L’ombra
del Capriolo
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Buio,
tanto buio attorno a me, tenebra oscura come il mio cuore nero, ala di corvo
come la mia anima in tempesta. Avanzo, dentro di me cè solo rabbia, ho sete di
sangue umano, è da tanto che non bevo e ora la mia gola è ardente. Stasera sono
in caccia e il cacciatore diventerà preda.
Mi
apposto davanti alla casa, illuminata da una luce fredda quasi soprannaturale.
Quanti ricordi dietro a quelle misere mura. Ricordi fatti di violenza derisione
vendetta. Nella mia mente riaffiora un momento, me lo ricordo sempre, quando mi
chiedo il perché delle mie gesta. Mi fa sentire meglio. So di avere uno scopo,
anche se sarà l’ultima cosa che faccio.
Era
un inverno freddo e rigido, avrò avuto 11 anni, mio padre un giorno mi svegliò
all’alba e dopo essermi vestito mi mise in mano un fucile “oggi andremo a
caccia” annunciò allegramente, i suoi occhi grigi scintillavano maligni.
Poco
dopo seguimmo delle orme insanguinate di un capriolo, mio padre l’aveva colpito di striscio e ora la bestia stava lottando
contro la morte. Eccolo là l’animale riverso in terra, in
trappola, ormai rassegnato ad un destino orribile, come il più umile umano che
aspetta che scocchi la sua ora con sottomessa tranquillità. Ai miei
occhi di bimbo quella scena fu terribile, quell’animale
era così bello, ma allo stesso tempo mi faceva provare un moto di tristezza
infinita.
Era
un cucciolo probabilmente separato dalla madre, proprio come me.
Il
suo sangue impregnava la neve candida, l’odore era pungente, mi chiesi se
quello fosse l’odore della morte. Mi avvicinai puntandogli il fucile addosso,
pronto a premere il grilletto; ma in realtà ero scosso dai tremori, il sudore
cadeva freddo e copioso sulla mia fronte gli occhi erano velati da una patina
che rendeva il mondo in bianco e nero come un vecchio film degli anni30. Non esisteva il grigio, ma solo i buoni o i
cattivi, ed io ero il cattivo, ma era giusto così.
Mi
accorsi che il piccolo capriolo era in preda a delle forti convulsioni e
scalciava disperatamente nel vuoto con le sue zampe sottili e affusolate non
ancora del tutto robuste. I suoi occhi castani, così dolci e gentili erano
fissi sul cielo grigio, ancora vividi di una piccola luce di vita, ma che ormai
si stava lentamente consumando, come una candela la cui cera
colava inesorabilmente fino a lasciare lo stoppino, piccolo scheletro nero e
avvizzito. Per un attimo, mi parve che guardassero proprio me, come se mi
pregasse, supplicasse di lasciarlo vivere, di permettergli di vedere un’altra
primavera di poter brucare le foglioline e i fiori di croco che spuntavano
dalla neve. Abbassai l’arma che tenevo ancora in mano, non potevo uccidere una
bestiola così indifesa, i miei occhi erano pieni di lacrime, ma forse perché
erano deboli al freddo e al vento gelido. Mio padre mi mise una mano sulla spalla
guardò il capriolo con freddezza, come spesso guardava me, quando tornava a
casa la sera, ubriaco fradicio “Uccidilo figlio, ricorda che la pietà è solo per i deboli” ordinò con voce tagliente, i suoi
lineamenti erano come il freddo marmo e
una smorfia gli dipingeva il volto, rendendolo simile ad una grottesca maschera
d’odio.
Io
sospirai “Figlio, la pietà è solo per i deboli
ricordatelo” quella frase mi vorticava in testa, presi la mira, e ignorando
l’espressione triste e spaventata della bestia, come se fosse un condannato a morte
che veniva condotto sul patibolo e dopo aver preso la mira feci fuoco.
L’esplosione
risuona ancora oggi nelle mie orecchie e il capriolo che cadeva a terra con un
verso strozzato simile ad un urlo umano, un assassino, ecco cosa ero diventato,
senza anima, freddo aiutante della signora con la falce. Da quel giorno uccisi
molti uomini, non avevo più pietà per nessuno, ma ora volevo vendicarmi di lui,
di quell’uomo che mi aveva insegnato ad essere spietato e senza scrupoli.
Entrai
nella piccola cassetta, dentro un vecchio era seduto intorno ad un tavolo di
legno grezzo, non fu sorpreso di vedermi i suoi occhi ormai vacui
s’illuminarono per un secondo, mentre mi avvicinavo “Figliolo” mormorò. Era
invecchiato molto, i suoi capelli candidi come la neve ricadevano
radi sulle spalle ormai smagrite e profonde rughe gli attraversavano il viso segnato dall’età.
Presi
un coltello che tenevo nella cinta e mi avventai contro di lui facendolo cadere
a terra con un verso strozzato “Ora me la pagherai per l’assassinio di mia
madre, so che l’hai uccisa tu, vecchio bastardo ho raccolto le prove” dico quelle parole ringhiando buttando fuori tutto l’odio
accumulato in anni e anni di sofferenze.
Mio
padre mi guarda con gli occhi tristi e sofferenti “Ti prego figlio mio” mormora
“Abbi pietà di un povero vecchio”.
Feci
una smorfia, sono tentato di ridere, anche se mi avrebbero preso di sicuro per
pazzo se lo avessi fatto.
“La pietà è solo per
i deboli” esclamo con freddezza, la tessa che aveva usato lui anni fa, perché
mi erano venute in mente proprio quelle parole? Affondo il coltello che taglia
la carne come se fosse burro, il suo sangue esce copiosamente bagnandomi i
vestiti, ma a me non importa, mio padre emise un suono
rauco e gorgogliante tipico di chi sta per morire, simile al verso del piccolo
capriolo mi guarda con gli occhi sgranati sofferenti poi, con un ultimo tremito
si accascia per terra e non si rialza più.
Incominciai
a ridere come un pazzo, sì forse ero davvero pazzo, in quel momento fece
irruzione la polizia, doveva averla chiamata il vecchio, sapeva che l’avrei
cercato, in fondo ero un pericoloso assassino squilibrato. Balzai in piedi e
cercai di difendermi usando una pistola, ma una pallottola vagante degli sbirri
mi colpì proprio sul cuore.
Le lacrime mi offuscavano la vista, maledetto
vento gelido, pensai, maledetti occhi sensibili, singhiozzai, mentre venivo balzato chissà dove .L'impatto arrivò prima del
previsto, percepii il tonfo prima che il corpo si sfracellasse sul suolo umido.
I muscoli si intirizzirono, odore di terra. L'ombra
del capriolo saltellò un'ultima volta davanti ai miei occhi. Poi scomparve
inghiottita da un’ombra più grande.
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