Trecentosessantacinque
Perdere una donna e
avere voglia di morire
Но в любимых глазах я увидел ответ
No v lyubimykh glazakh ya uvidel otvet
Ma negli occhi amati ho visto la
risposta
И застыла душа от холодного
"нет"
I zastyla duša ot
kolodnogo “njét”
E la mia anima è stata congelata
dal tuo freddo “no”
Un grande sparo e tutto fu chiaro
Dolce curaro e amaro miele in me
(Mal d’Universo, Claudio Baglioni)
[...]
Di chi, con un gesto soltanto fraterno
Una nuova indulgenza insegnò al Padreterno
(Via della Croce, Fabrizio De André)
[...]
Faccio male anche a un amico
Che ogni sera è qui
Gli ho giurato di ascoltarlo
Ma tradisco lui e me
Perché quando tu sei ferito non sai mai
Oh, mai
Se conviene più guarire
O affondare giù
Per sempre
Amore mio, come farò
A rassegnarmi a vivere?
E proprio io che ti amo, ti sto implorando
Aiutami a distruggerti
(Cinque giorni, Michele Zarrillo)
San Pietroburgo, 5 Marzo 1843
Cinque giorni che ti ho perso
Mille lacrime cadute
Ed io
Inchiodato a te
Tutto e ancora più di tutto
Per cercare di scappare
Ho provato a disprezzarti
A tradirti, a farmi male
(Cinque giorni, Michele Zarrillo)
La locanda in cui
Innokentij condusse il Capitano era buia e con il soffitto talmente basso che
per poco Feri non lo sfondò con una testata.
-Tutto bene, Capitano?-
-Insomma... Ma se mi assicuri che non ci sia uno schieramento di pantegane a sbarrarmi
la strada per arrivare al letto, o meglio, alla brandina, nella mia futura
stanza, credo che vada bene anche questa sottospecie di ostello di
sottocategoria...
Di povertà io ne so
qualcosa, e anche di pantegane, purtroppo, ma a casa mia il tetto è proprio
crollato, e non ho neanche fatto in tempo a sfondarlo...
Poi immagino che l'altezza
non aiuti, in questo caso-
Anche Nočen'ka era
alto, forse due o tre centimetri in meno del Capitano, e gli sorrise,
comprensivo.
-Del resto qui è meglio
guardare in basso... In tutti i sensi.
Sapete, le blatte...-
Feri annuì, serio.
-Praticamente casa mia senza mio padre, i miei
fratelli e i mozziconi di sigarette sul pavimento-
-Beh, per queste ultime
non si sa mai...-
-Sì, sì, se non ci sono li
lasceremo noi! Tu dove abiti, invece?-
-In periferia... Cioè,
anche adesso siamo in periferia, ma casa mia lo è ancora di più.
Pensavo l'aveste
capito...- sussurrò Innoček, alludendo ai suoi vestiti logori da ragazzo
di strada, molto simili a quelli di Feri, del resto.
Feri gli sorrise,
guardandolo con tenerezza.
-Ti offro una vodka, ti
va?-
-Se pagate voi,
Capitano...-
-Oh, io credo che non pagherà nessuno dei due. Lo so che non è giusto, ma non è giusto nemmeno il
modo in cui ci tratta Romanov.
Altrimenti non ci sarebbero uomini con gli elefanti
indiani in giardino e altri con le blatte e le pantegane in camera-
Tenersi stretto in tasca il mondo
Per poi ridarlo, un giorno, solo a te
(L’Immenso, Negramaro)
San Pietroburgo, 15 Marzo 1843
Sei rimasta dentro me
Nel profondo delle idee
Come il pezzo di una vita che non c'è
Come un ago nelle vene
O una splendida bugia
La ferita che oramai non va più via
E non guarisce mai
E non mi passa mai
(La distanza di un amore, Alex
Britti)
-Non posso credere che voi
abbiate ucciso il mio padrone di casa...-
Innokentij Savel’evič
Kovalev era seduto sul suo solito sgabello al bancone della disastrata locanda
in cui lui stesso aveva condotto Feri Desztor il 5 Marzo.
Il Capitano gli aveva
offerto una bottiglia di vodka, come faceva quasi tutti i pomeriggi da quel
giorno, e gli aveva consegnato il contratto firmato da Pavel Andreevič
Kavkazcev, in cui il Principe di origini moscovite cedeva ai Kovalev -Elena
Vasil’evna, Savelij Ivanovič e i figli Lidija Savel’evna e Innokentij
Savel’evič- la proprietà del loro modesto appartamento di periferia, senza
chiedere niente in cambio.
Anche perché Feri gli
aveva sparato subito dopo aver ottenuto il documento, per tre volte, chiedere
qualcosa in cambio in quella situazione sarebbe
risultato a dir poco fuori luogo.
Poi aveva dato un calcio
al cadavere ed era uscito, sprezzante, con i luminosi occhi neri scintillanti
di rivalsa.
-Non dovrete più pagare
l’affitto a nessuno, adesso. E non darmi del voi, per favore.
Sono uno zingaro, non un Conte, io-
Innoček sorrise, ed
era impossibile dire a parole quanto fosse grato al Capitano.
Anche lui avrebbe dovuto
essere felice, eppure c’era qualcosa, nei begli occhi scuri del giovane
Ungherese, che gli ricordava una straziante malinconia, un dolore
incandescente, quasi palpabile.
-Ma dov’è la tua Natal’ja, adesso?-
-Sta arrivando. Presto
sarà qui-
Era stato bravo, Feri, a
rispondere.
Aveva sostenuto lo sguardo
smeraldino del Pietroburghese, e la voce non gli era tremata nemmeno un secondo.
Però Nočen’ka l’aveva capito, che mentiva.
-Non importa dov’è adesso. Io ti dico che arriverà. Tornerà...-
-Perché non l’hai
sposata?-
-Perché non mi ha sposato, semmai. Ma non importa,
no, neanche questo.
C’è ancora tempo. Lei verrà-
-Perché ti ama? Per questo verrà?-
Feri sorrise, di un
sorriso dolcissimo che però gli diede una stretta al cuore, e preoccupò
Innokentij.
Quanto stava soffrendo in realtà, quel ragazzo?
-Certo che mi ama-
-Perché se n’è andata?-
Non glielo chiedeva per cattiveria,
Innoček, anche se sapeva che quelle domande, conoscendone solo lui le vere
risposte -Nika le poteva soltanto intuire-, gli facevano male.
Voleva semplicemente fare
qualcosa per lui, qualcosa per farlo stare meglio, anche a costo di strappargli
quell’illusione.
Erano diventati amici, in
quei dieci giorni, lui e il Capitano.
Feri era un ragazzo
complicato, ma non era cattivo.
Era troppo innamorato, per questo era impazzito.
-Perché crede di amare lui... Suo marito. Ne è convinta, ma non
è vero... Io lo so-
Bevve l’ultimo bicchiere
di vodka tutto d’un sorso, poi si accese una sigaretta e si alzò dal suo
sgabello.
-Sono stanco, Nika. Ci
vediamo stasera-
Proprio in quel momento
vide l’oste appendere un manifesto al muro.
Lo lesse distrattamente,
passandovi accanto.
C’era il suo ritratto, il
suo nome e una taglia.
Trentamila rubli per Feri Desztor.
Vivo, ovviamente.
Esattamente duemila rubli in più della taglia messa
da Ekaterina II su Pugačëv.
Lo lesse, ma non ci fece
caso.
Lo ignorò, come aveva
fatto con i precedenti.
Non l’avrebbero preso neanche quella volta.
Poi, però, ci ripensò.
Trentamila rubli?
Per Pugačëv, vivo o morto che fosse, la zarina
era disposta a sborsarne ventottomila.
Sorrise istintivamente,
Feri.
Trentamila rubli per lui.
Trentamila rubli per il Capitano di Forradalom.
Ma trentamila rubli erano davvero troppo pochi, per
la sua Rivoluzione.
Volle immaginarsi, però,
come l’avrebbe guardato Lys se fosse stata lì in quel momento, se avesse letto
la taglia nello stesso momento in cui l’aveva letta lui.
L’ammirazione, la dolcezza.
Lo slancio con cui l’avrebbe abbracciato, la
meravigliosa sincerità del suo sorriso.
Per Natal’ja Zirovskaja la
taglia era stata di millecento rubli, un tempo.
Trentamila, però, erano
un’altra storia.
Voleva dire che lo zar aveva definitivamente
riconosciuto Feri Desztor come il suo peggior nemico, il più pericoloso di
tutti.
Più di Kachovskij, Pavel
Pestel’, Kondratij Ryleev, Murav’ëv-Apostol e Michail Bestužev-Rjumin, i
maggiori esponenti del Movimento Decabrista.
Più di Vasilij Zirovskij e
Kolnay Desztor, suo padre.
Più di Ivan Bolkonskij,
certamente, ma il Vij alla fine s’era venduto da solo allo zar, consegnandogli
Alja.
E, come dimostravano quei duemila rubli in più
nella taglia, anche più di Emel’jan Pugačëv, adesso.
All’inizio della Крестьянское
восстание -Krest'janskoe
vosstanie, Insurrezione cosacca- Ekaterina II Pugačëv l’aveva
assolutamente sottovalutato, e la taglia per la sua testa era di cinquecento
rubli scarsi, mentre Feri non aveva avuto neanche il tempo di far innervosire
Nikolaj I: alla Mërtvogo Doma di Omsk ci era finito a nove anni, per le
prodezze antizariste di suo padre, terrorista ungaro-siberiano - Kolnay era
esattamente metà e metà.
Ma poi era evaso, e la sua taglia se l’era conquistata.
In un impeto d’entusiasmo,
raggiunse l’oste, che nel frattempo era tornato dietro al bancone, e sfoderò il
più sfrontato dei suoi sorrisi.
-Scusate, batjuška... Non è che per caso avreste una copia di quel simpatico manifesto?-
Innokentij, poco lontano,
si voltò a guardare il suddetto manifesto e scoppiò a ridere, al contrario
dell’oste, ch’era sbiancato da far pietà.
Certo che ne avevano, di stranezze, quei
Pietroburghesi...
Fin tanto che battevi un pugno sul bancone ed
ordinavi: “oste, un’altra vodka!” eran tutti orecchi e sorrisi, ma bastava che
variassi d’una virgola la tua richiesta, ed eccoli tutti confusi, anzi,
raggelati sul posto.
-Voi?-
-Oh, non mi sono
presentato?-
-No, no... Cioè... Voi non ne avete bisogno, batjuška.
Cioè, Capitano-
-Suvvia, non è il caso
d'agitarsi tanto. Parete un'anguilla, e non è un bello spettacolo. L'avete o
no, questa copia? Vorrei spedirla ad un'amica...-
-Ma certamente,
Eccellenza!- esclamò l'oste, accennando una goffa riverenza.
-Ve la procurerò subito...
All'istante...-
-Prendetevela pure comoda,
non occorre affannarsi. Ma permettete un'ulteriore domanda, batjuška?-
-Mille,
Eccellenza! Non una!-
-Una è sufficiente, ve lo
dico io. Quand'è che gli zingari sono diventati Eccellenze, precisamente?-
Con quelle parole, Feri
mise definitivamente in chiaro che quei convenevoli per lui erano sprecati.
Non era un nobile, lui, né
tantomeno un Bravo.
Era uno zingaro, ed era
certo che se il suo nome e il suo cognome non avessero coinciso con quelli
stampati a caratteri cubitali sulla taglia appesa al centro della parete, quel
fintissimo rispetto se lo sarebbe proprio sognato.
-Pensateci pure con calma,
Don Abbondio, e passate una buona
serata, possibilmente riassumendo un colorito più consono alla natura umana.
Quel color neve sta bene solo alla pelliccia delle
volpi artiche, e alla mia Lys-
Ogni giorno mando giù
Le mie lacrime per te
Ogni notte il letto è così grande che
Io ti scrivo ancora un po'
E lo so che non dovrei
Che mi devo liberare
Dalla trappola di questo amore
Perché non vivo più
Perché mi manchi tu
E questo cielo blu
Non lo posso sopportare
Ti vedo come sei
E come ti vorrei
Non è lo stesso, sai
Non ti posso perdonare mai
(La distanza di un amore, Alex
Britti)
Quando Feri fu nella sua
stanza, però, gli precipitò di nuovo addosso tutto il peso del suo ultimo
discorso con Innokentij.
Si era divertito, sì, a
far morire di paura e prendere in giro l'oste, ma era durato poco, anche
perché, in fin dei conti, non era poi tanto divertente sapere che al mondo
c'erano persone così codarde, che c'erano
davvero.
Si sdraiò sul letto senza
neanche togliersi gli stivali -faceva sempre così, quando era logorato da
pensieri e questioni più grandi di lui- e cercò tra le poche cose che si era
portato da Krasnojarsk, in un borsone che risaliva al 1820, quando Kolnay era
partito per il servizio militare, l’unica, insieme alla pistola, dalla quale
non si separava mai.
Stropicciato, purtroppo.
Consumato, massacrato dagli sguardi.
Colori un po’ sciolti dalle
lacrime, ma ancora, sempre maledettamente
luminosi.
La firma di Lörinc
-Лоринк
Александрович
Ксарабас, Л. А.
К., Lörinc Aleksandrovič Csarabàs, L. A. C.- e, come polvere di
stelle, da far male agli occhi, l’inchiostro nero lucido della data, una data
dei tempi dell’innocenza, una data terribilmente lontana.
Tempi dell’innocenza per
modo di dire, dato ch’erano entrambi appena evasi di galera, ma lei era innocente perché non aveva ancora
conosciuto George.
E ti amerò
Come accade nelle favole
Per sempre...
(Celeste, Laura Pausini)
Quel ritratto era del
Febbraio 1834, poco prima del 27, e soprattutto prima che Alja partisse per
Liverpool.
Quant'era bella, lì, la
sua Nataljetshka, con i lunghissimi capelli biondi sciolti e tutti spettinati,
quel sorriso lieve lieve, dolcissimo, sulle labbra, e gli occhi azzurri, solo
azzurri, in quel dipinto.
Lörinc li aveva dipinti com'erano in quel momento,
esattamente di quella sfumatura.
Un candore che con gli
anni si era trasformato in un fascino da far girare la testa, ma lì Lys era
solo una bambina, un'adorabile fiammiferaia di quasi nove anni, non ancora
l'ammaliante e spietata ninfa delle nevi che l'aveva lasciato per un eroe
Spartano.
Quanto l'aveva deluso, la
sua невеста, ma quante volte aveva
ancora sperato di poterla strappare dalle braccia di quel Geórgos e dimenticare
tutte le lacrime, tutto il dolore...
Ancora una volta, come
quasi tutti i giorni del Giugno 1835, si ritrovò a piangere con la testa
affondata nel cuscino, a baciare il ritratto e implorare l'immagine di Natal'ja
di tornare da lui...
Era il 15 Marzo 1843, e mancavano due giorni ai suoi
ventiquattro anni.
A ventiquattro anni suo
padre stava aspettando che nascesse Hajnalka, la sua quintogenita.
La differenza tra Natal'ja e Zsófike era che sua
madre non aveva mai fatto soffrire nessuno, ma era morta, perché le persone che
non aveva fatto soffrire non erano state altrettanto buone con lei.
La differenza tra Natal'ja e Zsófike era che sua
madre non gli avrebbe mai fatto così male, ma era morta, mentre Natal'ja, prima
di morire, avrebbe ucciso lui.
Ho combattuto il cuore dei mulini a
vento
Insieme a un vecchio pazzo che si crede me
Ho amato Dulcinea insieme ad altri cento
Ho cantato per lei
Ma
perché?
(Per Amore Mio, Roberto Vecchioni)
Aveva provato a scrivere a
Natal’ja, ma non ce l’aveva fatta.
O meglio, era andato tutto
bene finché non era stato il momento di scrivere l’indirizzo del destinatario, il nome della città in cui la lettera
sarebbe dovuta arrivare.
Спарта,
Греция.
Sparta, Gretsiya.
Sparta, Grecia.
Aveva calcato talmente
tanto con il pennino da lasciare una macchia d’inchiostro nero simile al sangue
di una ferita, all’inizio di un’emorragia mortale, e per poco non spezzò la
punta, trafiggendo il foglio e macchiando anche il lenzuolo.
Ma era inchiostro, era solo inchiostro.
L’inchiostro non bruciava, il sangue sì.
L’inchiostro e il sangue, in quel momento, per Feri,
erano esattamente la stessa cosa.
Sparta.
-Sparta?! Cosa diavolo c’è andata a fare lei a
Sparta?! Cosa c’entra lei con Sparta, cosa?!
E cosa ci sta a fare ancora a Sparta quando
dovrebbe essere qui con me?!-
Feri accartocciò il
foglio, avrebbe voluto strapparlo e cancellare tutto quello che aveva scritto
ma non riusciva più a tenerlo in mano, era come se scottasse, così lo
accartocciò e lo gettò ai piedi del letto.
Le lacrime, quelle maledette lacrime...
Aveva quasi ventiquattro anni, ne erano passati
dodici.
Avrebbe dovuto essergli già passata da un pezzo.
Avrebbe dovuto.
Non ne poteva più di
piangere tutte le volte, non ne poteva più di pensare che quel 2 Marzo invece
di sparare a George avrebbe dovuto spararsi in testa.
Non ne poteva più di
quelle sigarette, cos’era, la trentesima?
Quanto accidenti aveva
fumato?
Non ne poteva più di
scrivere a Lys, di metterci il cuore, in ogni lettera, e poi ritrovarsi con la
mano che tremava, perché indirizzarla a Sparta -a Sparta!- faceva davvero troppo male.
Quando si fu calmato,
però, sapeva esattamente cosa fare.
Basta pensieri e comportamenti autodistruttivi,
basta fumo e basta vodka, basta lacrime e basta follie.
Prese dal comodino la carta
da lettere che aveva rubato quel pomeriggio, il suo pennino e il suo calamaio,
e cominciò a scrivere la data, il luogo, e soprattutto l'indirizzo della
locanda.
Caro Jànos...
Vieni a San Pietroburgo, ti prego.
Io sogno, e nel mio sogno vedo che
Non parlerò d'amore, non ne parlerò mai più
(Canzone, Don Backy)
[...]
Na jedno się nie godzę.
Na swój powrót tam.
Przywilej obecności -
rezygnuję z niego.
Na tyle Cię przeżyłam
i tylko na tyle,
żeby myśleć z daleka.
Una cosa soltanto non accetto.
Il mio ritorno là.
Il privilegio della presenza -
ci rinuncio.
Ti sono sopravvissuta solo
e soltanto quanto basta
per pensare da lontano.
(Pożegnanie Widoku, Addio a una
vista, Wisława Szymborska)
-Riferito
a Natal’ja e Feri-
[...]
Io lo aspettavo, io l’avevo fatto
soffrire, ma io, per lui...
Avrei dovuto resistere.
Io ero Natal’ja Zirovskaja e lui era
Feri Desztor.
Eravamo sempre noi...
Natal’ja e Feri della Rivoluzione.
E lo sapevo...
Era
qualcosa di più forte del sangue e di più accecante dell’amore, quello che ci
legava.
(Sic Volvere Parcas, Capitolo 325)
Note
невеста, nivjésta (russo): Promessa sposa.
Perdere una donna e avere
voglia di morire: Perdere l’amore, Massimo Ranieri.
Но в любимых глазах я увидел ответ - No v
lyubimykh glazakh ya uvidel otvet - Ma negli occhi amati ho visto la risposta.
И застыла душа от холодного "нет" - I zastyla duša ot kolodnogo “njét” - E la mia anima è stata congelata dal tuo freddo “no”: Жестокая любовь, Žestokaya lyubov, L’amore crudele, Филипп Киркоров.
Questo capitolo è un
frammento di cuore, e spero davvero che vi sia piaciuto.
Non ho nemmeno la forza di
commentarlo, forse è meglio che vada a studiare ;)
Vi faccio notare soltanto
una cosa, l’affinità tra la fine di questo capitolo e la fine del precedente.
Alja con il ritratto di
Feri, Feri con il ritratto di Alja.
La lettera accartocciata e
la lettera di/a Jàn.
Si commentano con la
citazione finale del Capitolo 325, queste coincidenze ;)
A presto!
Marty