Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: D_Dya    14/10/2012    2 recensioni
Questa storia parla di me, dei miei sentimenti, del mio cuore, del mio dolore..... di tutto quello che provo tutti i giorni.
.......................................................................
Un amore talmente forte e immenso da lacerare il cuore.
Un lui e una lei.
Simili e diversi.
Cit dal 1° Capitolo
"Quando ti ho conosciuto eri indebolito, impaurito dei sentimenti che poteva provare il tuo cuore, eri diffidente con le persone che ti si cercavano di avvicinare.
Il tuo petto era pieno di dolore e rabbia.
Nei tuoi occhi vedevo riflessa la mia immagine, cosi debole e fragile. Questo mi faceva paura, ma il mio cuore voleva guarire il tuo. Anche se io stessa ero profondamente ferita."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

5 capitolo

Gocce di pianto “

 

Passai la notte rigirandomi nel letto molte volte. Anche se la testa non mi girava più, non riuscivo a chiudere occhio. Faceva troppo caldo per dormire. Mi sentivo soffocare.

La finestra della mia camera era aperta, ma non mi aiutava granché. Anzi mi sembrava che il mio corpo prendesse fuoco. Le fiamme mi avvolgevano.

La mia mente era offuscata per l’ondata di calore che mi stava distruggendo letteralmente.

Perché diamine mi sono trasferita in un paese cosi caldo?

Ah. Giusto. Non volevo lasciare mia madre da sola. In cambio dovevo trovare un modo per superare queste ondate di caldo, se non volevo sciogliermi. Mi precipitai in bagno. Dovevo cercare di dormire. Se non riuscivo a dormire, al mattino avrei aggredito chiunque mi capitasse a tiro. Di questo ero certa. Sarei stata velenosa come un serpente per tutto il giorno per la mia mancanza di sono. Dovevo assolutamente dormire almeno un paio d’ore, non volevo sputare veleno contro chiunque.

Mi alzai dal letto, ero tutta sudata. Che schifo !

Volevo dormire.

Quella giornata è stata veramente troppo lunga e faticosa per i miei gusti. Volevo solamente buttarmi sul letto e dormire, ma con quel caldo non riuscivo a prendere sono, era impossibile.

Ero esausta. La fatica del viaggio e varie emozioni che mi avevano tormentato per tutto il giorno uscirono allo scoperto.

Ero frustrata, confusa e anche un po’ arrabbiata. Mia madre poi mi faceva veramente saltare tutti i nervi, come diamine pensava che mi avrei trovata a Milano. Non faceva che sorridere di continuo, questo mi faceva imbestialire. Forse credeva che avrei fatto i salti di gioia fino al cielo.

Ma non era cosi.

Detestavo quella città, non riuscivo a respirare per via dello smog, figuriamoci viverci.

Ero abituata a vedere le stelle tutte le sere, qui riuscivo a malapena a distinguere l’azzurro del cielo dal grigio dei gas dello scarico.

Era disgustoso.

Ma quello non era il mio unico problema, ora dovevo lottare contro il caldo insopportabile, rischiavo di morire soffocata per un colpo di calore durante la notte. Non riuscivo a ragionare con quel caldo intollerabile. Il mio cervello si era spento. L’unica soluzione che trovai per abbassare la temperatura del mio corpo, era farmi una doccia.

Entrai nel mio piccolo bagno personale coperto da piastrelle bianche. Non era granché, ma almeno non avrei svegliato mia madre nel cuore della notte. Apri l’acqua è comincia a regolare la temperatura fino a farla diventare leggermente tiepida. Mi spogliai ed entrai nella vasca e aspettai che l’acqua mi scorressi lungo la schiena sciogliendomi i muscoli.

Era una bella sensazione. Dopo la lunga giornata finalmente riuscì a rilassarmi almeno un po’.

Ero ancora scossa per la reazione di Luca nei miei confronti.

Possibile che provava veramente odio nei miei confronti, non mi conosceva neanche.

La mia fantasia lavorava troppo velocemente. Ne ero assolutamente certa.

L’acqua continuava a scendere lungo il mio corpo mentre io cercavo di capire cosa era successo quel giorno.

L’unica cosa di cui ero convinta, era che ormai non potevo più tornare indietro. Anche se avrei voluto farlo. Tornare alla mia vecchia vita. Possibile che mi mancasse quel inferno a tal punto?

Quel posto senza alcun futuro. Non ci credevo. Lo pensavo veramente. La nostalgia prese il sopravento di tutto il resto.

Gli angoli degli occhi mi bruciavano e io non riuscivo a resistere a quella ondata di pianto. Dentro il petto sentivo qualcosa che si spezzava lentamente. Un alta parte di me moriva lentamente, un altro frammento del mio cuore si frantumava.

L’ultima volta che avevo percepito questa sensazione era quando mio padre se ne era andato. In qual momento volevo scomparire. Mi sedetti in un angolo della vasca cercando di riprendere il controllo di me stessa senza alcun risultato.

L’acqua continuava a scendere e a bagnarmi. I miei capelli erano ormai pesanti per via del acqua che avevano assorbito e mi coprivano la schiena.

Non so cosa mi ha dato la forza di alzarmi dal fondo della vasca e spegnere l’acqua che sgorgava come una cascata.

Mi sembrava di essere infinitamente debole e fragile in qual momento. Non ero mai stata cosi vulnerabile.

Riuscì ad asciugarmi con fatica e riuscì a rivestirmi. Raggiunsi il letto e mi ci buttai sopra, non avevo più caldo ma in compenso sentivo delle fitte di dolore nel mio petto. Le lacrime mi offuscavano la vista e in qual momento pregai solamente che mia madre dormisse profondamente nel suo letto.

Dopo tanto tempo riuscì a piangere, sentivo le vecchie ferite del mio cuore riaprirsi e percepivo delle nuove cicatrici che pulsavano.

Piansi finché avevo lacrime, piansi tutto il mio dolore, piansi tutto quello che cercavo di nascondete dentro di me. Piansi per ore finché il mio corpo non fu scosso solamente dai singhiozzi.

Ero veramente esausta. Ero felice che qual attacco di nostalgia era finito, ma il mio corpo ora mi faceva male. Non so per quanto tempo restai in quello stato ma alla fine riuscì ad addormentarmi, completamente esausta.

Quella notte riuscì a dormire.

I caldi raggi del sole mi svegliarono, avrei voluto dormire più a lungo ma faceva tropo caldo per riaddormentarsi.

Sentivo il mio corpo rigido e pesante, stiracchiai i muscoli, erano intorpiditi. Senti le ossa schioccare. Era una strana sensazione. Il mio corpo era ridotto male, mi sembrava di aver fatto dei esercizi di ginnastica tutta la notte.

Volevo tanto rimettermi a dormire ma guardandomi a torno notai i scatoloni che contenevano la mia roba. Dovevo mettere tutto a posto. Mica volevo vivere in una camera piena di scatoloni di cartone.

Il mio corpo era dolorante, ma mi sentivo stranamente calma. Era uno stato di beatitudine che non riuscivo a spiegarmi. Era strano, molto anche. Non avevo mai provato uno stato di beatitudine come quello.

Le sensazioni che avevo provato il giorno prima erano completamente svaniti, sono riuscita a rinchiudermi dentro anche la nostalgia che mi aveva tormentata la sera prima, proprio come avevo fatto con tutti i miei sentimenti.

Non dovevo più permettete a miei sentimenti ad uscire in quella maniera.

Non volevo più sentirmi debole e vulnerabile come la sera precedente.

Non dovevo cedere cosi facilmente.

Non volevo mostrarmi fragile davanti agli altri, non dovevo farlo.

Non volevo più soffrire.

Sono stata ferita già troppe volte.

Dovevo resistere, resistere come facevo sempre. Era l’unico modo che sapevo di vivere. Rinchiudere dentro di me tutti i miei tormenti. Stringere i denti e andare avanti. Era l’unica maniera per sopravvivere al dolore che era assopito dentro di me, almeno per me.

Mi alzai contro voglia, presi dal armadio una vecchia maglietta un tempo rosa, ora invece sbiadita. Trovai un vecchio paio di jeans neri e mi trascinai verso il bagno.

Mi guardo allo specchio.

Ero ridotta malissimo. I capelli sembravano una palla di fieno, erano pieni di nodi. Non dovevo andare a letto con i capelli bagnati. Sembravo uno spaventa passeri. Come diamine gli avrei pettinati, ma non erano i capelli la mia maggiore preoccupazione. I miei occhi facevano spavento. Erano gonfi e rossi. La pelle intorno era leggermente viola, sembrava che qualcuno mi avesse presa a pugni. Come diamine avrei fatto a spiegare a mia madre quei lividi. Mi feci una doccia veloce. Cercai di sistemare il disastro che avevo sulla testa, ma dovevo proprio andare a dormire con i capelli bagnati, era un disastro. Uff. Dopo almeno trenta minuti riuscì a lisciarli. Erano ancora un disastro ma almeno non sembravano una palla di fieno. Il problema che mi rimaneva da risolvere erano gli occhi. Frugai nei cassetti del bagno, trovai il mio ombretto nero e la matita per gli occhi. Dopo un po’ di tempo riuscì a coprire la sfumatura di viola che circondava i miei occhi ma il gonfiore si vedeva comunque. Speravo che almeno mi a madre non lo notasse. Mi infilai i vestiti e scesi al piano di sotto.

Ogni movimento che facevo provocava una strana fitta che scuoteva tutto il corpo. Mentre scendevo le scale percepivo uno strano bruciore allo stomaco. Solitamente mi sentivo cosi solo quando ero nervosa, in quel momento ero stranamente tranquilla.

Non sapevo come spiegarmi la crisi di pianto che mi ha sopraffatto la notte precedente. L’unica cosa di cui ero completamente certa e che dovevo controllare i miei sentimenti, altrimenti sarei finita scottata.

Al piano di sotto trovai il caos più totale. I scatoloni erano aperti, il contenuto era sparso sul pavimento o sui vari mobili che mia madre aveva spolverato, erano d’epoca. Lo avevo immaginato. Il salone era di colore beige, proprio come il divano e poltrone. Senti uno brivido lungo la schiena. Me no male che almeno i mobili della mia stanza sono stati risparmiati a quel orrore.

Tutti gli oggetti che mia madre aveva portato con se e ai quali era molto affezionata, erano sparsi per tutta la stanza. Aveva insistito che portassimo via i miei vecchi peluche pieni di polvere che avevo messo in uno scatolone anni fa. Notai un vecchio cane, un tempo verde, ora invece giallo. Era l’unico regalo che mi ha fatto mio padre, a parte gli orecchini a forma di libellula che porto ancora e non sono in grado di togliere. Avevo l’impulso di prendere quel vecchio cane e di bruciarlo, ma qualcosa dentro di me mi impose di non farlo. Una specie di catena mi teneva ancora legata a quel oggetto, la stessa che mi impediva di togliere gli orecchini.

Non volevo essere più legata a quel essere schifoso, ma non ero in grado di dimenticarlo, volevo farlo. Ma ogni volta che cercavo di farlo la mia mano si abbassava, in un modo o in altro sentivo ancora un legame con quel uomo anche se non lo volevo.

Sono cresciuta senza un padre, non mi sembra di essere diventata una drogata o una alcolizzata. Passo dopo passo sono riuscita a crescere e diventare adulta, sono cresciuta in fretta. Non avevo alternative. La mia infanzia doveva rappresentare un periodo felice, invece si trasformo da un giorno all'altro nel inferno più nero.

Non sono mai stata una bambina, mai. Ho affrontato dolori e sofferenze dalla nascita.

Mi è stata tolta l’infanzia, ma ora volevo vivere. Respirare. Ma non ero in grado di farlo, mi sono chiusa dentro di me. Non volevo provare del dolore mai più in vita mia.

Volevo camminare per strada, alzare lo sguardo verso il cielo, percepire il calore di una persona e avere fiducia in qualcuno.

Fiducia.

Qualcosa che del tutto sconosciuto al mio cuore. Non riuscivo a fidarmi delle persone, era una cosa che non sapevo fare. Mi fidavo solamente di mia madre, mio nonno e di Kristy.

Nessun altro aveva penetrato nel mio cuore coperto da uno strato di ghiaccio. Ho cercato di ricominciare a vivere, ma in cambio ottenevo solamente altro dolore. Ogni volta che cercavo di rialzarmi precipitavo di nuovo.

Dentro di me c’era un vuoto, sentivo di non essere completa. Per una volta volevo sentirmi intera.

Volevo eliminare quel vuoto che avevo dentro di me.

Altre lacrime cominciarono a scendere lungo il mio viso. La matita ormai era tutta lavata via dal mio pianto e scendeva insieme alle lacrime.

Che cosa mi stava succedendo?

Non avevo mai pianto in un modo cosi sfrenato.

Ero spaventata.

Io, tremavo.

Io, la ragazza che aveva dimenticato cosa erano i sentimenti.

Lungo il mio corpo sentivo lo stesso brivido della sera prima, mi sentivo di nuovo debole e fragile. Percepivo nuovamente la sensazione di fragilità.

Senti i passi di mia madre dietro di me. Cercai di non singhiozzare e di non farle vedere la mia faccia. Sapevo di essere ridotta male. Non volevo farla preoccupare, non volevo darle preoccupazioni.

Mamma, posso uscire?” la mia voce suono in modo veramente strano. Tramava e mia madre sembro accorgersene, sentivo il suo sguardo sulla mia schiena.

Stai bene?” Accidenti. Conoscevo quel tono, anche tropo. Si pentiva per avermi portata con se. Si sentiva in colpa per quello che aveva fatto. Lo sapevo. Lo sentivo. Non doveva sentirsi cosi, non volevo farla soffrire.

Cercai di mantenere la calma, almeno quello potevo fare in quella situazione.

Ho bisogno di respirare un po’ d’aria. Faccio una passeggia qui vicino.” La mia voce suono meglio, sapevo che non la avevo convinta, ma dovevo uscire. Mia madre non mi domando niente altro, ma senti la sua mano ficcare il mio cell nella tasca dei miei jeans.

Usci di casa di corsa senza fermarmi. Non avevo idea dove andare, non conoscevo quella città.

Ma dovevo stare da sola.

Dovevo calmarmi.

Dovevo capire come mai in due giorni ero alla seconda crisi di pianto.

Perché?

L’aria di quella città mi faceva male.

In quel momento senti la mancanza di Kristy, la mia mano era già in tasca dei pantaloni. Ma che combinavo? Ormai non ero più una bambina, dovevo smettere di sfogarmi con la mia sorellina. Dovevo cercare di calmarmi. Ma non sapevo come.

Continuavo a correre, le lacrime continuavano a scendere e il mio corpo fu scosso dai singhiozzi.

Non immaginavo di essere cosi debole, non riuscivo a capire come mai ero crollata. C’era qualcosa che non andava in me, ma cosa?

Sapevo già di essere anormale visto che non mi spaventava niente. Guardavo i film horror e non provavo niente, la vista del sangue non mi disgustava. Le storie di fantasmi non mi facevano venire la pelle d’oca come agli altri.

Le lacrime continuavano a scorrere lungo il mio viso e io correvo. Non sapevo neanche dove andavo, vedevo tutto offuscato.

La sera prima avevo provato nostalgia, ma il sentimento che provavo non lo riconoscevo. Percepivo della tenerezza dentro di me ma anche della rabbia che cresceva dentro di me con ogni lacrima versata.

Non so per quanto tempo riuscì a correre, sembrava che niente riusciva a stancarmi, ma percepivo una strana sensazione dentro di me. Un formicolio simile a quello di una scottatura. Il mio fisico non dava ceno di cedimento ma la mia mente era debole, non riuscivo a pensare a niente, percepivo solamente la voglia di isolarmi dal mondo intero.

Nascondermi.

Volevo fuggire dalle mie sensazioni, dai miei sentimenti. Da quella indecisione che regnava dentro di me. Ora riuscivo a comprendere quella strana sensazione che mi tormentava.

Era indecisione.

Ero indecisa se odiare mio padre o no.

Sentivo la rabbia verso di lui per avermi abbandonata, per aver tradito la mamma, per aver portato via gli ultimi risparmi, per avermi mentito da quando ero natta.

L’altra parte di me era ancora affezionata a qual uomo, sentivo ancora del calore dentro di me. Nella mia mente rividi il viso di mia madre quando ha scoperto che è stata tradita dal uomo in cui aveva fiducia, dal uomo che amava e per il quale aveva litigato con tutta la famiglia e aveva subito continui umiliazioni.

Quel viso è rimasto impresso nella mia mente per l’eternità. Contorto in una smorfia dal dolore, bagnato dalle lacrime. Si vedeva il suo cuore andare in frantumi.

In quel momento la rabbia prese il sopravento del mio corpo, si trasformo in odio. Non avrei mai perdonato a mio padre quello che aveva fatto a mia madre. Mai e poi mai. Non avrei mai permesso che soffrisse ancora nello stesso modo. Avrei fatto di tutto per impedirlo.

Corsi ancora più forte, le case si trasformarono in macchie di colore. Correvo con più forza. Riuscì a fermarmi solamente quando mi trovai davanti a un giardinetto con qualche panchina e altalene per i bambini.

La mia attenzione fu catturata da una quercia enorme, mi avvicinai lentamente. Avevo trovato il mio posto speciale. Le lacrime si stavano asciugando, stavano svanendo velocemente come erano venute.

Mentre mi avvicinavo alla quercia mi sembro che crescesse davanti ai miei occhi. Le lacrime erano ormai asciutte ma dentro di me sentivo bruciare ancora la rabbia. Passo dopo passo mi avvicinavo al albero, quando fui abbastanza vicina da toccarlo prolungai la mano. La corteccia era fredda nonostante il caldo soffocante. Mi sedetti ai piedi di quel albero, le radici uscirono dal terreno e sembravano dei enormi serpenti intrecciati. Appoggiai la testa contro il tronco, cercai di placare la rabbia che regnava dentro di me in quel momento.

Percepì lo sguardo di qualcuno su di me, osservai il giardinetto oltre a me c’era una donna che cercavo di dividere due bambini che litigavano per andare sulla altalena.

Poi lo notai, seduto su una panchina vestito di nero e mi guardava con suoi occhi scuri. Perché non mi ero accorta di lui? Forse è ancora arrabbiato con me per la ragione che sapeva solamente lui?

Sembro di lottare contro l’impulso di andarsene e venire da me. Non riuscì a staccare lo sguardo dai suoi occhi neri, la rabbia del giorno prima era sparita, non appena mi fu vicino, vedi nel suo sguardo di nuovo la comprensione che avevo già letto una volta, ma insieme alla comprensione c’era anche la preoccupazione.

Non avevo idea come ero ridotta, probabilmente la matita e l’ombretto erano colati sul viso. Luca si sedette acanto a me senza dire una parola, non sapevo cosa dire, non ne avevo il coraggio. Poi il mio strano vicino comincio a cantare. Inizio con i Linkin park, dopo passo ai calling, alla fine canto welcome to my life dei simple plan. Sarei rimasta ad ascoltarlo tutto il giorno, la sua voce riuscì a calmare la bufferà che regnava dentro di me.

Nota dopo nota, verso dopo verso, parola dopo parola penetravano dentro di me con una forza sovrumana.

Appoggiai la testa contro il tronco e chiusi gli occhi. Sarei rimasta per giorni acanto a qual albero ad ascoltare la voce di Luca.

Si alzo improvvisamente e disse: “ É meglio che ti accompagni a casa.”

Mi alzai anche io e lo segui. Camminavamo in totale silenzio, ogni tanto guardavo Luca, sembrava immerso nei suoi pensieri. Il suo sguardo era di una tristezza che toglieva il fiato ma lo rendeva ancora più affascinante. Quella tristezza creava intorno a lui una barriera invisibile.

 


 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: D_Dya