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Autore: Seren_alias Robin_    10/10/2012    4 recensioni
“Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita.”
Con quella frase Nizan, quel filosofo sconosciuto, aveva conquistato la sua stima. Non avrebbe avuto dubbi su quale traccia scegliere.
Vera e Matteo.
Altra storiella partorita dal mare, che non completerò mai probabilmente. O si. Che ne so.
Le mie storie restano a metà, perché io sono a metà.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La storia di Selene era giunta al termine prima che Vera potesse finire di bere il suo thè alla pesca in lattina, lasciandole un senso di insoddisfazione e di curiosità nello stesso tempo. Era una storia troppo semplice da capire e troppo triste da riascoltare, come la canzone della colonna sonora di un film drammatico.
Soprattutto, fin troppo simile alla sua sfortuna in quanto note musicali. Ma era certa che fosse solo alla fine del primo capitolo.
Selene.
La guardò per tutto il tempo che passarono insieme quel pomeriggio, fino all’imbrunire, cominciando a masticare l’idea che quella ragazza abitava lontano da lei. Tanto lontano. Non voleva usare il termine “troppo” per descrivere quella distanza. Qualcosa nei suoi modi di fare, nella sua voce rassicurante, nella sua spalla bagnata di lacrime sincere, le suggeriva che lei sarebbe rimasta vicina comunque, molto più vicina di altri. Era il tramonto, ma alla fine l’alba era sempre puntuale.
Eppure nonostante le parole di conforto faceva male, era l'ennesimo mal di pancia. La fine dell’estate avrebbe avuto il sapore degli addii.
Le sembrava di essere finita in una di quelle serie-tv americane, in cui le cose hanno il vizio di complicarsi per forza.  Trovare un'amica, doverla vedere andare via. E trovarsi da sola, ancora.
Abbracciò forte la ragazza per l’ultima volta e tornò a casa, cercando disperatamente la voglia di fare qualcosa. In genere Vera amava fare tante cose, ma non voleva farne nessuna in quel momento.
Il suo Ipod era sempre un mistero, così una volta a casa fu costretta ad ascoltare la radio del cellulare, che la deludeva il 90% delle volte.
Incantevole. Subsonica. Era sempre bello rivalutare una canzone.
Si portò una mano vicino al viso e chiuse gli occhi. Lei non metteva mai troppo profumo, la sua pelle profumava già di suo, nonostante fossero davvero pochi privilegiati a conoscere bene quell'essenza. Avrebbe stonato con qualunque altra cosa.
Ma quella sera voleva essere diversa.
Tingersi i capelli non era la soluzione, e nemmeno truccarsi gli occhi di nero.
Sentiva che era lei il problema. Qualunque cosa andasse troppo bene per lei non poteva funzionare. Era noia, era insoddisfazione.
Guardò il proprio riflesso pallido allo specchio vicino al letto, e spense la luce. Quel viso le dava fastidio.
Tante nuvole attraversarono il cielo, portandosi dietro storie che non raccolse nessuno. Da quattro giorni aveva smesso di parlare con Matteo, da quando l'aveva incontrato in quel bar insieme a Jenny. Si sentiva denudata, infelice. Ormai era chiaro che lui aveva capito tutto. In ogni caso, doveva aver capito molto più di quanto riuscisse ad accettare.
Aveva regalato mille sospiri al cuscino ogni notte, ma lui non era mai entrato, non aveva mai cercato una spiegazione a quel suo mutismo. Un tacito accordo che era più comodo per entrambi.
In fondo era meglio così. Sarebbe stato come spiegare l'insoddisfazione di aver trovato la propria canzone preferita in radio all'ultima nota ad un sordo. O semplicemente a chi non vuol sentire.
L’apatia era diventata sua compagna estiva. Restava a guardare le ore trascorrere rinchiusa spontaneamente in camera sua a disegnare visi che poi finivano per essere strappati o accartocciati senza potersi mostrare a nessuno. Non prendeva più il sole sulla spiaggia, man mano che il tempo scivolava via sembrava impallidirsi sempre di più. Per trascorrere il tempo, aveva persino comprato un libro di preparazione per i test dell’università, che la teneva impegnata con quiz di logica che la fregavano difficilmente. Giocare al Professor Layton al Nintendo DS per così tanto tempo aveva portato a qualche risultato.
Stava ragionando su un quesito particolarmente difficile quando sentì bussare alla porta. Rimase a fissare il vuoto nello spazio di tempo di un sospiro, mentre il cuore manifestava la sua presenza battendo un po’ più forte. Cercando di riunire tutto l’autocontrollo che aveva dentro in un’unica parola, disse: - Avanti. –
Non era ovviamente quello che sperava. Nunzia entrò in camera con un paio di magliette colorate in mano e la solita espressione esasperata e comprensiva nello stesso tempo che aveva assunto nei confronti di lei e Matteo da qualche giorno.
-          Ti ho portato queste, a me non vanno più. Provale. – le disse, scrutandola.
-          Grazie zia. – rispose Vera senza degnare il minimo guardo alle magliette. Nunzia le posò sul letto e le si sedette affianco.
-          Mi hai chiamato zia, sul serio? –
-          Beh, da qualche parte devo pure iniziare. –
Nunzia fissò sua nipote con gli occhi da grande per la prima volta. Anche lei, visti i pochi anni di differenza, non riusciva a fare per bene il ruolo della zia. Ma guardando quel viso segnato dalla tristezza scritta negli occhi, non poté trattenere un senso di protezione nei suoi confronti.
-          Mi spiace se ti ha fatto arrabbiare. – sembrava dispiaciuta sul serio.
-          Lui non mi ha fatto arrabbiare. –
-          Se avessi saputo come sarebbero andate le cose…-
-          Stanno andando benissimo le cose. Matteo è molto più sereno rispetto a quando è arrivato. Ha fatto amicizia con molti bravi ragazzi qui e sta anche studiando un po’, l’ho visto l’altro giorno sfogliare un libro…-
-          Era una raccolta di fumetti. Ma questo non mi importa. A me interessa sapere come stai tu. –
-          Io? Starei meglio se riuscissi a capire questo quesito e se piovesse un altro po’, oggi fa decisamente troppo caldo. –
-          Posso chiedergli di tornare a casa, se tu… -
-          No. – la interruppe subito. Poi ci pensò su e aggiunse – Non mi sembra il caso, sta ancora imparando ad integrarsi qui, credo che un altro po’ di tempo lontano da casa possa solo fargli del bene. –
La verità era molto più semplice e chiara, ma non poteva dirla ad alta voce e soprattutto non alla cugina di Matteo. Non voleva vederlo andare già via, probabilmente avrebbe significato non rivederlo più.
-          Come vuoi. Mi piacerebbe solo tirarti su il morale in qualche modo. Mi sento responsabile. –
-          L’unica cosa che potrebbe tirarmi su il morale in questo momento sarebbe il ritorno di Frusciante nei Red Hot Chili Peppers. Pensi di poterlo convincere, o magari di trovarmi una notizia migliore di questa, soprattutto reale? –
-          Penso di averla, si. Sono incinta. –
Vera alzò lo sguardo dall’Alpha-test e fu come se vedesse per la prima volta quei capelli chiari e scompigliati dal mare, il viso giovane e fresco da giovane sposa, gli occhi lucidi di amore e felicità. Si sentì sciocca e stupida per aver fatto aspettare una notizia così bella solo per le sue sciocche paranoie. Man mano che accorciava la distanza per correre ad abbracciarla, l’idea di quella notizia arrivata così all’improvviso iniziava a prendere forma dentro di lei.
E fu musica, fu energia, fu amore.
Suo zio sarebbe diventato padre. Il suo zio amico, il suo fratello maggiore, la spalla più forte che avesse mai accolto le sue lacrime, padre. Accarezzò la pancia di sua zia, cosciente che era vita laggiù da qualche parte, meravigliandosi come una cosa tanto piccola potesse riempirla così immensamente. E per la prima volta, dopo troppo tempo, vide lo splendore dell’amore. Quello che sarebbe stato, grazie ad esso. Chiuse gli occhi, mentre abbracciava ancora una volta Nunzia, e non lasciò posto nemmeno ad una lacrima.
Mentre la stringeva, Vera capì che erano più distanti che mai. Nunzia era felice, innamorata, soddisfatta. Tutto quello che lei avrebbe desiderato essere.
Staccandosi dall’abbraccio una voce dalla porta sembrò urlarle nelle orecchie, anche se il tono di voce di Matteo era quasi un sussurro.
-          Che succede? Vera, tutto ok? –
Vera lo guardò negli occhi, incredula. Non le sembrava vero che Matteo stesse rivolgendo quella domanda, o anche solo la parola, proprio a lei. Prese un gran respiro e si sforzò di sorridere. Ripensando a sua zia e alla notizia appena data, non le riuscì poi così difficile.
-          Ciao Matteo. Va tutto bene, benissimo. – sorrise a Nunzia. Sua zia ricambiò il sorriso, poi guardò anche lei Matteo.
-          Aspetto un bambino. –
-          Sul serio? – lo sguardo duro di Matteo si intenerì. Sorrise tanto da fare male a Vera, che distolse lo sguardo, mentre i due cugini si abbracciavano.
-          Io e Francesco avevamo deciso di dare la notizia stasera a cena insieme a tutti gli altri, ma non ce la facevo più a tenermi dentro una cosa così. Però tenetevela per voi, mi raccomando. – si assicurò stringendo per l’ultima volta Matteo. Fece una carezza a Vera, che sorrideva ancora seduta ai piedi del letto, ed uscì, lasciandoli soli per la prima volta dopo giorni di silenzio.
Fu Matteo a parlare, mentre si sedeva affianco a lei. – Per una volta, splendide notizie. –
Vera lo guardò, ma non trovò i suoi occhi. Il ragazzo aveva lo sguardo incollato sul pavimento scuro, come se vi leggesse la più avvincente delle storie tra quelle vecchie mattonelle. Sembrava si sforzasse di fare conversazione, e soprattutto che trovasse estremamente difficile in compito. Questo sembrò dare coraggio a Vera.
-          Mi ha risolto tutti i problemi che avevo. Tante cose ora sembrano sciocchezze, vero? –
-          Già. – Con un sospiro, tirò su il viso e la guardò. I suoi occhi erano blu di tristezza, di scuse. Non avrebbe mai staccato lo sguardo da quegli occhi se non le avessero fatto male.
-          Matteo, è tutto ok. – fu ancora lei a parlare. Non poteva fare altrimenti, se non poteva baciarlo.
-          No, non lo è. – rispose lui, carico di amarezza. – E vorrei capire perché. Perché Vera? Perché non riusciamo ad andare d’accordo?-
-          Chi ti dice che non ci riusciamo? Io stavo bene con te, mi piaceva parlare, mi piaceva prenderti in giro. Mi piaceva guardarti mentre suonavi la chitarra e ti perdevi nei tuoi accordi, e stringevi la lingua tra i denti, e mi guardavi sorridendomi, e a tratti chiudevi gli occhi, e le tue mani scivolavano, e ti perdevi un’altra volta… - Arrossìma non distolse lo sguardo.Sorrise soltanto– Non volevo dirlo. –
-          E per quale motivo abbiamo smesso di parlarci? Non ti piace più tutto questo? –
Stavolta era più difficile. Vera chiuse gli occhi e abbandonò la testa all’indietro, stancamente.
-          Vera. – Matteo le aveva preso una mano e la stringeva. Nonostante il suo più grande desiderio fosse quello di aprire gli occhi, Vera rimase immobile, fissando nella mente quelle dita lisce che giocavano con le sue.
-          Matteo, mi dispiace. Mi dispiace tanto. – fu tutto quello che il suo cuore riuscì a dire. La sua mente aveva deciso di lasciarla libera per un po’.
-          Che significa mi dispiace? Vera. – continuava a ripetere quel nome disperatamente, cercando quegli occhi che lei gli nascondeva, esasperandolo.
-          Vera guardami. –
Vera aprì gli occhi e guardò il soffitto, dove qualcuno prima di lei aveva attaccato delle stelle adesive fosforescenti. Possibile che non le avesse mai notate? Qualunque cosa pur di sfuggire alla verità. Ma era tempo ora.
Spegni la luce che il cielo c’è.
E lei lo guardò, e fu il cielo più bello che potesse trovare, anche senza stelline adesive dell’Ikea.
-          Non tocca a me sentirti suonare. –
-          Sei tu. Sei sempre stata tu. –
Oramai i suoi occhi non erano più in grado di mettere a fuoco. Il viso di Matteo era così vicino da sembrarle sfocato, irreale.
-          Matteo, che stiamo facendo. –
Suonava di domanda, ma lui non la sentì nemmeno. Avvertì solo il movimento delle labbra di Vera solleticarlo, così vicine alle sue.
La baciò dimenticandosi del resto, dissetando quel bisogno di lei che lo perseguitava dal primo giorno che l’aveva vista dondolare spingendosi con un piedino. La baciò e fu solo Vera, la chitarra più bella da suonare. La baciò, e non se ne rese conto finchè lei stessa non si staccò da lui, sorridendo.
-          Cosa c’è da ridere? – disse lui con gli occhi ancora semichiusi d’amore, sorridendo di rimando.
-          E’ un sorriso. Solo un sorriso. Abbracciami. –
Inutile richiesta. Matteo la stava già cingendo con le braccia, abbandonando il suo viso tra il colloe la spalla di lei, continuando a sorrideree dimenticandosi di come si stava male prima.
-          Possiamo stare così per tutto il tempo di By the Way? – chiese lei, accarezzandogli con le unghie l’avambraccio tatuato.
-          Ma intendi l’album o la canzone? – rispose Matteo con una punta di preoccupazione nella voce.
-          L’album, ovviamente. –
-          Non preferiresti che te lo suonassi tutto con la chitarra? – chiese lui baciandola sul collo.
-          Lascia perdere quella stupida chitarra per una volta. –
-          L’ho già fatto, sono con te. –
 
 
Fuori dalla stanza qualcuno aveva finito di spiare.
Voltando le spalle a quei due cuori ritrovati la donna si accarezzò la pancia felice, e le parve di sentire un battito nuovo da qualche parte dentro di lei condividere la stessa felicità.




Dedico il capitolo ai ragazzi che si amano. Tutti. E in particolare a Jessica, che oggi compie gli anni... AUGURONI TESORO.
Ogni tanto ricompaio, ma chi scrive sa che purtroppo non lo si fa a comando. Per farvi ancora più contenti (marò come mi sto dando stasera) quaggiù vi posto anche un disegno di come immagina la mia mano e la mia testa Matteo, muaaa:*

 

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