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Autore: Seren_alias Robin_    14/10/2012    6 recensioni
“Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita.”
Con quella frase Nizan, quel filosofo sconosciuto, aveva conquistato la sua stima. Non avrebbe avuto dubbi su quale traccia scegliere.
Vera e Matteo.
Altra storiella partorita dal mare, che non completerò mai probabilmente. O si. Che ne so.
Le mie storie restano a metà, perché io sono a metà.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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http://www.youtube.com/watch?v=ADmCFmYLns4
 
Of Before.
Era un singolo di Frusciante da solista, dell’album Shadows Collide with People.
Matteo lo aveva scovato sull’Ipod di Vera, un brano perso in una sottocartella, probabilmente ascoltato pochissime volte. Il testo era semplice, ma forte. Parlava di un uomo perso in una forte luce, definita come una stella in volo troppo luminosa per lui, tanto da non essere in grado di coglierne i frutti. E finiva per svegliarsi ogni giorno continuando a non vedere via d’uscita, perché la notte distruggeva il percorso che cercava di costruire per arrivare a lei, la sua stella in volo, la sua luce.
Non le aveva ancora restituito l’Ipod. Era certo che vi avrebbe trovato ancora tante meraviglie come quella.
Accarezzò con la punta delle dita la spalla illuminata appena di Vera, che ancora dormiva beatamente con un’espressione di serenità di cui non vi era traccia l’ultima volta che era rimasto a guardarla dormire.
Era il finire della notte, l’orario più bello per le ultime stelle, privilegio per pochi eletti. Eppure erano le stesse stelle da secoli. Stelle custodi di magnifici segreti, compagne di migliaia di sospiri persi nel tempo, spettatrici di grandi amori consumati.
Un po’ come Nunzia, che era rimasta a dormire con Francesco un’altra volta, ma stavolta di proposito. Anche lei come quelle stelle, custode del loro bellissimo ritrovarsi, aveva deciso di far loro un regalo.
Avrebbe voluto svegliare Vera solo per poterle dire che era bellissima lì, stretta finalmente tra le sue braccia. Le sue labbra presero il posto delle dita, baciandole la pelle fresca delle spalle esili. La ragazza dormiva in modo buffo, con un piede sollevato e le labbra imbronciate. Sorrise, e la baciò. Stavolta doveva averla svegliata sul serio, perché spalancò gli occhi dapprima spaventata.
-          Tu. Fammi dormire. – sorrise, girandosi dall’altra parte.
-          Non posso. Non è giusto che tu dorma così e io no. –
-          Cosa ti impedisce di farlo? – rispose con voce flebile, ancora molto stanca.
-          Sono accecato. –
Vera non capì il senso di quelle parole d’amore, ma si voltò nuovamente verso di lui, accoccolandosi tra le sue braccia.
-          Dormi, Matteo. –
-          Solo se mi canti la ninna nanna. –
-          Hai vent’anni. Non rompere. –
La vide richiudere gli occhi, ma non il sorriso.
-          Vera. –
-          Cosa c’è? –
-          Hai mai ascoltato quella canzone dei Maroon 5 dove nel videoclip c’è Adam Levine con una biondona in un letto, e la gente li guarda da un vetro? –
Spalancò gli occhi, sembrava quasi arrabbiata. – Cioè, di tutto il video tu hai notato solo la bionda vero? –
-          Stavo per dirti una cosa bellissima, ma non te la dico più –
Stavolta fu lui a darle le spalle, ritirando il braccio che la stringeva. Vera si tirò su e prese a picchiarlo.
-          Ferma Vera, se si alza tua madre sono dolori. –
-          Voglio la mia carineria delle 5 e 10 del mattino e la voglio adesso. Non mi importa se dovrò svegliare tutta la casa. –
-          A me un po’ si. Vorrei avere ancora le gambe per camminare alla fine dell’estate. –
Smise di picchiarlo, ma incrociò braccia e gambe rifiutandosi di avvicinarsi troppo a lui. – Allora? –
-          Niente – rispose lui con un sorriso ironico, cercando di tirarla per un braccio. – Tu sei molto più carina di quella biondona del video. –
Vera si lasciò scappare un verso che sapeva un po’ di sbruffo.
-          E poi, sai, se non ricordo male la traduzione, lui dice, canta in realtà, che non avrebbe più lasciato quel letto. Ecco. Io non vorrei mai dover lasciare questo letto, adesso. –
La vide sciogliersi in un sorriso. Tornò affianco a lui, stringendolo. – E non potevi dirmelo senza citare la bionda? –
Matteo sorrise e prese ad accarezzarle i capelli, prima di addormentarsi di nuovo insieme a lei.
 
 
-          Alzati. –
Quella voce calda di mattino cercava con tutte le sue forze di non risultare fastidiosa, ma proprio non ci riusciva.
Matteo resistette all’impulso di tapparsi le orecchie e obbedì, sbadigliando. Cercò di muoversi il meno possibile mentre si tirava su, per non svegliare Vera che ancora dormiva beata alla ricerca di quell’abbraccio che gli era stato appena sottratto, trattenendo l’impulso di baciarla di nuovo, ed uscì dalla stanza seguendo i passi di sua cugina. Fortunatamente era l’unica ad essere già in piedi in casa. Guardò l’orologio a cucù di legno appeso alla parete in corridoio, sbruffando perché erano solo le otto e mezzo del mattino.
-          Non posso fare questa vita. –
Nunzia lo guidò in cucina, spalancò le due grandi finestre dalle tende blu e si fiondò sul frigorifero.
-          Vuoi fare colazione o preferisci andare a dormire un altro po’? –
-          Non credo che riuscirei a dormire. – rispose Matteo versandosi un po’ di caffè in una tazzina con su il disegno di una faccina sorridente.
-          Odio queste tazzine. – disse Nunzia mentre si sedeva anche lei, guardando il piccolo oggetto blu che suo cugino reggeva. – Sono un regalo della prima ragazza di Francesco, e sono ancora in questa casa, da anni. –
-          Beh. Sono carine. –
-          Già. Le vedi carine perché sei felice. Pensa a dover bere il caffè da una di queste sottospecie di tazzine dopo una nottata tremenda. Penseresti che non c’è proprio niente da sorridere. Penseresti che il mondo vuole prenderti per il culo. –
-          Ma che pensieri profondi alle otto del mattino, cugina cara. Ma in fondo non hai tutti i torti. – finì il suo caffè, poi senza averlo premeditato, buttò la tazzina nell’immondizia. Nunzia lo guardò con occhi sgranati. – Prometto che comprerò un servizio nuovo oggi. Non saranno delle stupide tazzine a farvi arrabbiare. –
-          Farvi? –
-          Siete in due ormai. – sorrise lui alzandosi. Le diede un bacio leggero sulla fronte. – Non posso crederci ancora. –
Nunzia sorrise, si alzò e abbracciò forte il cugino. In quella vacanza stava imparando a conoscerlo molto più di quanto ci fosse riuscita prima di allora. E con un gesto naturale, prese anche le la sua tazzina e la lasciò scivolare giù nella pattumiera. Non si ruppe. Un chiaro segno che il passato non si poteva cancellare. Ma i suoi fantasmi si.
-          Vorrei che fosse una bambina. – disse ancora Matteo, più a se stesso che a lei. – lo so cosa stai per dirmi. L’importante è la salute e tutte le stronzate solite. Ovvio, lo sappiamo tutti che l’importante è che la piccola stia bene. Ma ecco, si, se fosse femmina sarei ancora più felice. Sarebbe bellissima. –
-          La piccola. Ne parli già come se lo sapessi. –
Questa volta Matteo non disse niente, si sedette ancora una volta e aprì il giornale.
-          Matteo, come vanno le cose con Vera? – chiese Nunzia all’improvviso. Il ragazzo alzò lo sguardo. Si chiese fino a che punto valesse la pena mentirle.
-          È semplicemente adorabile. E non vedo l’ora che si alzi da quel dannato letto. Pensi che possa bastarti come risposta? –
 
 
Vera quella notte non aveva sognato nulla. O almeno non vi era traccia di sogni al suo risveglio. La notte le aveva portato via oltre che le stelle, anche le braccia di Matteo. Non era più affianco a lei, ma era rimasto il suo calore sulle lenzuola colorate, il profumo della sua pelle che aveva cercato per tutto il tempo che erano rimasti insieme. Sorrise, chiedendosi se non fosse proprio quello il sogno che non riusciva a ricordare.
Si alzò e cercò il cellulare. Non c’era ancora nessun messaggio per lei quella mattina. Voleva chiamare le sue amiche, raccontare loro quanto era successo la sera prima, ma era certa che stessero ancora dormendo, non erano nemmeno le dieci. Stiracchiandosi per l’ultima volta accese la radio sul suo cellulare e infilando le cuffie si fiondò in bagno. Quella mattina i vj dovevano essere tutti depressi, o forse era lei ad essere troppo esigente. Si rese conto di quanto le mancasse il suo Ipod quando beccò un pezzo di Marco Carta, e decise di rimettersi alla ricerca immediatamente. Indossò un paio di pantaloncini blu e una maglia enorme che aveva comprato all’Hard Rock di Barcellona, quando sbagliò taglia e finì per comprarne una maschile. Fu la prima volta che le saltò in mente l’idea di un viaggio insieme ai suoi amici. Non aveva fatto il viaggio della maturità, suo padre era stato irremovibile. Ma con l’anno nuovo magari avrebbe avuto modo di riprovarci, di convincerlo. Sognava la Grecia, Vera. Sognava le isole. Santorini, oppure Mykonos con le loro stradine, il mare cristallino e i mercatini dove poter comprare delle splendide collane a tutti. Sognava una settimana in una di quelle casette bianche dai tetti blu del cielo, che aveva visto solo in foto su internet o tra gli album del viaggio di nozze dei suoi zii. Paradisi, che non vedeva l’ora di fotografare.
Pensando alla meraviglia di quei posti ancora inesplorati, capì che non aveva molta voglia di andare al mare quella mattina. Si diresse verso la cucina mentre mandava lo stesso messaggio a Giusy e Selene.
Erano già tutti in piedi, come ogni mattina era l’ultima. Solo che stavolta Matteo era rimasto lì ad aspettarla. Nemmeno lui aveva messo il costume, ma era bellissimo con la sua maglietta nera dei Pink Floyd e i pantaloncini. La guardò sorridendo, complice e colpevole, e fu una fortuna che altri fossero presenti altrimenti probabilmente non avrebbe saputo resistergli. Affianco a lui sua madre e sua nonna stavano armeggiando con le borse.
-          Buongiorno tesoro. Dormito bene? – la salutò sua madre con un sorriso.
-          Benissimo mamma, grazie. – rispose, sedendosi vicino a Matteo.
-          Ho aspettato, ma ora devo proprio uscire con tua nonna. Vuole che l’accompagni a fare la spesa e poi da sua sorella, sai quella che abita vicino alla gelateria, hai capito dove? Vera, mi ascolti? –
In realtà Vera aveva ascoltato fino alla parola “uscire”. Matteo aveva preso ad accarezzarle una gamba da sotto il tavolo e lei faticava a restare concentrata sulla conversazione con la madre.
-          Si mamma scusami. Non preoccuparti, vuoi che prepari io qualcosa per l’ora di pranzo? –
-          No, penso di rientrare prima. – concluse, baciandola sui capelli. Salutò gli altri ed uscì seguita dalla nonna. Non appena la porta si chiuse, Vera spinse Matteo lontano da lei.
-          Grazie, davvero. Per un po’ mia madre non capiva qualcosa. –
-          Buongiorno anche a te Vera, sei bellissima stamattina. –
-          Idiota.  Ti sei alzato presto stamattina? –
-          8 e mezza. Tutto per colpa tua, e devo anche farmi trattare così. Ti pare giusto. –
A quel punto Vera, senza neanche controllare se in quel momento ci fosse qualcuno o stesse per arrivare, lo baciò. Quella notte non c’erano stati troppi baci tra di loro, forse per questo Matteo li ricordava uno ad uno, ma riscoprire quelle labbra fu bellissimo come la prima volta.
-          Buongiorno Matteo. – disse infine, stampandogli un ultimo bacio veloce. – Cosa vorresti fare stamattina? –
-          Possiamo restare anche a casa per me, non è un problema. –
Il telefono di Vera vibrò sul tavolo. Selene.
-          E invece no. – rispose Vera. – Si va al lido, Selene ci aspetta lì tra mezz’ora. –
Matteo non chiese chi fosse Selene, ma dallo sguardo felice di Vera capì che si trattava di una persona importante per lei, che non poteva definire con delle sciocche parole. Dal canto suo, Vera era certa che la sua amica si sarebbe fatta amare anche da lui.
Allo stesso tempo si rese conto di quanto le mancasse Giusy. Aveva parecchia voglia di rivederla, e sul messaggio di risposta le aveva scritto che quella sera forse sarebbe passata insieme ad Andrea. Aveva troppe cose da raccontare a tutti loro che probabilmente non sarebbe bastata una cassa intera di thé alla pesca. Guardò Matteo, che di tutte le sue lacrime secche non ne sapeva niente, e quasi non credette possibile come nell’arco di poche ore tutto potesse essere cambiato tanto.
Matteo l’aveva baciata. Una, due, tre volte… non poteva trattarsi di un errore. E nemmeno di un sogno.
 
 
Il lido dove si erano date appuntamento si trovava vicino alla spiaggia, ma non c’era mai troppa gente di mattina. A dire la verità quel giorno sembrava ci fosse solo Selene abbandonata su una sdraio arancione, che indossava un paio di occhiali scuri grandi e leggeva un libro giocando con una ciocca di capelli spettinati dal vento con le dita, mentre la radio passava distratta Naive, dei The Kooks. Appena vide arrivare Vera insieme a Matteo però sorrise, e alzò la mano facendo loro segno di avvicinarsi. Vera l’abbracciò forte facendole volare a terra gli occhiali, ma Selene non ci badò. La guardò come a voler cercare risposte nei suoi occhi ridenti, e forse vi lesse sul serio qualcosa perché si voltò per scrutare Matteo. Gli occhi di Vera caddero sul libro che stava leggendo. Non ci poteva credere. Wuthering Heights.
-          Lo leggi in lingua originale? –
-          Ovviamente. Tante sfumature sfuggono alla traduzione. –
-          Vorrei esserne capace anche io, si. – sospirò Vera ridendo. – E’ il mio libro preferito. –
-          Chissà perché lo sapevo. Piacere, io sono Selene. – aggiunse, allungando la mano verso Matteo.
-          Matteo. –
Ma non fu lui a parlare, bensì una voce alle sue spalle. Jenny li aveva visti da lontano e li aveva raggiunti correndo. Probabilmente veniva dalla spiaggia, perché indossava un mini costume colorato che le metteva in risalto il fisico perfetto, e i lunghi capelli biondi erano ancora umidi di sale. Una volta raggiunti, si chinò su Matteo e lo baciò sulle labbra.  Quando quelle labbra si erano unite qualcosa si era staccato nel petto di Vera.
Avrebbe ringraziato per sempre il suo autocontrollo, che non le permise di scappare lì nel cesso di quel lido. Sentiva Selene vicinissima, ma non riusciva a guardare nessuno di loro. Il suo viso rimase fisso sulla copertina del libro che l’amica aveva lasciato sul tavolo, consumata dal tempo. Doveva piacerle davvero tanto. Intorno a lei era tutto un brusio di voci indistinte, confuse. L’unica cosa che importava al mondo era solo quella copertina e i suoi colori.
Era Siberia, l’immagine che tanto la teneva incollata. Un quadro ad olio del 1894 di Vasnetsov. Non lo conosceva, ma l’ipnotizzava. Non sapeva neanche bene cosa potesse c’entrare con la storia di Heathcliff e Catherine, ma non le interessava in fondo. Stava sfuggendo alla realtà, e poco importava se stesse usando la copertina di un libro per farlo. Non poteva strapparsi gli occhi.
-          Ciao Vera. – Jenny stava salutando lei. La sua voce sembrava un eco, un eco fastidioso che non le permetteva di dormire.
Lasciami in pace, sto osservando un bellissimo quadro che non aveva mai visto prima…
-          Non sapevo foste qui, siete arrivati da tanto? –
Ripensandoci, quel quadro proprio non le piaceva. Aveva rovinato la copertina di un libro meraviglioso.
-          Tantissimo, stiamo andando via. – la voce di Selene risultava più autentica, quasi facesse parte anche lei del suo dolore strano, che sentiva crescere man mano che Jenny parlava. La sentì blaterare altre frasi senza senso, finchè non pronunciò l’ultima che per lei, Vera, aveva meno senso di tutto il resto.
-          Io e Matteo ci siamo messi insieme. –
 
 
 
 
 

   
 
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