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Autore: cl33    26/04/2007    8 recensioni
Teneva le spalle curve, lui che si era sempre mosso fiero, a testa alta; una rada barba bionda faceva mostra di sé sulle sue guance, concorrendo a rendere ancora più trasandato e malinconico il suo aspetto. Indossava un paio di jeans e una maglietta nera, in completo contrasto coi capelli biondissimi, quasi bianchi, che ricadevano disordinati sugli occhi chiari. A completare il tutto, un paio di scarpe da ginnastica slacciate e ormai consunte. La bacchetta invece giaceva in una tasca della sacca sdrucita in cui si trovavano i suoi pochi vestiti, nella stanza d'albergo in cui alloggiava da quasi tre settimane. L'avrebbe spezzata volentieri, se solo avesse avuto il coraggio... ma non ne aveva mai avuto abbastanza, quando serviva. Non aveva colpito quando avrebbe dovuto, ed era fuggito, senza affrontare le conseguenze delle sue azioni, non prima di aver visto la furia delle fiamme divampare nella sontuosa villa di famiglia e spezzare le vite delle persone che si erano sacrificate per lui. Ogni ora, ogni istante da un anno a quella parte vedeva il vecchio preside volare giù da quella maledetta torre, sentiva i singhiozzi dell'uomo che lo aveva trascinato via e lo aveva riportato a casa, distrutto dopo l'omicidio, in preda ad una sofferenza che non riusciva a comprendere. E le grida, le atroci grida di dolore di sua madre, torturata a morte perché suo figlio non aveva portato a termine la missione...
Genere: Malinconico, Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'aria fresca di quella sera estiva gli carezzava il volto arrossato dal sole

L'aria fresca di quella sera estiva gli carezzava il volto arrossato dal sole. Il cielo si faceva sempre più scuro, passando dal rosso al violetto, fino al blu più profondo. Lui restava fermo, le mani in tasca, in piedi sul quel molo di legno. Respirava l'odore acre del salmastro, mentre l'eterna cantilena delle onde e il grido strozzato di qualche gabbiano lo tenevano ancorato a quel luogo; intanto, il pensiero vagava, inarrestabile, come sempre.

Alle sue spalle, le luci del piccolo centro dove si era rifugiato cominciavano a brillare di rosso, di giallo e di vita, di risate e chiacchiericcio. Era un luogo di vacanza: le giornate passavano lente e sonnacchiose sotto il caldo cocente di fine estate, e solo le urla dei ragazzini che giocavano a pallone sulla spiaggia e il mormorio pettegolo delle mamme riempivano il silenzio di quell'angolo sperduto di mondo. Poi arrivava la sera, e si alzava un'aria frizzante e dispettosa che sembrava risvegliare ogni cosa: i villeggianti invadevano le stradine, si soffermavano tra le bancarelle che rilucevano di piatti decorati a mano, merletti, stuoie, vasi dipinti; profumi invitanti attiravano i più verso ristoranti caratteristici, mentre qualche anima più poetica delle altre piazzava un cavalletto all'angolo della piazza principale, per dipingere la luna e quello spettacolare cielo tempestato di stelle.

Non sapeva perché si era fermato lì. In fondo aveva passato la vita a disprezzare la marmaglia di gente che, a pochi metri da lui, vagava sorridente e spensierata. La disprezzava ancora di più adesso, proprio perché era così allegra e gioviale, mentre il dolore per quel che lui aveva visto, provato e vissuto continuava a scavargli dentro, a tirarlo come un vortice verso il suo personale buco nero. Eppure, non era ripartito. Era come attratto irresistibilmente da quella felicità artefatta dei babbani in vacanza: sembravano lasciare a casa i loro fondamentali quanto insulsi pensieri di tutti i giorni - le bollette, lo stress dell'ufficio, i problemi con la moglie, la squadra del cuore che quell'anno aveva fatto pena - per godere a pieno del calore estivo che non si dissipava del tutto nemmeno in quelle serate di festa. A lui non era concesso quel lusso, i raggi del sole non arrivavano abbastanza a fondo. I suoi occhi restavano freddi e distaccati di fronte all'euforia altrui, e, mentre i ritmi latino-americani spingevano anche i meno audaci ad accennare qualche goffo passo di danza, si limitava a camminare lento tra i gruppi di ragazzi abbronzati che facevano baldoria, guardando tutto con attenzione malata, con un'invidia che non avrebbe mai ammesso a se stesso.

Teneva le spalle curve, lui che si era sempre mosso fiero, a testa alta; una rada barba bionda faceva mostra di sé sulle sue guance, concorrendo a rendere ancora più trasandato e malinconico il suo aspetto. Indossava un paio di jeans e una maglietta nera, in completo contrasto coi capelli biondissimi, quasi bianchi, che ricadevano disordinati sugli occhi chiari. A completare il tutto, un paio di scarpe da ginnastica slacciate e ormai consunte. La bacchetta invece giaceva in una tasca della sacca sdrucita in cui si trovavano i suoi pochi vestiti, nella stanza d'albergo in cui alloggiava da quasi tre settimane. L'avrebbe spezzata volentieri, se solo avesse avuto il coraggio... ma non ne aveva mai avuto abbastanza, quando serviva. Non aveva colpito quando avrebbe dovuto, ed era fuggito, senza affrontare le conseguenze delle sue azioni, non prima di aver visto la furia delle fiamme divampare nella sontuosa villa di famiglia e spezzare le vite delle persone che si erano sacrificate per lui. Ogni ora, ogni istante da un anno a quella parte vedeva il vecchio preside volare giù da quella maledetta torre, sentiva i singhiozzi dell'uomo che lo aveva trascinato via e lo aveva riportato a casa, distrutto dopo l'omicidio, in preda ad una sofferenza che non riusciva a comprendere. E le grida, le atroci grida di dolore di sua madre, torturata a morte perché suo figlio non aveva portato a termine la missione...

Non sapeva cos'era successo da allora. Non aveva più voluto sapere nulla. Era diventato un anonimo passante tra i tanti che affollavano le strade delle metropoli tutte antenne e gas di scarico. Era stato quasi confortante essere un perfetto nessuno, poter camminare tra facce sconosciute senza che un'anima volesse conoscere la sua storia.

Forse nelle grandi città tutti hanno una storia triste da dimenticare.

Tokyo, New York, Mosca, Parigi, Sidney, Pechino... Un anno per vederle tutte senza ricordarne nemmeno una. E stazioni, porti, piccole oasi di passaggio per altri forsennati viaggiatori. Restava fermo per uno, due giorni, a volte durava una settimana, poi riprendeva la sua odissea personale verso una nuova meta. L'inferno non lo abbandonava mai, ma almeno si illudeva di lasciarselo dietro, ogni tanto, mentre un nuovo jumbo lo portava dall'altra parte del mondo.

Alzò il braccio sinistro e fissò il lembo di pelle che aveva ospitato il marchio nero. Era candido adesso. A volte aveva bruciato così tanto che credeva di impazzire; l'ultima volta era quasi svenuto dal dolore, aveva gridato con tutto il fiato che aveva in gola, mentre il serpente dimenava la lingua biforcuta lungo il suo braccio... e poi più niente. I tratti del tatuaggio si erano fatti sempre più labili fino a sparire. In una gloriosa notte di fine maggio l'Oscuro Signore aveva definitivamente abbandonato questa terra: il mondo magico doveva essere in festa, mentre lui si fissava il polso seduto per terra in un sudicio gabinetto della metropolitana di Roma.

La cosa non gli aveva fatto né caldo né freddo.


Tra i tanti locali che si affacciavano sulla passeggiata ce n'era uno in cui suonavano dal vivo. Le sue peregrinazioni serali finivano sempre per portarlo lì, appoggiato al bancone di legno, a sorseggiare una birra ghiacciata. Non si sedeva mai a uno dei tavolinetti rotondi al centro della sala: preferiva restare defilato, così da avere un perfetto punto d'osservazione. C'erano coppiette innamorate che si scambiavano carezze al primo accenno di una canzone romantica, ragazzi che fissavano ragazze e ragazze che fingevano di non accorgersi dell'interesse che suscitavano nei ragazzi. Qualcuno seguiva il ritmo con un leggero movimento del piede e canticchiava sottovoce. La cantante, una donna di colore dalla voce calda e sensuale, mormorava ad occhi chiusi le parole di una ballata, accarezzando dolcemente i tasti del vecchio piano che torreggiava al centro del palco di legno.

Quella musica era dolce e malinconica come l’abbraccio di una vecchia madre. Non gli toglieva di dosso la tristezza, ma per un attimo gliene faceva dimenticare i motivi. E quel singolo istante di pace gli permetteva di respirare, ancora, per un altro giorno.

Quando la canzone finì si levò un piccolo applauso. La donna lasciò il pianoforte per prendere una chitarra classica, appoggiata a un panchetto di legno. La mise a tracolla e, non appena ebbe riconquistato l’attenzione della sala, attaccò un nuovo brano.


Crash and burn
All the stars explode tonight
How'd you get so desperate
How'd you stay alive
Help me please
Burn the sorrow from your eyes
Oh, come on be alive again
Don't lay down and die


Hey, hey
You know what to do
Oh, baby, drive away to Malibu


Si sentì osservato. Si chiese da quando la sua aria sciatta potesse far colpo su una ragazza. Peccato che non avesse voglia, testa e spirito, ultimamente. Alzò gli occhi, spinto più che altro dalla curiosità, e rimase di ghiaccio.


Get well soon
Please don't go any higher
How are you so burnt when
You're barely on fire
Cry to the angels
I'm gonna rescue you
I'm gonna set you free tonight, baby
Pour over me


Due iridi verdi lo fissavano con la stessa espressione scioccata che doveva avere lui, attraverso un paio di occhiali da vista rotondi. I capelli, neri come la pece e sempre più scompigliati, lasciavano intravedere un’inconfondibile cicatrice sulla pelle appena appena abbronzata della fronte.


Hey, hey
We're all watching you
Oh, baby, fly away to Malibu
Cry to the angels
And let them swallow you
Go and part the sea, yeah, in Malibu


Aprì la bocca ma non riuscì a parlare. L’altro si riprese più rapidamente.

“Malfoy. Gli stronzi non muoiono mai, eh?”

Non era forse passata una vita dalle schermaglie nei corridoi di Hogworts? Eppure, certe cose non potevano cambiare. Fu forse questo pensiero a farlo scoppiare a ridere di gusto.

“Già. Forse è per questo che nemmeno tu ci hai lasciato le penne”.

Potter. Quale malefico scherzo del destino aveva permesso che loro due si trovassero in quel minuscolo villaggio, nello stesso bar, nella stessa afosa serata estiva? Se c’era un Dio, se la stava ridendo di gusto. E anche il bambino sopravvissuto si concesse un mezzo sorriso alla sua battuta.

“Può darsi”.

Rimasero in silenzio, le birre in mano, a scrutarsi l’un l’altro. Avevano sempre avuto veleno da sputarsi addosso, ma l’ultimo anno sembrava pesare sulle spalle di entrambi.

“Immagino tu abbia saputo”.

“Cosa?”

Potter accennò al polso candido del ragazzo.

“Mezzo squallido per sapere se sono stato marchiato… Mi aspettavo di meglio da te”.

“Non sono alla ricerca di una confessione. So che sei stato marchiato, so persino quando è successo. E se devo dirla tutta, ora come ora è l’ultimo dei miei pensieri”.

Era vero. Potter era rilassato, nella sua camicia bianca con tre bottoni slacciati e una mano nella tasca dei jeans. Non doveva avere nemmeno la bacchetta.

“E io che pensavo che salvare il mondo fosse il tuo hobby. Non dirmi che lascerai che un ricercato se ne vada impunito a zonzo tra i babbani. La cosa potrebbe mettere a repentaglio la tua beatificazione”.

“Non sono un auror. E quanto a te, mi spiace deluderti, ma ti ricercano in pochi”.

Draco spostò la testa verso il palco, mentre un’ombra gli passava sugli occhi. L’altro dovette accorgersene.

“Mi spiace per tua madre”.

Draco lo squadrò di nuovo.

“Ma non dire cazzate. Ci hai sempre odiato”.

“Tuo padre, forse. Direttamente non credo che tua madre mi abbia fatto nulla, e in ogni caso… beh, non doveva andarle così”.

Morsa allo stomaco. Un flash lo riportò di fronte alla furia delle fiamme di Malfoy Manor, ma lo scacciò all’istante. Non davanti a lui.

“Mi stai dicendo che a Londra non c’è nessuno che vuole mettere ad Azkaban il responsabile della morte di Silente?”

Touché. Stavolta fu la mascella di Potter a contrarsi. Fece un respiro profondo prima di rispondere.

“Silente sapeva che cosa stavi facendo. Non ha voluto fermarti”.

“Questo mi rende meno colpevole?”

Draco si morse la lingua. Non davanti a lui.

“No”.

Potter si prese un po’ di tempo prima di continuare.

“Ma lui sapeva che non avevi molte alternative”.

“E tu come fai a saperlo?”

“Credi davvero che il Professor Silente sia stato così sprovveduto da lasciarci senza una spiegazione?”

Draco rimase interdetto. Il preside non era a conoscenza dell’attacco, lui era riuscito ad attivare l’armadio solo poche ore prima. Come aveva potuto prevedere tutto? E soprattutto, perché non aveva cercato di evitare di farsi ammazzare?

“Spiegazione?”

“Era stato tutto pianificato. Beh, era l’ultima alternativa possibile, ma…”

“Potter, cosa diavolo stai dicendo?”

“Piton non ha mai tradito Silente”.

Draco sollevò un sopracciglio, scettico. Il professore era sempre stato ambiguo, mai troppo esposto né da una parte né dall’altra, fino a quella sera di giugno. Era su quella torre, e di sicuro aveva scagliato un’Avada Kedavra. E non puoi pronunciare una maledizione senza perdono se non vuoi fare del male. Lo sapeva fin troppo bene.

“Se è riuscito a convincervi di questo è stato davvero bravo”.

“Lui? Non avrebbe mai aperto bocca, figuriamoci”. Fece una smorfia. “E in ogni caso nessuno gli avrebbe creduto. C’è voluta la parola di Silente, a nonostante tutto non ci siamo fidati davvero. Beh, alla fine, come sempre, il Preside aveva visto giusto”.

Continuava a sorseggiare la sua birra, infilando un’assurdità dietro l’altra. Malfoy si chiese se il Grifone si stesse divertendo a prenderlo per i fondelli.

“Potter, dannazione, io c’ero”.

“Anche io. Ti ricordi quanto ci ha stressato Piton con gli incantesimi non verbali?”

“Che cosa…”

“Conosci il Levicorpus?”

“Tu non c’eri su quella torre”.

“Sì. Ero sotto il mantello dell’invisibilità. C’erano due scope”.

Draco fece mente locale. Era vero, si era anche insospettito, ma poi le chiacchiere del vecchio l’avevano distratto.

“Tu… e non hai fatto niente?”

Ero pietrificato. Nel senso reale del termine. Non ho potuto. Non l’ha voluto”.

Ecco perché Silente si era fatto disarmare come un novellino. Guardò di nuovo Potter, mentre tanti piccoli particolari cominciavano ad assumere una nuova luce. E lo vide improvvisamente vecchio, tormentato dai pensieri, dai se, dai rimorsi e dai ricordi, dilaniato e debole come chi ha vissuto troppo, troppo in fretta. Come lui.

“Il Levicorpus è un incantesimo…”

“Lo conosco”.

“E dunque saprai cosa accade quando lo scagli”.

Sì, lo sapeva. Aveva visto suo padre usarlo contro dei babbani, una notte di tre anni prima.


Ci fu un'esplosione di intensa luce verde, che illuminò la scena. Una folla di maghi avanzava lentamente nel campo a ranghi serrati, le bacchette puntate verso l'alto. […] Sopra di loro a mezz’aria, quattro sagome si divincolavano e si contorcevano in forme grottesche. Due di esse erano molto piccole. Era come se i maghi mascherati fossero burattinai, e le sagome sopra di loro burattini azionati da fili invisibili che spuntavano dalle bacchette*.


E, improvvisa, gli sovvenne l’immagine del preside, in quella notte.


Uno zampillo di luce verde schizzò dalla punta della bacchetta di Piton e colpì Silente in pieno petto. […]per un istante parve restare sospeso sotto il teschio lucente, e poi cadde lentamente all’indietro, oltre le merlature, come un’ enorme bambola di pezza, e scomparve**.


Era possibile. Peccato che fosse completamente insensato.

“Potter, se non è stato l’Avada Kedavra è morto per la caduta. Che cambia?!”

Il ragazzo gli fece un sorriso triste.

“L’intenzione”.


Ci vollero un’ora e un altro paio di birre, consumate a un tavolino, prima che i diversi dettagli fossero chiariti. Ogni obiezione aveva la sua spiegazione, assurda ma comunque plausibile.

“Voldemort a quel punto non ha più avuto il minimo dubbio sulla fedeltà di Piton: aveva ucciso il suo peggior nemico. Poteva averlo fatto per convenienza, vero, ma si era palesemente schierato e non avrebbe avuto né interesse né modo di servire la causa dell’Ordine. Beh, è stato un terribile errore di valutazione. Piton ci ha passato informazioni che non avremmo mai sperato di conoscere, e Voldemort se n’è accorto solo quando era troppo tardi”.

Gli parlò degli horcrux, di quanto fosse stato difficile trovarli e pericoloso distruggerli, mentre l’attesa per la catastrofe aleggiava in ogni angolo, in ogni casa, in ogni sguardo. Il mondo magico aspettava inerme che l’Oscuro Signore scatenasse l’inferno mentre lui godeva dello stato di terrore e sottomissione che era riuscito a instaurare senza fare assolutamente niente, e intanto si preparava allo scontro finale, convinto che sarebbe stato il suo grandioso e definitivo trionfo. Si sbagliava.

“Si è reso conto di morire. E’ stato agghiacciante. In qualche modo io credevo che ne sarei stato, non so, felice. Ma in quell’istante mi ha guardato negli occhi, e non c’erano più odio o rancore. Solo una paura feroce. A quel punto è evaporato nel nulla. Come se non fosse mai esistito”.

Harry si bagnò le labbra con un nuovo sorso, lasciando scorrere lo sguardo sugli altri avventori che, completamente ignari del pericolo scampato, si godevano la pace del locale.

“Quasi non ci credevo. Nessuno riusciva a rendersene conto. C’erano troppi morti, troppe ferite aperte per pensare che la vita potesse ricominciare a scorrere normale. Eppure, la Gazzetta è uscita come ogni maledetto giorno, con il supplemento speciale sulla fine della guerra e le interviste ai “grandi eroi”, e ben presto il Ministero ha cominciato a fare le celebrazioni ufficiali; hanno dato una sistemata a Diagon Alley, i negozi sono stati riaperti e la gente ha ricominciato ad uscire. Un monumento ai caduti di fronte alla Gringott e festa finita. Come se anche i mangiamorte rimasti fossero scomparsi. Ma chi ha voglia di pensare di essere ancora in pericolo? In compenso, si sono accaniti su chi hanno preso. I nuovi processi hanno avuto un seguito fuori del comune. Soprattutto uno”.

“Piton”.

Chiaro. Assassino di Silente e principale informatore dell’Ordine della Fenice nell’anno cruciale. Mangiamorte a pieno regime per mesi e strenuo combattente nell’ultima battaglia. Tutti volevano capire. Lui però si è dichiarato colpevole di omicidio e non ha voluto dare spiegazioni”.

Draco guardò preoccupato il suo interlocutore. Non aveva mai visto Severus come la notte in cui l’aveva portato via da Hogwarts. L’arcigno professore che non permetteva mai a niente e a nessuno di scalfire il suo muro di indifferenza si era come spezzato. Non appena si erano smaterializzati lui aveva fatto qualche passo barcollante, prima di inginocchiarsi a terra. E si era messo a urlare, con tutto il fiato che aveva in gola, con una rabbia e un dolore tali da lasciarlo allibito.

“Silente aveva previsto anche questo. Ha lasciato i suoi ricordi in cui chiedeva espressamente a Piton di fare qualsiasi cosa pur di non mettere a repentaglio la sua vita e, di conseguenza, la sua posizione di spia tra i mangiamorte. Persino ucciderlo”.

Harry sorrise.

“Credo che non mi abbia mai odiato tanto come quando ho chiesto alla giuria di mostrarli in aula”.

“Immagino che non ti abbia ringraziato”.

“Oh, no. Le testuali parole sono state: “Non ti è ancora passata la mania di fare l’eroe ficcanaso, Potter?”. Ha qualche capello bianco in più, ma la simpatia è sempre la stessa”.

Draco scoppiò a ridere.

“Perfettamente nel suo stile. Quindi è stato scagionato?”

“Nonostante si sia impegnato a fondo per farsi detestare da tutti i presenti, sì”.

Il ragazzo dai capelli biondi tirò un sospiro di sollievo. Per un anno aveva temuto di avere anche quella vita sulla coscienza.

“E tu? Ha intenzione di passare il resto dei tuoi giorni in un villaggio turistico a torturarti per quel che è successo?”

Draco indurì lo sguardo.

“Se anche fosse? Non hai salvato già abbastanza vite per essere eletto mago dell’anno?”

Potter finì la sua birra e si alzò in piedi, lentamente. Sembrava pensieroso.

“Non penso che stando lontano faccia meno male. Potresti riprendere gli studi, Hogwarts sarà riaperta”.

“Come no. Sono tutti ansiosi di avere un ex mangiamorte a piede libero per la scuola”.

“Non c’è più un marchio per dimostrare che tu lo sia stato”.

“Sono stato io a farli entrare! Senza di me non avrebbero attaccato il castello, Piton non avrebbe ucciso nessuno, e…”

“Voldemort ti aveva minacciato di uccidere i tuoi genitori”.

Draco si appoggiò allo schienale, scuotendo la testa.

“Cosa vuoi che cambi”.

Harry si strinse nelle spalle.

“Te l’ho già detto, Malfoy, l’intenzione. E, comunque, io credo che una testimonianza a tuo favore da parte del nuovo preside potrebbe fare la differenza in caso di processo”.

Draco lo fissò stralunato. Potter sospirò con fare drammatico.

“Sarà un’annata dura per i Grifoni, me lo sento… Ti saluto”.

E con passo elegante uscì dal locale, lasciando l’altro ai suoi pensieri.


And the sun goes down
I watch you slip away
And the sun goes down
I walk into the waves
And I knew love would tear you apart
Oh and I knew the darkest secret of your heart

Hey, hey

I'm gonna follow you
Oh baby, fly away, yeah
To Malibu
Oceans of angels, oceans of stars
Down by the sea is where you drown your scars

I can't be near you
The light just radiates
I can't be near you
The light just radiates***.



1° Settembre 1998, Stazione di King’s Cross, binario 9 ¾


Il treno sbuffava vapore, pronto per partire. Gli ultimi studenti si affollavano per salire, tirandosi dietro gabbie, bauli e calderoni, mentre le mamme si sprecavano a fare raccomandazioni. Non era poi cambiato molto, in effetti. Se si escludeva il fatto che molti studenti che avrebbero dovuto affrontare gli ultimi anni mancavano all’appello. Non ci sarebbe stato Blaise Zabini, ucciso da un Auror in uno scontro ad Hogsmeade, a febbraio. E nemmeno Pansy: era fuggita all’estero con la sua famiglia e nessuno ne aveva più avuto notizie. Goyle era ad Azkaban, mentre Tyger non era sopravvissuto ad un Sectumsempra che lo aveva centrato in pieno, squartandogli il petto.

Draco trascinò a fatica le sue cose per le scalette di un vagone, e si mise a cercare un posto. Intravide Nott a pochi metri da lui, e gli andò incontro. Era stato catturato a dicembre mentre si aggirava da solo per Nocturn Alley ed era stato messo forzatamente sotto la protezione dell’Ordine della Fenice. Visto che non aveva particolari ambizioni come mangiamorte aveva accettato di buon grado la cosa e aveva spifferato ogni informazione utile per Malocchio Moody e compagnia. Il ragazzo stava tentando di passare, ma un brutto gatto rosso dal muso schiacciato stava piantato in mezzo al corridoio e lo scrutava divertito, come per sfidarlo a farlo spostare.

“Granger, dove diavolo sei? Ti schiaccio il gatto se non lo levi di qui”.

La Grifondoro si sporse da una delle porte e venne a prendere il suo animale, sbuffando. Da un altro scompartimento uscì una delle gemelle Patil, con un sorriso smagliante.

“Theo, vieni, ti ho tenuto il posto”.

Nott le andò incontro e le diede un bacio sulle labbra, prima di seguirla dentro. Draco alzò un sopracciglio stupito.

“Malfoy”.

La Granger lo fissava con un cipiglio inviperito, tenendo in braccio quella bestia storpia. Un attimo dopo Weasley e Potter le furono accanto. Lenticchia lo guardava sospettoso, mentre l’altro Grifone si era appoggiato al finestrino, con un mezzo sorriso divertito. Draco incrociò le braccia.

“Restiamo così a fissarci per tutto il giorno?”

Weasley fece cenno agli altri di tornare dentro, e andò a sedersi, seguito come un cagnolino dalla compagna. Potter invece rimase dov’era.

“Non si fidano molto”.

“Ci siamo ignorati o insultati per sei anni, penso che potrò sopravvivere”.

“Ti inviterei a sederti con noi…”

L’altro ghignò.

“Non sono così disperato”.

Il bambino sopravvissuto si mise a ridere.

“Immaginavo”.

Il treno cominciò a muoversi.

“Malfoy, mi spieghi una cosa?”

“Sentiamo”.

“Come hai fatto coi soldi?”

“Prego?”

“Sei stato per un anno tra i babbani e non hai usato magia. Come hai fatto?”

Il Serpeverde si mise le mani in tasca.

“Nel modo più banale”.

Harry lo guardò scettico.

“Hai lavorato?!”

“Scherzi?!”

Prese il portafoglio e ne estrasse una carta magnetica.

“Avevi un conto corrente?”

“In Svizzera. Mio padre è sempre stato un tipo previdente. Potendo scegliere, se fosse stato costretto alla fuga avrebbe preferito fare la vita da nababbo tra i babbani piuttosto che crepare di fame. Poco coerente coi suoi principi, ma molto Serpeverde”.

Rimasero in silenzio, mentre la campagna inglese scorreva rapida al di là dei finestrini. Era una meravigliosa giornata di sole.




* Harry Potter e il Calice di fuoco, p. 107.

** Harry Potter e il Principe Mezzosangue, p. 539.

*** Hole, Malibu, tratta dall’album Celebrity Skin del 1998.

  
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