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Autore: Lusio    10/10/2012    6 recensioni
A diciannove anni Quinn Lucy Fabray continuava a credere che tutto le fosse concesso, ma con le dovute conseguenze.
Noah Puckerman (ma preferiva essere chiamato Puck) voleva dare a sua figlia la vita migliore che potesse offrirle.
I Fabray volevano il loro posto nel mondo.
Gli Hummel-Hudson volevano scoprire il mondo.
Sue Sylvester voleva cambiare il mondo.
Dave Karofsky voleva una vita che fosse solo sua.
Rachel, Mercedes e Sugar avevano i loro sogni e le loro aspirazioni.
Mike e Tina volevano sposarsi nella terra delle grandi opportunità.
Blaine voleva raggiungere suo fratello.
Beth voleva stare in braccio a mamma Shelby.
Vite diverse che si incontrano in un unico destino. Un passato che ritorna. Una splendida nave che solca l'oceano. Un enorme blocco di ghiaccio alla deriva. Una data fatale.
14 Aprile 1912
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Quinn Fabray, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Tutto precipita

 

Avevano detto che non era successo nulla. Che era tutto a posto. Che, forse, avevano solo perso un’elica. Quello era il Titanic, la “nave inaffondabile”.

Continuavano a dire di non preoccuparsi ma tra i marinai si iniziava a parlare di una collisione con un iceberg, di un danno sulla fiancata di prua, di vari compartimenti allagati; la maggior parte ci credeva poco: pensavano che i marinai con più anni di esperienza alle spalle volessero solo prendersi gioco dell’inesperienza di quelli alle prime armi. Eppure molti avevano visto il primo ufficiale Murdoch e il secondo ufficiale Lightoller andare nella cabina del capitano Smith, assieme al signor Bruce Ismay e al signor Thomas Andrews, il progettista del Titanic, armato di mappe e carte varie e, dopo alcuni minuti, uscirono tutti pallidi e abbattuti.

Dave, che non era avvezzo alla vita in mare e a tutto quello che poteva derivarne, non riusciva a capire nemmeno una parola di quello che dicevano gli altri, non capiva neanche se si poteva stare tranquilli o se c’era pericolo. Quell’andirivieni agitato stava iniziando a fargli venire la nausea.

I loro superiori avevano sguinzagliato camerieri ed altri membri dello staff per i corridoi delle varie classi a rassicurare i passeggeri che chiedevano informazioni su quanto stava succedendo, sul perché la nave si fosse fermata, dicendo che era tutto a posto e che potevano anche ritornare a dormire.

Alla fine, dopo… quanto tempo? Non aveva tenuto il conto ma Dave era sicurissimo che fosse passato un bel po’ di tempo, più del dovuto sicuramente. Alla fine diedero loro un ordine preciso:

- Dite a tutti i passeggeri di indossare subito i salvagente e di radunarsi sui ponti lance e fateli imbarcare sulle scialuppe. Precedenza a donne e bambini.

C’era bisogno di aggiungere altro? No; avevano capito tutti cosa volevano dire quelle parole.

“Stiamo affondando”.

“Ma, allora, perché ci hanno chiesto di chiudere le porte di comunicazione della seconda e della terza classe?”

Queste e mille altre erano le domande che Dave Karofsky e molti altri marinai si posero mentre iniziavano a radunare tutti i passeggeri di prima classe.

 

* * *

 

Fu una cosa a dir poco fastidiosa per i passeggeri di prima classe doversi alzare dal letto, a mezzanotte passata, “per una semplice precauzione”, come avevano spiegato loro i camerieri, con tutto il carico di sonno che si portavano addosso; e in più era stato chiesto loro di indossare i salvagente: degli “oggetti” che per la loro rigidità ricordavano, alla lontana, le panciere che indossavano gli uomini ben pasciuti che non ci tenevano a mostrare il loro grasso alle gentildonne dell’alta società.

- Ma siamo certi che questi… “cosi” siano sicuri? – si domandò Kurt, guardando dubbioso il suo salvagente, mentre suo padre, Carole e Finn indossavano tranquillamente i loro – Sono così rigidi ed ingombranti che, sono sicurissimo, in acqua impedirebbero i movimenti. E poi li trovo esageratamente antiestetici.

- Kurt non è il momento dei tuoi scrupoli da modaiolo – lo riprese suo padre – Ci hanno chiesto di indossarli e lo faremo, fino a quando non si sarà risolto questo problema, qualunque esso sia. Tra un po’ potrai togliertelo.

- Burt, non pensi che sia il caso di portarci dietro i bagagli, o almeno lo stretto necessario? – si informò Carole buttando un occhio sui vestiti nell’armadio.

- Non penso che sia il caso – le rispose suo marito – Prendiamo giusto i cappotti o geleremo fuori. Su andiamo.

E gli Hummel-Hudson uscirono dalla loro cabina, muovendosi in mezzo ad una folla di altri passeggeri, chi ancora assonnato, chi irritato, chi spaventato per quell’avvenimento a cui non sapevano ancora dare un nome; alcuni, invece di indossare i salvagente, preferivano portarli in mano come stava facendo Kurt. Tra il mormorio generale si levò alta una voce inconfondibile sia per il tono che per la portata: Sue Sylvester si fece largo tra la folla, agitando il suo salvagente come un bastone per togliere di mezzo chi si trovava sul suo tragitto.

- Lo sapevo! – declamava in modo trionfante – Lo sapevo che era tutto troppo perfetto. Ero sicura che ci sarebbe stato qualcosa di storto in questo viaggio. Ah, signori Hummel-Hudson – fece lei affiancandosi a Burt e Carole – Statemi vicini. Ho intenzione di scrivere un articolo infuocato per il mio giornale su quanto questi viaggi tanto declamati siano, in realtà, delle fregature e avrò bisogno di più testimonianze possibili e conto sulla vostra indignazione.

- Susan, credo che sia un po’ presto per pensare già a queste cose – disse Carole.

- Non è mai troppo presto per dare un bel calcio negli zebedei alla società.

Con Sue che si era unita a loro, riuscirono ad uscire sul ponte lance a tempo record, superando i vari assembramenti che si andavano a formare nei corridoi e nella sala ristorante dove la maggior parte dei passeggeri di prima si era raccolta per evitare l’aria gelida della notte, facendo passare quel tempo chiacchierando o giocando a carte. Al loro solito posto, i sette componenti dell’orchestra suonavano un allegro motivetto, come se fosse stata l’ora di cena senza la cena.

Fuori sul ponte, invece, i marinai erano occupati freneticamente con la preparazione delle prime scialuppe e non era certo un lavoro facile per loro che non avevano mai fatto alcuna esercitazione al riguardo, che non sapevano quanto peso quelle scialuppe avrebbero potuto sopportare, che non sapevano se qualche altra nave nei paraggi sarebbe arrivata in loro soccorso, che non sapevano se avrebbero potuto vedere il sole sorgere ancora. Il responsabile del ponte lance di destra, Lightoller, rendeva le cose ancora più snervanti con i suoi ordini urlati a squarciagola, più per sovrastare il rumore che per vera agitazione e proprio per il fatto che lui non stesse perdendo il suo sangue freddo lo rendeva quasi odioso.

Non c’era tempo da perdere; portata all’esterno della nave con delle gru una scialuppa, si passava subito a quella successiva e così via su entrambi i lati della nave (il responsabile del ponte di sinistra era Murdoch). Mentre un gruppo continuava queste manovre, Lightoller e altri marinai chiamarono fuori un gruppo di passeggeri di prima classe.

- Per favore, fate silenzio! – urlò Lightoller per farsi sentire – Adesso le donne e i bambini dovranno salire sulle scialuppe. Solo le donne e i bambini. Vi preghiamo di mantenere la calma. Presto risolveremo il problema. Su, avanti.

Non tutte le donne erano propense a eseguire quell’ordine, prima di tutto perché ciò avrebbe comportato il doversi separare da mariti, padri, fratelli e figli grandi e poi anche perché quelle scialuppe erano così piccole e fragili mentre il Titanic era grande e sicuro… Dio, quella nave era inaffondabile! Cosa c’era da preoccuparsi? E gli uomini erano dello stesso avviso.

Ma i più previdenti non si fecero pregare. Tra loro c’erano gli Hummel-Hudson.

- Carole, hai sentito l’ufficiale. Dai, sali sulla scialuppa – disse Burt, accompagnando la moglie verso la piccola imbarcazione, seguiti dai loro due figli.

- Non potrei aspettare un po’? – si schernì la donna, restia a lasciarli tutti e tre lì.

- Mamma, non preoccuparti – Finn diede man forte a Burt – Hanno già detto che non è nulla di grave. E’ solo una precauzione. Adesso vai.

- Ma… no… io… - Carole si aggrappò al braccio del figlio, stritolandoglielo e lanciando uno sguardo spaventato in direzione del marito e del figliastro in una muta preghiera, chiedendo solo qualche minuto in più.

- Potreste aiutare mia moglie a salire? – chiese educatamente Burt ad uno dei marinai che subito prese delicatamente Carole per un braccio, le fece superare il piccolo vuoto tra la nave e la scialuppa e la fece accomodare su quest’ultima. Istintivamente, la donna tese una mano verso i suoi cari come se avesse voluto dare loro una carezza; non erano bambini che si spaventavano e poteva permettersi qualche gesto apprensivo. Un sorriso buffo di Finn riuscì a farla sorridere – Potrebbe salire anche mio figlio Kurt? Ha solo quattordici anni – chiese nuovamente Burt al marinaio.

- Papà, ma cosa stai dicendo? – esclamò Kurt, sgranando gli occhi per lo stupore e ricevendo una gomitata nel fianco da parte del padre.

- Mi dispiace, signore, ma ci è stato ordinato di imbarcare solo donne e bambini per adesso – rispose il marinaio che sembrava aver capito quel piccolo sotterfugio.

- Ma c’è ancora molto posto… - replicò Burt, indicando i molti posti vuoti della scialuppa.

- Abbiamo ricevuto ordini precisi, mi spiace – concluse secco il marinaio.

Proprio in quel momento un urlo isterico si levò da lì vicino: Sue, che si era spinta in prima fila per prendere nota delle modalità di imbarco e di rilascio in mare delle scialuppe per poterne dare un’attenta descrizione sul suo giornale, era stata afferrata, di punto in bianco, da un marinaio fin troppo agitato che stava facendo salire più donne possibile sulla scialuppa. Aveva afferrato la donna per la vita magra e stava cercando di far salire anche lei.

- Ma come si permette! Mi tolga le mani di dosso! – strillò Sue, dibattendosi e agitando il suo salvagente che teneva sempre in mano

- Per favore, signora, salga sulla scialuppa – fece il marinaio cercando di non perdere l’equilibrio.

- Non ho intenzione di salire su nessuna scialuppa fino a quando non lo avrò deciso io! E poi, sono una signorina!

- Come vuole ma adesso salga!

E senza troppe cerimonie, Sue Sylvester venne scaraventata malamente nella scialuppa; atterrando sul legno perse una delle sue scarpe, la afferrò e la agitò contro il marinaio come se avesse voluto colpirlo.

- Questa me la pagate! Giuro che vi massacrerò nel mio articolo! – strillò, mentre la sua voce veniva smorzata dal rumore delle corde che calavano in mare la scialuppa.

Carole tenne gli occhi fissi sulla sua famiglia fino a quando la vista glielo consentì.

Erano le 00:40 quando venne calata la prima scialuppa. A bordo c’erano solo 28 persone; c’era spazio per altri 37 passeggeri. Su ordine di Lightoller, la scialuppa avrebbe dovuto fermarsi ad altezza del ponte di seconda classe per far salire altre donne e bambini ma la paura del peso eccessivo spinse i marinai a passare oltre. Solo allora i marinai aprirono le porte di comunicazione  di seconda e altri iniziarono a guidare piccoli gruppi di terza classe sui ponti lance.

Cinque minuti dopo che la prima scialuppa era stata calata in mare, venne sparato il primo razzo di segnalazione.

L’orchestra del Titanic si spostò sul ponte e iniziò a suonare per tranquillizzare gli animi.

 

* * *

 

Dopo che le prime scialuppe si erano allontanate, gli animi iniziarono a smuoversi. Forse fu la folla che dietro si ingrossava di minuto in minuto, la tensione che si faceva sempre più densa, la leggera inclinazione della nave che molti riuscivano a notare nell’acqua che sembrava più alta in direzione degli oblò di prua. Sebbene alcuni pensassero ancora che fosse più sicuro rimanere a bordo, altri iniziavano a valutare seriamente l’ipotesi di abbandonare la nave, almeno fino a quando “il problema non fosse stato risolto” come continuavano a dire i marinai. Ma c’erano sempre le donne che si rifiutavano di lasciare i loro uomini; e se c’erano uomini che convincevano le loro donne a salire sulle scialuppe, ce ne erano altri che premevano per salire con loro.

Fabray, dopo essersi messo addosso tutti gli oggetti di valore che possedeva e aver detto alla moglie di fare lo stesso, si diresse sul ponte lance con la sua famiglia; lì, la moglie e la figlia furono subito invitate a salire su una scialuppa che proprio in quel momento stava per essere calata in mare. Ma quando anche Fabray fece per seguirle venne subito fermato.

- Mi dispiace signore ma al momento imbarchiamo solo donne e bambini – gli disse il marinaio, parandoglisi davanti.

- Ma che assurdità! – esclamò Fabray, indignato – Dovrei lasciare da sole mia moglie e mia figlia?!

- Non dovete preoccuparvi – cercò di calmarlo il marinaio – I marinai responsabili di questa scialuppa…

- Judy! Quinn! Scendete subito! – Fabray ignorò le parole del marinaio e, scavalcando, tese la mano verso le due donne per riportarle a bordo.

Con un gemito di insofferenza, Judy Fabray si alzò e fece per afferrare la mano del marito ma Quinn, sconvolta e disgustata da quella arrendevolezza, la fermò tirandole un lembo della gonna.

- Mamma, sei impazzita! – le urlò contro – Resta qui. E’ pericoloso.

- Oh, tesoro – la donna si rivolse alla figlia con aria combattuta e supplichevole; forse, per la prima volta nella sua vita da moglie e madre di famiglia, sentì lo scombussolamento nel petto che è pegno dell’indecisione, tra l’amore per il coniuge e l’amore per la prole e per la propria vita.

Ma anche quella volta fu suo marito a decidere per lei, strattonandola violentemente di nuovo a bordo del Titanic e, prontamente, il suo posto fu preso da una donna con un bambino in braccio.

- Quinn, vieni subito qui! – riprese Fabray con la stessa veemenza di prima tenendo la moglie al suo fianco.

- Mamma, ti prego, ritorna sulla scialuppa; c’è ancora posto – Quinn lo ignorò e continuò a rivolgersi alla madre, che la fissava con una muta preghiera, chiedendole di fare come le ordinava suo padre.

- Quinn! – urlò Fabray, senza più un briciolo di pazienza – Ti ho detto di venire qui!

“Al diavolo” pensò Quinn in quel momento. Non sapeva cosa stava succedendo ma non c’erano dubbi che la situazione fosse critica, altrimenti non sarebbero state calate in mare le scialuppe, questo poteva capirlo persino lei. La cosa più intelligente che potesse fare era rimanere lì dov’era ma vedere sua madre, sull’orlo delle lacrime, su quella nave che hai suoi occhi stava assumendo sempre più le sembianze di una trappola per topi, con suo padre e il suo egoismo che lo seguiva come un’ombra su tutto quel prossimo disastro; farci finire dentro anche loro se lui non aveva la certezza di salvarsi.

Si alzò solo per sua madre, per non lasciarla da sola, stringendo i denti per non lanciare quell’urlo che le stava scoppiando in petto, rifiutando di afferrare la mano di suo padre e, mentre si allontanavano per trovare un marinaio capace di chiudere tutti e due gli occhi sulla presenza di un uomo su una scialuppa, si permise di guardare indietro, verso quella che avevano appena abbandonato; almeno il suo posto era stato preso da una donna in un avanzato stato di gravidanza.

“Chissà se sarà una bambina?” pensò quasi inconsciamente.

Per tutta la fila destra non riuscirono ad assicurarsi alcun posto sulle scialuppe, molte delle quali dovevano ancora essere preparate; passarono quindi al ponte di sinistra dove le manovre erano molto più veloci e Fabray notò con piacere che sulla scialuppa che stavano calando proprio in quel momento si trovavano anche degli uomini; stringendo più forte il braccio della moglie, la trascinò verso la scialuppa che stavano riempiendo e, senza aspettare un qualsiasi permesso, salì a bordo della piccola imbarcazione e si sistemò comodamente tirando un sospiro di sollievo mentre sua moglie ancora ansimava per la tensione. Ma si accorsero quasi subito che Quinn era rimasta sul Titanic.

- Quinn! – la richiamò di nuovo suo padre – Che stai aspettando? Sali!

Ma lei rimase immobile, gli occhi che brillavano di un fuoco che era sempre stato assente in tutte le loro precedenti discussioni; una luce che sembrava aver aspettato solo quel momento per brillare.

- Quinn, che stai facendo? – fece nuovamente Fabray.

- Quello che tu non hai avuto il fegato di fare – rispose Quinn; così dicendo prese per un braccio una donna di seconda classe che stava guardando quella scialuppa come un animale affamato e la aiutò a salire.

I coniugi Fabray fissarono sbalorditi quel gesto senza riuscire a dire una parola, ma in fondo nemmeno Quinn se la sentì di dire qualcosa. Aveva sempre aspettato quel momento e alla fine era giunto, forse sulla spinta delle parole di Puck che ancora le rimbombavano nelle orecchie; pensava che, allora, avrebbe avuto tante cose da dire, tanti rospi da vomitare, tanti pesi che nel corso degli anni aveva semplicemente alleggerito, ma ora sentiva che non aveva importanza. Un silenzio dai mille significati che era anche la più fredda delle vendette. Eppure, mai come in quei secondi in cui vide i suoi genitori sparire assieme alla scialuppa che veniva calata in mare, provò un così palpabile sentimento di tenerezza, in suo padre che continuava a guardarla come un cavaliere che vede il suo cavallo fuggire via al galoppo, in sua madre che, rendendosi conto di quanto stava accadendo, tentava di rialzarsi e urlava disperata il suo nome.

Rimase lì ferma fino a quando non fu certa che la scialuppa fosse stata libera di prendere il largo; allora si riscosse e andò. Si sarebbe salvata; per conto suo ma si sarebbe salvata.

Ma prima c’erano Puck e a Beth.   

 

* * *

 

In terza classe si erano mosse poche persone. All’inizio, quando tutto era iniziato, i marinai e gli steward li avevano rassicurati e avevano detto loro di ritornare a letto; in seguito, solo alcuni ritornarono per condurre piccoli gruppi sul ponte lance ma quasi nessuno si preoccupò da far sapere cosa stava succedendo, almeno a quelli che capivano l’inglese. Infine, venne chiesto a tutti di radunarsi in sala comune e aspettare nuove direttive; intanto i cancelli vennero chiusi e due steward rimasero a sorvegliare quello principale per evitare eventuali agitazioni. Agitazioni che non tardarono a prendere piede.

In sala comune c’era un interminabile chiacchiericcio; alcuni gruppi di passeggeri si erano riuniti per capire meglio cosa fare, mentre religiosi cattolici, protestanti ed ebrei giravano per la sala assistendo gli anziani, le donne con i loro figli e chi aveva bisogno di conforto spirituale.

Il gruppo di Puck si era sistemato su alcune sedie prese dalla tavolata comune e spostate il più vicino possibile alla scala principale, in attesa di Blaine che, assieme ad altri uomini, era andato a controllare i danni che i marinai si ostinavano a tenere segreti, nonostante il pavimento su cui camminavano si stesse visibilmente inclinando tanto da far scivolare i bicchieri sulla lunga tavolata. Intanto si erano messi addosso quanta più roba possibile e le ragazze si erano messe in seno i loro pochi oggetti di valore e i soldi nelle tasche interne delle sottane. Seguendo gli ordini dei marinai avevano indossato tutti il salvagente; Beth aveva un aspetto buffissimo con quell’enorme “indumento” che le lasciava scoperte a malapena le gambette che si agitavano frenetiche mentre Shelby cercava di tenerla tranquilla sulle sue ginocchia.

Dopo un po’, accompagnati da un forte chiasso dalle voci multietniche, ritornarono Blaine e gli altri uomini, tutti con le scarpe e gli orli dei calzoni bagnati, rossi in volto e con gli occhi sgranati. Mentre gli altri uomini si avvicinavano ai loro nuclei familiari, Blaine si diresse verso il suo gruppo.

- Ragazzi, qui stiamo imbarcando acqua! – esclamò con tono agitatissimo – Stiamo affondando rapidamente! Dobbiamo uscire!

- Blaine calmati! – gli soffiò rabbiosamente nell’orecchio Puck stritolandogli un braccio; la paura e l’agitazione del ragazzo stavano contagiando anche gli altri: le ragazze erano sbiancate e Sugar sembrò sul punto di svenire mentre Tina si gettò tra le braccia di Mike e Shelby strinse di più a sé Beth.

- Calmarmi?! – replicò Blaine liberandosi dalla stretta di Puck – Come posso calmarmi? Tu hai visto l’acqua che saliva? Hai sentito quanto era gelida? No; io sì, invece. Pensi che dovremo stare qui, tranquilli, aspettando di annegare, solo per non spaventare donne e bambini? Dobbiamo uscire da qui, subito!

- Dei marinai hanno accompagnato sul ponte alcuni gruppi di passeggeri – disse Rachel, cercando di calmare gli animi – Magari, se aspettiamo un po’, verranno a prendere anche noi; o forse, a momenti, apriranno i cancelli e ci faranno uscire.

- Rachel, hai idea di quanti siamo in terza classe? – riprese Blaine, cercando di controllarsi – Se anche ci facessero uscire a gruppi non faranno mai in tempo e chissà se ci sarà ancora spazio per noi sulle scialuppe. Torno a ripeterlo: se vogliamo salvarci dobbiamo uscire di qui.

Ormai, il tempo delle riflessioni, della calma, della pazienza erano finiti e questo lo capirono anche gli altri, come anche tutti gli altri passeggeri di terza messi in guardia dal racconto degli altri uomini che avevano visto lo spaventoso scenario dell’acqua che scivolava, gelida, sui pavimenti sempre più inclinati dei corridoi della nave. Sì, dovevano andarsene subito da quella trappola.

Alcuni dei più giovani si erano già spinti sulle scale e si erano aggrappati alle grate del cancello, agitandole con forza e dicendo ai due steward di guardia di aprire e di farli uscire. Con tono conciliante, i due uomini cercarono di calmarli e, soprattutto, di allontanarsi dalla cancellata per evitare incidenti, che presto avrebbero aperto i cancelli ma, fino ad allora, dovevano stare calmi.

Fiato sprecato.

Raccogliendosi in modo compatto, anche Puck e gli altri si diressero sulle scale che si stavano facendo pericolosamente affollate, avanzando lentamente col timore di precipitare. Alcuni passeggeri, esasperati, si tolsero gli ingombranti salvagente che li facevano sentire troppo impacciati e li facevano soffocare in mezzo a quella calca. Proprio a causa dei salvagente, Shelby fu costretta a mettere a terra Beth, che non la smetteva di agitarsi, tenendole forte la mano per paura di perderla.

- Stammi vicina, tesoro – le disse – Non lasciare la mia mano.

La situazione iniziò a degenerare; si arrivò ad un punto tale che gli steward furono costretti a prendere una decisione importante, senza aspettare degli ordini superiori che, sapevano, non sarebbero ai arrivati.

- Fate silenzio, per favore. Calmatevi! – disse uno di loro, alzando il tono di voce – Adesso apriremo i cancelli ma daremo la precedenza a donne e bambini. Vi preghiamo di far passare davanti le donne e i bambini.

Visto che erano tra i primi, Puck, Blaine e Mike spinsero delicatamente le donne in avanti per permettere loro di accostarsi al cancello principale; l’unica ad opporre una certa resistenza fu Tina che rimase aggrappata al braccio del suo compagno. Davanti a loro c’erano altre donne, molte con i loro bambini; quando i cancelli furono aperti cautamente furono loro le prime ad uscire. Poi, non si sa cosa accadde.

Un uomo, forse uno di quelli che aveva visto cosa stava accadendo a prua, terrorizzato dal pensiero di dover restare lì ad aspettare che l’acqua salisse ancora, si gettò violentemente in mezzo a quel gruppo di donne e uscì mettendosi a correre come un folle per il corridoio. Da quel gesto dettato da paura nacque un caos che nessuno si sarebbe immaginato.

L’instabile equilibrio sul quale cercarono tutti di mantenersi crollò; alcune persone caddero rovinosamente dalle scale, altre si gettarono con forza contro i cancelli con l’intento di uscire. Vista la piega che aveva preso la situazione, gli steward non poterono fare altro, per evitare una crisi di panico anche sul ponte, che chiudere nuovamente i cancelli; questo non fece che acutizzare ancor di più l’esasperazione generale.

In quel parapiglia, in mezzo a strilli e urla, si levò il grido disperato di Shelby, che era stata spinta contro la parete da una fiumana di persone che era riuscita ad uscire; ma non aveva gridato per il colpo ricevuto. Spaventata da quanto stava accadendo intorno a loro aveva cercato di riprendere Beth in braccio; il tempo di lasciarle la manina per prenderla per i piccoli fianchi coperti dall’enorme salvagente ed erano state entrambe travolte da quell’ondata di uomini e donne impazziti dalla paura. Istintivamente Shelby aveva cercato di afferrare la bambina ma le sue mani incontrarono solo il vuoto e l’urto contro il muro la fece quasi vacillare; ma il suo istinto di madre fu più forte del dolore e subito si gettò anche lei contro il cancello che venne chiuso proprio in quel momento.

- Beth! Beth! – urlò disperata, vedendo sparire lungo il corridoio quel gruppo che le avevano investite. Beth era lì in mezzo, trascinata via senza una possibilità di liberarsi.

- Cos’è successo? – esclamò Puck, prendendola per le spalle ma già temendo di sapere cos’era accaduto.

- Beth! Beth! – continuò a ripetere la donna, le lacrime che le scorrevano sulle guance – Beth è lì fuori! Da sola!

- O mio Dio! – urlò a sua volta Puck aggrappandosi alle grate del cancello e scuotendole rudemente come facevano molti altri – Aprite! Maledizione, aprite brutti figli di puttana! Aprite!

Ma gli steward non avrebbero aperto. Ora sapevano tutti che non l’avrebbero fatto. Se volevano salvarsi sarebbero dovuti uscire da soli.

 

* * *

 

L’orchestra continuava a suonare come se nulla fosse ma aveva lasciato perdere le allegre musiche da salotto ed era passata ad inni spirituali; come se stessero preparando il Requiem per il Titanic e tutte le persone che ancora portava a bordo, mentre l’acqua iniziava lentamente a lambire la prua.

Quinn si muoveva in mezzo ad una folla agitata di uomini e donne che si assiepava intorno alle scialuppe che ora venivano caricate al massimo, dopo che le prime, piene solo a metà, si erano già allontanate. Ma il primo pensiero della ragazza non era quello di imbarcarsi. Era ritornata al ponte di destra perché era lì che c’era quel piccolo cancelletto presso il quale si era incontrata con Puck; se solo avesse potuto attraversarlo o magari anche scavalcarlo e raggiungerli; che fosse pericoloso o meno, non aveva importanza. Il suo posto era con sua figlia; non aveva più dubbi o timori.

Avrebbe messo le ali ai piedi pur di fare in fretta; il tempo in quella situazione era l’unica cosa difficile da trattenere. Ma il destino traccia sempre un percorso sconosciuto per noi ed esso ci si spiana davanti senza che nemmeno ce ne accorgiamo; su quello di Quinn c’era Kurt, con suo padre e il suo fratellastro, che si erano riparati accanto all’ingresso esterno del salone. Stavano discutendo sul da farsi visto che sembravano non esserci possibilità di salvezza per loro.

Quando la vide, Kurt rimase a fissarla sbalordito per qualche istante, sperando di aver preso un abbaglio, prima di gettarsi davanti a lei con un salto, evitando una famiglia che stava correndo verso una scialuppa lì vicino.

- Quinn, misericordia! Cosa fai ancora qui? – le chiese con agitazione – Dove sono i tuoi genitori?

- Si sono già imbarcati su una scialuppa. Io non potevo – rispose lei, tranquillamente.

- Cosa dici? Perché non potevi?

- Ci sono delle persone che hanno bisogno di me in questo momento.

Non c’era bisogno di aggiungere altro, o almeno così credeva; non aveva mai avuto bisogno di spiegarsi in maniera più dettagliata, fino a quel momento, ma non era il tempo di comprendere per quanto lo si potesse fare come Kurt aveva fatto ugualmente.

- Cerca di capirmi – lo pregò lei, comunque.

- Ti capisco, ma non chiedermi di condividere il tuo pensiero – così dicendo, Kurt le afferrò il polso e si gettò con lei in quella folla di persone che si era radunata attorno alla scialuppa; avendo entrambi un fisico magro e slanciato riuscirono a muoversi facilmente, senza incontrare troppi ostacoli.

- No, Kurt, ti prego – fece Quinn cercando di liberarsi dalla sua presa – Lasciami! Devo andare in terza classe. Devo trovarli.

- Quinn – cercò di calmarla Kurt – stanno facendo uscire anche le donne e i bambini di terza classe. Sono sicuro che, chiunque tu stia cercando, lo troverai. Fidati – continuò sperando inutilmente di risultare sincero ma ci sarebbe riuscito se, invece di calmarla, le avesse urlato contro “Sali subito su una scialuppa e salvati”, ma fece il massimo che poté.

Quinn poteva ancora ribellarsi ma era passata quasi un’ora da quando tutto aveva iniziato a precipitare e dove prima c’era il timore per le piccole e fragili scialuppe, adesso c’era una vera paura di rimanere su quell’immensa nave sempre più inclinata; Kurt la spinse con tutta la premura e la violenza possibile  tra le braccia di un robusto marinaio che la mise, senza tanti complimenti nella piccola imbarcazione.

La ragazza non poté nemmeno rialzarsi perché altre donne le vennero addosso. Lanciò un suo sguardo di rimprovero velato di lacrime in direzione di Kurt che la guardava, di rimando, con occhio aggrottato ma sollevato; era riuscito a mettere in salvo una vita, lui. Ma anche Quinn poteva ancora farlo.

- Kurt! – gli gridò – Andate al ponte di sinistra: lì permettono di salire anche agli uomini.

La gratitudine che lesse sul volto di Kurt, mentre questi spariva tra la folla, però non diede sollievo al suo cuore anzi, sentiva che le rimaneva quell’intento mancato dalla quale si stava allontanando sempre più.

Ma non poteva accadere! Non adesso che sembravano non esserci più possibilità.

“Solo una” pregò Quinn, quando un fremito le fece capire che la scialuppa stava per essere calata “Ti prego, dammi sono un’ultima possibilità o, almeno, salvali in qualunque modo. Ti prego”.

 

* * *

 

Le scialuppe non erano sufficienti per tutti e Dave, pur di non pensare a quante persone sarebbero morte in quel disastro, al fatto che sicuramente anche lui non sarebbe sopravvissuto, raccoglieva come un forsennato donne e bambini e facendoli salire, a volte anche con la forza, sulle imbarcazioni. Era stato anche ripreso da quel cuore di pietra di Lightoller per aver fatto salire anche un ragazzino di tredici anni senza il suo permesso; lo vide arrivare a puntare la pistola, che si era procurato per mantenere l’ordine, contro un altro ragazzo, anch’egli di tredici anni, per impedirgli di salire su una scialuppa e salvarsi; lo avevano lasciato, piegato in due, sul ponte a piangere disperato.

Stavano diventando tutti pazzi. Le loro teste stavano, piano piano, smettendo di funzionare correttamente.

Li stavano facendo impazzire tutti quei disperati che smaniavano per salvarsi, quegli stoici che preferivano andare incontro alla morte con noncuranza, quegli esaltati del progresso che continuavano a ripetere che non sarebbe accaduto nulla, quella dannata orchestra con i suoi stramaledettissimo inni sacri, quel ponte sempre più inclinato, quell’acqua che già stava sommergendo la prua.

“Si gioca a ‘tira e molla’ con la fine” era stato il commento sarcastico di un marinaio accanto a lui che, durante le manovre, era riuscito ad infilarsi in una delle scialuppe.

Erano arrivati alle ultime imbarcazioni di salvataggio… e c’erano ancora centinaia e centinaia di persone a bordo del Titanic. Le prime scialuppe erano state riempite per metà o meno perché non erano sicuri della resistenza e della portata che avrebbero potuto sopportare ma era stato deciso che sarebbero ritornate indietro a prendere altri passeggeri, invece, non era andata così. Li avevano lasciati lì, in agonia.

Mentre anche quella scialuppa stava per essere calata in mare, Dave si tirò indietro sentendo la nausea stringergli lo stomaco quando, inavvertitamente, sul ponte lasciato libero dai passeggeri che erano corsi verso quella successiva, vide una bambina che piangeva disperata, guardandosi attorno con aria spaesata.

Quando non si pensa, si agisce.

Dave corse subito verso la bambina e la prese in braccio strappandole un piccolo grido di terrore subito soffocato dalle lacrime. Diede un rapido sguardo intorno a sé, aspettandosi di vedere una donna o un uomo andargli incontro a reclamare quella povera creatura ma nessuno si fece avanti.

Poco importava se avrebbe avuto il dolore di un genitore sulla coscienza; quella bambina andava messa in salvo.

La scialuppa… la stavano calando.

“Dio, ti prego, dammi solo un istante” pregò Dave, con più fervore di quanto non avesse mai fatto correndo a rotta di collo nel punto dove la scialuppa veniva calata in mare.

Quando arrivò, grazie a Dio, non aveva ancora raggiunto il ponte di seconda.

- Aspettate! – urlò con tutto il fiato che aveva in gola, sporgendosi pericolosamente verso il vuoto con la bambina urlante che, terrorizzata dal buio visto sotto di lei, si aggrappò al braccio di Dave che la sosteneva – Prendete la bambina! La bambina!  

Dal gruppo di donne nella scialuppa si alzò una figura bianca, che nella notte brillava come un faro, con le braccia tese verso l’alto pronta a prendere quella piccola vita alla quale spettavano ancora tanti e tanti anni da vivere.

Era un bel salto ma le avrebbe fatto più bene che male, pensò Dave. Con un trasporto paterno, posò un rapido e fugace bacio sulla testolina bionda della bimba e la lasciò scivolare tra le braccia della bianca figura sulla scialuppa che la prese al volo per stringerla teneramente a sé per calmare il suo pianto.

Per la prima e ultima volta, in quella maledetta notte, Dave sentì qualcosa di molto simile alla felicità.

Quella bambina era Beth e la figura che l’aveva afferrata nel suo volo era Quinn.

Il destino aveva di nuovo mischiato le sue carte da gioco.

 

 

 

Nota dell’autore:

L’iceberg e vari errori di sottovalutazione furono la causa della collisione e del conseguente naufragio del Titanic. Per la morte di tante persone, a questi fattori vanno aggiunti l’assenza di un numero sufficiente di scialuppe e l’incompetenza messa nelle manovre di imbarco. Sebbene, all’inchiesta che seguì, il governo inglese elogiò il comportamento e il sangue freddo della sua marina, dalle testimonianze dei sopravvissuti possiamo dedurne il contrario. I marinai non sapevano come muoversi, non erano state fatte prove e simulazioni di ciò che avrebbero dovuto fare in caso di emergenza. Davano tutti per scontato che il Titanic fosse realmente “inaffondabile”.

Sulla salvezza delle persone che erano riuscite a salire sulle scialuppe hanno giocato un ruolo decisivo i due ufficiali Murdoch e Lightoller addetti all’imbarco, rispettivamente, nei ponti di sinistra e di destra. Mentre il primo diede precedenza a donne e bambini e riempiendo poi eventuali vuoti con alcuni uomini, il secondo permise di imbarcare “solo” donne e bambini e anche con quest’ultimi si dimostrò severo, a causa dell’età. L’episodio di lui che punta la rivoltella contro un ragazzino di tredici anni per non farlo salire è, purtroppo, vero.

La cosa più ironica è che Lightoller fu l’unico degli ufficiali a sopravvivere al disastro.

Per quanto riguarda il trattamento riservato ai passeggeri di terza classe, sappiamo dalle testimonianze  che, in un primo momento, alcuni marinai scesero per accompagnare piccoli gruppi sul ponte lance (visto che i corridoi erano come un labirinto) ma, ad un certo punto, forse per il caos che si stava creando sui ponti di imbarco, non ritornarono più a riprenderli. Alcuni dei passeggeri decisero di raggiungere i ponti da soli mentre altri rimasero intrappolati.

 

Eccomi di ritorno. Mi dispiace di avervi fatto attendere ma in quest’ultimo periodo mi sono trovato ad affrontare dei problemi non indifferenti e dovrò aspettare ancora un mese per vedere se una parte è risolta, mentre, per l’altra parte, la cosa sarà parecchio lunga.

Comunque, voglio rassicurarvi, dicendo che questa fanfiction l’ho quasi terminata; mi resta solo l’ultimo capitolo. Il girono di aggiornamento resterà comunque il mercoledì. Vi chiedo ancora scusa per i ritardi (lo so, non sono da me, visti i miei precedenti di puntualità ma concedetemi le attenuanti XD)

Come sempre, per qualsiasi cosa, vi rimando alla mia pagina: http://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483

Ringrazio di cuore tutte le persone che continuano a seguirmi <3

 

Lusio

  
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