il suo cellulare si illuminò e, nel leggere il messaggio appena ricevuto, grugnì:

“Scusa, ma Finn mi ha invitato a cena in un ristorante e penso voglia regalarmi una serata romantica dopo i mesi di lontananza. Va bene lo stesso se ci vediamo domani mattina per colazione? Così ti racconto tutto.”

«Fantastico, Kurt» mormorò fra sé. «Una serata davvero magnifica.»


Kurt era immerso nella lettura di Mangia, prega, ama quando sentì un tonfo contro la porta. Sollevò lo sguardo dal libro e allungò il collo verso la porta.

«Blaine? Sei tu??»

Nessuna risposta.

Sentì qualcuno armeggiare con la maniglia e allora abbandonò il libro per alzarsi dal letto e afferrare la prima cosa che gli capitò in mano – nella fattispecie, la sua pentola per fare le crepes.

Vide la porta aprirsi e prima di riuscire a calare l'arma, riconobbe i riccioli indomabili del proprio coinquilino.

«Blaine!» esclamò, lasciando cadere la pentola. «Mi hai fatto prendere un colpo.»

Blaine si voltò a guardarlo ancora chiaramente intontito e mormorò: «Oh, eccoti qua» prima di crollargli addosso.

Kurt lo afferrò prima che cadesse. Per sua fortuna, Blaine era più basso di lui e Kurt riuscì a trascinarlo fino al letto, lasciandolo cadere sul materasso. Nell'eseguire l'operazione ebbe modo di constatare quando Blaine puzzasse d'alcol. Doveva aver bevuto non poco.

L'altro ragazzo protestò rumorosamente e allungò alla cieca le mani fino ad afferrare la maglietta di Kurt e a trascinarlo giù sul materasso.

«Che diavolo fai?»

«Dai, siamo solo noi due.»

Che diavolo, è così ubriaco che mi ha scambiato per una ragazza!

«Blaine, sei ubriaco fradicio» disse, tentando di allontanarlo da sé, ma l'altro continuava a cercare il suo collo con le labbra e faceva scorrere il naso lungo il profilo del suo mento.

«Kurt» biascicò.

Sentire il proprio nome uscire da quelle labbra palesemente eccitate lo paralizzò.

Blaine non era così ubriaco da confonderlo per una ragazza. Non lo stava confondendo proprio con nessuno: lui pensava – e voleva – essere lì con Kurt.

Il ragazzo ripensò alle parole di Rachel e alla questione della “puzza”. A quanto pare la sua migliore amica aveva un gayradar migliore del suo.

Ora si spiegava la freddezza del ragazzo. Blaine non aveva mai avuto paura che Kurt si sentisse attratto da lui: aveva paura di essere lui stesso attratto da Kurt e di non poter così più nascondere la propria sessualità.

L'impronta della mano di Kurt comparì solo dopo pochi secondi sul volto di Blaine.

Il moro smise di insistere e fissò sbalordito il ragazzo di fronte a lui. Poi, contro ogni previsione, scoppiò a piangere.

Kurt, preso in contropiede, andò nel panico.

«Blaine, cavolo, mi dispiace. Non volevo... ti ho fatto male?»

«Sono... sono un idiota» singhiozzò.

«Non posso contraddirti, ma ti assicuro che si può convivere con l'idiozia. Mio fratello lo fa da anni e sembra gli riesca benissimo.»

«No, sono davvero un idiota. Mi comporto come se non mi importasse di niente e di nessuno, solo perché mi vergogno di ammettere quanto sia debole. Il modo in cui mi vesto, il modo in cui mi atteggio, le serate che passo ad ubriacarmi... sono tutte una maschera.»

Kurt accantonò l'odio che provava per quel ragazzo e si sedette accanto a lui, accarezzandogli la schiena imbarazzato.

«Non capisco perché tu ti comporti così. Dopo Westerville, New York dovrà sembrarti la città della libertà. Non dovresti aver paura di essere chi sei veramente.»

«Tu non conosci i miei genitori.»

Kurt colse il modo in cui la sua voce si era incrinata nel momento in cui aveva nominato i suoi genitori: un misto di rabbia, tristezza e delusione.

«Per quanto possano essere severi sono certo che-»

«Che mi ameranno sempre e incondizionatamente? Sai, forse se mi avessero beccato a fumare erba mi avrebbero perdonato. Ma essere gay era oltre il loro limite di sopportazione, a quanto pare.»

«Non pensavo che...»

«Che fossi gay? O che i miei fossero degli insopportabili omofobi? Quando ho detto di voler fare la NYADA mi hanno detto che era una scuola da “gay” e sono riuscito a convincerli a mandarmi a New York solo perché così sarei stato lontano da casa e avrei avuto meno occasioni possibili per rovinare loro la reputazione.»

Kurt si sentì malissimo.

Odiava Blaine Anderson, ma mai e poi mai avrebbe augurato a qualcuno una cosa simile.

Suo padre l'aveva sempre supportato e amato e quando si rendeva conto che non per tutti era così, si sentiva impotente.

«Mi dispiace» mormorò, cercando di dargli delle pacche sulla spalla, senza sapere quale fosse la cosa giusta da fare.

«No, dispiace a me. Sono stato... sono stato un idiota per queste settimane e ti ho reso la vita difficile solo perché, quando ti ho visto, ho pensato che fossi il ragazzo che cercavo da una vita e che avrei finito inevitabilmente per innamorarmi di te.»

Kurt ammutolì.

«Ma tu eri così orgoglioso di te stesso mentre io sono... sono...»

La sua frase venne interrotta dai singhiozzi.

Kurt voleva dire qualcosa, ma poi Blaine lo fermò e prese dal portafogli una fotografia e gliela porse.

Kurt prese la foto ed impiegò qualche secondo a riconoscere il ragazzino dai capelli gellati, il vistoso papillon e le bretelle colorate che sorrideva speranzoso all'obbiettivo insieme ad altri ragazzi della sua età.

«Questo ero io, prima che mio padre mi dicesse di smetterla di vestirmi da gay e di comportarmi da gay e che ero una vergogna.»

Kurt tentò di immaginarsi quella testa d'ananas del suo coinquilino qualche anno prima, nella sperduta cittadina di Westerville.

«Eri carino» disse, cercando di farlo sorridere. «Sai, penso che saremmo stati amici in Ohio.»

Chissà, magari più di amici.

«Lo pensi davvero?» chiese.

Kurt gli sorrise, chiedendosi quanto di tutto questo si sarebbe ricordato il giorno dopo. Probabilmente nulla. Meglio così.

«Sai cosa devi fare adesso? Devi metterti a letto e dormire e superare questa sbronza colossale» disse, spingendolo a stendersi e sfilandogli le scarpe.

«Mi spieghi perché sei così gentile con me?» chiese, ancora sbronzo.

«Perché siamo coinquilini, no?» rispose, ma Blaine russava già sonoramente.

Gli rimboccò le coperte e fece per infilarsi nel proprio letto, ma poi gli venne un'idea.

Aprì l'armadio e frugò fra i vestiti del suo coinquilino. Ne prese alcuni e li sistemò ordinatamente sulla sedia, poi strappò un foglietto dalla propria agenda e dopo averci scritto sopra, lo ripose insieme al resto. Poi spense la luce ed andò a dormire.


Il giorno dopo Kurt si alzò di buon'ora. Blaine stava ancora dormendo e così si vestì ed uscì a fare la spesa. Perse la mattinata per negozi e chiacchierando con Rachel e Finn nel campus dell'università. Verso l'ora di pranzo si affrettò a rientrare. Voleva preparare lui stesso il pasto e cercare di scambiare due parole con Blaine, come minimo per chiarire quanto era successo la sera prima. E aiutarlo.

Quando giunse davanti alla porta della propria stanza, infilò le chiavi nella toppa e fece scattare la serratura. Non appena entrò, alle sue orecchie giunse una musica.

Gli era stranamente familiare, ma in qualche modo diversa.

Attraversò la stanza e si fermò quando davanti a sé ebbe la schiena di Blaine, intento a suonare al pianoforte quella che – ora la riconosceva – era una versione acustica di Teenage Dream.

«Questa versione mi piace molto di più» disse Kurt.

L'altro si fermò e si voltò verso di lui.

Kurt ebbe modo di constatare che il ragazzo indossava i vestiti che gli aveva preparato lui stesso la sera prima. Blaine dovette accorgersene, perché arrossì leggermente e abbassò lo sguardo sulla propria camicia e disse: «Era da molto che non li mettevo.»

Con la camicia a quadri, il papillon con fantasia scozzese, i pantaloni colorati e i mocassini senza calzini, aveva un aspetto completamente diverso. Più ordinato, più pulito... più sereno. Per non parlare dei capelli, finalmente puliti!

«Ti stanno bene. Sono molto più... te.»

A quel punto Blaine deglutì. «Senti, non ricordo bene cosa sia successo ieri sera, né cosa io abbia detto o fatto. Però voglio ringraziarti per non avermi buttato fuori dalla camera o aver avvisato il prefetto. E poi volevo chiederti scusa, perché in queste settimane ti ho trattato di merda e tutto per colpa delle mie paure.»

«Non è niente, davvero. Alle superiori-»

«No, non mi interessa se ci sono state persone che ti hanno trattato peggio. Non te lo meritavi e io mi sono comportato da stronzo.»

Kurt tacque e rimase ad ascoltarlo.

«Voglio cambiare e voglio farlo da oggi. Perciò ti chiedo di ricominciare, come se questo fosse il primo giorno che ci siamo incontrati, tu fossi il ragazzo appena arrivato a New York e io il coinquilino pronto a farti da Cicerone nella città dei tuoi sogni.»

«Okay?» mormorò ancora insicuro Kurt, schiarendosi la voce. Pensò a cosa avrebbe detto se lo avesse incontrato in modo diverso, senza la musica a palla e il disordine cronico e se ne uscì con: «Ciao, sono nuovo qui.»

L'altro allungò la mano verso di lui: «Piacere, Blaine.»

Fissò qualche secondo la mano, poi sorrise e rispose alla stretta:

«Kurt.»




A/N


E due!

La terza è già pronta – solo da correggere – mentre la quarta è ancora in lavorazione, ma il giovedì avrò il pomeriggio libero e potrò scrivere :D


Quindi... a domani!


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