Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Olmak_    14/10/2012    0 recensioni
Ho dovuto togliere gli specchi dalla mia camera ,il mondo che mostravano, la me che riflettevano, mi ingannavano di riuscire ad afferrare tutte le sfumature. Poi, mi ritrovavo con un pugno di illusioni, il viso distorto dalla sofferenza, le mani intorpidite perché cercavano di tenere l’aria.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 Alla fine ,forse, hanno sempre avuto ragione loro.
Cercare la verità, perché?
Sentirsi morti? Per cosa?
Perché altrimenti non riusciresti più a essere te?
Ne vale la pena, Claire?
Non lo so, questa domanda mi tormenta.
Ho dovuto togliere gli specchi dalla mia camera ,il mondo che mostravano, la me che riflettevano, mi ingannavano di riuscire ad afferrare tutte le sfumature. Poi, mi ritrovavo con un pugno di illusioni, il viso distorto dalla sofferenza, le mani intorpidite perché cercavano di tenere l’aria.
Ogni tanto chiudo gli occhi e immagino di essere felice, di quella felicità disarmante che non lascia spazio a nient’altro che non sia se stessa, quella felicità che non fa prigionieri, quella che quando ti abbandona ti rimane solo il suo ricordo perché ha fatto piazza pulita ti tutto quello che c’era prima di lei.
Io, quella felicità la bramo, la cerco, la invoco.
Eppure eccomi qui a scrivere di una vita che non riesco a vivere. Forse ,questa, è una sorta di punizione divina, una ripicca perpetuata da un’entità in cui non credo per l’unico scopo di dimostrare che è più forte di qualunque mia volontà.
Ho tolto tutti gli specchi, alcuni gli ho distrutti.
Solo con due non riesco a farlo.
Specchi amorevolmente custoditi da ciglia scurissime.
Specchi in cui quello che fa più male scorgere, è il mio stesso riflesso.
E lo sanno, che fa maledettamente male ogni volta che li incrocio anche per sbaglio, e nonostante questo si ostinano a cercarmi come un assetato cerca l’acqua, con la stessa voglia barbara e totalizzante, puro istinto.
Ma benché se ne dica, l’istinto, nasconde sempre un briciolo di consapevolezza che spesso cerchiamo di schiacciare sotto pile di giustificazioni fasulle solo per alleggerirci la coscienza.
Lui (il possessore del peggior mezzo di tortura in cui mi sia mai imbattuta), ha l’esatta misura del suo misfatto, e l’altrettanta crudele impressione di star facendo ciò che è giusto.
Per se stesso o per me, non mi è ancora dato sapere.
I suoi occhi tanto scuri da poterti far immaginare di essere avvolta nella notte più buia, tanto luminosi da farti sentire stretta da raggi di sole, roventi, incandescenti.
Sono letali, se non sei pronta ad un’immersione totale in calde e tranquille acque, o in oceani torbidi e freddi.
Io non lo sono mai e ogni volta che per sbaglio o non, mi ritrovo nei suoi occhi sento che una parte di me mi viene portata via, e ogni volta è sempre più grande ed importante, viene catturata, è il prezzo da pagare per secondi o minuti di puro isolamento.
Ricordo in maniera quasi dolorosa la prima volta che mi sentì persa veramente.
Semplicemente, mi ero persa, e non in una foresta ,in una enorme città cercando di andare in bar particolare o tra gli scaffali di un’enorme biblioteca, no, mi ero persa nei suoi occhi.
E non c’era niente di positivo in questa piccola ma orrenda e purtroppo reale costatazione!
Tornai nella mia camera, fissai la parete su cui frasi e frasi si accavallavano, non riuscivo a capire come potesse essere successo.
Non mi erano mai piaciuti gli occhi di colore chiaro, dopo quel giorno sperai di non vederne di diversi.
-Come l’aria, sì, tu sei esattamente come l’aria.-
-L’aria è invisibile.-
-Vero, ma è anche indispensabile.-
-Io non voglio essere come l’aria.-
-Perché? Poi lo dice anche il tuo nome, che tu sei come lei, inafferrabile, libera.-
-Il mio nome non mi è mai piaciuto, troppo corto, troppo aristocratico, troppo distante da me.-
-Non capisci, il tuo nome è quanto di più giusto abbia mai sentito, tu menti sempre, Claire è l’unica, o una delle pochissime, verità che abbia mai avuto l’onore di udirti dire.-
-Comprendo.-
Non avevo capito cosa potesse esserci di positivo nell’essere aria.
Ma non chiesi alcuna spiegazione, d’altronde io mento, sempre o quasi, senza alcuna voglia di essere creduta, ma con il solo desiderio di non dire la verità.
È un pensiero stupido, ero piccola quando per la prima volta attraversò la mia mente: io non riesco a trovare la verità, non ci riesco per quanto mi sforzi, quindi non darò a nessuno la mia.
Mi era sembrato giusto così.
Poi è semplicemente diventata un’abitudine.
Nascondere la verità, anche nelle piccole cose.
-Qual è il tuo colore preferito?- -Blu.- Giallo, perché un vestito di quel colore fa sembrare allegra perfino me.
-Preferisci il dolce o il salato?- -Dolce.- Il salato, perché quando ero bambina le torte mi facevano sentire piccola, e io non lo sopportavo, ho quindi smesso di mangiare tutto ciò che era accumunabile allo zucchero. Tutto tranne i cereali, la mia cena preferita, da prendere direttamente dalla scatola, nel letto davanti ad un buon libro.
-The o caffè?- -The.- Caffè, adoro i sapori forti e quello amaro mi lascia sempre in bocca il suo odore, non riuscirei a farne a meno neanche se mi ci mettessi d’impegno.
Io mento.
Se qualcuno mi accusasse di mentire non mi farei scrupoli a dire la verità.
Io mento. Ma sono sincera.
-Tu senti mai freddo?- mi chiese una volta. Io non risposi, era una domanda a cui non avrei potuto dire una menzogna.
Ci pensai per tutta la notte, a volte capita ancora che la mia mente vaghi per ripescare quei ricordi e quelle sensazioni per arrivare alla scoraggiante conclusione che rispecchiano ancora la realtà.
Io sento freddo sempre.
All’inizio quando ero una bambina ,per quanto per poco lo sia rimasta, ero certa che durante la vita non avrebbe mai fatto freddo, se qualche volta mi capitava di sentirlo subito mi nascondevo sotto cumuli di coperte e mi ripetevo che quello non era freddo ma il caldo che giocava a nascondino.
Adesso non riesco ad immaginarmi una vita che non comprenda più quella sensazione di lieve intorpidimento, come quando un pezzo di ghiaccio ti tocca la pelle e per un momento ti sembra di andare a fuoco e poi lentamente non senti più niente; il mio corpo è anestetizzato, a tutto.
Il dolore? La gioia? La sofferenza che ti spacca il cuore, quella che ti uccide?
Non ho neanche il più lontano sentore di emozioni forti, distruttive, vere.
Dove sono finite?
Quando hanno iniziato a sparire?
Perché non riesco a ritrovarle?
Perché sono andate via?
Ennesime domande a cui mancano e mancheranno le risposte, io di certo non le posseggo.
E lui? Se ce le avesse lui le risposte?
Sicuramente non me le direbbe.
Alla fine : fa sempre freddo. E lui lo sa.
Non sento niente. E lui lo sa.
Ho la gola secca, nessuna parola riesce ad uscire. E lui continua a farmi domande.
Io mento.
Lui vuole le mie verità.
-Forse Claire, non mi basta più.-
Questo è quello che mi detto.
Questo è quello che ha spezzato le miei ultime speranze; illusioni, per cavillare.
Non pensavo neanche più di riuscire a nutrirle delle speranze, mi sbagliavo.
E adesso? Ci riesco, adesso?
Mia nonna mi ripeteva che la speranza è sempre l’ultima a morire.
Io penso che l’ultima cosa che smette di esistere è la vita, la speranza muore prima, quando ti accorgi che non ne vale più la pena.
Il gioco non è più così allettante, la voglia di vincere non è più così radicata, la capacità di combattere non più così naturale.
Eppure, a me, sembra di passarci la vita a combattere, contro gli altri, contro la porta che non vuole chiudersi e quella in cui le chiavi non girano più, contro il sole che mi mette di cattivo umore, e la pioggia che traditrice, si fa attendere lasciandomi con solo i capelli asciutti che sentono la mancanza della loro migliore amica.
Io mento e combatto.
Lotto con me stessa ogni giorno, quando evito gli specchi (tutti, quelli trasparenti, e quelli le cui cornici sono fili di seta nera), quando maledico un angolo per avermi fatto scontrare col mio incubo personale; quando incurante di star parlando con l’aria (non io, ma quella che respiriamo, che poi sinceramente non c’è poi tanta differenza sporca sono io, sporca è anche quella), mi arrabbio con l’entità sovrannaturale che sembra prediligermi per sfogare l’altra parte della benevolenza divina ,quella verso se stessa, quella che predilige l’odio e i pregiudizi, quella brutale che scioccamente si finge di non conoscere, con giochetti sadici ed anche crudeli.
Combatto con le parole, perché a volte vorrei inventarne io di nuove solo per dare finalmente un nome alle cose, mi capita spesso di voler dire qualcosa e poi nel bel mezzo del discorso, o del pensiero, mi accorgo che delusa non va bene, e neanche arrabbiata, che bugia è una parola e non una verità, che cosciente è mentire ma incosciente anche.
Quando succede, io mi fermo e mento, dall’inizio, e se risuccede anche in questa menzogna io ricomincio e presto ancor più attenzione ad ogni accento, ad ogni lettera ad ogni stilla di sangue che ognuna di esse porta con se.
Le parole, scritte meglio che volanti, sono il prolungamento della mia mente, e riconoscere nelle mie più fedeli amiche la confusione che ormai stabilmente alberga tra i miei pensieri sarebbe solo l’ulteriore prova che forse in fin dei conti quella che ha sbagliato qualcosa (per non dire tutto) sono io, perché gli altri le parole le trovano.
Lui ,poi, ha scelto la strada più facile, ha deciso che le parole non sono tutto, che se non sei arrabbiato, ma molto più che incazzato, tiri un pugno in faccia alla causa di ciò, non sfogli un dizionario per definire finalmente il tuo stato d’animo.
Lui ha capito che il fare è molto meglio del dire, che le azioni difficilmente possono essere mal interpretate, e se succede, la colpa non è comunque più la tua ma di chi non ha letto bene il significato.
-Hai mai provato a dare il permesso ad entrare? Tu sei come una porta, anzi pensandoci meglio, un portone magnifico, decorato dal miglior pittore di cui abbia mai ammirato un’opera, ai cui piedi però non hai steso un tappetino di benvenuto, ma uno sul quale inviti caldamente a sparire in meno di tre secondi.-
-Io non aprirò la mia porta, non avrò un patetico tappetino di benvenuto però tu stai ancora lì davanti e mi stai impedendo di uscire.-
-Sai, io sono convinto che il tuo tappetino ,all’inizio almeno, era patetico come quelli di tutti gli altri comuni mortali, la tua scritta si è solo staccata e tu ne ha approfittato per ridipingere quello che ti sembrava migliore.-
-Pensa quello che vuoi.-
Non rispose se non con una risata.
Adesso nessuno attende sul mio uscio.
Adesso nessuno mi impedisce di uscire, e io vorrei solo avere la forza di farlo per rincorrere qualcosa, qualunque cosa, una farfalla bianca, un cane che vuole giocare, una persona che vuole amare.
Nessuno, perché Claire non gli basta più.
E io mi sento vuota.
Ne vale la pena, Claire?
Non lo so.
Stai mentendo?
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Olmak_