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Autore: PiccolaEl    10/10/2012    1 recensioni
"Sono ritardataria, bugiarda, acida. Poi sono gentile, cordiale, e cedo l’ultima fetta di torta. Poi sono fredda, di una freddezza quasi utopica, irreale. Arrabbiata. E l’unica cosa che mi viene in mente è uscire di casa e stare fuori per delle ore. A fumare. E ad ascoltare canzoni a macchinetta dal mio mp3. E piangere, sullo scalino di una vetrina ben nascosta dal centro della città. Ben nascosta da tutti. Ben nascosta anche da me stessa, perché alla fine fuggo solo e soltanto da me. Degli altri non ho paura. Neanche di quelli che dalla faccia sembrano dei terroristi immigrati. Ho paura di me stessa. Del mio giudizio, unico e personale. Delle boccate d’aria fresca, ho paura, perché sono realtà [..] Non sono la ragazza del libro, o del film, o delle serie tv. Sono una ragazza normale, con problemi assurdi, e che non si fa problemi per niente. O per tutto. Spalanco gli occhi quando qualcosa mi attrae, le gambe mi cedono quando sono innamorata e i miei capelli come li metti stanno."
Questa è la piccola Bambi, che, catapultata in una nuova esperienza, troverà il coraggio di amare con tutto il suo corpo e la sua mente.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quattro - Proposte.






“Pss. Giuls.” chiamo sottovoce la mia compagna di banco.
“Che c’è Bette?” risponde con il mio stesso tono.
“Ho bisogno di un consiglio.”
“Non puoi aspettare la ricreazione? Non credo che ci sia qualcosa di preciso che tu debba dirmi se non ‘Massimiliano mi rende strana, Massi mi mangia con gli occhi, Massi è un donnaiolo e se mi fisso sono cazzi amari, Massi cazzi e mazzi.” strepita. Ha ragione, due settimane sempre con la stessa rogna. E le parlo continuamente e lei mi ascolta. E lei parla continuamente e io l’ascolto. La cosa più bella sul pianeta: stringere legami d’amicizia. Sorrido istintivamente.
“No, non si tratta di questo.” replico, sorridendo.
“E allora di che diavolo si tratta?” sbraita il tutto a voce bassissima. Una comica.
“Della trasferta.” rispondo.
“Ma di che diavolo parli?”
“Dell’amichevole che avrò il prossimo fine settimana a Torino. Te l’avevo detto.” insisto. Ci riflette un poco. Poi spalanca gli occhi. Se l’è ricordato.
“Ah, si. E non può aspettare la ricreazione neanche questo discorso, immagino.”
“Immagini bene. A meno che non ti interessi questa noiosissima palla di educazione fisica. Orale. Andiamo, dai!” la incito. Tentenna. Si farà convincere.
“In effetti. Però solo cinque minuti.” cede e si gira verso di me, attenta. Mi appoggio con la schiena alla sedia, braccia conserte, e la guardo.
“Non ho esperienza. Cioè, non so quello che devo aspettarmi da questa gita, chiamiamola cosi. Non voglio fare niente di cui possa pentirmi. Tipo non so, ubriacarmi e poi finire nel letto con qualcuno che magari non mi interessa.” spiego, gesticolando animatamente. Si tappa la bocca. Forse sta per vomitare. La fisso, stranita. Poi capisco che si sta trattenendo per non scoppiare a ridere. Monto una faccia indignata.
“No, scusa, non ce la faccio. Sei seria? Hai paura di ubriacarti? E di finire a letto con qualcuno che non ti interessa? No, dico, ma davvero, sei seria?” mi chiede, tra il serio e il divertito.
“Si, perché?” chiedo, sempre più indignata e divertita.
“Perché se non vuoi ubriacarti non ti ubriachi. E se non vuoi finire a letto con qualcuno non ci finisci e basta, discorso chiuso e archiviato.” risponde, seria. E butta fuori tutto con quattro parole incrociate alla cazzo ma che rendono. Minchia. Una frase semplice che racchiude le mie paranoie insensate e le accartoccia. Geniale.
“Hai ragione, cazzo.” esclamo, convinta. E un po’ per noia o per interesse, seguiamo la lezione.
“Perciò ragazzi, molti di voi già sono attivi sessualmente ed è giusto che vi proteggiate. Anche chi ancora non lo è, è giusto che ugualmente si protegga.” annuncia la professoressa, a voce alta. Maledetta me. Sento calore alle guance. Sento risolini per tutta la classe e sento Giulia nella mia stessa condizione. Mi volto verso di lei, e mentre tutti si alzano per prendere un preservativo dalla cesta della professoressa, io e lei rimaniamo sedute. Fin quando non mi decido e mi alzo. E ne prendo due. Uno per me e uno per lei. Sfortunatamente sono l’ultima a farlo. E gli occhi sono sempre puntati su di me.
“Hey, addirittura due?” urla Carlo e ridono tutti. Che palle. Torno a sedermi. La professoressa continua a parlare ma sento troppo caldo per ascoltarla. Mi volto verso Giulia, che si volta anche lei verso di me. Ci guardiamo. Poi scoppiamo a ridere sottovoce.
“Dicevamo della tua trasferta?” riprende il discorso e ridiamo.
 
 
“Ragazzi mercoledi prossimo sveglia alle sei meno un quarto, non accetto storie.” sento Pedro dire, e preferirei una doccia bollente d’estate piuttosto che una sveglia alle sei meno un quarto.
“ehi Pè perché non direttamente all’alba? Domani il sole sorgerà alle quattro e mezza di notte” esclama Marco, facendo ridere tutti. Dario si avvicina e mi guarda insistentemente. Poi mi sussurra all’orecchio “ti prego, convincilo tu. Sappiamo tutti che ha un debole per te” e scoppio a ridere. Massimiliano ci fissa. Non incrocio il suo sguardo.
“Pedro dai… insomma, non possiamo fare anche un’ora dopo? Io non riesco a gareggiare in quelle condizioni…” sussurro, facendogli passare un braccio dietro schiena e automaticamente lui posa il suo sulle mie spalle.
“E va bene.” si arrende e gli schiocco un sonoro bacio sulla guancia. “sveglia alle sette meno un quarto, alle sette tutti pronti e in piazza. Mi raccomando la puntualità” e con un’ultima occhiataccia divertita si abbassa a raccogliere le sue cose da terra.
“ Ragazzi, un ultima cosa.” parla ancora Pedro “So che per parecchi di voi è sempre difficile rispettare il solito impegno che chiedo, dato che c’è un membro nuovo è giusto che io ripeta la solita e alquanto stressante raccomandazione: astinenza. Niente sesso da oggi fino a venerdi, quando torneremo. Intesi?” e lo guardo attonita. Fissa imperterrito Massimiliano. Tutti lo circondano e gli lasciano non proprio aggraziate pacche sulle spalle, chi gli salta sulla schiena. Lui sorride, a disagio. Disagio.
“Si, Massi, mi riferisco a te in particolare.” aggiunge lui.
Boom.
“Va bene, mister.” replica l’altro, ancor più a disagio, buttandomi occhiatacce ogni due secondi su tre. Ah, si. La parte del disagiato. Ovvio. Tipico. Mi affretto a sistemare la mia roba, ma evidentemente non abbastanza perché io non rimanga sola con Massimiliano. Nella stessa sala. Si chiama sfiga.
“Bambi” mi chiama e aspetto dieci secondi prima di girarmi. Dovrò sembrare pazza. Ma ai suoi occhi devo mantenere atteggiamenti distaccati e amichevoli.
“Si, dimmi” replico, voltandomi. E nell’esatto momento in cui ci guardiamo… non succede niente. Cioè, esteriormente sembriamo due pesci lessi. O almeno, io si. Ma il verde dei suoi occhi è ovunque. Si avvicina pericolosamente e non mi scosto. Si ferma a un passo da me e mi prende la mano, piccola, nella sua, grande.
“Bambi” mi chiama ancora.
“Si, dimmi” rispondo ancora, allo stesso modo.
“Niente. Volevo solo pronunciare il tuo nome. E guardarti negl’occhi. E chiederti scusa.” sussurra, e adesso i suoi occhi sono confusi. Sorrido.
“Okay.” e sorridendo ancora sfilo la presa ed esco dalla sala. Sto per entrare nello spogliatoio quando mi afferra il polso, facendomi girare.
“Non ho finito” aggiunge, un poco ansimante per la breve corsa.
“Cos’altro devi aggiungere?” chiedo.
“Vuoi uscire con me sabato?” mi chiede cosi, di getto. Mi guarda ancora. Mi vuole abbindolare. Ripensandoci, non ci riuscirebbe neanche se volesse.
“Perché?”
“Perché voglio conoscerti meglio.”
“E perché vuoi conoscermi meglio?”
“Perché non sono un tipo da roba seria.” che rispostona, mi dico fra me e me. Obiettivamente, che risposta del cazzo è ‘Perché non sono tipo da roba seria.’? Dimmi direttamente che vuoi scoparmi e nient’altro. Idiota. E io ti dirò direttamente che voglio solo i tuoi capelli. E i tuoi occhi, per sempre. E nient’altro soltanto per una notte.
“Boh.” rispondo soltanto facendo spallucce e smollandolo come un ebete di fronte alla porta dello spogliatoio, che scopro essere deserto all’interno. No. Non posso pensarci. Non devo.
 
 
 
‘Si o no?’ messaggio da numero sconosciuto durante l’ora di italiano (che tra l’altro ho anche scoperto essere la migliore di sempre) mode: on.
‘No.’ e blocco il telefono. Dopo tre secondi si illumina di nuovo.
‘Ma se non sai neanche chi sono?!-.- ’ permaloso il/la ragazzino/a.
‘Ma infatti non mi interessa. No is the way, anyway’ rispondo. Mi batterei il pugno da sola. E anche il cinque. E anche tutto ciò che c’è di battibile. Sono-troppo-forte.
‘ah ah ah. Non fa ridere’ e che palle però. Mi sto innervosendo.
‘e allora non ridere. Easy.’ e con questo riposo il cellulare nell’astuccio. Che palle che sono questi tizi anonimi. Prendo appunti per tutte le restati due ore, poi, esausta, raccolgo le mie cose e le ficco nella mia solita borsa, pronta ad uscire al suono della campanella.
“Ragazzi, un momento di attenzione.” parla ancora la Poli, insegnante di Italiano. “io sono qui, a disposizione di tutti.” e con un ultimo sorriso sincero conclude. E suona la campana. E forse è proprio questo che mi piace di lei. La presenza effettiva in tutti i campi. Mi alzo e mi infilo il giubbotto rosso, pesante, intonato alle mie Dr. Martens e senza neanche levarmi gli occhiali o slegarmi i capelli mi trascino Giulia fuori dalla classe.
“Che fai questo pomeriggio?” mi chiede, allegra.
“Niente. Forse. Cioè, Massimiliano mi ha invitato a cena. Quindi non so, però potremmo anche…” ma non riesco a finire di parlare.
“Lui che cosa?” urla, facendo girare i presenti nella nostra direzione. Oh ma che palle.
“Punto numero uno non urlare. Punto numero due ho detto forse.” rispondo serafica.
“Okay, okay. Ripeto. Lui che cosa?”
“Ma tu stai male, ma sul serio.” sbotto ridendo.
“No, okay hai ragione.” e ride anche lei. Usciamo dal portone e ripercorriamo l’entrata. Fuori dal cancello scorgo Umberto. E anche Stefano e Paolo. E forse anche Dario, ma non ne sono sicura. E poi un tizio alto di spalle. Ha un bel culo. E delle belle spalle. Riuscirei anche a riconoscerlo se non fosse con il cappello in testa.
“Umbe! Paolo! Stè!” grido da lontano e si girano a salutarmi. Mi avvicino tranquilla, Giulia accanto a me. Magari riesco anche a presentarle qualcuno nonostante sia tipa da ‘storia impossibile’. Arrivo proprio dietro al figo quando gli sento dire “Dov’è? Si sta avvicinando? Come stanno i capelli?” spalanco gli occhi. E capisco esattamente chi è, dalla voce. Quasi lusingata. Giulia mi guarda male, perché resto pietrificata. E Umberto tossisce e anche tutti gli altri, ridacchiando.
“Ehm, amico, ce l’hai dietro.” sussurra imbarazzato Paolo. Mi riprendo e pianto un’aria da sufficienza. Si volta e siamo decisamente troppo vicini.
“Sono qui, Massimiliano. E rilassati perché hai il cappello in testa.” e scoppiano a ridere, continuando a darsi di gomito.
“Ciao.” mormora, come se non sentisse nient’altro. Imbambolato. Come se ci fossimo io lui da soli in una stanza. E’ bello. E’ bello in viso, è bello d’aspetto. Ma dentro… non lo so. Sto cadendo. Cedendo. L’una o l’altra. O entrambe. “Come stai?” continua, accennando un sorriso. Bellissimo. E no, non posso.
“Bene.” rispondo. Poi mi rivolgo a tutti gli altri “Ragazzi lei è Giulia, la mia compagna di banco nonché consigliera ufficiale. Loro sono Umberto, Paolo, Stefano e Dario. E lui è Massimiliano.” li indico ad uno ad uno e lei saluta stringendo la mano a tutti e sorridendo educata. Stefano trattiene il fiato leggermente e non capisco perché. Sorride.
“Va bene, adesso che vi conoscete possiamo parlare tutti insieme.” sbotto allegra e Umberto ride come un pazzo. Resto un po’ allibita. E in tutto questo Massimiliano non ha mosso gli occhi un attimo. Neanche quando ha stretto la mano a Giulia e le ha detto “Piacere, Massi.”. Mi preoccupo.
“Bambi.” mi chiama, e torno a guardarlo. Mi attrae. Mi fa girare la testa.
“Massimiliano.” replico, con tono neutro. Sto iniziando a sentire caldo. E appena inizio a sentire caldo o mi riprendo o inizio a sudare. E devo riprendermi, o per si o per forza.
“Senti caldo?” e avvampo di scatto. Scoppia a ridere. Non va bene. Mi legge nella mente. Forse sua mamma è una chiromante. E la sua risata mi entra nelle orecchie. No. Non va bene.
“Un poco. E’ la sciarpa, è troppo pesante.” cerco di giustificarmi, senza successo.
“Certo, la sciarpa.” risponde, con tono ovvio. Di ovvio ha solo il colore dei capelli quindi dovrebbe tacere. Mi innervosisco.
“Certo, la sciarpa.” ripeto impassibile. Ritorna serio. Anzi, con il suo solito sguardo.
“Comunque, non sono qui per metterti in imbarazzo.” e quasi avvampo più di prima. Stavolta però mantengo il controllo.
“E per cosa allora?” gli chiedo. Mi sento tanto in una di quelle serie tv romantiche e idiote stile Dawson’s Creek. E non voglio. Assolutamente, non voglio.
“Mi manca una risposta per stasera. Si o no?” e mi guarda con ancora più insistenza.
“Eri tu stamattina?” domando, per prendere tempo. Devo trovare qualcosa che sia diverso dal si ma che non sia no. E non esiste. E mi maledico mentalmente.
“Prima rispondimi.” Distolgo lo sguardo e lo fisso su un albero dove un uccellino sta cinguettando. Sorrido. Poi lo riposo di nuovo su Massimiliano.
“Va bene.” errore. Errore. Errore.
Saluto sbrigativa e me ne vado. Ho lasciato perfino Giulia in balia della squadra. Della mia squadra. Per fuggire. Da che cosa poi? Dalla vergogna di essere stata convinta. Sono debole. Mi infilo il casco metto in moto e parto. Forse sto piangendo. O forse no. Non saprei nemmeno per cosa piangere. Scalo, percorro la via e prendo la prima o la seconda traversa. Non mi ricordo i nomi, vado ad occhio. Riconosco la via Indipendenza. Altre due o tre fermate e arrivo a Piazza Cavour, dove alloggio. Fermo la moto in traversa e scendo, togliendomi il casco. Sono le dodici e mezza. Sono uscita da scuola alle dodici e cinque. Record. Tiro fuori le chiavi di casa e apro il portone grande e imperiale. Salgo al primo piano e apro la porta di casa. Arrivo fin sopra, in camera mia, e lascio tutto sul letto. Apro il balconcino della mia camera e decido di accendermi una Marlboro. Esco, solo con la sigaretta e l’accendino. L’accendo e aspiro, avida. Aspiro fino a farmi girare la testa di colpo. Abbasso lo sguardo sui passanti. Mi squilla il cellulare. Entro ancora con la sigaretta ed esco subito, chiudendo i vetri per non far entrare puzza di fumo. E’ Giulia. Rispondo.
“Ma ti droghi? Stai male?” strombazza all’improvviso, tanto da farmi allontanare il telefono dall’orecchio.
“Mi dispiace, stavo uscendo pazza. Forse lo sono già.” replico sconsolata e cambia atteggiamento.
“No ma dico tanto da smollarmi li con quei quattro ragazzi che, va bene che sono tanta anzi tantissima roba, ma ugualmente sconosciuti? Che è successo?” sembra più emozionata che preoccupata.
“Stasera esco con Massimiliano.” mormoro. Aspiro.
“Wooooow.” esclama, con troppo entusiasmo. Espiro.
“Wow un cazzo, ho due problemi.” sbotto irritata. Aspiro ancora.
“e quali sarebbero?” domanda, accigliata.
“Il primo è che ho ceduto e mi sento tanto una debole.” Espiro ancora. Neanche un po’ di cenere nei polmoni mi leva il fiato, quella sensazione amara di aver ceduto.
“E non lo sei. E il secondo?” sorrido istintivamente.
“Il secondo è che non so che mettermi.” e dopo due secondi di silenzio scoppiamo a ridere in contemporanea.
“Detto questo scusa se ti ho smollata la da sola con i ragazzi.” tento di scusarmi.
“Oh, tranquilla non ti preoccupare, tutto risolto.” replica, fin troppo velocemente.
“Chi ti ha accompagnata a casa?” chiedo ad un tratto, sospettosa. Non risponde subito. Colpita.
“Stefano.” risponde, lentamente. Mi accendo.
“Lo sapevo lo sapevo lo sapevo!” e sembra che alla fine le persone lontane e vecchie restano lontane mentre quelle vicine e nuove restano vicine. E la vita va cosi, se perdi un treno non tornerà più. E se ne perdi due… se proprio sfigato.
 
 


“Stai bene.” mi dice, come se fossi vestita per andare a scuola. E invece ho una gonna che finisce dove finisce la spacca del culo, stivali bassi di pelle marroni, una maglietta un po’ scollata bianca con scritto ‘Non mi provocare’ e un giacchetto di cotone e il giubbotto di pelle marrone. E mi sono truccata. E ho sciolto i capelli. E messo una borsa. Una borsa! Una delle poche che uso frequentemente. Marrone. Cioè sono assurda. Sembro conciata per le feste. E invece è solo uno stupido sabato sera. 
“Oh, non credo. Grazie comunque.” sorrido e lo squadro. Jeans stretti, il colletto di una polo che sporge e un giubbotto di pelle nero, un paio blu di Prada. Ed è comunque alto un metro e novanta. Bene. “Anche tu” aggiungo.
“Grazie.” replica, un po’ imbarazzato. C’è troppo silenzio. Sono sul portone e lui è due scalini più sotto. Sembra tanto commedia rosa.
“Vogliamo andare?” chiede d’uno tratto.
“Certo.” e scendo.
“Come stai?” domanda mentre ci incamminiamo. Scelta sbagliata.
“Bene. Credo.” rispondo incerta. Mi fissa allibito.
“In che senso credi?” ed è ancora più confuso.
“La mia moto è da questa parte.” cambio discorso e lui lascia perdere.
“Prendiamo la mia.” mi precede, e acconsento. Ci fermiamo di fronte ad una Suzuki GSR 1000. Un bel caratterino. Mi passa il casco.
“Aspetta ma… è tua? Cazzo è spaziale” esulto, girando intorno alla moto. Scoppia a ridere.
“Grazie, anche la tua è un fenomeno.” mi risponde, facendomi sorridere. Mette in moto e aspetta che salgo. Mi sistemo sul sedile e lo stringo forte. Per la prima volta.
 
“Massimiliano, caro, come stai?” un uomo sull’ottantina, abbastanza alto, ci viene incontro, strepitando alla vista di Massimiliano. Sorrido cortese. Porta bene i suoi anni.
“Giovanni!” risponde Massimiliano, con altrettanta foga, noncurante della mia presenza. Sorrido ancora. La dolcezza. Si staccano.
“Lei è Bambi.” ci presenta.
“Oh, piacere Bambi. Io sono Giovanni.” gli stringo la mano, cordiale. Si scambia un cenno con Massi. Non capisco.
“Già.” dice Massi a disagio in risposta alle occhiate dell’uomo.
“Va bene.” replica, eloquente. Sembro un pesce. “Vi ho riservato un tavolo da questa parte.” continua poi, allegro. Ci fa strada nel ristorante. Uno dei più carini che io abbia mai visto. E’ arredato bene e c’è un odore di prelibatezze che mi fa sentire fame. Una volta lasciati al tavolo ci sediamo. Siamo uno di fronte all’altra. Mi nascondo dietro al menù. Sembro una psicopatica. Forse lo sono. Sento i suoi occhi attenti al di là del libretto ispezionarmi vigili. Arriva un ragazzo per le ordinazioni.
“Io prendo una bistecca. La più grande che c’è. Al sangue. Con insalata. Il resto lo lascio al cuoco.” e con un tonfo secco richiudo il menù. Massi mi sorride divertito.
“Facciamo due e in più un quarto di vino rosso. Giovanni sa quale intendo” e il cameriere scompare dietro la porta che reca il cartello ‘vietato l’accesso ai non addetti.’. Mi rilasso. Ci guardiamo.
“Allora…” inizia, puntellandosi sui gomiti. Lo imito.
“Allora…” e sorride. Sorridiamo entrambi.
“Parlami di te. Cioè parliamo. Non so, discutiamo, ridiamo. Passiamo la maggior parte del tempo a guardarci. E per quanto mi piaccia passare il mio tempo cosi, ammetterai che abbiamo ugualmente iniziato con il piede sbagliato.” mormora.
“Hai ragione. Io… beh, non c’è molto da dire su di me. Sono… Bambi. Sono la stessa che prendevano in giro per il buffo nome, la stessa che è cresciuta con il soprannome di Babi, la stessa che è cambiata. Mi sono trasferita qua a Bologna da una città che non c’entra assolutamente niente con tutto ciò che c’è qua. Qua sono me stessa, scatto foto in continuazione, vado in giro in moto senza che nessuno dica <> oppure <>. Qua è diverso. Esco di casa e non mi importa di come mi vedono gli altri perché io stessa mi vedo bene. Vado a fare shopping senza avere il terrore di avere gli stessi capi di qualcun’altra. Mi piace come sono ora, ma ci è voluto un po’ di tempo prima di arrivare a questo punto.” spiego, gesticolando e intercalando una pausa più o meno lunga ad ogni punto. Mi ascolta, i suoi occhi sono attenti.
“Mi dispiace di averti chiamata Babi, un po’ di tempo fa” sussurra, e quasi stento a credere che si ricordi una cosa simile.
“Non fa niente, davvero” mi affretto a dire, ma mi blocca all’istante.
“Certo che fa. Ti ho in qualche modo riportata indietro nel tempo” ribatte.
“Non porto rancore. Semplicemente odio essere chiamata Babi. L’ho sempre odiato. E poi ero Bambi anche prima. Adesso che sono in una nuova città ricomincio solo con Bambi, semplice.” replico, pacata “ma adesso parla tu. Non so niente di te, a parte che ti chiami Massimiliano Rossi, che hai una Suzuki assurda e che fai boxe. Oh, e a parte anche il fatto che non sei uno da roba seria” e mimo il segno delle virgolette. Accenna un sorriso teso, accasciandosi allo schienale della sedia.
“Sai quasi tutto. Beh, magari non sai che sono Americano, per metà. Mia madre è americana, di Miami. Mio padre bolognese che ha vissuto in America. Hanno una catena di concessionarie e in più mio padre ha delle aziende, sparse per tutta l’America, ma anche qua in Italia. Loro sono un poco… assenti. Non che mi dispiaccia troppo, ma a volte mi sento un po’ solo quindi diciamo che qualche amica mi fa compagnia, ecco. Si, non sono da storia seria. Ne ho avuta una, ma risale a quando ero vergine. Avevo 13 anni. Pensavo di essere innamorato. Poi lei mi ha spezzato il cuore e da quel momento mi sono ripromesso di non cadere più nel tranello.” e conclude con una risatina, smorzata dall’arrivo delle bistecche. La cosa più bella che io abbia mai visto. Tento di far capire che non ho dato troppo peso a quello che ha detto… nonostante il peso ci, e tanto.
“Beh, ci si vede. Io mi metto a mangiare” dico ridendo, e mangiando e parlando la serata vola.
 
“No ma dico… serio? Cioè ti hanno davvero beccato con quella mentre stavate…?” chiedo incredula, lasciando intendere il finale della frase. Stiamo passeggiando, sulla strada di casa mia. Annuisce con voga, ridacchiando.
“Oh Dio, io mi sarei buttata dalla finestra piuttosto che assistere a quella scena.” esclamo, con una punta di imbarazzo. Siamo di fronte il mio portone. Salgo uno scalino e mi volto.
“Beh, grazie per la serata e per la cena. Adesso so molte più cose su di te.” ridacchio sommessamente ripensando ai pezzi di vita comici e imbarazzanti che ci siamo raccontati.
“Grazie a te.” replica soltanto. Sta per salire un gradino quando io ne salgo un altro e apro il portone con le chiavi che già mi ero preparata.
“E’ stato un piacere. Buonanotte.” e senza aggiungere altro lo richiudo con un tonfo secco. Lo sento sospirare. Deve essere stato un gran bel sospiro se si è sentito dal portone. Chiudo gli occhi. Perché deve essere sempre tutto cosi complicato? … Ah, che palle.
 








 

 


Buonasera. Oggi sono scazzata, ma okay. Più che altro perché adesso quelli che non piangono sono gli stronzi della situazione mentre chi piange davanti a tutti per farsi vedere è elogiato. Penso che non mi vedrà mai piangere chi vuole vedermi piangere, #js 
anyway, dopo il piccolo sfogo... questo è il capitolo. Non lo lasciate solo e scrivete recensiooooni anche per dire se fa cagare. Ho bisogno di pareri. Grazie a tutti, un bacio,
la vostra Eleonora. 

  
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