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Autore: BigEyes    13/10/2012    0 recensioni
(TERZO CAPITOLO DELLA SERIE: IN THE NAME OF JESUS)
“Il carismatico presidente degli Stati Uniti, nonché premio Nobel per la pace, Judas Demons, sta, proprio in questo momento, parlando ai capi delle Organizzazioni delle Nazioni Unite riguardo la legge del disarmo globale. E’ un nuovo giorno per tutti. La pace e la sicurezza e giunta e la possiamo toccare con mano. I tre anni sono trascorsi e già ci si prepara per una nuova era, un nuovo ordine mondiale, una nuova religione che avrà come guru e come messia lui: Judas”
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In The Name of Jesus.'
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-          Fammi capire bene – sussurrò Joshua, sporgendosi verso il sedile di Caleb – noi ora siamo arrivati a New York, tu entri nell’ONU senza problemi perché hai il chip, ti fai riammettere nel loro team, fai un video per mostrare al mondo Judas che si incontra con Satana per poi dimostrare che lui è l’anticristo…
-          Esatto. – rispose Caleb, che continuava a fare ricerche al Pc portatile, mentre accanto a lui dormiva beata Ariel.
-          E quindi mi spieghi a che ti serviamo noi? – domandò Joshua con voce altera, sforzandosi di non farsi sentire dai passeggeri che stavano placidamente dormendo.
-          Voi siete il supporto morale – affermò con un sorriso a trentadue denti.
-          Si ma perché io e Thabita!? Posso capire Ariel, ma noi due ?
 
Joshua non capiva il motivo di quel viaggio “a quattro”, o per meglio dire, lo aveva capito ma non voleva fare il gioco di Caleb.
Si, con Thabita si era formato un bel legame, erano spesso complici, ma lui era sicuro che non ci sarebbe stato nulla di più.
 
Aveva intuito che lui per lei era più di un semplice amico, ma si rifiutava di pensarsi accanto a lei come fidanzato: certo, non poteva negare la sua bellezza fisica e il fascino del suo carattere indomito, ma si sforzava di controllare il suo cuore. L’ultima volta che si era legato troppo, quel troppo aveva causato non pochi problemi, anche se poi era andato tutto secondo i piani prestabiliti da Dio.
 
-          Pensi che non abbia capito nulla? – domandò Caleb, guardandolo sottecchi.
-          Si, penso che non hai capito nulla. – rivolgendogli uno sguardo accigliato.
-          Non devi preoccuparti, come sappiamo le vie del Signore sono infinite – rise silenziosamente.
Il giovane Joshua sbuffò e  appoggiò  il capo sul poggiatesta chiudendo gli occhi e abbandonandosi al sonno.
 
 
 
-          Signorina Lilith, il chip Acab si sta avvicinando verso New York –  la informò un adepto. Lilith si avvicinò e allungò il collo verso lo schermo del computer, notando il pallino rosso con su scritto ‘Acab’s chip’che stava approssimandosi alla città di New York.
-          Bene, bene ora capisco perché non ha disattivato il chip- bisbigliò tra sé – informate Judas del ritorno del figliol prodigo –
-          Si signorina – rispose l’adepto alzando la cornetta del telefono per informare i ceti alti.
 
 
Appena uscito dall’aeroporto internazionale, Caleb, con il seguito dalla sua compagna e dei due amici, allungò il braccio per farsi notare dal taxi che stava avvicinandosi. Sarebbe andato da solo, non voleva mettere in pericolo la vita di Ariel.
-Promettimi che andrà tutto bene. Promettimi che non ti farai ammazzare! – esclamò Ariel con occhi preoccupati, sporgendo la testa oltre il finestrino. Il ragazzo poggiò le mani sul vetro abbassato e allungò il collo verso di lei.
- Lo prometto – le sobillò all’orecchio, mentre inalava a pieni polmoni il profumo dolce dei suoi capelli.
- E – continuò lei, allontanandolo con la mano, per fissarlo negli occhi cerulei. – ricordati che sei fidanzato! Ed è inutile che mi assicuri la tua fedeltà come un vassallo, lo so che solo il tuo sguardo fa strage di cuori. È colpa dei tuoi occhi se adesso sei immerso nel mio cuore! – gli disse tenendo il suo viso tra le mani.
-  Te lo prometto! – alzò la voce, quasi infastidito, poggiando la sua fronte contro quella della ragazza in modo che la punta dei loro nasi si sfiorassero – dal canto tuo, attenta anche ai tuoi occhi, non per nulla sei sprofondata nel mio cuore a causa loro.  – concluse dandole un bacio, lungo, passionale, diverso dagli altri. La mano di lui, dietro la nuca di Ariel, le afferrava la radice del cuoio capelluto, provocandole un piacere che  scorreva lungo le vene. Tutt’un tratto, Ariel sentì un timore correrle nella mente.
Quel bacio aveva il sapore di un addio.
La macchina si allontanò, mentre la ragazza continuava a guardarlo dal vetro posteriore, mentre lui li salutava ridente con la mano.
Ma il timore era diventato terrore.
 Sulla macchina che attraversava il traffico newyorkese, Ariel fissava pensierosa le persone che camminavano lungo i marciapiedi, indifferenti ai problemi del mondo, alle afflizioni che affliggono l’anima, capaci solo di comprendere il lato materiale dell’esistenza. Si incupì, pensando ciò che avrebbe dovuto passare Caleb per arrivare lì dove c’è il trono di satana, poggiando il mento sulla mano.
Joshua la scrutò con uno sguardo interrogativo, ma subito dopo percepì il suo stato d’animo. Il suo amore era andato coraggiosamente incontro ai suoi antichi sottoposti, che adesso lo volevano morto.  Abbassò il viso verso le ginocchia per poi dirigere lo sguardo verso Thabita, che navigava in internet sul suo tablet.
Sentendosi osservata, la ragazza staccò l’attenzione dallo schermo e lentamente girò il capo in direzione degli occhi  smeraldo del giovane. Li aveva sentiti pesanti sulla sua pelle. Riusciva a percepire quando era al centro della sua attenzione. Ed anche questa volta ci aveva azzeccato. E il suo cuore, ogni volta, ogni singola volta, batteva contro lo sterno con prepotenza.
L’angolo del labro di Joshua disegnò un mezzo sorriso imbarazzato.
Thabita lo ricambiò, con una timida curva sul volto.
Qualcosa era cambiato. Quel sorriso timido lo aveva folgorato. Come una freccia che centra il bersaglio. Come un fulmine a ciel sereno.
Avvertì un colpo al cuore, uno sfarfallio alla bocca dello stomaco, un calore che partiva dal petto e lo incendiava arrivando fino alla gola.
Era amore?
No. Lo rifiutava.
Ma lo chiamava. Poteva far finta di non sentire, ma quella voce era dentro, nell'anima.
Il suo cuore la chiamava, quasi poteva sentirlo gridare " ho bisogno del tuo amore."
Una carezza.
La sfiorò col dorso della mano lungo la guancia. Sentì la sua pelle morbida e accaldata.
Si rigirò di scatto verso il parabrezza. Non doveva sprofondare in quegli occhi blu.
 
Intanto Caleb era arrivato di fronte al Palazzo di vetro. Un ghigno comparve sul suo viso strafottente, sprezzante del pericolo. Si alzò il colletto della camicia nera e si diresse verso l’ingresso, mentre il vento sventolava le bandiere dei paesi aderenti a quel Nuovo Ordine.
Era strano ritornare nei panni di Acab, ma forse non si era mai completamente liberato di lui. Quel chip era rimasto come un macigno a ricordagli quello che era stato e quello che poteva ritornare ad essere. In fondo, quel personaggio spavaldo, fiero, affascinante, ipnotico, lo sentiva ancora dentro.
Scosse la testa. No, Acab era la morte, il male, il buio, la notte, ma anche la passione, il fuoco, la sensualità. Erano questi ultimi elementi che scossero la sua psiche, come un brivido di piacere. Adesso oscillava tra Acab e Caleb.
Lui era consapevole della sua lotta interiore, ma non riusciva a comprenderne il motivo. La lotta non sarebbe nemmeno dovuta iniziare. Una parte di sé voleva diventare Acab, ritornare ad essere quel cinico adepto, ammaliatore e conquistatore. Un’altra parte lo portava sulla retta via, verso la dolcezza, la luce, Ariel.
Nell’ascensore osservava quella spia che indicava i  piani attraversati. Più saliva verso il piano in cui c’era l’ufficio di Lilith, più sentiva il suo cuore raggelarsi.
 
Si avvicinò alla porta color grigio metallizzato, deglutì, si aggiustò il cravattino, assunse una postura diritta, rigida. Spostò un ciuffo dei capelli corvini sull’occhio destro, avvicinò le nocche alla porta per bussare, ma una voce dall’interno lo fece trasalire.
-          Entra Acab.
Il ragazzo vide la porta aprirsi davanti ai suoi occhi. Era stupito ma si ricompose assumendo una postura composta e distinta, ponendo le mani dietro la schiena. Fece due passi verso l’interno, senza muovere un muscolo del viso, tenendo d’occhio la porta che gli si chiudeva alle spalle.
Davanti ai suoi occhi v’era una scrivania di forma ovale, su cui vi erano pochi oggetti d’ufficio e un PC portatile. Tra il tavolo e l’ampia vetrata, lo schienale di una sedia girevole.
-          Ti stavo aspettando. – gli rivolse la parola la persona che non mostrava il suo viso.
-          Eccomi qui, come avevamo deciso. – affermò Acab.
  
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