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Autore: HellWill    11/10/2012    0 recensioni
I ricordi possono essere una brutta bestia, e così le incomprensioni.
Salvare una vita non vuol dire solo sottrarla al pericolo, ma prendersene cura e curarsi della sua integrità, anche quando il pericolo è passato.
La vendetta non è dolce come sembra all'animo immaturo...
Genere: Angst, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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La svegliarono il cozzare casalingo di padelle di coccio contro e lo scoppiettio di un fuocherello; per un attimo pensò che fosse stato tutto un sogno: sentiva il profumo rassicurante del bucato fresco sotto il naso, la morbidezza delle coltri che la avvolgevano era una bambagia in cui le piaceva indugiare ad occhi chiusi.
Poi si rese conto che non era bucato fresco quello che sentiva nel naso, ma muschio fresco e linfa d’albero. Restò immobile, trattenendo il respiro, ma suoni e odori che prima non aveva notato, estranei al suo contesto familiare, le si palesarono rompendo l’illusione.
Uccellini che cantavano; odore di foglie e biancospino; lo scroscio di un ruscelletto lì vicino; una voce maschile che mormorava un motivo dolce e tutto sommato quasi inudibile, dal momento che era appena accennato.
«Lo so che sei sveglia» disse poi la voce, semplicemente. Non la esortò ad alzarsi, non la costrinse a svegliarsi, ma la riportò velocemente alla realtà. Quella stessa voce le aveva detto di stare zitta, la sera prima, prima che.. dopo che..
Un conato di vomito, inaspettato, la sorprese; si sporse appena, sedendosi, e rigettò la poca roba che aveva mangiato più di dodici ore prima. Lentamente le lacrime si aprirono strada fra le sue palpebre serrate e le rigarono le guance, sollevando un paio di singhiozzi.
Un tocco leggero alla spalla la riscosse.
«Tutto bene..?» mormorò quella voce, e lei notò che non era tanto male come la prima volta che l’aveva sentita. Al contrario, era gentile, quasi sommessa... non era affatto dura e gelida come quella sera.
Keilin aprì lentamente gli occhi, sentendo crescere nel petto uno sconforto totale. Un sorriso la lasciò interdetta e aggrottò appena le sopracciglia, anche perché la luce del mattino inoltrato le dava fastidio agli occhi.
«...Chi sei?» mormorò lei, scostandosi appena dalla mano che le toccava la spalla, e l’uomo la lasciò fare, togliendo la padella di coccio dal fuoco; mise le fettine di mela su di un piatto e si strinse nelle spalle.
«Mi dispiace non avere nulla di più caldo da darti, ma non ho contenitori per riscaldare il latte. Se lo vuoi, c’è freddo» disse lui, porgendole il piatto con un sorriso gentile. Lei lo fissò senza capire e l’uomo ricambiò lo sguardo, senza ritirare il piatto, poi scosse appena la testa, sorridendo. «Guarda che devi mangiare».
Keilin si riscosse e accettò il piatto, sospettosa, fissando prima l’uomo e poi il contenuto della sua porzione: c’erano fettine di mela sparse in un composto giallo che sembrava...
«...frittata di mele?» chiese allora, confusa. Che storia era quella? Non aveva mai visto qualcosa del genere. L’uomo si strinse nelle spalle, quasi imbarazzato, e le diresse uno sguardo.
«Cerco di mangiare il meno carne possibile, fa male alla salute» spiegò, e Keilin restò a fissarlo per qualche secondo, prima di scoppiare a ridere. L’uomo si irrigidì e restò a fissarla, sbalordito.
«Che stai facendo?» chiese, esterrefatto, e la bambina prese un morso di frittata, ancora ridacchiando.
«Nulla. Sto mangiando» rise ancora, poi mangiando si calmò pian piano. «Ehy, è buona. Cucini.. bene» disse, stringendosi nelle spalle. L’uomo si sporse oltre la radura, dove scorreva un piccolo ruscello, e lavò velocemente la padella, sorridendo.
«Grazie» disse, semplicemente, e si voltò verso di lei. La bambina silenziosamente si alzò e gli porse il piatto.
«Cosa cantavi, prima?» chiese, guardandosi attorno e cercando di capire dov’erano. L’uomo si irrigidì appena e si strinse nelle spalle.
«Una cosa inventata al momento».
«Davvero? Sembravi conoscerla molto bene» Keilin dedusse che non erano molto lontani dal villaggio, dal momento che in lontananza aveva appena udito la campana della scuola; era la terza ora di lezione. «Posso andare a casa ora?».
«A casa?» l’assassino si volse verso di lei, impassibile, poi inarcò un sopracciglio. «Se ti va di essere interrogata e uccisa o esiliata, perché no? Vai pure».
Keilin fu colpita da quelle parole fredde e, apparentemente, inutilmente crudeli.
«..cosa intendi?» chiese, irrigidendosi. L’uomo, lavato il piatto, si alzò e sospirò, rimettendo tutto a posto. Ricoprì il fuocherello ancora acceso con della terra, per non sollevare fumo, e si mise la borsa in spalla.
«Esattamente quello che ho detto. Sono stato stamattina presto al villaggio per vedere chi poteva tenerti con sé, ma da quanto ho capito sono tutti convinti che sia stata tu ad uccidere i tuoi genitori, e poi sia scappata. Se ritorni lì, ti uccideranno o esilieranno».
Keilin lo ascoltò basita, poi lentamente si sedette a terra, le foglie che le pungevano le cosce, sentendo la testa girarle troppo velocemente.
«Cos-».
«È finita. La tua vita di prima non esiste più. Ora dimmi: cosa vorresti fare? Andare lì ed essere ingiustamente accusata di due omicidi che non hai compiuto? Tuo padre era sulla coscienza di tua madre, e tua madre è sulla mia, di coscienza. Tu sei ancora pulita» disse l’uomo, con voce dura, e Keilin si disse che era impossibile che una stessa persona potesse avere quei sorrisi e quei toni dolci e gentili e poi tirar fuori tutta quella freddezza e crudeltà pochi minuti dopo.
«..t-tu..».
«Ora dimmi cosa vuoi fare. Restare con me è escluso, non è vita da bambini la mia. Quindi dimmi: vuoi trovare un lavoro e crescere presto oppure vuoi che ti porti da qualche famiglia che desidera una bambina come te? Scegli e basta».
«..perché non posso restare con te?».
Kame si irrigidì e si rifiutò di voltarsi. La bambina stava piangendo? Da quella vocetta tremante e terribilmente fragile, sì.
«Non è vita da bambini» ripeté, convinto. Era vero. Non era una vita che avrebbe augurato a qualcuno. Continuamente in fuga da pensieri, sensi di colpa e gendarmi. E altri assassini, ovviamente.
«..non sono più una bambina» disse lei, trattenendo un singhiozzo. E allora Kame si voltò verso di lei. Keilin aveva gli occhi rossi e i capelli appiccicati sul viso dalle lacrime, ma il cipiglio era duro e testardo. Le tremavano le mani, ma non era più seduta sulle foglie che pungevano e restava in piedi, a gambe leggermente aperte e il petto in fuori, decisa, come se si apprestasse a scalare una montagna. Una fitta nel petto gli ricordò tante, troppe cose -Ann, la mia Ann- e sospirò.
«Allora impara un mestiere. Mi seguirai fino al prossimo villaggio, o se necessario quello dopo ancora, in modo che i tuoi compaesani non possano raggiungerti. Sarebbe meglio se ti scegliessi un altro nome» disse poi, e sembrava quasi pensare ad alta voce. Keilin strinse i pugni.
«No».
Kame si voltò lentamente, fulminandola con lo sguardo, ma ne incontrò uno di ghiaccio, altrettanto deciso.
«No?» disse, cauto, senza sorridere. La bambina ricambiò lo sguardo con freddezza.
«Vengo con te. Hai ucciso mia madre, cavolo! Tu mi insegnerai e poi ci scontreremo e mi vendicherò, oppure morirò. Quindi al prossimo villaggio, se non posso tornare al mio, devo comprare dei vestiti. E basta» disse, decisa, e si sentì improvvisamente grande, cresciuta, determinata. L’uomo la fissò, e si chiese se farlo. Sì, lo poteva fare.
Kame scoppiò a ridere. Keilin fece un passo indietro, esterrefatta, e lo osservò cercare di calmarsi e continuare a sghignazzare, amareggiata.
«Non mi stai prendendo sul se-».
«Scusami, piccoletta, se ho i miei dubbi che una bimbetta di dieci anni possa imparare tutto ciò che io ho appreso in oltre quarant’anni di vita e possa battermi così come nulla.. E scusami anche se penso che sia ridicolo che tu voglia ‘vendicarti’ di qualcuno che ti ha salvato la vita» disse Kame, ancora ridacchiando, poi fece un piccolo gesto noncurante con la mano. «Niente storie, ti lascio in un villaggio e fai quello che ti pare, io non me la accollo la responsabilità di una bimbetta che non usa il cervello».
«..la mia vita non ha più un senso. Non posso sposarmi, né imparare un mestiere, il sangue dei miei genitori grava su di me, sono stata salvata da chi mi ha condannato!» sbottò lei, rossa in viso. Kame restò in silenzio, ritornando di colpo serio, fissandola pensieroso.
«E quindi cosa intendi fare, mh? Attaccarmi come un gattino che si aggrappa alla groppa di un cavallo pretendendo di ucciderlo con i suoi piccoli artigli?» l’uomo inarcò un sopracciglio e con la coda dell’occhio Keilin notò che si era irrigidito, forse pronto a reagire al minimo segno che sì, lei stava per attaccarlo. Lentamente la bimba scosse il capo.
«Non sono stupida. Non pretendo di ucciderti. Ma di vendicarmi sì. Se la mia presenza ti è di peso, allora resterò con te» disse, ferma. Kame sorrise.
«Crudele più con te stessa che con me. Io non provvederò al tuo vitto e alloggio, per me non esisti» disse, secco, prendendo a camminare; erano restati anche troppo tempo lì. Keilin, interdetta, restò un attimo ferma a fissare la figura ammantata di nero che si infilava fra i cespugli, poi scattò e seguì l’ultimo stralcio del suo mantello, per non perderlo di vista.
   
 
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