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Autore: neme_    10/10/2012    7 recensioni
« Nessuno chiederà informazioni su di te, a meno che la tua natura non lo voglia.
Tutto ciò che accade nel giardino resta nel giardino. »

Lavi è uno scrittore di successo, Rukia un'attrice. I due, come molti altri personaggi, usano rifugiarsi in un atipico giardino chiamato Hortum Septentriones. I destini di Lavi e Rukia e degli altri personaggi si incroceranno in questo viale. Perché sono tutti cercatori.
[Crossover][LaviRuki][Altri crack pairing][Het][Yaoi][Lime][AU][Introspettivo][Possibile OOC][Slice of life]
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Angolino: buonasera! Quanto tempo, eh? Perdonatemi per il ritardo con l'aggiornamento, ho avuto un problema parecchio antipatico. Ma eccomi qui, con un capitolo, uhm, diciamo un po' criptico. Bè, questa storia è criptica, per cui. Devo dire però che mi piace far dannare Ichigo così. Rasenta troppo la tenerezza, mi fa sbandare qua e là. E si preannunciano situazioni ancor più confusionarie, con trottole che qua girano e non si fermano mai. Lavi e Rukia sono gli esempi perfetti, e scusate, forse sono troppo fissata con loro, ma li amo. Amo il LaviRuki. Amo scrivere di loro nelle situazioni più disparate. E, oooh, Kanda ha un colloquio prolungato con qualcuno che non sia Shinji o il fondatore del giardino! -prima o poi saprete chi è , promesso- E Grimmjow... lui è il re che agisce di pancia, che vogliamo farci. Gli vogliamo bene proprio per questo. E tranquilli, non ho dimenticato personaggi come Allen, Renji, Tyki, Shinji o Linalee. C'è occasione per tutti in questa storia, tanto non siamo ancora alla fine!
Piccola nota: il bucaneve non è un fiore scelto a caso. È il fiore simbolo della tredicesima compagnia in Bleach, e significa speranza -se non ricordo male, eh-
E ora i consueti ringraziamenti. Un grazie di cuore a
KayeJ, Ookami san, Haily, Sidan, M e g a m i, zombiecch, matechan, Kumiko Walker e Angy Valentine per le splendide recensioni che mi hanno lasciato finora! Quello che mi scrivete mi rende felicissima, davvero! Ringrazio di cuore Angy Valentine, AriCastle66, jeanny991, M e g a m i, matechan, Ookami san, zombiecch e Haily per aver aggiunto la storia tra le preferite, JennyMatt per averla inserita nelle ricordate e Arsenico, HaChiElriC, KayeJ, Kumiko Walker, M e g a m i, matechan, S h a i l a, Sidan, Tiamath e zombiecch per averla messa nelle seguite! Ringrazio di cuore tutti quelli che leggono e apprezzano quello che faccio! Ringrazio infinitamente chi mi ha aggiunta tra gli autori preferiti: a d e s, AgelessIce, Akisan, Angy Valentine, Athanate, bebouska, Blastvampire, Deeryl, dragon ball z, Dragon Girl31, Edhelwen, Eyes green, FediHime, Giuu, Gleach4615, HaChiElriC, Hime89, Himpm, I r i s, JennyMatt, Jolien, KayeJ, Kia chan 93, Kuchiki Chan, Kumiko Walker, LadyCharlotte, LadyWolf_, M e g a m i, marty 3, matechan, Mela94, NicknameNonNoioso, Ookami san, Rose1487, S h a i l a, Saphirblue, Seminy 53, shooting star, Sky Writer, Tsunaz, Ucha, Valentyn, zombiecch, Haily, _hicchan, Miyuki987. Grazie a tutti voi e a tutti buona lettura!





Hortum Septentriones






Otto






Lei ci muove

Si muove






« Questo è un giardino, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne organizzano un mercato, di come se ne trovano in qualunque viale.
Ogni giorno uomini e donne passeggiano in questo giardino, di come se ne incontrano in qualunque viale.
Ogni giorno qualcuno si perde e arriva qui, oppure ci viene di sua spontanea volontà.
Questo giardino è una casa. Per chi? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque è alla ricerca. Di cosa? Voi che venite lo sapete.
Per chiunque.

Hortum septentriones »




« Nessuno chiederà informazioni su di te, a meno che la tua natura non lo voglia.
Tutto ciò che accade nel giardino resta nel giardino.

Nessuno è obbligato a rivelare il proprio nome.
Non è necessario sapere esattamente cosa si sta cercando.
Qualunque cosa sia, qui la si troverà.
Sicuramente.

I brividi che sentite non sono dettati dalla paura.
La vostra natura lo sa perfettamente.

È possibile organizzare particolari eventi quali concerti o feste.
Qualora lo si desideri, è possibile alloggiare per una o più notti nelle locande.
Non vi è alcun obbligo di rilasciare i veri dati personali o documenti.
Il pagamento varia a seconda delle locande.
O, per meglio dire, a seconda della natura dei rispettivi gestori.

Qualunque cosa succeda, mai chiedersi se sia giusta o sbagliata.
Il giardino non conosce queste sottigliezze.

Il giardino esiste per voi cercatori.
Qualsiasi modifica venga apportata, viene fatta per il vostro benessere.
Siamo certi che le vostre nature rimarranno soddisfatte.
Loro sanno cosa vogliono.

È presente un registro su cui è possibile rilasciare i propri recapiti.

Potete scrivere il vostro vero nome o uno pseudonimo, a libera scelta.
Il giardino si assume ogni responsabilità sulle conseguenze di ciò che lascerete trascritto.
Solo all'interno di esso, però.
Dopotutto non si smette mai di girare.

Non c'è niente di male nel voler sapere.
L'importante è essere coscienti che a volte la troppa conoscenza uccide.
A vostro rischio e pericolo. »






Lavi non si è mai svegliato con la musica. Di solito, in seguito al suo sguardo disorientato nella sua stanza circondata da libri che dice “sono sveglio non sono sveglio sto sognando non sto sognando è casa mia non è casa mia”, ci sono i rumori del traffico mattutino. Ha scelto di vivere in un posto dove il silenzio non è una prerogativa. Vive in un appartamento situato all'ultimo piano di un palazzo risalente al secondo dopoguerra, lo ricorda bene perché l'agente immobiliare ha sottolineato di continuo, mentre la mostrava, la sua età per far capire quanto nonostante gli anni, fosse ancora in ottimo stato. Certo, dipende dai punti di vista questo. Non tutti trovano apprezzabile un portone in legno di noce provato dal tempo. Sì, ha delle increspature che sono belle da guardare, ma col tempo perde colore, diventa rossiccio, si fa vedere vecchio e rovinato e chi si fida di una porta rovinata? A Lavi invece non dispiace quel colore; a dirla tutta, gli piace vedere come le cose cambino nel tempo, per poi constatare che, sotto sotto, non cambia niente. Ma non era certo un discorso da fare all'agente immobiliare così preso nel suo lavoro, era anche divertente vederlo all'opera, forse non aveva mai incontrato un cliente che non si intestardisse con l'idea del “sì, d'accordo, però sta di fatto che la porta è vecchia e una porta vecchia è più facile da sfondare e se poi entrano i ladri io come faccio?”. La gente, pensa Lavi, fa troppo affidamento al fatto che le cose materiali, create dall'uomo, quelle che vengono definite senz'anima, non possano anche loro invecchiare. Una porta, agli occhi della maggior parte delle persone, è solo una porta. Non importa se è stata costruita con il legno di un albero, ergo di un essere vivente. Ma comunque sia, è convinto che anche gli oggetti abbiamo un'anima, un qualcosa da raccontare. Dopotutto, sono create dall'uomo.

Un'altra cosa su cui l'agente immobiliare aveva rimarcato molto era “la bellezza dell'unione tra passato e futuro, i quali danno origine al presente migliore per l'inquilino”. Paroloni per enfatizzare la presenza di un ascensore in quel palazzo così vecchio, senza però trascurare il buon gusto degli anni quaranta con il suo design. Forse quell'uomo si impegnava tanto con le parole per via della professione di Lavi, col risultato che lo faceva solo sorridere di più.

Sull'appartamento, giunti al quinto piano e varcata la soglia di una porta stavolta in legno di quercia laccata di verde scuro, al contrario non fu necessario dare molte delucidazioni. Al momento della visita, erano presenti i mobili indispensabili. Vi erano sei stanze in tutto, anzi, cinque, dal momento che cucina e sala erano state unite. Lavi aveva fatto giusto un giro veloce, durato nemmeno due minuti, e proprio quando l'agente immobiliare stava per elencare i pregi di quell'appartamento, lo aveva zittito con il solo cenno di una mano, fino a quel momento nascosta nella tasca del cappotto. Aveva sorriso a quel perfetto sconosciuto e gli aveva detto. « Vorrei dare un'occhiata al contratto. E avere le chiavi della mia nuova casa, se è possibile averle subito. »

Una casa di circa sessant'anni, con mobili posizionati lì quel tanto per renderla vagamente confortevole, pieni di polvere e malcelata trascuratezza, carta da parati che cominciava a perdere pezzi spontaneamente, ruggine e muffa coperta alla buona, in un centro perennemente frequentato soprattutto di mattina con un traffico che pochi gradiscono volendo concedersi quei fatidici e illusori minuti in più per dormire la mattina, non è la scelta che farebbero tutti. Eppure Lavi l'ha voluta subito, apportando in seguito le modifiche necessarie, come il piccolo muro divisorio tra cucina e sala, la drastica scomparsa dello studio per ampliare il bagno e metterci una lavatrice, togliere completamente la carta da parati e riverniciare ogni singola parete personalmente per dare colori caldi che preferiva lui, per completare con i mobili comprati per l'occasione e la cucina nuova, e i libri, talmente numerosi che alcuni erano poggiati per terra, o pericolosamente sugli scaffali sopra il letto, sul tavolo della cucina dove lavora, accanto al computer portatile e alla macchina da scrivere. Molti trovano quella casa ancor più confusionaria e meno abitabile di prima, troppo angusta, troppo disordinata, troppi libri. Ma a Lavi piace molto, casa sua. Perché è un po' come se, comprandola e rimodernandola, avesse creato una cosa simile all'Hortum Septentriones. Sa bene che non sarà mai paragonabile, neanche lontanamente, con quel posto che tanto adora e che tanto gli ha portato. Come la musica, quella stessa che sente ora che si sveglia, si passa una mano sull'occhio, dà un'occhiata all'orologio sul comodino che segna le otto e tredici. Anche a quell'ora il traffico è animato e se si concentra riesce a sentirlo, fissando tra le fessure delle tende bianche. Ma che la musica coprisse del tutto quei rumori che lui non disdegna, non trovandoci nessun fastidio, non era mai capitato. Si infila velocemente dei pantaloni di un pigiama qualunque, blu, e una vestaglia grigiastra, avvicinandosi alla fonte di quella melodia. Non può chiamarlo rumore, nemmeno suono, non sembra una ninna nanna, non è un canticchiare. È solo la voce di Mai Shirafune. No, non è nemmeno lei, almeno in parte. È Rukia. Indossa anche lei una vestaglia prestata dal padrone di casa, ma le sue dimensioni tradiscono la differenza sostanziale di corporatura che corre tra i due. La vestaglia che Lavi le ha prestato le sta così grande che ha dovuto fare un bel nodo per tenerlo su, e si porta appresso un piccolo strascico ed è quasi impossibile intravvedere cosa porta sotto. Rukia indossa uno dei suoi abiti e prepara la colazione nella sua cucina, cantando. Lavi non può che guardarla, senza rendersi conto si aver infilato le mani nelle tasche e di essersi poggiato alla parete divisoria, composta da una ventina di grandi piastrelle di vetro. L'attrice si accorge di lui soltanto quando si volta per mettere in tavola, apparecchiata apposta per l'occasione -tutto ciò che Lavi usa per il lavoro è stato momentaneamente accantonato sul pavimento- con tanto di piccolo vasetto di fiori, un piatto di uova. Gli rivolge un sorriso, di quelli poco accentuati, che lui ha imparato sin da subito ad apprezzare, forse troppo.

« Buongiorno, Lavi. A cosa è dovuto quello sguardo indagatore? »

Il sorriso viene ricambiato. « Converrà con me col fatto che fa un certo effetto vedere qualcun altro cucinare in casa propria. »

« Vuole che smetta? »

« La prego, non mi metta in bocca parole che neanche penso. La trovo una delle cose più belle che si possano vedere. »

« Tutti vorrebbero la colazione servita senza muovere un dito. »

« Parliamo per enigmi, oggi? Sa perfettamente che cosa intendevo. » decide di muovere dei passi, le sue dita che disegnano i contorni delle cuciture della vestaglia che ora è addosso a lei, le loro labbra che si sfiorano, ma non vanno oltre, producono solamente un lievissimo schiocco accondiscendente. « Dove ha trovato i fiori? »

« Bucaneve. Splendidi per questo periodo dell'anno, non trova? Poco fa sono andata da un fiorista ben fornito, qui vicino. »

« Mi ha lasciato dormire mentre andava a comprare dei fiori? »

« In tutta onestà, stavo rischiando di dimenticarmene. Sono rimasta a fissarla più del consentito. »

« È un po' imbarazzante. »

« Per me non lo è. »

Sorride solamente, a quella risposta. Le accarezza il viso, sfiora nuovamente le sue labbra, entrambi decidono di dare inizio alla colazione. Si siedono in modo che le loro mani possano sfiorarsi e che le loro labbra possano unirsi senza esporsi troppo, in modo che le loro narici possano percepire bene il profumo dei bucaneve.

« Sa che l'avrei accompagnata volentieri dal fiorista. » dice Lavi mentre si versa il caffè. E per fortuna almeno in quel caso Tyki non verrà a scroccarlo. A quell'ora è impossibile.

« Non volevo disturbarla per niente. Oramai so che lascia le chiavi sul tavolino del salotto. » Rukia nota il sorrisetto che si è appena formato sul viso di lui, dopo aver preso alcuni piccoli sorsi di caffè. « Forse ho preso fin troppo alla lettera l'espressione “faccia come se fosse a casa sua”. Gli ospiti si prendono troppe libertà. »

« È già la quinta volta che è mia ospite. Può prendersi tutte le libertà che vuole. Se così non fosse, non le permetterei mai di toccare arbitrariamente i miei libri. »

« Mi lusinga. »

« Posso permettermi una considerazione sfacciata? »

« A casa propria non si è mai sfacciati. »

« Trovo che sia davvero splendido riuscire ad avere con lei un rapporto simile anche fuori dal giardino. »

« Che tipo di rapporto? »

« Domanda interessante. Le potrei rispondere che è simile al rapporto che ha Harriet col suo amico d'infanzia, ma sento che non è così. Non siamo nemmeno amanti, e un po' lontani dall'essere amici. Noi siamo... due pescatori che hanno fatto una buona pesca. »

Rukia arriccia le labbra, non appare convinta, le viene da sorridere ma per rispetto non lo esterna. « È la prima volta che non sa bene cosa dire, vero? »

« Le chiedo scusa. »

« Posso prendermi la libertà di essere Harriet, solo per questo istante? »

« Non ha bisogno di chiedermelo. »

« Se io fossi Harriet, e mi trovassi in una simile situazione, considererei quella persona un amante. »

« Non le pare una definizione fin troppo riduttiva? »

« Possiamo approfondirla quanto vogliamo. »

E non ha torto. L'esempio del pescatore non ha convinto nemmeno lui, ad essere sincero, quella di amante gli sembra fuori luogo. Ma in che altro modo la si potrebbe definire quella, volendo usare altri termini riduttivi, relazione? A conti fatti, trovarsela in casa per la quinta volta non è una bazzecola e non si era mai posto il problema, va benissimo così. La sua sfacciataggine l'ha portato a chiedersi, per la prima volta, a cosa potrà veramente portare quell'attrazione che sente, se ci sarà un futuro oppure no. Pensare a lontani giorni seguenti senza quella figura minuta un po' lo spaventa, ma al contempo lo rasserena. È forse quello che chiamano amore? Si sta innamorando di un'attrice che fino a poche settimane prima neanche osava sognare di incontrare? Al giardino queste domande non se le era minimamente fatte, ma ora eccolo, preso dai crucci che ti regala il mondo al di fuori di esso. Il manifesto avverte chiaramente di prestare attenzione alle differenze che si possono incontrare nei due diversi mondi, perché di questo si tratta. Giardino è solo un altro modo per definire mondo, in questo caso.

Rukia si intrufola con disinvoltura nella sua mano, ma non c'è solo il contatto della sua pelle chiara. Lavi intravede una sigaretta insidiatasi furtivamente tra le sue dita. L'altra si china per baciargli la mano e gli sorride.

« La prenda. Per quanto faccia male, immagino che al momento sia l'unica cosa che la rilassi. Questa conversazione l'ha turbata, me ne dispiaccio. »

Scuota immediatamente il capo. Le labbra vanno a posarsi sul collo scoperto, sente il solleticare dei suoi capelli a caschetto, il suo profumo, i lievi brividi che la pervadono. Si lascia andare anche coi denti, mordicchiando in modo da non lasciare segni su quella pelle così chiara, così bella, impossibile da rovinare anche volendo. Risale fino al suo orecchio, gli basta un bisbiglio.

« La cosa che davvero mi turba è vederla dispiacersi per me. Se le va bene, allora saremo gli amanti Lavi e Rukia. Dimentichi ciò che è stato detto alcuni secondi fa. »

« Dimenticare... lo farà anche lei? » fissa con un sorriso il rosso dei suoi capelli, non rendendosi conto che le sue mani sono andate a sfiorare la vestaglia, lasciandogli scoperta la spalla.

« Dimenticare che cosa? »

« Ciò che è stato detto alcuni secondi fa. »

« Perché, cosa ci siamo detti alcuni secondi fa? »

Sorride. È un uomo che sa farla sorridere con estrema facilità. Aveva pensato, per qualche tempo, che solo al giardino esistessero uomini simili, di aver avuto un miraggio, o vissuto un lungo sogno. Ma quell'uomo le parla anche fuori di lì con lo stesso tono e la stessa cortesia, la desidera alla stessa maniera e continua a stuzzicarla col suo atteggiamento. È un miraggio così tangibile che l'idea di averlo per sé, di essere sua amante, la fa sentire una regina, altro che attrice famosa. Forse sono ancora nel giardino e non lo sanno.

« È già eccitato, Lavi. »

« “Lo toccava in maniera tanto insistente, eppure si sorprese nel vedere come si era già fatto trasportare”. »

« “Erano quei gesti che a volte risultano incontrollabili, quando la mente vuole una cosa e il corpo risponde al contrario. Era quello che le avrebbe detto diversa gente”. »

« “Ipocrita”. »

« “Com'è possibile riuscire a perdere così totalmente la padronanza del corpo?” »

« “Ne restiamo sempre padroni, ma si ha paura di rendersene conto, quando ci si accorge di fare una cosa sbagliata. Quando la morale ordina secondo qualcun altro”. »

« “Ipocriti, tutti quanti. Harriet lo sapeva bene. « Un tocco così dolce non può uccidere la morale di nessuno.»” »

« R-Rukia... » la vestaglia ormai lenta, i pantaloni percepiti sempre più come un fastidio per le mani di lei che massaggiano con dolcezza, mani che tolgono impicci, accarezzano seno, spalle, viso, braccia che trascinano quel corpo leggero ma così incisivo sulle sue carni. « Non smetta... »

« Però se mi siedo su di lei sarà più complicato, Lavi. »

« Vuole che ci sistemiamo sul pavimento? »

« No... le sue gambe sono così comode. »

Di complicato quella posizione non rendeva niente. Al contrario, per lui in tal modo era più facile carezzare con le labbra il suo seno, ormai scoperto. « Gli amanti... in fondo, ha un suono affascinante. »

« Ma -aah... la sua sigaretta... »

« Fumare dopo aver fatto l'amore ha un sapore cento volte migliore. Rukia... riesce a cantare quella canzone mentre lo facciamo? Ha una così bella voce... »


Si asciuga il sudore dalla fronte imperlata da tempo, benché sia perfettamente cosciente del fatto che, entro pochi minuti, si ritroverà a dover fronteggiare quelle fastidiose gocce che ricadono sugli occhi, sulle tempie, sul naso. Kanda si concede qualche attimo di pausa, approfittandone per abbassare il riscaldamento fin troppo insostenibile per lui, e per osservare con occhio critico il lavoro svolto finora. Lo soddisfa, a conti fatti. Lui che in principio non voleva per nessuna ragione invischiarsi in un affare simile, si è scoperto interessato a tal punto che è persino avanti col lavoro. Di questo passo, pensa, concluderà il tutto prima di marzo. Guarda la scultura a cui sta lavorando, che non è un lavoro da poco: è del nuovo orologio dell'Hortum Septentriones che si parla, commissionato da nientemeno che il fondatore, in un certo qual modo, suo benefattore. Dopo l'opera che ha battezzato come “Alma”, è il lavoro che lo rende più contento. Sa bene che, quando verrà finalmente esposta, l'autore resterà anonimo e non ci saranno dunque applausi o complimenti di sorta per lui, ma anche per questo ne è felice. Gli piace pensare alle facce dei frequentatori quando varcheranno i cancelli, sorprese, ovviamente, ammirate -perché lui crede molto nelle proprie capacità- e curiose, con quel dubbio quasi soffocante su chi abbia realizzato una cosa del genere. Ammette senza problemi che gli piace l'idea di beffarsi delle loro espressioni. Forse per un semplice senso di superiorità, forse è solo quella soddisfazione raggiunta dopo un'estenuante lavoro. Del resto, gli sguardi ammirati li riceve sempre, attraverso le statuette che espone. Probabilmente è l'idea che lui, soltanto lui, abbia avuto il privilegio di realizzare quello che sarà un vero e proprio punto di riferimento per molti, forse è questo che lo fa sentire così, come raramente succede.

Kanda fa spallucce. Tenta di scrollarsi quelle sensazioni ingovernabili per non essere distratto, sebbene sia una cosa quasi impossibile. Odia e ama sentirsi così. Immaginava una vita normale, composta da lui, pochi vestiti ma buoni, una casetta modesta e il suo lavoro. Nessuna grande ambizione, perché “chi troppo vuole nulla stringe”. Nessun vizio, perché “chi si accontenta, gode”. Un momento, ripensandoci, magari la soba tutti i giorni a ogni pasto potrebbe anche concederlo, in fondo “l'unico modo per sconfiggere una tentazione è cedere ad essa”. Nessun grande amore, poiché porta complicazioni. E poi “in amor vince chi fugge” e Kanda è proprio il tipo che di fronte a sentimenti così effimeri e astratti, scappa. Proprio così. Non ci sono altri modi per definirlo. Ha paura di amare, perché sente di non esserne capace. Forse è meglio dire “aveva”. Perché più si trova nel giardino, più sente quel brivido. Qualcosa, o qualcuno, gli dice di rischiare. Sarà quel qualcosa che gira dentro di lui, sarà Alma, e chi lo sa. Sta di fatto che lo manipola come vuole, e lui odia e ama questo fattore. Ma del resto, non può che essere così.

Si affaccia per un attimo alla finestra, per controllare l'ora segnata dall'ormai ex-orologio -solo lui e Shinji sanno che è “ex”- e nota che è ora di tornare al banco. Sistema le poche cianfrusaglie indispensabili ed esce, raggiungendo dopo pochi passi il proprio banchetto. Ci mette pochissimi minuti a preparare il tutto, gran parte delle statuette sono già sistemate, protette da alcune teche. Il Natale passato da appena due giorni è stato particolarmente freddo, con qualche grado al di sotto dello zero, per cui quelle protezioni sono il minimo indispensabile. Vede molta gente passeggiare appena riconoscibile, gli sembrano tanti sosia. La moda di quell'anno ha consigliato di indossare giubbotti imbottiti dai colori accesi, “per rendere l'inverno più colorato”, e niente rosso o verde, fa troppo albero di Natale. Meglio il giallo, o l'azzurro, o il color miele. Moda o meno, l'importante è coprirsi, se c'è un po' di colore, tanto meglio.

C'è una ragazza che non sfoggia colori particolari, tranne ai capelli. Ricordano il colore dell'alba, azzarda Kanda, dopo tutta una serie di similitudini. Non è la prima volta che vede quella ragazza al suo banco. Spesso, come in questa occasione, si apposta là prima dell'apertura, e non appena si accorge che la sta guardando si rivolge da un'altra parte. Sembra quasi che abbia paura di lui, ma poi si avvicina e ammira le sue opere, sebbene non le compri mai. Poi fissa lui. Se ne accorge benissimo, all'inizio gli ha dato molto fastidio ma non è mai riuscito a rimproverarla per questo. Non per timore di perdere un cliente, ma perché proprio non ci riesce. Dev'essere colpa dei suoi occhi, pensa, talmente grandi rispetto ai suoi, da sembrare addirittura più forti.

Arriva il momento in cui finalmente si avvicina, quando il banco delle statuette di vetro è ufficialmente aperto. Puntualissima, si avvicina a piccoli passi che tradiscono la sua impazienza. Visita la sua bancarella talmente tante volte che riconosce al primo sguardo le nuove creazioni e avvicina il naso pericolosamente alle teche, poi ci poggia pure la mano sopra, come se volesse constatare che sono vere. Ha notato subito una statuetta a forma di fiore di loto. È bellissima, pensa Orihime, sorride piena di ammirazione. Il loto, che bel fiore, incontaminato e immortale.

« Costa duemilatrecento yen. »

« C-come? » le ha parlato. Per la prima volta le ha parlato. Non le sembra vero.

« Il fiore di loto. Costa duemilatrecento yen. »

« Ah, i-io... ecco... non ho un soldo adesso... »

« Mettiti le mani in tasca allora. Inutile toccare una cosa che non potrai avere. » allude alle sue mani piccoline e rovinate dal freddo, un po' raggrinzite, sicuramente gelide, pallidissime. Il tono della sua voce tradisce l'ostilità che vuole ostentare. Sembra addirittura premuroso.

« M-mi scusi. »

« Di che cosa? »

« Vengo sempre qui ma non compro mai niente. »

« Non obbligo nessuno a comprare. »

« Sono... sono davvero bellissime. » non riceve nessuna risposta, solo uno sguardo. L'ha fissata più a lungo del previsto, ha potuto vedere così bene i suoi occhi. Hanno una tonalità di blu atipica per un giapponese, sembrano gli abissi dei mari. Orihime ama il mare, se sapesse nuotare bene passerebbe le ore nei fondali marini a esplorare quello che con ogni probabilità celano quegli occhi. « Lei ha un grande talento. »

« Dammi del tu. »

« E... “tu” hai un nome? »

« Come tutti. Come te. »

« Io... io mi chiamo Orihime Inoue. »

« Con quali caratteri si scrive? »

« Con quelli di “tessuto” e “principessa”. »

« Come la principessa del Tanabata. »

« Forse troppo imponente per un essere umano. »

« È sempre meglio avere un nome imponente. »

« Il tuo come... come si scrive? »

« Con gli ideogrammi di “campo” e “riso”. Come la prefettura. »

« Kanda. »

« Esatto. »

« Ma è il tuo cognome, non il nome. »

« Te lo dirò quando comprerai una statuetta. »

La ragazza sorride. Lui non si scompone più di tanto e si appresta a servire un altro cliente intenzionato a comprare davvero, ma Orihime sorride, si copre la bocca con la mano per non farsi vedere, ma lo fa di gran gusto. Quella che le ha fatto è stata una promessa, le piace vederla così, dev'essere per forza così. Ne era certa, non è affatto un ragazzo terribile, al contrario. Si promette di comprare qualcosa, sia per contribuire al suo bisogno di mangiare, sia perché una promessa va mantenuta. Lui le ha dato un'occasione e non deve sprecarla. Dentro di sé, la trottola è talmente vorticosa da farle male al petto, da farle tremare braccia e gambe. Sa come si chiama, ha visto i suoi occhi senza dover ricorrere al riflesso del vetro, gli ha parlato, si è fatta aprire uno spiraglio. Non credeva di poter raggiungere un risultato simile con le sole forze. È merito di Linalee, la quale grazie alla sua amicizia le ha fatto acquisire più fiducia in se stessa, è merito dell'Hortum Septentriones che le ha permesso di incontrarla. “Casa nuova, vita nuova”, e quella di Orihime si sta rivelando meravigliosa oltre ogni aspettativa.

Dall'altro lato, però, c'è chi si sente crollare il mondo addosso.

Ichigo si cala ancor più giù il cappuccio sugli occhi. È più pallido del solito e adesso sente un gran mal di testa, oltre ad una fitta al petto che lo devasta. La sua natura gli dà dell'idiota perché se ne sta ad osservare, come un incapace, quella ragazza tanto gentile e carina che ride con un altro ragazzo. Non è la sua fidanzata, no, per cui non ha nessun motivo e nemmeno diritto di essere geloso. Ma doveva essere più veloce e soprattutto, per una volta, evitare di prestare attenzione ai fantasmi intorno a lui e guardare meglio lei. Sa bene che lo scontro avuto con lei quella sera, quando le aveva maldestramente offerto da bere, non significa molto, un incontro troppo fugace per restare impresso, a parte l'aspetto vampiresco che ha. Ichigo non si fa troppe illusioni per natura, ma proprio adesso si rende conto di quanto è stato stupido e di quanto la sua natura sia incoerente. Non sa niente di niente della vita e non può fare altro che affidarsi a Grimmjow.

D'altra parte, però, il fatto che ha dovuto affrontare per tutta la vita una malattia fastidiosa come la porfiria, lo ha aiutato a capire che non ci si può arrendere al primo ostacolo. In fondo, sta solo parlando con quel ragazzo, non è ancora detta l'ultima parola. Ichigo può sempre presentarsi là e intrufolarsi nei discorsi, anche sorprendere, perché ha sentito tutto. Sa come si chiama, potrebbe chiamarla a sorpresa. Ha il nome di una principessa, che bello.

Ma rinuncia. Non è riuscito a fare niente fino a quel momento, l'altra volta è scappato a gambe levate, non riuscirebbe a dirle alcunché. Si guarda attorno e un fantasma, un uomo basso per la sua cinquantina, gli suggerisce la soluzione, indica col dito rugoso e quasi trasparente un libro aperto. È il registro messo a disposizione di tutti. È vero, perché non ci ha pensato prima? Ha osservato Orihime tante volte e sa che lo sfoglia sempre. Ed ha anche l'aria di una che coglie sempre i sassolini che vede lanciare.

Approfitta della distrazione di Grimmjow, sta chiacchierando con un certo Tyki, appena conosciuto. Non bada a lui, perfetto. Si avvicina a passo quasi felpato, impugna la penna nera, trema per il freddo e l'emozione. Si blocca di colpa. Gli torna in mente il viso di Orihime che di fronte a quel ragazzo delle statuette di vetro sorride come non fa con quasi nessuno. A lui un sorriso del genere non l'ha rivolto. Quel ragazzo si chiama Kanda.

Kanda

Ci ripensa, scarabocchia seduta stante per coprire l'errore madornale. Non può, va contro i suoi ideali spacciarsi per un altro, non vuole ingannarla. Ed eccola, ecco la sua natura che invece agisce come vuole, ignorando candidamente le sue volontà. Gli fa tremare talmente tanto la mano che lo costringe a far cadere la penna a terra e, nel raccoglierla, dà una testata al leggio. Non gliene va dritta una, che speranze può avere con lei? Chi potrebbe mai accettare uno come lui? I fantasmi intorno a lui lo deridono e gli dicono di scrivere questo o quel nome, ne approfittano per suggerire nomignoli poco simpatici.

« State zitti! Voi non siete nessuno per dirmi cosa devo o non devo fare! »

« Tu hai bisogno di noi, Ichigo. »

« No! Piantatela! »

« Senza di noi, senza Grimmjow, non sai neanche chi sei. »

« Non è vero, io lo so chi sono! So chi sono! Io sono... » la sua mano calca talmente tanto che rovina il foglio. Scrive caratteri tremolanti ma molto grandi, che superano le due righe della pagina. Ma quello che scrive non è il suo nome, non proprio almeno. E non è nemmeno quello di Kanda o di Grimmjow. Lui sa chi è, o almeno crede.

Hichi

Ci ripensa, si rende conto della gaffe, no, no, così non va. Invita tutti i fantasmi di stare zitti, lo infastidiscono e basta. Gli gira la testa così tanto che ora anche il mondo intorno a lui gira, si capovolge. È tutto al contrario, anche il suo nome adesso.

Ogihci

No. No, non è neanche questo. Lui sa chi è, lo sa. Grimmjow lo chiama sempre, anche senza di lui sa perfettamente riconoscersi. Quando si guarda allo specchio, sa chiamarsi. All'amica di Orihime non ci ha messo niente a presentarsi. Un foglio è solo un foglio, scrivi, scrivi questo, Ichigo, scrivi quello, sbrigati.

Quello che viene alla fine, come risultato, è un disastro.

Hichi Ogihci Ichigo Kurosaki

Scarabocchia ulteriormente sul nome di Kanda per non farsi beccare quando lei lo vedrà. Perché lo vedrà, sicuramente. Leggerà il suo nome e la sua e-mail, la memorizzerà, lo cercherà. Deve farlo. Altrimenti Ichigo non sarà più lui, non saprà più chi è. Deve farsi chiamare da qualcuno.

« Ichigo. »

La voce che lo chiama però è sempre la stessa. Grimmjow, chiuso nel suo chiodo di pelle con cappello in coordinato, lo guarda con un sopracciglio inarcato. Rare volte si mostra davvero preoccupato per lui in maniera così palese e quella è una delle rare volte. Gli è grato per quello, per tutto, in realtà. Grimmjow si prende cura di lui senza aspettarsi nulla in cambio, se non la sua presenza. Grimmjow lavora per dargli da mangiare, lo tiene lontano dai pericoli che però in qualche modo lo trovano sempre, ma non può mica fare tutto. È un essere umano che fa troppo. Lo chiama, e questo è uno sforzo enorme.

« Grimmjow. »

« Sì, sono io. Non posso staccarti gli occhi di dosso un momento che sparisci. »

Quello che segue è un gesto che Ichigo non fa mai. Non davanti a tutti. Lo sente tremare, di sicuro ha troppo freddo. Ma non si spiega comunque l'abbraccio che gli dà così, davanti a tutti. L'altro si guarda attorno disorientato, quei gesti plateali non li ama particolarmente. Non sembra che tutti lo stiano guardando. A parte lei.

« Possibile che a pochi passi da Ichigo ci sia sempre quella là? Ma chi è? E che hai da guardare? Sta male, non lo vedi? Prima che arrivassi tu questi problemi non li avevamo. Io curavo Ichigo, solo io, andava benissimo così, tu che cazzo vuoi? »

Vuole pensare che in qualche modo il giardino lo stia mettendo alla prova. Questa considerazione lo porta a giorni indietro, quando si trovava in quel posto con Lavi. Erano seduti ad un tavolino isolato del bar Shihoin, che prende il nome dalla gestrice del locale, una bella donna, esotica. Il suo locale si affaccia alla fontana preferita di Grimmjow: un enorme vasca ovale, con al centro quello che sembra un leone cavalcato da un angelo guerriero. È bellissima e il marmo usurato non gli fa perdere minimamente fascino, anzi, gli dà un'aria più rude che lui adora. Si riflette un po' nel leone raffigurato su quella fontana. In generale, Grimmjow ama i felini. Lavi non ha animali preferiti, ma apprezza anche lui il paesaggio di quel locale, il più grande del giardino, all'interno fatto di parquet in legno di ciliegio e tetti con aperture apposite per gli alberi ormai cresciuti al suo interno. Ci crescono gli alberi, là dentro, e i tavolini sono attaccati ai tronchi, che ridere. Sia dentro che fuori, sei a contatto diretto con la natura. Natura. Forse è per questo che gli piace.

L'ultima volta che è stato là con Lavi, ricorda perfettamente che sorseggiavano lui rhum e Lavi vodka. Entrambi si erano appostati fuori per poter fumare in tutta tranquillità e ammiravano la fontana in piena funzione.

« Chissà chi l'ha realizzata. » chiede Lavi.

« Chiunque sia stato, è un genio. Questo posto ne è pieno zeppo. »

« E tu? »

« E chi lo sa. Guarda il leone com'è bello. Sembra vero. Sembra che stia per assaltare la sua preda da un momento all'altro. »

« Mi auguro di non essere la sua vittima, allora. »

« A mio dire invece sarebbe stupendo morire azzannato da un animale così bello. Se lo merita proprio l'appellativo di re degli animali. »

« Attento, Grimmjow. O ti ritroverai sgozzato davvero da un leone. Certe parole il giardino le sente fin troppo bene e magari ti mette pure alla prova. »

« Non ho paura. Anch'io sono un re. »

« Allora alla vostra salute, altezza. »

Lavi lo sapeva, lo aveva messo in guardia e non gli aveva dato peso. Idiota. Ma visto che si era imprigionato con le sue stesse mani, doveva uscirne da solo in ogni caso. Grimmjow sa prendersi le sue responsabilità, altrimenti ciò che si muove dentro di lui, anzi, ciò che lo muove, rischia di gonfiarsi a tal punto da scoppiare e poi gli va a lacerare quel buco alla pancia che sente di continuo, che deve essere riempito. Deve farlo per Ichigo ma, più egoisticamente, per lui. Per il suo trono.

« Falli stare zitti. »

« Chi, Ichigo? »

« Tutti. Tutti quanti. Parlano troppo. Mi dicono di scrivere cose che non mi appartengono. Sono ovunque, mi dicono che non sono nessuno. Che devo scrivere chi vogliono che io sia. »

Grimmjow capisce che sta parlando delle sue allucinazioni. Ha imparato che la cosa migliore non è scuoterlo e dirgli che non c'è nessun fantasma, almeno per il momento. Ricambia l'abbraccio, o meglio, posa le mani sulle sue spalle per dargli qualche pacca e lo asseconda. Ha bisogno di questo.

« Dì loro che ti chiami Ichigo e basta. Dai, è tutto a posto. Andiamo a casa. »

« Sì. »

« Andiamo a casa. »

Prendono la loro strada senza sguardi di troppo, così credono. Grimmjow è combattuto perché per l'ennesima volta Ichigo è riuscito a eludere la sua sorveglianza e stava per immischiarsi nell'ennesimo casino. Ma deve rialzarsi, per lui e per se stesso. Altrimenti perde il trono e non se lo può proprio permettere.

Non sa che Orihime lo ha notato, mentre si trascinava Ichigo troppo preso dalle allucinazioni dovute alla porfiria. Voleva offrire il suo aiuto, ma quando li ha visti andarsene ha pensato che non fosse più necessario. Ci pensa bene e sì, ricorda il ragazzo dai capelli arancioni e i canini somiglianti a quelli di un vampiro, pallido, dall'aria stanca e corrucciata, come se ce l'avesse con qualcuno. L'ha visto scrivere qualcosa sul registro. Vuole farsi trovare da qualcuno. Kanda è impegnato nel suo lavoro e non può più parlarle, va bene anche così. Si avvicina con sguardi curiosi al quaderno. Legge i caratteri e improvvisamente ha un sussulto. Ha già sentito quel nome, glielo ha detto Linalee, proprio lei, quel giorno che era arrivata in ritardo e le aveva raccontato che davanti alla bancarella di Kanda aveva incontrato un ragazzo di nome Ichigo Kurosaki che si era preoccupato vedendola da sola. È quello stesso ragazzo con cui si è scontrata e che in seguito le aveva offerto da bere. Da come scrive, da come lo ha visto accanto all'altro ragazzo dai capelli azzurri parzialmente coperti dal cappello nero -insieme al chiodo di pelle e ai jeans neri, con anfibi dello stesso colore, e lo sguardo chiarissimo e dal taglio felino, sembrava tutto fuorché un uomo. Somigliava di più ad una pantera, ecco come la pensa lei- capisce ha bisogno d'aiuto e lo sta chiedendo. Ha lasciato il suo indirizzo e-mail. Orihime non si sofferma a pensarci ulteriormente, afferra il proprio cellulare dalla tasca della gonna e memorizza quanto sta leggendo. Quel ragazzo ha bisogno d'aiuto e lei può darglielo. Lo ha visto nei suoi occhi, è disorientato, come se non si rendesse conto di dove si trovi. Lei può aiutarlo e, una volta dato l'aiuto necessario, farlo conoscere a Linalee, ai suoi amici, dargli una vita allegra, la stessa che sta avendo lei. Così non si sentirà inutile. Un pensiero un po' egoista, deve ammettere che è così. Ma la sua natura non può fare altrimenti, vuole essere forte, Orihime, e per farlo può solo aiutare il prossimo. Rendere felice qualcuno è così bello, lei ne è la prima testimonianza. Kanda l'ha resa felice aprendole solo un piccolissimo spiraglio, Linalee l'ha resa felice coi suoi sorrisi e la sua amicizia. Anche lei vuole pensare di essere in grado di fare la stessa cosa.

Si volta verso il banco delle statuette ma in seguito si dirige verso l'uscita del giardino. Sorride e bisbiglia delle parole che Kanda forse non sentirà mai, non da lei, perché va bene rendere felice qualcuno, ma quanta timidezza bisogna accantonare per farlo.

« Tu porti fortuna, Kanda. »


~ Ore 17.02 ~


Rukia dà un'occhiata al manifesto del cancello che conosce a memoria, ma le piace guardarlo. Sicuramente, Lavi fa la stessa cosa, o forse no, ma non ha importanza. Il bianco della carta è quasi in simbiosi col suo cappotto, lungo fino alle caviglie. L'unica cosa colorata che Rukia indossa in quel momento sono le scarpe, color violetto. Il bianco sta bene con tutto, è il colore della neve e lei ama la neve. Si posa così dolcemente sul mondo, anche quando ci sono tempeste. Ha un aspetto così elegante che non risulta mai volgare. La neve è la cosa più elegante che possa esistere al mondo, pensa. Dopo le mani di Lavi, magari. Anche le sue mani sono dolci, eleganti e mai volgari, ma suadenti come poche. Il suo amante. Deve ancora abituarsi a questa definizione, sa che non descrive appieno la loro situazione. Ma l'importante, e di questo ne è cosciente anche lui, è che la loro frequentazione continui su quell'andazzo. Il mondo fuori non li spaventa. Così come è cominciata nel giardino, continuerà fuori. Possono farcela benissimo.

Quando si volta incrocia lo sguardo di una ragazza dai lunghi capelli castani, lisci, ha un corpo molto maturo nascosto goffamente dai vestiti molto più colorati dei suoi. Ha gli occhi dello stesso colore, grandi, innocenti, vivi come non mai. Si incrociano per pochissimi secondi, giusto il tempo per Orihime di arrossire, rendersi conto di avere davanti un'attrice famosa, Mai Shirafune, è bellissima anche dal vivo, che brava, che bella, e scappare via. Dopo tutto quello che ha passato tra statue di vetro e registri, un autografo non riesce a chiederlo. Ha paura di disturbarla.

Quella paura non le sta molto simpatica. La blocca nelle cose più importanti. Spera che la prossima volta con Kanda non sia così e che riesca a comprare qualcosa da lui. Spera che la sua paura non la faccia fallire nel suo tentativo di essere migliore, come quell'attrice così bella ed elegante. Come vorrebbe essere come lei.

Non sa che anche Rukia ha paura. Per esempio, ha paura che i bucaneve portati a Lavi si appassiscano in fretta. Scuote la testa. Che sciocca, pensa. Lavi non può farli appassire.

   
 
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