Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: _Lakshmi_    14/10/2012    3 recensioni
[...] ero una cosa che non avrebbe dovuto nascere: il frutto dell’unione fra uno Shinigami e un Demone
L'avventura di Pandora inizia in una grigia Londra di fine XIX secolo. Lei si trovava lì per lavoro, per scoprire qualcosa di più sulla morte di un barone. E sarà proprio qui dove incontrerà dei personaggi un po' speciali, che l'aiuteranno nei momenti più difficili (forse) e che le renderanno la vita un Inferno...
Genere: Avventura, Azione, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Undertaker, William T. Spears
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Terzo Capitolo

Terzo Capitolo:

Il risveglio

 

Guardavo mio padre mentre leggeva un voluminoso libro antico.
La luce della candela gli illuminava il viso dai tratti dolci, mostrando la pelle perfetta, gli occhi verdi giallastri bellissimi e la lunga chioma mossa e aurea. Teneva la testa leggermente inclinata, concentrato nella lettura, però, appena incrociò il mio sguardo timido, fece subito un ampio sorriso e tese la mano destra, come se mi volesse al suo fianco.
Mi alzai dal mio posto di totale ombra e cominciai a correre verso di lui, anche se fu completamente inutile.
Ogni passo che facevo, si allontanava sempre di più, fino ad abbandonarmi nel più totale buio e solitudine.
Dopo un attimo di completo silenzio, si levarono le risate di alcune figure grigie che nel frattempo mi avevano circondato. Esse mi schernivano, chiamandomi Mostro, Abominio persino Demone.
Effettivamente ero una cosa che non avrebbe dovuto nascere, il frutto dell’unione fra uno Shinigami e un Demone, eppure mi sembrava un accanimento fin troppo esagerato: insomma, anch’io avevo dei sentimenti e loro -quei volti cinerei senza nome- me li avevano calpestati come se niente fosse.
Però, al contrario di ciò che pensavano, io non ero un ragazza debole (almeno caratterialmente). Raccolsi ogni mio granulo di forza e scattai in avanti, pronta a far zittire una di quelle tante sagome con un sonoro pugno in pieno viso. Purtroppo, proprio quando stavo per reagire, la scena intorno a me si scurì improvvisamente, diventando totalmente nera per qualche istante, finché non aprii gli occhi.
All’inizio vedevo unicamente delle figure sfocate intorno a me, poi quando mi abituai alla fioca luce e sforzando anche un po’ di più la vista, quelle forme divennero più definite.
Mi sedetti, guardando il pollo Shinigami che era intento a divorare i biscotti a forma di osso, i quali avevano riscosso abbastanza successo visto che anche la bambina, seduta su una bara poco distante, li stava mangiando.

<< è viva!>> esultò la ragazzina, correndo verso di me.

<< Cavolo... ed io che avevo puntato il contrario>> bofonchiò il volatile << Ehm... va bene se ti pago con fiale di dubbia provenienza? Non ho spicci con me>>

Lei frenò la corsa e si diresse verso il gallo, cominciando poi a scuoterlo come se si trattasse di uno di quei porcellini-salvadanaio. Con un tintinnio acuto, caddero al suolo talmente tante monete e pacchetti di banconote che restai esterrefatta. Nella mia vita non avevo mai visto così tanti soldi tutti assieme.

<< Violet, lasciami! Quelli sono miei, li ho guadagnati onestamente!>> poi, accorgendosi forse dell’enorme sciocchezza che aveva detto, continuò << Insomma... a voi non interessa come li ho guadagnati! Siete soltanto delle vecchie megere>>

Sospirai e poi sobbalzai, notando soltanto in quel momento che mi trovavo in una bara.
Un brivido di freddo mi percosse la schiena: c’era mancato pochissimo alla mia morte.
Non tardai ovviamente a balzare fuori dal luogo del mio futuro ultimo viaggio. Futuro remoto, spero.
Scostai i petali color cobalto dalla mia lunga chioma, notando con orrore che era... candida come la neve appena caduta.
Okay, devo ammetterlo, non ero bionda naturale infatti usavo l’henné per colorarli, però c’era un motivo ben preciso sul perché me li tingevo. Insomma, con i capelli della mia vera tonalità sembravo tale e quale a mia madre (tranne per gli occhi) e visto che lei era un demone, volevo assomigliarle il meno possibile.
Ero cresciuta con una mentalità da Shinigami e per me era molto difficile accettare la verità di non poter mai essere una creatura completa. Ero un Dio della Morte che per combattere si serviva anche dei poteri demoniaci, perché, sebbene ogni volta ricevevo una ramanzina da William e nei casi più gravi rischiavo anche di rimetterci il posto, era nella mia natura. Seppur mi sforzassi di essere una Shinigami in tutto e per tutto, quando combattevo non riuscivo ad utilizzare unicamente la metà delle abilità, poiché avrei rischiato di rimetterci la pelle. Non ero invulnerabile come i miei colleghi, (anche se avevo comunque delle resistenze elevate) quindi mi veniva spontaneo utilizzare ogni mio potere sovrannaturale pur di salvarmi dalla morte.

<< Volete del tè?>>

Il becchino fece capolino da una porta che, con molta probabilità, conduceva ad una sorta di laboratorio. Portava un vassoio su cui erano appoggiati dei contenitori con delle tacche sui lati, o almeno così credevo, perché avevo la vista un po’ annebbiata.

<< Io lo bevo volentieri>> dissi mentre con lo sguardo cercavo le mie lenti. Dove potevano essere andate a finire? Come minimo le aveva ancora fra le ali quel volatile da padella.

<< Ti sei svegliata. Era comoda la bara che ho fatto su misura?>>

<< Ehm... sì... per essere comoda è comoda. Ma... sei stato tu a togliermi la tinta?>>

<< Sì! Ti ha anche cambiato l’abito! Il tuo era tutto rovinato e poi con quella tunica stai molto bene!>> rispose la bambina.

Diventai bordeaux. Dentro di me bruciava un sentimento misto fra imbarazzo e nervoso che sfociò però in un mutismo irreale.
Fin da piccola non avevo mai amato l’idea che qualcuno mi vestisse, infatti William quando voleva farmi indossare degli orripilanti vestiti da bambina doveva sempre chiedere l’aiuto di altri due Shinigami per tenermi ferma. Lui diceva che era faceva tutto ciò per mia madre, infatti lei avrebbe tanto voluto vedermi agghindata come una bomboniera ambulante. Io invece ero convinta che lo Shinigami tanto fissato con le regole possedesse, nel profondo, una mente sadica e bacata, simile a quella di Grell.
Insomma Will, colui che si lamentava tanto dei Demoni, cambiava radicalmente opinione quando parlava di mia mamma, come se in passato l’avesse conosciuta e... avesse provato dei sentimenti.
Ovviamente questa era fantascienza, poiché l’omino di ghiaccio non poteva provare emozioni. Mi aveva presa con sé unicamente perché era stato un preciso ordine proveniente dai piani alti, non di certo per misericordia.
Afferrai la tazza di tè e poi, dopo aver aggiunto tre cucchiai di zucchero e tanto limone, sorseggiai la bevanda assorta nei miei pensieri.
Non riuscivo a comprendere l’atteggiamento di
William T. Spears: si comportava come un iceberg nei miei confronti, però appena mi mettevo in qualche guaio (e ciò succedeva abbastanza spesso) o per recuperare un’anima impiegavo più tempo del previsto, lui era sempre il primo a preoccuparsi (a detta di Grell); poi, ogni volta che completavo un incarico, il pinguino gelido non perdeva mai l’occasione per ripetere le regole che gli Shinigami dovevano rispettare e che nessuno di essi rispettava.
Quanto avevo odiato quel libro di norme che lui utilizzava come Bibbia. Normalmente i genitori leggevano ai figli le storie della buonanotte, non le sanzioni da pagare se uno trasgrediva una legge.

<< Comunque, Shinigami dall’ascia bipenne, non preoccuparti: fra te e l’asse da stiro la differenza è minima>> ridacchiò il pollo.

Avvampai ancora di più tentando di mantenere la calma, anche se la mia mano avrebbe voluto impugnare la falce e  amputargli la testa.

<< Quindi non è che c’era tutta ‘sta vista>> aggiunse poi, raccogliendo le banconote sparse sul pavimento.

Purtroppo i miei buoni propositi di mantenere un minimo di autocontrollo vennero meno, così afferrai il gallo per la gola e lo lanciai contro la porta del negozio. Sfortunatamente, suddetto uscio si aprì e il volatile piombò contro lo sciagurato avventore.

<< Non si ferisce una verginea fanciulla! Soprattutto in viso!>>

Quella voce mi fece raggelare il sangue, perché era fin troppo familiare, fin troppo... Grell. Non avevo altre parole per descrivere quel suono e soprattutto la personalità dell’individuo che lo aveva prodotto.
Grell è un mio collega, un essere piuttosto particolare, con dei lunghissimi capelli rossi come il sangue e degli occhi verdi-giallastri da Shinigami nascosti dietro a degli occhiali con una montatura del medesimo colore della chioma. Forse sarà stato per il suo viso un po’ troppo effeminato, forse per il suo abbigliamento da donna o per il fatto che spesse volte parlava di sé come se fosse una ragazza, però all’inizio l’avevo scambiato veramente per una femmina.
Era stato uno shock scoprire che in realtà si trattava di un ragazzo.
Mi ricordo ancora quel giorno, il giorno in cui smisi di pensare che esistesse un solo Dio della Morte sano di mente.
Da piccola mi piaceva bere il tè con il pinguino di ghiaccio e, oltre alle solite discussioni tipo “come è andata la giornata” e “ricordati le regole degli Shinigami” ad un tratto dissi: “Sai, oggi ho giocato con le bambole con una signora molto simpatica. Si chiamava Grell e sembra che si sia presa una cotta per te!”
William per poco non sputò la bevanda nella tazzina.

“ Pandora... Grell non è una donna e ti consiglio di lasciarlo stare, non è affidabile”
Ovviamente l’Iceberg -invece di mantenere la sua freddezza da Siberia -  poteva essere anche un po’ più delicato, ma in questo modo non sarebbe stato lui.
Grazie a questo episodio della mia vita, smisi per sempre di giocare con le bambole, dedicandomi invece al disegno, a suonare il pianoforte e a studiare con serietà per diventare una brava Shinigami (certo, come no).

<< Panda - Chan?>> domandò il Dio della Morte.

<< Grell? Che...>>

Capii subito il motivo della sua presenza quando entrò un maggiordomo spilungone con i capelli corti neri ( e se devo essere sincera, pure carino), seguito da un bambino vestito da conte e con un occhio coperto da una benda.
Frederick, dopo essersi ripreso dal volo, guardò in malo modo il servitore. Probabilmente si era accorto dell’aura demoniaca che questo emanava.
Vidi il gallo sfiorare con l’ala una delle provette, ma poi si bloccò e balzellò verso di me. Purtroppo però, prima di riuscire a raggiungermi, venne afferrato per il collo da Grell, ma a quel punto intervenne la bambina.

<< No, signore! Quello è il nostro animaletto domestico, si chiama... ehm... Cocò>>

<< Questa palla di penne ha osato ferire una fanciulla indifesa>>

<< Ma è stata la mamma a trovarlo! E poi papà me lo ha affidato, dicendo di prendermene cura>> disse la ragazzina, prendendo il pollo per le zampe.

Quando Frederick emise un ululato soffocato per il dolore –perché i due stavano giocando a tiro alla fune e la fune in questione era lui- il maggiordomo li richiamò all’ordine. Probabilmente il conte era innervosito dalla scena e gli aveva chiesto di farli smettere.
Il gallo, cadendo su due zampe, guardò in malo modo Undertaker che, nel frattempo, stava ridendo come un dannato.
Io stavo bevendo tranquillamente il tè, anche se mi scappò un risolino quando vidi il volatile con le piume arruffate e una faccia da serial killer. Malauguratamente la mia allegria svanì improvvisamente quando notai una rosa blu posata nella bara in cui avevo dormito.
Un fiore che mi faceva tornare in mente troppi avvenimenti.
Distolsi lo sguardo, per posarlo poi sul volto del becchino. Per un attimo mi parve di intravedere delle iridi verdi-giallastre sotto la folta frangia grigiastra. Erano fisse su di me e, facendo scorrere gli occhi fin sulle labbra, notai la sua espressione incredibilmente seria. Durò un attimo, perché quando si rivolse al bambino, aveva già un ampio sorriso.
Il nobile spiegò perché si trovava lì: voleva infatti avere dei dettagli in più sulla morte di alcuni ragazzini londinesi.
Questa discussione sembrò ferire Violet, allora –con il permesso del proprietario del negozio- l’accompagnai nel laboratorio dove venivano abbelliti i cadaveri.
Non era un posto molto allegro, perché era una stanza cupa, con i muri su cui vi si trovavano delle macchie rossastre e sparpagliate qua e là c’erano delle bare scoperchiate con dentro i morti.
Recuperai un paio di sgabelli e ci sedemmo. Dopo un lungo attimo di silenzio dove si sentivano soltanto le voci in riverbero della stanza adiacente, finalmente si decise a parlare.

<< Io dovevo essere una di quei bambini>> mugugnò << dicevano che non ero forte e poi altre parole in una lingua strana. Allora ho iniziato a correre spaventata, ma mi hanno seguito... e poi sono arrivata qui>>

<< Loro? Erano più di uno?>>

<< Sì, circa quattro o cinque. Erano tutti incappucciati, ma era come se li vedessi soltanto io... non so come spiegarmi, perché anche quando quei signori richiamarono delle spade gigantesche, i passanti continuavano a camminare normalmente >>

Calò ancora l’apparente silenzio.
Non volevo insistere, perché potevo leggerle negl’occhi lucidi una sofferenza ineguagliabile mentre raccontava quell’esperienza.

<< Te ne andrai?>> domandò ad un tratto chinando il capo per non mostrare le lacrime che le scorrevano sul viso innocente.

Come faceva una persona estranea a starle così tanto a cuore?

<< Probabilmente sì, non ho più niente...>>

La piccola corse verso di me e mi abbracciò.

<< Non abbandonarmi! Tu e gli altri siete la mia unica famiglia...>> disse, singhiozzando.

Rimasi stupita a sentire quelle parole, perché mi fecero tornare alla memoria ciò che avevo urlato a mio padre in quel lontano giorno d’inverno.
Era finalmente giunta la festa di Natale, la celebrazione che tutti i bambini aspettavano con ansia per ricevere i regali dai loro familiari. Io mi ero svegliata alla buon ora e correvo felice per casa, pronta a scartare il mio pacchetto.
Purtroppo, come unico dono ricevetti una pugnalata al cuore. Nella scatola infatti trovai una rosa blu, realizzata con pietre preziose, e un biglietto con scritto “Arrivederci, bambina mia”.
Guardando il paesaggio candido fuori dalla grande finestra, notai quella figura longilinea completamente vestita di bianco allontanarsi sempre di più. Si voltò solamente per darmi un’ultima occhiata sorridendo, prima di svanire per sempre dalla mia vita.

<< No, non preoccuparti... io non ti abbandonerò>> mormorai.

La sera ormai tarda aveva avvolto l’Inghilterra in una calda morsa. Le ombre degli imponenti edifici si erano tramutate in delle bislunghe figure storpiate dal chiarore pallido della luna, rendendo tetro e apparentemente irto di pericoli il panorama londinese.
Appoggiata alla ringhiera in ferro dell’angusto balcone dell’appartamento del becchino, posto sopra alla bottega, mi godevo la visione.
In teoria dovevo riposare, perché le ferite che avevo riportato erano gravi, però il materasso che il proprietario del negozio mi aveva gentilmente offerto era... duro come una roccia. L’opzione “B” era quella della bara, ma il mio cervello si rifiutava categoricamente di dormire nuovamente in una cassa da morto.
Sfiorai la Death
Scythe al mio fianco, poi mi concentrai ad osservare i suoi particolari: la pianta rampicante di rose senza né fiori né foglie era in rilievo e si attorcigliava su tutta l’impugnatura; un teschio candido era posto sulla parte che congiungeva il manico alla lama, soffermandomi poi sulla corona di spine che gli cingeva la fronte.
Era imbevuta di un colore rosso cremisi con qualche screziatura nerastra. Il sangue del nemico che avevo abbattuto.
Erano immagini che non riuscivo ancora ad assimilare, perché non avevo mai incontrato una bestia simile e dovevo ammettere che ucciderlo era stata l’impresa più difficile della mia vita. Non esagero, in vent’anni o poco più non avevo mai rischiato di morire in un combattimento.
Mi era già capitato qualche scontro ostico, ma mai così. Nel mio piccolo mondo non c’erano di certo serpenti piumati, esistevano soltanto Umani, Demoni, Angeli e Shinigami ( e anche i Soul Reaper, però, per ora, nella mia testa avevano un ruolo secondario); scoprire che poteva esserci qualcosa di diverso mi aveva lasciata un po’ spaesata.

<< Ihihihi... una ragazza non dovrebbe giocare con le armi>>

Mi voltai di scatto, vedendo il becchino fermo sulla soglia. Mi stava guardando con il suo ormai classico sorriso da far venire i brividi.

<< hai ragione, Shinigami>> risposi, compiacendomi della sua espressione parzialmente sorpresa.

<< Seriamente, sarò pure mezza cieca, ma non così tanto da non accorgermi della tua natura>> aggiunsi facendo un profondo sospiro.

Lui si avvicinò e appoggiò i gomiti sulla ringhiera del balcone, osservando la Londra notturna. Ci fu un attimo di pausa, di silenzio, di riflessione.

<< Sei una ragazza curiosa>> disse senza distogliere l’attenzione dalla città << Mezzo Demone>>

<< E tu sei un becchino bizzarro. Posso sapere il tuo nome?>>

<< Undertaker>> rispose lui << Non hai sonno?>>

<< Sì... no... non lo so. Stavo riflettendo. Sai, all’inizio ero venuta unicamente per sapere più dettagli sulla morte del barone, per scoprire se erano stati più mostriciattoli ad ucciderlo o soltanto uno...>>

<< ti interessi ai cadaveri?>>

Lo fulminai con lo sguardo. Odiavo profondamente le frasi con doppi sensi perché non sapevo mai come rispondere.

<< Provo un profondo rispetto per i morti, sì. Forse è per questo che ho trasgredito alle regole del sacro libro, oltre al fatto che sul momento la vendetta era il mio unico pensiero. Nessuno deve mettersi fra me e il mio lavoro... anche perché riceverei una lunga lista di rimproveri da parte del mio superiore>>

Fu allora che pensai al probabile stato di William. Con indosso la sua camicia da notte azzurra a righe bianche e le pantofole a forma di coniglio, stava sicuramente elaborando un malefico piano per punirmi.
Già, l’omino di ghiaccio non si preoccupava di certo della mia salute. Grell diceva il contrario, ma io non riuscivo a immaginarmi un Will agitato per una persona, soprattutto se quella persona ero io.
Non era mio padre, anche se in definitiva mi aveva cresciuto lui, era soltanto quello che prendeva e mi metteva sulla via del bene. Tuttavia riuscivo sempre a sgattaiolare lontano da quella strada perfetta, trascinandolo involontariamente in enormi guai che poi era costretto a risolvere. Nei suoi confronti ero sempre stata una ragazza indisciplinata e testarda, una palla al piede insomma.

<< Comunque grazie per tutto, Undertaker>> dissi sorridendo leggermente.

<< Hai un sorriso inquietante>> bofonchiò Frederick, il quale si era appollaiato affianco a me.

Diventai bordeaux per il nervoso poi afferrai il pollo e lo scaraventai contro il muro della casa di fronte.
Infine rientrai e mi lasciai cadere sul materasso ad una piazza, ululando poi per il dolore perché con la mia azione avevo rischiato di frantumarmi l’osso sacro.
Mi aspettava una lunga notte insonne, quasi rimpiangevo il mio morbido letto con il mio coniglio di peluche grigio. Era stato il primo e ultimo regalo di William per me, quindi c’ero molto affezionata, anche se me lo aveva donato quando ormai avevo compiuto la maggiore età.
L’espressione imbarazzata dello Shinigami mentre mi consegnava il pupazzo era stata unica, epica. Negl’anni a venire, ripensando all’avvenuto, avevo riso per non so quanti minuti, forse anche per mascherare la gratitudine.
Abbracciai il cuscino in penna, poi serrai gli occhi, cercando in tutti i modi di addormentarmi.


<< Buonanotte, demone>> sussurrò una voce al mio orecchio quando ormai il sonno mi aveva trascinato lontano, un mondo nero, un mondo apparentemente sicuro.

 

Fine Terzo Capitolo!

  
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