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Autore: neesama    12/10/2012    6 recensioni
L'autunno colora di rosso e giallo tutto intorno a loro. Fra un pò sarà inverno. C'è un posto, in un angolo di Seul dove il calore della primavera non ti abbandona mai. E' la sua pasticceria... Kibum e Jonghyun hanno freddo, ma non solo per l'inverno che sta arrivando. Riusciranno a superare quell'inverno insieme "scaldandosi"? E Taemin capirà cos'è quel sentimento che univa i suoi genitori, magari scoprendolo insieme ad un'altra persona, tra panna e cioccolato? JongKey - TaeKey - JongHo
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Jonghyun, Key, Minho, Taemin
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutte! Chiedo scusa del ritardo ma sto proprio da schifo in questi giorni! Non so nemmeno come scrivere e temo che il cap sia venuto male perciò... vi chiedo umilmente perdono!! Ecco grazie per il sostegno, vi mando un bacione grandissimo!! chuu ♥♥♥



Corse veloce giù per le scale.

“Lontano! Voglio andare lontano!”

Questo urlava nella sua mente, anche se molto lontano non poteva andare. O forse sì. Tanto, che senso aveva rimanere lì, in quella casa dove tutto ormai faceva male? Poteva andare dove voleva, rintanarsi in qualche buco della città, magari sotto un ponte, o in qualche chiesa…

Pregando? Forse.

Anche perché quella probabilmente era l’unica speranza che gli era rimasta, per poter sperare davvero di sistemare la situazione.

O forse…?

***

Guardo ovunque. I miei occhi vedono solo quello che c’è: rosso e le sue sfumature, giallo e le sue sfumature… marrone e le sue sfumature.

Alcuni amano questi colori… io invece no.

È solo l’inizio della fine.

Sono ovunque e ti fanno capire come tutto stia lentamente morendo. È proprio come un fuoco… Stesso colore, stesse sfumature… Come un fuoco quando si spegne. A mano a mano che non ha più nulla da bruciare, perde colore come perde calore…

Muore, lentamente. Come quelle foglie.

E quel fuoco è come l’amore.

L’inverno sta arrivando vero Jonghyun?

Perché io sento solo questo. Sento così tanto freddo che fa male. E non so, davvero, non so se ne vale la pena provare a scaldarsi.

Non dopo quello che è successo.

Mi ami? Me lo continuo a chiedere, ma forse… che importanza ha dopo tutto? Mi sento soffocare, ho bisogno di scappare. Tutto questo mi fa troppo male! Mi fa male quando ti vedo, mi fa male il tuo trattarmi da… bambola? Mi sento così.

Una bambola.

Senza anima.

Ma non lo sono, non lo sono neanche mai stato. All’inizio pensavo davvero di essere una persona non adatta alle relazioni stabili perché… beh avevo paura di non innamorarmi mai. È strano vero?

Eppure mi sono innamorato di te.

Di un uomo.

Ho sfidato tutti e non mi è interessato nulla.

L’avrei fatto ancora sai?

Quella volta ho litigato con mamma per ciò che ero, ciò che sono. Papà invece mi ha compreso e poi l’ha accettato anche lei. Ma anche allora ho provato questo dolore, questo freddo, solo che con lei poi è arrivata la primavera.

Ma con te?

Non so se arriverà mai…

Mi fa male, non voglio! Dio Jonghyun io volevo amarti sempre!Già… volevo… Perché dico volevo? Forse… forse non voglio più? Eppure… sento che dentro di me conservo ancora quella speranza… o forse…

Forse è solo l’effimera illusione di un qualcosa che vorrei ci fosse?

Si ritrovò di fronte a quel posto che avrebbe tanto voluto vedere, in cui era sicuro di sentirsi meglio. Erano passate ore da quando aveva lasciato casa sua, dove si era scordato anche il cellulare, ma non aveva di certo voglia di tornare indietro.

Era troppo presto.

Forse non era il posto che voleva vedere, ma quegli occhi dalla tonalità cioccolato che gli avevano trasmesso quel qualcosa di strano, bello, dolce… e il suo sorriso, capace davvero di riscaldarlo.

Primavera…

Era freddo, ed era quasi l’orario di chiusura. Tremava un po’, stretto in quella felpa e… ormai mancavano pochi minuti perché lui chiudesse, ma qualcosa gli diceva che doveva andare lì, e che forse non se ne sarebbe andato presto.

S’incamminò verso la pasticceria, muovendo a fatica le gambe. Non si era accorto di quanto fredde erano né di quanto freddo faceva realmente.

Erano quasi di ghiaccio.

Ma camminò ugualmente…

Il calore… era vicino.

***

Mancavano solo tre minuti alla chiusura. E gli sembravano dannatamente lunghi. Da quando lui era entrato lì dentro, tutto era diventato troppo lungo, più precisamente il tempo. Il tempo era diventato troppo lungo. I minuti sembravano ore.

Perché prima durava poco ed ora dura di più?

Sbuffò un attimo, volgendo lo sguardo al retro bottega. I suoi collaboratori andavano sempre a casa alle 12:30, non aveva voglia di tenerli lì oltre quell’orario. Non aveva senso e poi… Poi i suoi dolci li controllava solo lui!

Erano suoi.

Sbuffando si girò nuovamente verso l’esterno. Fuori non c’era il sole ed era già diventato più freddo. Il cappotto l’aveva messo quel mattino e, finché abbassò lo sguardo verso quella strada in cui il giorno prima l’aveva visto sparire… Lo vide.

Era lì, fermo, davanti la porta.

Lo guardava,

si guardavano.

Non sentì solo una bolla d’aria risalirgli l’esofago…

Ne sentì una ad ogni passo che fece per andare ad aprirgli la porta.

Passi veloci e sicuri.

Come lui e… come quello che sentiva.

Là fuori faceva freddo, troppo freddo. Lì dentro invece era caldo. I suoi occhi, occhi di opale, avevano quella dannata nota triste ancora più accentuata e quella pashmina troppo leggera non poteva coprirlo.

Aveva freddo.

Lui doveva scaldarlo…

Voleva.

Con quei passi decisi arrivò lì e quell’aria da uomo affascinante non l’aveva persa, anzi, era aumentata in quei pochi attimi. Eppure dentro si sentiva emozionato come un bambino, si sentiva così tanto emozionato che temeva che il cuore potesse scoppiare....

La mano tremo, ma riuscì comunque ad afferrare la maniglia della porta, sudando leggermente e poi l’aprì.

“Kibum, entra!” Il suo nome era dentro.

Gli sorrise, non sapeva nemmeno cosa aspettarsi da quell’incontro. Era emozionato… ed entrò. Tremava, stretto nella sua felpa, ma non aveva freddo. Fuori era freddo, tutto era freddo, ma non lo era più nell’attimo in cui incontrò i suoi occhi, che, ancora una volta, gli avevano fatto sentire quel calore.

Gli sorrise, si sorrisero…

E di colpo era già diventato primavera…

***

L’aveva visto sparire oltre la porta ed il suo cuore aveva cominciato a battere troppo forte nel petto. E gli faceva male, troppo.

Di colpo era già diventato inverno.

L’ondata gelida, che aveva sentito dentro di lui, non riusciva a scacciarla. Si era coperto più del solito e se n’era andato al lavoro.

La settimana era cominciata fin troppo male.

Aveva camminato più del solito, aveva fatto un giro più lungo per arrivare fino a lì, fino a dove lavorava per mantenersi, mantenere quella casa che prima, fino a che Kibum non era arrivato, gli era servita per… per stare con quella.

Scosse la testa, pensando alla diversità della situazione. Di quella che era tutto e nulla e di Kibum che era solo tutto.

Tutto e basta.

Sentì ancora più freddo, entrando lì dentro, in quell’edificio dove si occupava di immagazzinare milioni di scartoffie che non avrebbe saputo mai cosa in realtà fossero.

Forse c’era qualcos’altro che non avrebbe mai saputo.

Forse… l’avrebbe scoperto più avanti.

Non riuscì a non pensarci in ogni singolo istante di quella maledetta giornata, che era cominciata male, finché immagazzinava quelle cose. C’erano così tante cose che gettava dentro quei scatoloni, senza rendersi conto di quanto, per gli altri fossero importanti.

Un po’ come fa con Kibum.

Con quella colpa che si portava dentro, nello scatolone del suo cuore ci buttava dentro ogni cosa. Il dolore innanzitutto, per quella cosa che aveva fatto. La stupidità, che sentiva di avere in ogni singolo secondo della sua vita. Gli occhi di Kibum, perché non riusciva più a guardarlo davvero… e come il suo amore per lui.

E come dentro ci buttava quei sentimenti, il nastro che usava per chiudere quei pacchi era come la sua colpa.

Alcune cose le lasciava fuori.

Forse quelle più brutte…

O forse solo una:

La paura.

La paura di perderlo sigillava il suo cuore. Non gli permetteva di esprimersi come voleva, né tantomeno dirgli ciò che sentiva.

Anche se voleva.

Perché spesso la paura è molto più forte di noi.

Quasi sempre.

E non poté far altro che constatare quanto fosse vero, perché, quando ritornò a casa, la trovò vuota.

Non c’era lui.

Non c’era il solito profumino di cibo preparato con amore.

Non c’era nemmeno la pashmina…

Il cellulare era lì invece.

L’aveva lasciato a casa… forse non voleva farsi trovare.

Sospirò pesantemente, rendendosi conto di fino a che punto erano arrivati. Un punto morto, un punto triste. L’inverno era lì davvero. Niente sarebbe potuto tornare come prima a meno che non si decidesse di provarci davvero, come quel giorno.

Ma come avrebbe potuto farsi perdonare, dopo quello che gli aveva fatto la sera prima? Continuava a chiederselo, finché dovette prepararsi quel misero cibo che si era sempre preparato da solo prima di lui… perchè anche con quella, che ogni tanto girava per casa, doveva prepararsi da solo tutto.

Ma in fondo era normale. Solo con Kibum aveva apprezzato veramente le piccole cose della routine quotidiana, anche se aveva già iniziato a star male.

Solo con lui tutto era bello.

Ma aveva baciato quella.

Nonostante con lui tutto fosse bello.

“Sono il più grande coglione della terra… qualcosa devo fare, per lui, per noi. Non lo posso perdere, non ora. Devo aspettare che torni e poi… poi dovrò renderlo felice. Forse dovrei cominciare da qualcosa di speciale. Forse comincerò da quello…”

Sparecchiò la tavola con lo sguardo triste, la schiena curva, il cuore pieno e vuoto allo stesso tempo. Guardò ancora in giro, prima di uscire da quella casa che sapeva sempre un po’ di lui. Di Kibum.

Era triste.

Troppo triste quella casa senza Kibum.

Chiuse la porta a chiave e ritornò al lavoro, pensando a quella cosa speciale.

***

Si sedette nell’angolo di mondo dove il sole ed il calore primaverile non se ne andava mai, con lui vicino che continuava a fissarlo. Kibum si sentiva in imbarazzo, ma al tempo stesso aveva davvero bisogno di essere lì, di parlare con lui e di sentire veramente quel calore dentro…

“Kibum…” lo chiamò dolcemente, finchè s’appoggiava una mano sotto il mento, guardandolo. Lo vedeva, era in imbarazzo, con le gote leggermente arrossate e lo sguardo basso. “Sì?” fu la risposta accennata, finchè alzava i suoi occhi che…

la nota triste dov’è?

“Stai qui seduto, aspetta una attimo che chiudo!” Si alzò velocemente, sorridendogli e chiuse altrettanto velocemente la porta, mettendo il cartello “chiuso” e abbassando una piccola tapparella.

“Eccomi!” esclamò ritornando da lui e sedendosi vicino. Quella volta però fu diverso. Erano insieme, lì dentro, da soli. Finalmente avrebbero potuto parlarsi, magari conoscersi... e forse anche capire certe cose.

Balbettò nell’attimo in cui lui si sedette nuovamente accanto a lui. “C-ciao…” lo guardò, ed in quell’attimo spuntò quel meraviglioso sorriso che gli scaldava il cuore, seguito dal suo “Ciao…”

“So-sono venuto qui… per…” balbettò ancora, arrossendo un po’ più di prima, sicuro che quel caldo sole primaverile avesse già invaso ogni piccola parte del suo corpo.

“Per qualsiasi cosa tu sia venuto mi fa piacere…” gli rispose e lì Kibum sentì un altro colpo al cuore, più forte, diretto.

Ti fa piacere come fa piacere a me? Mi ascolterai… davvero?

“Posso dirtelo?” gli chiese titubante, ma la sua risposta tranquilla lo rasserenò e spiazzò al tempo stesso. Non sapeva in realtà, cosa provocava lui al cuore di quel ragazzo.

“Dimmi quello che vuoi…”

“Voglio sapere il tuo nome prima…”

“Taemin, mi chiamo Taemin, piacere…” disse allungando la mano verso di lui e Kibum l’afferrò, stringendola, e davvero qualcosa successe. S’incantarono a guardarsi, con quella presa salda che faceva sentire le emozioni dell’uno e dell’altro.

Cosa sta succedendo?

“P-piacere mio, K-Kibum.” balbettò guardandolo, ma poi si riscosse, ritraendo la mano ed abbassando lo sguardo. E partì, come un fiume in piena.

“So che sembro stupido ma… non va per niente bene. Zero, non c’è niente che va bene. Tutto va storto… Non piace nulla di ciò che ho. Mi fa male, ogni singolo istante e… mi fa male soprattutto lui.”

“Il tuo ragazzo?”

“Sì… non riusciamo più a parlare e va tutto male. Mi sento un peso così grande sul cuore che non riesco a levarlo. Ho freddo, mi fa paura questa sensazione di gelo che si che è creata con lui… io…”

“Tu?”

“Io credevo fosse l’uomo della mia vita, invece… invece ora non lo so più. Vivere sotto lo stesso tetto è diventato angosciante. Eppure vorrei ancora che mi stringesse tra le braccia e mi dicesse che mi ama… ma non lo fa… se mi stringe, se mi stringe mi fa ancora più male di quando mi ignora… mi sento così schifosamente usato che non riesco a capire nulla… e non capisco nemmeno me…”

“Kibum?”

“S-scusa… i-io…” balbettò rendendosi conto di tutto quello che aveva detto, mentre lui era rimasto lì a guardalo incantato. E con una tranquillità, che nemmeno sapeva di avere, glielo chiese. Quello che per tanto tempo si chiedeva cosa fosse e che era sicurissimo che lui lo sapesse.

“Amare… cosa significa?”

“Da-davvero non lo sai?!”

Balbettò a quella domanda inaspettata. Proprio lui che amava i suoi dolci, non sapeva cosa significasse amare?

“No…” rispose sorridendo tranquillamente e Kibum, senza nemmeno comprendere il motivo della sua domanda che gli stava per fare, o forse sì, glielo chiese.

“Ma… non hai mai avuto una ragazza o un ragazzo?”

“No, ho sempre avuto i miei dolci. E per loro provo un qualcosa di grande che ti fa stare bene…”

Quella frase gli fece capire molte cose. La torta, quell’amore grande per quei dolci che faceva, il suo sorriso e… la nota cioccolata bellissima all’interno dei suoi occhi.

“E non sai come chiamarlo?”

“No!” esclamò sorridendo “Però sono sicuro che tu lo sai, ne?”

“P-penso… d-di… sì!” balbettò nuovamente, e lo guardò, arrossendo più di prima.

“Tu l’hai sentito la prima volta, mangiando la torta.”

“Tu ami i tuoi dolci vero?”

“Amare? Come una persona intendi?”

“Sì… quel qualcosa di grande che ti fa stare bene credo sia amore…”

“Non ne ho idea…”

“È bello?”

“Mmh sì…”

“È grande?”

“Sembra…”

“Come fai a non conoscere il concetto di amore?”

“Semplicemente nessuno me l’ha mai spiegato…”

“Oh… ma, non vedi i tuoi genitori abbracciarsi, baciarsi…?”

“Sono morti…”

Kibum, a quella risposta, si sentì un totale idiota. Nonostante il viso di lui, Taemin, così tranquillo e pacato durante la conversazione, soprattutto a quella domanda, non riuscì a non sentirsi idiota. Si sentì triste perché, per qualche motivo…

Con te non voglio sbagliare…

“Scusami… mi dispiace! Davvero io…”

“Non ti scusare, non soffro… però li vedevo essere felici ma non ho mai saputo i realtà che nome avesse quel qualcosa di grande che ti fa star bene…”

Però lo sento, più dei dolci… con te… qui.

“Ti va di provare a fare dei dolci con me?” gli chiese inaspettatamente e Kibum lo guardò sorpreso e sconvolto.

Io?? I dolci?? Ma…???

“Ah.. i-io… n-non li faccio da molto… n-non so se sono in grado di…”

“Ce la farai, tu lo sai no? Sai cos’è perciò… vieni con me…”

Non gli lasciò il tempo di rispondere no che lo prese semplicemente per mano, sconvolgendosi e sconvolgendolo per quel contatto così inaspettato e dolce… Forse anche troppo bello.

Bellissimo.

Quello che sentirono fu nient’altro che una scarica elettrica percorrere i loro corpi e quello che successe dopo fu l’incanto. Si guardarono negli occhi per un tempo così lungo che crederono davvero che i loro cuori stessero per impazzire da un momento all’altro.

Battevano veloce, tremavano le mani ad entrambi.

Ma si ripresero e Taemin, per la prima volta, portò una persona estranea nel suo laboratorio.

“Vieni, ti mostro un pezzetto della mia vita… anzi, un pezzo grande della mia vita…”

Ma quello che avrebbe dovuto realmente dirgli era:

“Vieni, ti mostro un pezzo del mio cuore… ora so come chiamarlo…”

   
 
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