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Autore: Alchbel    11/10/2012    5 recensioni
Finalmente giunge una nuova settimana Klaine, a cui stavolta anche noi abbiamo deciso di aderire.
Perciò eccovi una serie di 7 capitoli/shot (separati l'uno dell'altro) per sette momenti Klaine!
Enjoy it ♥
Day 1: Cooper + Klaine
Day 2: Roomates!Klaine
Day 3: Heroes!Klaine
Day 4: Skank/Nerd
Day 5: Photographer/Model
Day 6: Dalton!Klaine
Day 7: Winter in New York
Genere: Comico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Masquerade

 

 

Kurt si lasciò scappare un profondo sospiro non appena il complesso del McKinley High School entrò nel suo campo visivo: più giorni lo vedeva, meno era la voglia di entrarci e spendere lì le sue giornate. Ed erano solo al secondo anno!

 

Il grigiore dell'inverno appena cominciato, poi, non faceva altro che deprimerlo ancora di più, così che, parcheggiando la macchina e scendendo con cautela, si chiese che cosa mai gli sarebbe potuto succedere in una giornata che era appena cominciata nel peggiore dei modi.

 

Neanche qualche istante dopo, il ragazzo dovette prender nota del fatto che il Karma sapesse sempre dove e quando colpire. Si chiese se invece avesse ancora qualche problema con il "chi", perché ultimamente – da più di un anno, a dirla tutta – pareva essersi particolarmente affezionato a lui. Alzando lo sguardo ed incamminandosi verso l'entrata, infatti, una delle prime persone che involontariamente aveva incontrato con lo sguardo era stata Blaine Anderson ed il cuore aveva improvvisamente fatto male.

 

Si fermò per un attimo, il tempo necessario per riprendere fiato. Era un anno che lo vedeva in quello stato e la cosa riusciva ancora a ferirlo come se fosse la prima volta. La parte migliore della storia, poi, era che Blaine neanche sapeva di tutto quello, dei suoi sguardi furtivi, del fatto che ci stesse ancora male. Lui semplicemente se ne andava in giro col suo gruppo – e al fianco dell'immancabile Quinn Fabray – sigaretta alla mano, orecchino azzurro fosforescente che risaltava sul suo lobo, giubbotto di pelle ed aria arrabbiata, senza degnare nessuno di uno sguardo se non per minacciare o essere irrispettoso del prossimo.

 

Quello ormai era il gruppo degli skank della scuola e lui ne faceva parte.

 

Quando Kurt raggiunse l'armadietto, ormai i corridoi erano quasi del tutto vuoti. Farsi vedere quanto meno possibile in giro prima che suonasse la campanella restava una delle tattiche migliori per evitare l'incontro con spiacevoli soggetti e c'erano giorni in cui era capace anche di tornare a casa senza aver ricevuto alcuno spintone. Giorni fortunati.

 

Mentre cercava il libro di storia, il ragazzo non poté fare a meno di gettare lo sguardo sulle foto che aveva appeso da tempo nella parte interna dello sportello. C'era una foto che lo ritraeva con Mercedes e Rachel, sue compagne al Glee Club nonché migliori amiche, una con suo padre ed un'altra di qualche anno prima. Quella era una delle sue foto preferite, di quelle fortuite che però catturano istanti preziosi: suo padre l'aveva scattata senza che lo sapesse, mentre si stava divertendo in giardino. Con Blaine. Sorridevano, vittime di chissà quale gioco esilarante e Kurt ricordava  di essersi sentito, allora, spensierato e felice come in altre poche occasioni.

 

Avrebbe fatto di tutto perché gli fosse restituito il Blaine di quella foto, il Blaine con cui era cresciuto e che era stato suo amico – almeno fino all'inizio delle superiori. Lì, poi, qualcosa era cambiato e quello che davvero riusciva a farlo ancora stare male era il non aver mai saputo cosa fosse successo. Da un giorno all'altro, durante l'estate, non si era fatto più sentire e poi, una volta cominciata la scuola, se lo era trovato di fronte completamente trasformato, dall'abbigliamento, ai capelli, al carattere. Non gli aveva rivolto più la parola e i suoi tentativi di parlargli erano stati ignorati o respinti in malo modo.

 

Fino a che non si era semplicemente arreso all'evidenza. Era cambiato. Lo aveva perso. E il suo cervello, a dirla tutta, non ci aveva messo chissà quanto ad abituarsi alla cosa: non doveva più salutarlo, chiamarlo o rivolgergli la parola, sarebbe stato inutile anche pensarlo o parlare di lui con qualcun altro. Una lista di divieti semplici da rispettare.

 

E invece no, lui lo pensava, parlava di lui e aveva provato a chiamarlo decine e decine di volte, salvo poi essere puntualmente ignorato. Non aveva perso le speranza, perché se c'era una cosa che aveva imparato era ad essere tenace: era ciò che lo aveva fatto diventare uno dei ragazzi più intelligenti della scuola, quello a cui si chiedeva una mano per passare il compito di matematica, per poi negare di aver avuto, invece, una qualsiasi interazione su un qualsivoglia argomento.  La  stessa tenacia che lo aveva portato ad impegnarsi per migliorare anche nel Glee Club e che gli impediva di perdere quell'ultima speranza, riguardo Blaine, facendogli immaginare scenari in cui il ragazzo sarebbe andato da lui, a testa bassa e cuore aperto, e gli avrebbe spiegato ogni cosa.

 

Che cosa stupida, si disse, mentre si affrettava a raggiungere l'aula, Non succederà mai!

 

 

***

 

 

Sperare che la giornata passasse nel modo più anonimo possibile era stato esagerato da parte di Kurt, ma quando aveva chiuso l'armadietto per recarsi alla lezione di Francese, l'ultima della giornata, si era davvero rilassato all'idea che stavolta il cambio di vestiti non gli sarebbe servito. Grosso errore, perchè non appena aveva svoltato l'angolo, il freddo appiccicoso di una granita ai mirtilli – a giudicare dall'odore – gli si era insidiata tra i vestiti, fino alla pelle, facendolo rabbrividire.

 

Addio lezione di Francese. Si era immediatamente recato in bagno, una volta recuperato il cambio, ed ora era impegnato ad aggiustarsi la camicia su cui un grazioso foulard si poggiava morbidamente. Inutile dire che la parte più difficile sarebbe stata mettere a posto i capelli, ora un completo disastro.

 

«Dannate granite e dannati giocatori di football!», si lamentò, alzando la voce, mentre si passava un asciugamano in testa dopo aver  sciacquato i capelli alla bene e meglio: lì non aveva tutti i prodotti che gli servivano, ma se la sarebbe dovuta cavare con la lacca di riserva che aveva sempre nell'armadietto. Al resto avrebbe pensato una volta a casa.

 

«Ti abbiamo rovinato l'acconciatura, fatina?».

 

Quella voce ebbe il potere di farlo rabbrividire. Si voltò di scatto, l'asciugamano che gli scivolava sulle spalle, per scorgere i tre energumeni – capitanati dall'immancabile David Karofsky – che erano appena entrati nel bagno.

 

«Non dovreste essere a lezione?», chiese, ostentando la sfacciataggine che in momenti simili prevaleva in lui.

 

«E tu non dovresti usare il bagno delle ragazze?», gli fece eco uno di quelli.

 

Kurt trovò il coraggio di sorridere della pessima battuta.

 

«I bambini dell'asilo saprebbero offendere con più creatività. Il vostro repertorio è davvero scarso, ragazzi».

 

Chiunque avrebbe potuto leggere una scintilla inquietante di rabbia farsi strada nello sguardo dei tre giocatori di football.

 

«Vediamo  se la penserai ugualmente anche del nostri colpi!», disse furioso Azimio, prima di scattare in avanti e spingere Kurt contro le mattonelle del bagno. Lo zaino poggiato sul bordo del lavandino cadde a terra, lasciando che quaderni ed appunti vari si sparpagliassero sul pavimento. Kurt sentì appena uno dei due ragazzi più lontani sghignazzare un sarcastico "ops", perché il colpo violento contro il muro gli aveva fatto mancare il fiato e spalancare gli occhi per la pochissima distanza che lo separava dal bullo –  sentiva praticamente il suo fiato addosso.

 

«Sei il peggio del peggio! Non solo frocio, ma anche un secchione sfigato! Per quale motivo dobbiamo essere costretti a vederti ogni mattina qua dentro, eh?», gli gridò addosso, stingendogli così forte un braccio che Kurt poteva avvertire la circolazione fermarsi all'altezza del polso. La paura gli impedì di pensare logicamente, così che provò comunque a sfuggire a quella stretta, ma  si ritrovò in breve steso sul pavimento, con una spalla dolorante e gli occhiali che premevano sul viso fino a fargli male, mentre le risate dei tre ragazzi che lo colpivano dritto al petto, ferendolo quasi più del colpo.

 

Si era promesso che non avrebbe mai pianto davanti a loro, ma in quel momento trovava estremamente difficile mantenere quella parola.

 

«Non devi più farti vedere!», gridò il più alto dei tre, Josh «Mi hai capito?! Non farti più vedere» e si avvicinò in modo pericoloso.

 

Kurt arrancò indietro, col fiato corto e la paura che governava ogni movimento, ma non riuscì ad evitare il calcio che lo colpì in pieno stomaco. Gridò, stingendosi su se stesso, in un estremo tentativo di difendersi da successivi colpi, che, però, non arrivarono.

 

Quando si concesse di aprire gli occhi, alzando lo sguardo, vide i tre bulli rivolti verso l'entrata del bagno e, fermi sulla soglia, un paio di ragazzi tra cui riconobbe Blaine. Anche in un momento del genere la sua vista ebbe il potere di fargli saltare il cuore in gola dall'emozione. Forse era salvo: ora Blaine lo avrebbe aiutato, avrebbe detto a David e compagnia di sparire, avrebbe fatto in modo che smettessero di picchiarlo, probabilmente adesso-

 

Quello che vide gli fece perdere le ultime forze che aveva. Blaine osservò la scena per qualche istante, poi si fece avanti, dandosi una sciacquata al viso e sistemandosi i capelli, dopodiché senza dire nulla, sparì da dove era arrivato. Blaine lo aveva lasciato lì, da solo, senza fare nulla.

 

Ora Kurt aveva una voglia disperata di piangere, mentre lo stomaco gli faceva davvero male e doveva aver sbattuto da qualche parte anche la guancia, perché sentiva quella parte del viso in fiamme.

 

David lo degnò di un altro sguardo derisorio, facendo volare nuovi insulti, poi anche loro lasciarono il bagno. Il ragazzo non seppe fare altro che raggomitolarsi su se stesso e piangere.

 

 

***

 

 

Il cellulare di Mercedes vibrò mentre lasciava l'aula dell'ultima ora e si dirigeva verso la mensa. La ragazza lo estrasse e sorrise quando vide chi era il mittente. Quel gesto allegro, però, si perse non appena lesse il contenuto del messaggio.

 

"Sono sul retro. Vieni subito, ti prego."

 

Senza pensarci su due volte, cambiò strada e in pochi minuti fu sulle scale antincendio che conducevano all'esterno. Le scese quasi correndo fino a che, a pochi passi da esse, seduto per terra e col volto nascosto nelle ginocchia, non scorse il suo amico.

 

«Kurt!», gridò, raggiungendolo «Che cosa è successo?».

 

Quando il ragazzo alzò la testa verso di lei, non ci fu bisogno di risposte o ulteriori domande. Mercedes sentì un attimo girare la testa, ma riuscì a restare calma e si avvicinò con cautela, prendendo un fazzoletto di stoffa dallo zaino e tamponando la scia di sangue che sporcava la guancia sinistra di Kurt.

 

Il contatto lo fece fremere e il ragazzo resistette a stento all'impulso di tirarsi indietro. Mercedes si accorse subito che stava tremando e senza dire nulla, lo tirò a , stringendolo tra le sue braccia. Kurt si lamentò appena, risentendo ancora abbastanza dei colpi subiti, ma si lasciò stringere, perché al momento sentiva che da solo sarebbe crollato.

 

«Se vuoi piangere, fallo: fa bene, tesoro», gli sussurrò lei, ma sentì Kurt scuotere la testa sulla sua spalla.

 

«No. Ho già pianto abbastanza», fece, trovando infine la forza di staccasi dall'amica.

 

Mercedes gli sfiorò di nuovo la guancia.

 

«Devi parlarne con il preside: ora deve fare qualcosa!», disse seria, ma lo vide scuotere ancora la testa.

 

«Non servirebbe a nulla: sarebbe la mia parola contro la loro e al massimo prenderebbero un ammonizione. Se facessi la spia sarebbe solo peggio. Oggi erano... particolarmente arrabbiati, suppongo».

 

«E sarà sempre peggio, Kurt!», insistette la ragazza, ma le parole le morirono in gola quando lo vide scoppiare improvvisamente a piangere «No, tesoro... non volevo peggiorare le cose, scusami», sussurrò, tirandolo di nuovo più vicino a sé.

 

«Non s-sei stata t-tu», balbettò  il ragazzo, appoggiando la propria testa sulla spalla dell'amica «Oggi... mentre è successo... c'èra Blaine», confessò.

 

Mercedes gli lanciò uno sguardo sconvolto.

 

«É stato lui?», chiede.

 

«No, no. Ma era lì. È entrato in bagno mentre io ero per terra... lui mi ha visto... e non ha fatto nulla», riprese a singhiozzare.

 

«Tesoro... ma perché continui a farti male così? Sappiamo che è cambiato, perché ci tieni ancora così tanto a lui?».

 

«Come potrebbe essere diversamente?», gridò «É stato il mio migliore amico per così tanto tempo... e 'Cedes, è con lui che ho capito di essere gay... ne sono innamorato, lo sai! Non riuscirò mai ad accettare di averlo perso, non così. Ma vederlo completamente indifferente... mi ha spezzato il cuore...».

 

La ragazza avrebbe voluto fare qualcosa per alleviare quel dolore, ma non c'era nulla che potesse farlo stare meglio. Kurt pensava a tutti i momenti vissuti con Blaine, a quando gli era stato vicino dopo la morte di sua madre, aiutandolo a superare quel brutto momento o quando al parco si erano dovuti difendere da un gruppo di ragazzi più grandi che aveva preso ad infastidirli. Non c'era un momento, allora, in cui non fossero insieme, spesso dormivano anche uno a casa dell'altro... ed ora questo.  Ora erano arrivati al punto che non solo non si parlavano più, ma erano completamente  estranei uno per l'altro, non importava quale fosse la situazione.

 

No, Kurt non riusciva ad accettare una cosa del genere, il suo cuore non sarebbe mai stato pronto a lasciar andare Blaine, anche se al momento sanguinava proprio a causa sua.

 

 

***

 

 

Kurt si lasciò scappare un flebile lamento, mentre si spalmava una pomata sui lividi che percorrevano il suo corpo, inarcandosi quanto più possibile per raggiungere anche la pelle della schiena e le scapole. Sentì lo scampanellio del campanello poco più in basso, ma non se ne preoccupò: Burt era in cucina a fare compagnia a Carole mentre cucinava, sarebbe andato lui ad aprire. I rumori di una conversazione arrivarono attutiti dal piano di sotto, ma Kurt continuò a non farci caso, troppo intento a esaminare il suo corpo pieno di lividi nello specchio del bagno.

 

Poi, dei colpi alla sua porta lo fecero sobbalzare, riscuotendolo dai suoi tristi pensieri.

 

«Kurt, posso entrare? C’è… una persona per te.»

 

Merda!

 

Non poteva permettere che suo padre lo vedesse conciato in quel modo, così si affrettò a rimettersi la maglia a maniche lunghe che prima aveva appoggiato sul letto. Quando fu certo di aver coperto ogni segno giallo o violaceo che fosse, aprì la porta della sua stanza, trovandosi di fronte l’espressione stupita e un po’ corrucciata di suo padre.

 

«Dimmi, chi vuole vedermi?»

 

«Blaine

 

Kurt sgranò gli occhi. Chi? Blaine? Quel Blaine Anderson? Il suo migliore amico fin dall’età di otto anni, quel ragazzino con cui aveva condiviso film Disney, corse al parco, cadute varie, abbracci rassicuranti e primi, inaspettati, del tutto nuovi sentimenti? Lo stesso ragazzo che faceva finta di non conoscerlo da ormai due anni, che non aveva mai risposto alle sue telefonate, né alle sue domande, che non gli aveva mai dato una spiegazione del suo comportamento?

 

Kurt sorpassò il padre fino ad avere una chiara visuale della porta di casa sua, davanti alla quale stava Blaine, le mani in tasca e lo sguardo disinteressato che vagava per la casa.

 

Sì, era proprio quel ragazzo.

 

Blaine alzò gli occhi, fissandoli in quelli dell’altro ragazzo in cima alle scale, che quasi si sentì mancare il fiato: era la prima volta che si guardavano negli occhi così a lungo in due anni. Kurt non seppe spiegare perché disse quelle parole; quelle gli uscirono dalle labbra, e non sembravano affatto sbagliate in quel momento.

 

«Sali.»

 

Burt si avvicinò alle spalle del figlio, chinandosi su di lui con fare protettivo; sapeva quanto il cambiamento di quel ragazzo avesse fatto male a Kurt e, fosse stato per lui, non gli avrebbe mai permesso di avvicinarsi troppo. «Non voglio che salga in camera tua.»

 

Kurt, lasciando gli occhi di Blaine che si avvicinavano sempre di più dal momento che stava salendo le scale, si voltò verso il padre, guardandolo con sguardo rassicurante. «Papà, non succederà nulla. Ma ho bisogno di parlare da solo con lui.»

 

A Burt bastò un’occhiata veloce agli occhi del figlio per farsi da parte, permettendo a Kurt e Blaine di chiudersi in camera, da soli. Incrociò lo sguardo di Carole e Finn in fondo alle scale, e, seppur titubante e sbuffando come un mantice, raggiunse la moglie e il figliastro, rientrando con loro in cucina.

 

Rimasti soli in camera, Kurt continuava a fissare Blaine in attesa che parlasse, ma questi non sembrava averne alcuna intenzione; faceva vagare lo sguardo svogliato sui poster di Kurt appesi alle pareti, sul suo letto, sulle fotografie appoggiate alle mensole – e si riconobbe addirittura in alcune foto, un se stesso bambino, così diverso dal ragazzo che era diventato. Blaine distolse lo sguardo, infastidito.

 

«Perché sei qui?» proruppe Kurt con tono flebile, aggiustandosi gli occhiali che gli erano scivolati sulla punta del naso.

 

«Volevo sapere come stavi.»

 

 La voce di Blaine, un tempo dolce e calda, sembrava completamente snaturata, così distaccata e fredda. Ma Kurt quasi non ci fece caso, troppo sconvolto da ciò che aveva appena sentito: Blaine era preoccupato per lui? Come poteva esserlo? Il pensiero, al contrario di quello che si aspettava, gli fece soltanto ribollire il sangue nelle vene dalla rabbia. Kurt provò a respirare profondamente, cercando di calmarsi e di non urlare addosso al ragazzo che si trovava di fronte – non era proprio il tipo che urlava spesso, anzi – ma anche solo guardarlo gli faceva montare ancora più rabbia in corpo. Strinse i pugni, cercando di non lasciarsi andare alla rabbia, ma senza riuscirci.

 

«Che cosa?» si trovò a sputar fuori. «Ti preoccupi per me adesso? Dopo che hai passato gli ultimi due anni a ignorarmi? Dopo che hai lasciato che Karofsky e i suoi amici mi facessero del male in quel bagno?! Tu… chi ti credi di essere, Blaine Anderson?!»

 

Ormai stava urlando a pieni polmoni, il respiro pesante, le sopracciglia aggrottate e gli occhi furenti fissi su Blaine, che strinse i pugni, pronto a difendersi.

 

«Non preoccuparti, la prossima volta non mi interesserò più a te, Hummel,» sibilò, prima di girarsi e fare per uscire dalla stanza.

 

Kurt, per la terza volta quella sera, si ritrovò a fare cose che non aveva ordinato a se stesso di fare. Con un balzo in avanti, afferrò Blaine per un polso, torcendoglielo appena, e lo costrinse a voltarsi; Blaine, colto alla sprovvista, si fece girare e sballottare appena dalla stretta di Kurt, ma poi reagì, stringendo forte le dita di Kurt con l’altra mano libera e allontanandolo da lui. Ma Kurt era più forte di quanto pensasse e, anche grazie all’altezza, riuscì a tenerlo fermo.

 

Rimasero a fissarsi in cagnesco per un tempo infinito, molto più vicini di quanto imponessero le buone maniere, ma nessuno dei due sembrò farci caso.

 

«Lasciami andare!» ringhiò Blaine.

 

«No! Non prima che mi avrai detto perché ti importa ancora di me, ma continui a evitarmi e trattarmi male. Non prima che tu mi abbia spiegato che cosa io ti abbia mai fatto per meritarmi questo tuo comportamento.»

 

Kurt lasciò andare il polso di Blaine, gli occhi che gli si inumidivano di lacrime.

 

 «Non prima che tu mi spieghi che cosa ti è successo, perché sei cambiato. Che fine ha fatto il Blaine che conoscevo? Dov’è il mio migliore amico?»

 

La sua mano scattò in alto, ancorandosi alla guancia di Blaine, ruvida per il lieve accenno di barba che cominciava a spuntargli ma calda esattamente come Kurt ricordava.

 

«Mi manchi,» deglutì, cercando di mandare giù il singhiozzo che voleva scappargli dalle labbra.

 

I suoi occhi, velati di lacrime, si legarono a quelli dorati e spenti di Blaine davanti a lui. Ma poi, qualcosa sembrò cambiare all’improvviso, le iridi chiare di Blaine parvero farsi più calde, il dorato nei suoi occhi sciogliersi; ma durò solo un attimo, perché quello successivo Blaine aveva fatto un passo indietro, allontanandosi dal suo tocco e guardandolo con la stessa espressione disinteressata di sempre. I suoi occhi erano di nuovo freddi e spenti.

 

«Affari tuoi.» Senza aggiungere un’altra parola, Blaine si girò e se ne andò, sbattendo la porta della stanza di Kurt alle sue spalle.

 

Kurt scoppiò in singhiozzi, accasciandosi a terra  e rannicchiandosi su se stesso, senza far caso al dolore allo stomaco causato dal calcio di Karofsky; il dolore più grande, era poco più su, in centro al suo petto dove ormai si trovava una voragine.

 

 

***

 

 

Era passata ormai quasi una settimana da quando Kurt aveva avuto quella lite con Blaine. Quella sera, aveva passato tutto il tempo a piangere, rannicchiato per terra, non permettendo a nessuno dei suoi familiari di entrare per consolarlo, o per lo meno chiedergli cosa fosse successo; Kurt non voleva parlarne, nemmeno con Rachel o Mercedes.

 

La sua amica aveva ragione: avrebbe dovuto dimenticare Blaine. Era stato il suo migliore amico per tanti anni, era stato l’unico a stargli vicino quando sua mamma era morta, quando gli altri bambini lo prendevano in giro perché lui preferiva giocare con le bambole anziché a calcio; era stato il primo ragazzo che Kurt avesse mai guardato con occhi diversi, chiedendosi come mai gli piacevano di più le labbra di Blaine invece che quelle della loro amichetta Brittany. Kurt amava trascorrere il suo tempo con Blaine, si sarebbe accontentato anche solo di guardarlo e a volte provava il desiderio di spingersi in avanti e posare le labbra sulle sue, così come aveva visto fare tante volte la sua mamma con il suo papà, anni prima. Ma non aveva mai avuto il coraggio di confessarlo a Blaine, troppo spaventato per la sua possibile reazione, spaventato che lui non gli sarebbe più voluto essere amico.

 

Quando però si era deciso a rivelargli tutto, quando aveva trovato il coraggio di dirgli che voleva provare a baciarlo, Blaine non si era presentato al loro incontro. Kurt lo aveva aspettato, chiamato, ma Blaine non si era fatto sentire. Il primo giorno di scuola del liceo, quando lo aveva rivisto, era rimasto turbato dal suo cambiamento e dalle crudeli parole con cui era stato cacciato via da Blaine quando aveva provato a salutarlo.

 

In realtà, Kurt lo stava ancora aspettando. Era come se stesse ancora aspettando Blaine, seduto sotto l’albero più alto del parco dove erano soliti andare a giocare. Ma ormai, Kurt sapeva che Blaine non sarebbe mai più tornato. Doveva toglierselo dalla testa.

 

Si trascinò nervosamente per i corridoi, cercando di evitare il gruppo di giocatori di football che stavano attraversando il corridoio, e si rifugiò appena in tempo nel bagno alla sua destra. Sospirò di sollievo, avvicinandosi allo specchio e osservando la sua espressione sollevata; almeno per questa volta, sembrava aver evitato uno spintone o peggio.

 

Proprio in quel momento, la porta del bagno sbatté pesantemente alle sue spalle, facendolo sobbalzare dallo spavento. Si girò di scatto e fece appena in tempo a mettere a fuoco chi si trovava di fronte, che venne spinto con forza contro il muro alla sua sinistra. Un lamento gli uscì dalle labbra quando le sue scapole ancora un po’ contuse sbatterono contro le piastrelle.

 

I suoi occhi si legarono a quelli di Blaine che stava semplicemente in silenzio davanti a lui, un’espressione arrabbiata sul volto, gli occhi accesi di rabbia. Kurt tremò leggermente sotto quello sguardo.

 

«C-che cosa vuoi?» si trovò a tremare, mentre una lacrima gli scivolava lungo una guancia.

 

Perché faceva così male guardare Blaine negli occhi?

 

Blaine si allontanò di scatto da lui, tirando un calcio a una delle porte dei cubicoli alla  sua sinistra.

 

«Smettila di piangere! Basta!» urlò, guardando Kurt negli occhi. «Vuoi sapere perché mi sono allontanato da te? Vuoi sapere perché sono cambiato, perché non sono più tuo amico, perché ti evito? Per essere normale!»

 

Kurt sbatté le palpebre, cercando di impedire alle sue lacrime di cadere, gli occhiali che gli scivolavano sul naso ormai bagnato.

 

«Io –»

 

«Zitto! Non dire niente… Tu non sai che cosa ho dovuto passare!» sibilò Blaine. «Vuoi sapere la verità? Quella sera, quando dovevamo vederci per parlare, ero euforico: volevo vederti, avevo sempre avuto voglia di vederti, ma questa volta era diverso. Volevo vederti perché avevo delle cose importanti da dirti. Ero confuso, stare con te mi rendeva confuso. E ho chiesto aiuto a mio padre. Gli ho chiesto come mai, quando ero con te, passavo il tempo a desiderare di prenderti per mano, a guardare le tue labbra, a cercare un modo qualsiasi per farti ridere. Speravo che mio padre avesse le risposte, che mi avrebbe aiutato a capire. Povero illuso.»

 

Kurt continuava a stare in silenzio, sconvolto, tremante, il cuore che batteva all’impazzata e la voglia di correre in avanti e stringere Blaine in un abbraccio.

 

«Non fu così. Non avvenne niente di tutto quello che avevo sperato. Mio padre mi picchiò tantissimo quella sera. Tu eri lì ad aspettarmi mentre io venivo preso a calci da mio padre.» Fece una pausa, stringendo i pugni. «Mi disse che dovevo essere normale, che se non lo fossi stato mi ci avrebbe costretto con la forza. Mi proibì di vederti. Passò un’estate intera a circuirmi, a farmi il lavaggio del cervello. Incominciai a credere alle sue parole… incominciai a desiderare di essere normale.»

 

Blaine alzò gli occhi su Kurt, facendo un passo verso di lui.

 

«Quell’estate ho incontrato Quinn. Lei era così arrabbiata, così simile a me che iniziai a trascorrere tutto il mio tempo con lei. Ero arrivato ad odiarti, Kurt. Era colpa tua se era successo tutto quello, era colpa tua se non ero normale. È per questo che ti ho sempre respinto in questi due anni. Ero così arrabbiato con te…»

 

Blaine ora era vicinissimo a Kurt, che tremava come una foglia, ancora contro il muro.

 

«Ma l’altro giorno è cambiato tutto. Non so cosa sia successo, vedere le sudice mani di Karofsky su di te, ha fatto scattare qualcosa in me che… Non sai quanto mi sia pentito di non averti difeso, Kurt.»

 

Kurt deglutì, rabbrividendo nel sentire pronunciare il suo nome da quella voce, per la prima volta in due anni. I suoi occhi si legarono a quelli di Blaine, e per la seconda volta Kurt vide il dorato negli occhi di Blaine sciogliersi e rimase senza fiato quando quegli occhi dorati si inumidirono di lacrime.

 

«E’ che… io mi sento così arrabbiato. Tutto questo,» e si indicò, «è una maschera. Una maschera per sentirmi normale, per difendermi dagli altri, per difendermi da mio padre, per difendermi da te. Ma non mi sento normale. Per niente.»

 

La mano di Kurt tremava quando si staccò dal muro per avvicinarsi alla guancia di Blaine. La tenne sospesa in aria per un tempo quasi interminabile, dando a Blaine il tempo di scostarsi se avesse voluto, ma il ragazzo non si mosse, anzi; sbatté una volta le ciglia, le lacrime gli scivolarono lungo le guance, e i suoi occhi sembrarono allargarsi ancora di più. Kurt quasi ci cadde dentro, e spostò la mano fino a posarla sulla guancia calda di Blaine, spazzando via le sue lacrime.

 

«Devi…» Kurt sospirò, accarezzando la guancia di Blaine e prendendosi nella morbidezza della sua pelle. «Devi essere te stesso per sentirti normale…»

 

«Kurt…» disse semplicemente Blaine, continuando a piangere davanti agli occhi dell’altro ragazzo, che non resistette: afferrò Blaine per le spalle e lo trascinò contro di sé, abbracciandolo stretto.

 

Kurt sospirò quando le braccia di Blaine si alzarono e lo strinsero di rimando intorno alla vita; affondò il viso nel collo di Blaine, annusando il suo profumo un po’ strano, diverso da quello di un tempo, ma allo stesso tempo sempre uguale. Era Blaine. E Kurt non si era sentito mai tanto al sicuro come in quel momento.

 

«Non è vero che ti odio. Non ti ho mai odiato…» sussurrò Blaine contro la sua spalla.

 

«Lo so.» Kurt sperava di non avere la voce troppo spezzata.

 

Blaine strusciò una guancia contro quella di Kurt, indietreggiando sempre di più fino a trovarsi con la fronte sulla sua. Kurt tenne gli occhi chiusi, il respiro caldo di Blaine che si infrangeva sulle sue labbra.

 

«Non ho mai smesso di desiderare di baciarti.»

 

Kurt aprì gli occhi, appena in tempo per vedere Blaine avvicinarsi quel tanto che bastava per posare le labbra sulle sue, in un bacio tenero e dolce, affettuoso e casto. Kurt rispose al bacio, muovendo le labbra su quelle di Blaine, lo stomaco sotto i tacchi e il cuore in gola. Si staccarono presto, fin troppo per i suoi gusti, ma valeva davvero la pena interrompere un bacio tanto desiderato per vedere ciò che si trovava davanti agli occhi.

 

Blaine stava sorridendo. Nonostante i capelli disordinati, l’orecchino, la matita nera agli occhi, assomigliava così tanto al suo Blaine, al suo migliore amico e forse qualcosa di più, al ragazzo che amava. Eppure, l’avrebbe amato in ogni caso, Kurt lo sapeva.

 

Rimasero così per quelle che sembravano ore, semplicemente a guardarsi. La campanella era suonata già da un po’, ma nessuno dei due sembrava intenzionato a muoversi per andare in classe; quel giorno Blaine Anderson avrebbe avuto un’altra delle sue assenze ingiustificate, mentre per Kurt Hummel sarebbe stata la prima. Ma a nessuno dei due importava nulla. Si erano appena ritrovati, non si sarebbero allontanati tanto facilmente.

 

 

 

 

 

 

NdA:

Ebbene ce l’abbiamo fatta anche questa volta! Day 4: Skank/Nerd! Che ve ne pare? Questa è stata scritta insieme, da entrambe e ne siamo davvero soddisfatte, considerato che è la nostra prima esperienza con questo tipo di AU. Che ne ve pare? Ci voleva un po’ di angst dopo tutto il fluff/comico di precedenti shot, vi pare? (Alch ne sentiva la mancanza LOL – anche Bel)

 

Ringraziamo tutti quelli che fino ad ora hanno apprezzato la nostra raccolta *---*
Vi ricordiamo anche della nostra serie,
Klaine Songs

 

A domani, con la Photografer/Model!

 

Alchbel!

 

 

   
 
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