Ciao
a tutte! Chiedo scusa del ritardo ma sto proprio da schifo in questi
giorni! Non so nemmeno come scrivere e temo che il cap sia venuto male
perciò... vi chiedo umilmente perdono!! Ecco grazie per il sostegno, vi
mando un bacione grandissimo!! chuu ♥♥♥
Corse veloce giù per le
scale.
“Lontano!
Voglio andare
lontano!”
Questo urlava nella sua mente, anche se molto
lontano non poteva
andare. O forse sì. Tanto, che senso aveva rimanere lì, in quella casa
dove
tutto ormai faceva male? Poteva andare dove voleva, rintanarsi in
qualche buco
della città, magari sotto un ponte, o in qualche chiesa…
Pregando? Forse.
Anche perché quella probabilmente era l’unica
speranza che gli era
rimasta, per poter sperare davvero di sistemare la situazione.
O forse…?
***
Guardo ovunque. I miei occhi
vedono solo quello che c’è: rosso e le sue sfumature, giallo e le sue
sfumature… marrone e le sue sfumature.
Alcuni amano
questi colori… io
invece no.
È solo
l’inizio della fine.
Sono ovunque e ti fanno capire
come tutto stia lentamente morendo. È proprio come un fuoco… Stesso
colore,
stesse sfumature… Come un fuoco quando si spegne. A mano a mano che non
ha più
nulla da bruciare, perde colore come perde calore…
Muore,
lentamente. Come quelle foglie.
E quel fuoco
è come l’amore.
L’inverno
sta arrivando vero
Jonghyun?
Perché io sento solo questo.
Sento così tanto freddo che fa male. E non so, davvero, non so se ne
vale la
pena provare a scaldarsi.
Non dopo
quello che è successo.
Mi ami? Me lo continuo a
chiedere, ma forse… che importanza ha dopo tutto? Mi sento soffocare,
ho
bisogno di scappare. Tutto questo mi fa troppo male! Mi fa male quando
ti vedo,
mi fa male il tuo trattarmi da… bambola? Mi sento così.
Una bambola.
Senza anima.
Ma non lo sono, non lo sono
neanche mai stato. All’inizio pensavo davvero di essere una persona non
adatta
alle relazioni stabili perché… beh avevo paura di non innamorarmi mai.
È strano
vero?
Eppure mi
sono innamorato di
te.
Di un uomo.
Ho sfidato
tutti e non mi è
interessato nulla.
L’avrei
fatto ancora sai?
Quella volta ho litigato con
mamma per ciò che ero, ciò che sono. Papà invece mi ha compreso e poi
l’ha
accettato anche lei. Ma anche allora ho provato questo dolore, questo
freddo,
solo che con lei poi è arrivata la primavera.
Ma con te?
Non so se
arriverà mai…
Mi fa male, non voglio! Dio
Jonghyun io volevo amarti sempre!Già… volevo… Perché dico volevo?
Forse… forse
non voglio più? Eppure… sento che dentro di me conservo ancora quella
speranza…
o forse…
Forse è solo
l’effimera
illusione di un qualcosa che vorrei ci fosse?
∞
Si ritrovò di fronte a quel posto che avrebbe
tanto voluto vedere, in
cui era sicuro di sentirsi meglio. Erano passate ore da quando aveva
lasciato
casa sua, dove si era scordato anche il cellulare, ma non aveva di
certo voglia
di tornare indietro.
Era troppo presto.
Forse non era il posto che voleva vedere, ma
quegli occhi dalla
tonalità cioccolato che gli avevano trasmesso quel qualcosa di strano,
bello,
dolce… e il suo sorriso, capace davvero di riscaldarlo.
Primavera…
Era freddo, ed era quasi l’orario di
chiusura. Tremava un po’, stretto
in quella felpa e… ormai mancavano pochi minuti perché lui chiudesse,
ma
qualcosa gli diceva che doveva andare lì, e che forse non se ne sarebbe
andato
presto.
S’incamminò verso la pasticceria, muovendo a
fatica le gambe. Non si
era accorto di quanto fredde erano né di quanto freddo faceva
realmente.
Erano quasi di ghiaccio.
Ma camminò ugualmente…
Il calore… era vicino.
***
Mancavano solo tre minuti
alla chiusura. E gli sembravano dannatamente lunghi. Da quando lui era entrato lì dentro, tutto era
diventato troppo lungo, più precisamente il tempo. Il tempo era
diventato
troppo lungo. I minuti sembravano ore.
Perché prima
durava poco ed ora
dura di più?
Sbuffò un attimo, volgendo lo sguardo al
retro bottega. I suoi collaboratori
andavano sempre a casa alle 12:30, non aveva voglia di tenerli lì oltre
quell’orario. Non aveva senso e poi… Poi i suoi dolci li controllava
solo lui!
Erano suoi.
Sbuffando si girò nuovamente verso l’esterno.
Fuori non c’era il sole
ed era già diventato più freddo. Il cappotto l’aveva messo quel mattino
e, finché
abbassò lo sguardo verso quella strada in cui il giorno prima l’aveva
visto
sparire… Lo vide.
Era lì, fermo, davanti
la porta.
Lo guardava,
si guardavano.
Non sentì solo una bolla
d’aria risalirgli l’esofago…
Ne sentì una ad ogni
passo che fece per andare ad aprirgli la porta.
Passi veloci e sicuri.
Come lui e… come quello
che sentiva.
Là fuori faceva freddo, troppo freddo. Lì
dentro invece era caldo. I
suoi occhi, occhi di opale, avevano quella dannata nota triste ancora
più
accentuata e quella pashmina troppo leggera non poteva coprirlo.
Aveva freddo.
Lui doveva scaldarlo…
Voleva.
Con quei passi decisi arrivò lì e quell’aria
da uomo affascinante non
l’aveva persa, anzi, era aumentata in quei pochi attimi. Eppure dentro
si
sentiva emozionato come un bambino, si sentiva così tanto emozionato
che temeva
che il cuore potesse scoppiare....
La mano tremo, ma riuscì comunque ad
afferrare la maniglia della porta,
sudando leggermente e poi l’aprì.
“Kibum, entra!” Il suo nome era lì
dentro.
Gli sorrise, non sapeva nemmeno cosa
aspettarsi da quell’incontro. Era
emozionato… ed entrò. Tremava, stretto
nella sua felpa, ma non aveva freddo. Fuori era freddo, tutto era
freddo, ma
non lo era più nell’attimo in cui incontrò i suoi occhi, che, ancora
una volta,
gli avevano fatto sentire quel calore.
Gli sorrise, si
sorrisero…
E di colpo era già
diventato primavera…
***
L’aveva visto sparire oltre la porta ed il
suo cuore aveva cominciato a
battere troppo forte nel petto. E gli faceva male, troppo.
Di colpo era già
diventato inverno.
L’ondata gelida, che aveva sentito dentro di
lui, non riusciva a
scacciarla. Si era coperto più del solito e se n’era andato al lavoro.
La settimana era
cominciata fin troppo male.
Aveva camminato più del solito, aveva fatto
un giro più lungo per
arrivare fino a lì, fino a dove lavorava per mantenersi, mantenere
quella casa
che prima, fino a che Kibum non era arrivato, gli era servita per… per
stare
con quella.
Scosse la testa, pensando alla diversità
della situazione. Di quella
che era tutto e nulla e di Kibum che era solo tutto.
Tutto e basta.
Sentì ancora più freddo, entrando lì dentro,
in quell’edificio dove si
occupava di immagazzinare milioni di scartoffie che non avrebbe saputo
mai cosa
in realtà fossero.
Forse c’era
qualcos’altro che non avrebbe mai saputo.
Forse… l’avrebbe
scoperto più avanti.
Non riuscì a non pensarci in ogni singolo
istante di quella maledetta
giornata, che era cominciata male, finché immagazzinava quelle cose.
C’erano
così tante cose che gettava dentro quei scatoloni, senza rendersi conto
di
quanto, per gli altri fossero importanti.
Un po’ come
fa con Kibum.
Con quella colpa che si portava dentro, nello
scatolone del suo cuore
ci buttava dentro ogni cosa. Il dolore innanzitutto, per quella cosa
che aveva
fatto. La stupidità, che sentiva di avere in ogni singolo secondo della
sua
vita. Gli occhi di Kibum, perché non riusciva più a guardarlo davvero…
e come
il suo amore per lui.
E come dentro ci buttava quei sentimenti, il
nastro che usava per
chiudere quei pacchi era come la sua colpa.
Alcune cose le lasciava
fuori.
Forse quelle più brutte…
O forse solo una:
La paura.
La paura di perderlo sigillava il suo cuore.
Non gli permetteva di
esprimersi come voleva, né tantomeno dirgli ciò che sentiva.
Anche se voleva.
Perché spesso la paura è
molto più forte di noi.
Quasi sempre.
E non poté far altro che constatare quanto
fosse vero, perché, quando
ritornò a casa, la trovò vuota.
Non c’era lui.
Non c’era il solito
profumino di cibo preparato con amore.
Non c’era nemmeno la
pashmina…
Il cellulare era lì
invece.
L’aveva lasciato a casa…
forse non voleva farsi trovare.
Sospirò pesantemente, rendendosi conto di
fino a che punto erano
arrivati. Un punto morto, un punto triste. L’inverno era lì davvero.
Niente
sarebbe potuto tornare come prima a meno che non si decidesse di
provarci
davvero, come quel giorno.
Ma come avrebbe potuto farsi perdonare, dopo
quello che gli aveva fatto
la sera prima? Continuava a chiederselo, finché dovette prepararsi quel
misero
cibo che si era sempre preparato da solo prima di lui… perchè anche con
quella, che ogni tanto girava per casa,
doveva prepararsi da solo tutto.
Ma in fondo era normale. Solo con Kibum aveva
apprezzato veramente le piccole
cose della routine quotidiana, anche se aveva già iniziato a star male.
Solo con lui tutto era
bello.
Ma aveva baciato quella.
Nonostante con lui tutto
fosse bello.
“Sono il più grande
coglione della terra… qualcosa devo fare, per lui,
per noi. Non lo posso perdere, non ora. Devo aspettare che torni e poi…
poi
dovrò renderlo felice. Forse dovrei cominciare da qualcosa di speciale.
Forse
comincerò da quello…”
Sparecchiò la tavola con lo sguardo triste,
la schiena curva, il cuore
pieno e vuoto allo stesso tempo. Guardò ancora in giro, prima di uscire
da
quella casa che sapeva sempre un po’ di lui. Di Kibum.
Era triste.
Troppo triste quella
casa senza Kibum.
Chiuse la porta a chiave
e ritornò al lavoro, pensando a quella cosa
speciale.
***
Si sedette nell’angolo di mondo dove il sole
ed il calore primaverile
non se ne andava mai, con lui vicino che continuava a fissarlo. Kibum
si
sentiva in imbarazzo, ma al tempo stesso aveva davvero bisogno di
essere lì, di
parlare con lui e di sentire veramente quel calore dentro…
“Kibum…” lo chiamò dolcemente, finchè
s’appoggiava una mano sotto il
mento, guardandolo. Lo vedeva, era in imbarazzo, con le gote
leggermente
arrossate e lo sguardo basso. “Sì?” fu la risposta accennata, finchè
alzava i
suoi occhi che…
la nota
triste dov’è?
“Stai qui seduto, aspetta una attimo che
chiudo!” Si alzò velocemente,
sorridendogli e chiuse altrettanto velocemente la porta, mettendo il
cartello “chiuso”
e abbassando una piccola tapparella.
“Eccomi!” esclamò ritornando da lui e
sedendosi vicino. Quella volta
però fu diverso. Erano insieme, lì dentro, da soli. Finalmente
avrebbero potuto
parlarsi, magari conoscersi... e forse anche capire certe cose.
Balbettò nell’attimo in cui lui si sedette
nuovamente accanto a lui. “C-ciao…”
lo guardò, ed in quell’attimo spuntò quel meraviglioso sorriso che gli
scaldava
il cuore, seguito dal suo “Ciao…”
“So-sono venuto qui… per…” balbettò ancora,
arrossendo un po’ più di
prima, sicuro che quel caldo sole primaverile avesse già invaso ogni
piccola
parte del suo corpo.
“Per qualsiasi cosa tu sia venuto mi fa
piacere…” gli rispose e lì
Kibum sentì un altro colpo al cuore, più forte, diretto.
Ti fa
piacere come fa piacere a
me? Mi ascolterai… davvero?
“Posso dirtelo?” gli chiese titubante, ma la
sua risposta tranquilla lo
rasserenò e spiazzò al tempo stesso. Non sapeva in realtà, cosa
provocava lui
al cuore di quel ragazzo.
“Dimmi quello che vuoi…”
“Voglio sapere il tuo nome prima…”
“Taemin, mi chiamo Taemin, piacere…” disse
allungando la mano verso di
lui e Kibum l’afferrò, stringendola, e davvero qualcosa successe.
S’incantarono
a guardarsi, con quella presa salda che faceva sentire le emozioni
dell’uno e dell’altro.
Cosa sta
succedendo?
“P-piacere mio, K-Kibum.” balbettò
guardandolo, ma poi si riscosse, ritraendo
la mano ed abbassando lo sguardo. E partì, come un fiume in piena.
“So che sembro stupido ma… non va per niente
bene. Zero, non c’è niente
che va bene. Tutto va storto… Non piace nulla di ciò che ho. Mi fa
male, ogni
singolo istante e… mi fa male soprattutto lui.”
“Il tuo ragazzo?”
“Sì… non riusciamo più a parlare e va tutto
male. Mi sento un peso così
grande sul cuore che non riesco a levarlo. Ho freddo, mi fa paura
questa
sensazione di gelo che si che è creata con lui… io…”
“Tu?”
“Io credevo fosse l’uomo della mia vita,
invece… invece ora non lo so
più. Vivere sotto lo stesso tetto è diventato angosciante. Eppure
vorrei ancora
che mi stringesse tra le braccia e mi dicesse che mi ama… ma non lo fa…
se mi
stringe, se mi stringe mi fa ancora più male di quando mi ignora… mi
sento così
schifosamente usato che non riesco a capire nulla… e non capisco
nemmeno me…”
“Kibum?”
“S-scusa… i-io…” balbettò rendendosi conto di
tutto quello che aveva
detto, mentre lui era rimasto lì a guardalo incantato. E con una
tranquillità, che
nemmeno sapeva di avere, glielo chiese. Quello che per tanto tempo si
chiedeva
cosa fosse e che era sicurissimo che lui lo sapesse.
“Amare… cosa significa?”
“Da-davvero non lo sai?!”
Balbettò a quella domanda inaspettata.
Proprio lui che amava i suoi
dolci, non sapeva cosa significasse amare?
“No…” rispose sorridendo tranquillamente e
Kibum, senza nemmeno
comprendere il motivo della sua domanda che gli stava per fare, o forse
sì,
glielo chiese.
“Ma… non hai mai avuto una ragazza o
un ragazzo?”
“No, ho sempre avuto i miei dolci. E per loro
provo un qualcosa di grande che ti fa stare bene…”
Quella frase gli fece capire molte cose. La
torta, quell’amore grande
per quei dolci che faceva, il suo sorriso e… la nota cioccolata
bellissima
all’interno dei suoi occhi.
“E non sai come chiamarlo?”
“No!” esclamò sorridendo “Però sono sicuro
che tu lo sai, ne?”
“P-penso… d-di… sì!” balbettò nuovamente, e
lo guardò, arrossendo più
di prima.
“Tu l’hai sentito la prima volta, mangiando
la torta.”
“Tu ami i tuoi dolci vero?”
“Amare? Come una persona intendi?”
“Sì… quel qualcosa di grande che
ti fa stare bene credo sia amore…”
“Non ne ho idea…”
“È bello?”
“Mmh sì…”
“È grande?”
“Sembra…”
“Come fai a non conoscere il concetto di
amore?”
“Semplicemente nessuno me l’ha mai spiegato…”
“Oh… ma, non vedi i tuoi genitori
abbracciarsi, baciarsi…?”
“Sono morti…”
Kibum, a quella risposta, si sentì un totale
idiota. Nonostante il viso
di lui, Taemin, così tranquillo e pacato durante la conversazione,
soprattutto a
quella domanda, non riuscì a non sentirsi idiota. Si sentì triste
perché, per qualche
motivo…
Con te non
voglio sbagliare…
“Scusami… mi dispiace! Davvero io…”
“Non ti scusare, non soffro… però li vedevo
essere felici ma non ho mai
saputo i realtà che nome avesse quel qualcosa di grande che ti fa star
bene…”
Però lo
sento, più dei dolci…
con te… qui.
“Ti va di provare a fare dei dolci con me?”
gli chiese inaspettatamente
e Kibum lo guardò sorpreso e sconvolto.
Io?? I
dolci?? Ma…???
“Ah.. i-io… n-non li faccio da molto… n-non
so se sono in grado di…”
“Ce la farai, tu lo sai no? Sai cos’è perciò…
vieni con me…”
Non gli lasciò il tempo di rispondere no che
lo prese semplicemente per
mano, sconvolgendosi e sconvolgendolo per quel contatto così
inaspettato e
dolce… Forse anche troppo bello.
Bellissimo.
Quello che sentirono fu nient’altro che una
scarica elettrica percorrere
i loro corpi e quello che successe dopo fu l’incanto. Si guardarono
negli occhi
per un tempo così lungo che crederono davvero che i loro cuori stessero
per impazzire da un momento all’altro.
Battevano veloce,
tremavano le mani ad entrambi.
Ma si ripresero e Taemin, per la prima volta,
portò una persona
estranea nel suo laboratorio.
“Vieni, ti mostro un pezzetto della mia vita…
anzi, un pezzo grande
della mia vita…”
Ma quello che avrebbe dovuto realmente dirgli
era:
“Vieni, ti mostro un pezzo del mio cuore… ora so come chiamarlo…”