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Autore: hikachu    14/10/2012    2 recensioni
I Gold Saint tra infanzia ed adolescenza, negli anni prima della Notte degli Inganni.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il desiderio nacque presto, così come il rimpianto (Saga, Aiolos, Aiolia)

 
 
 
Addentano olive che scivolano via da dita gonfie e piene di lividi, quando Aiolos parla a Saga di Aiolia per la prima volta.
 
Le olive le hanno strappate via da alberi secolari e più giovani, ancora flessibili come bambù, senza smettere di correre verso il mare. Vediamo chi arriva prima, vediamo chi ne prende di più, era la sfida che si erano lanciati senza parlare.
 
Questa volta, Aiolos era saltato per primo sullo scoglio ma nella fretta aveva lasciato cadere un gran numero di olive. Saga le aveva osservate rotolare e impigliarsi tra le radici degli arbusti di rosmarino e salvia; altre erano cadute in acqua con un tonfo impercettibile.
 
“Siamo pari, siamo pari,” aveva riso Aiolos mentre stringeva il braccio più vicino al petto e le olive rimaste ballavano pericolosamente nella concavità.
 
Dall’alto dei suoi quasi nove anni, Saga scuote la testa. “Sei troppo disattento e impulsivo,” cerca di imitare l’espressione del maestro quando ha detto la stessa cosa a Kanon, l’altro giorno.

Come Kanon, Aiolos non si mortifica, ma non si arrabbia nemmeno: il suo sorriso si allarga e lui si protende in avanti per infilare un’oliva tra le labbra socchiuse di Saga, che ne ha le mani piene.
 
“Ma non in battaglia ed è questo che conta,” dice e suona troppo cordiale per essere un’altra sfida o una presa in giro. Aiolos è così. Non si arrabbia mai davvero e l’unica vittoria di cui gli importi è quella che potrebbe salvare la vita di innocenti.
 
“Eppure, oggi nell’arena…”
 
“Ah, oggi nell’arena! Mi darai la rivincita?”
 
“E se perdessi di nuovo?”
 
“Non sarà un problema, perché siamo futuri Santi, siamo fratelli. Saga non è un nemico che dovrò sconfiggere: vorrà dire che in guerra avrò una guardia invincibile a guardarmi le spalle!” poi si ferma a rimuginare su qualcosa. “E poi,” aggiunge con una scrollata di spalle. “E poi continuerò a crescere e ad allenarmi. Diventerò molto più alto, ancora più alto di te e più forte: forse verrà il giorno in cui potrò batterti.”
 
La verità è che nel giro di circa quattro anni Saga crescerà più in fretta, si farà più alto di Aiolos e di molti altri che poi diverranno loro compagni. I suoi arti saranno più poderosi e Aiolos non sarà più in grado di sollevarlo così, senza sforzo, come si solleva una specie di scricciolo che si indigna e dibatte fino a che non cadono tutti e due per terra. Non sapranno mai, in ultimo, chi fosse davvero il più forte o se Aiolos sarebbe ancora potuto diventare il più alto negli anni che li separavano ancora dalla fine dei tumulti adolescenziali, perché Aiolos avrà quattordici anni per sempre.
 
Ma per ora guardano il mare e mangiano olive con le dita gonfie e livide.
 
“A proposito di fratelli,” Aiolos rompe il silenzio all’improvviso e per un attimo, il cuore di Saga batte così forte che teme rimbombi tra gli alberi e gli scogli.
 
Poi il sorriso di Aiolos si fa più caldo e lui gesticola quasi come se l’avesse morso uno scorpione. Il cuore di Saga si calma quando inizia a parlare di Aiolia—che ancora non si chiama Aiolia, che Aiolos ancora non sa essere il suo fratellino o la sua sorellina, ma solo qualcuno che per ora dorme nel ventre di sua madre e che già ama tantissimo.
 
“Nascerà a luglio. Era scritto nella lettera.”
 
“Oh…” la voce di Saga è come sbiadita, lontana. “Tra poco, allora.”
 
Si domanda se la sua espressione, parlando di Kanon, se gli fosse mai permesso di parlare di Kanon, somiglierebbe anche un poco a quella di Aiolos, oppure se in lui c’è troppa amarezza per il destino che la nascita gli ha riservato e il silenzio impostogli, per poter parlare ancora di Kanon con il sorriso sulle labbra. Saga si sorprende nel realizzare quanto siano cambiate le cose da quando sono diventati parte del mondo segreto.
 
Il cuore gli torna in gola quando capisce di non sapere se un giorno perderà suo fratello o se, in qualche modo, non lo abbia già perso. Kanon che ormai, alle soglie dell’investitura, è come un gatto randagio, solo uno degli innumerevoli fantasmi che si aggirano tra le rovine del Santuario. Il fantasma personale di Saga: lo spettro delle sue incertezze e di tutte le cose care e perdute. Ogni tanto lo visita e porta con sé il profumo del mare che è quello di casa, quello della vita che sarebbe potuta essere e non potranno mai più avere.
 
Nelle notti – adesso rare – in cui dormono insieme, abbracciati l’uno all’altro, Kanon odora di rimpianti.
 
Saga scuote la testa e cerca di dimenticare, per ora: sa di aver intrapreso una strada che non gli permette soste o ripensamenti.
 
“Ma, una lettera dal mondo esterno… Come hai fatto ad averla?”
 
Non c’è spazio per queste cose, nella vita di un Santo: amici, famiglia, casa, ogni cosa va demolita e lasciata alle spalle. Saga ha capito subito, guardandosi attorno, che spesso, però la nostalgia non si dimentica e diviene una ferita costante e infetta; ha capito anche che sia il Pontefice che i maestri sono al corrente di questa diffusa debolezza, che fanno semplicemente finta di niente perché è una debolezza umana che non si elimina, e ciò che conta davvero è che tu sappia nasconderla.
 
Quante altre bugie nasconde il Santuario? Di quante verità taciute è fatta la pace?, domanda una voce che alle volte tiene Saga sveglio fino alle prime ore del mattino.
 
Aiolos sbatte la palpebre e lo guarda come se avesse appena realizzato la stranezza di tutto ciò.
 
“Il maestro…” farfuglia. “È stato il maestro a portarmela ieri sera.”
 
Ieri sera, si ripete come un’eco nella mente di Saga. Non saprebbe dire a chi appartenga la voce. È irragionevole eppure non sa fermarla. Ieri sera, e perché me lo dici solo ora?
 
I pensieri corrono.
 
C’è qualcosa, in lui, che brucia amaro come acido.
 
“Il Gran Sacerdote lo sa?”
 
“Certo che lo sa!” Aiolos, che è sempre calmo e bonario, per un momento è sul punto di urlare. “Il maestro non farebbe mai—”
 
Saga annuisce. Lui tace. Scusami, mormora, forse.
 
Saga sa, allora, che deve esserci un motivo, una ragione, un uso, perché non c’è misericordia per i Santi di Atena, non c’è balsamo per le ferite che nascondono sotto la carne. Non è concesso.
 
E non sei fortunato, tu che la tua metà puoi vederla e toccarla? Quanto è grande la tua debolezza, se anche così nutri rimpianto e rancore?, sono cose che Saga non vuole ascoltare. Non c’è rancore, dentro di me. No. Ma non sa negare la propria debolezza.
 
Forse Aiolos ha scorto l’ombra sul suo viso, quando decide di poggiargli un’altra oliva sulle sue labbra. Distratto, Saga apre la bocca e sulla lingua sente il sale della pelle di Aiolos.
 
“Oh,” pronuncia stupidamente intorno all’oliva. Si sente come sul punto di rabbrividire, nonostante sia giugno e l’aria appiccicosa. Vorrebbe ripetere il gesto; fare la stessa cosa ad Aiolos senza sapere se sarebbe per offrirgli quel sapore pungente, per ripicca, oppure perché vuole scoprire se la sua lingua sia ruvida come quella dei gatti contro i suoi polpastrelli. Invece, Saga resta fermo.
 
Aiolos ride.
 

---

 
Aiolia sarà, senza saperlo, il centro e l’origine di molti dei pensieri che Saga formulerà su Aiolos, così come per molti altri che ameranno in un modo o in un altro suo fratello.
 
Il suo primo incontro con entrambi avviene il sedici agosto: a poco più di due mesi da quando Aiolos ha ricevuto la lettera, ancora meno dall’ultimo compleanno di Saga. Il giorno dopo l’anniversario dell’arrivo di Saga al Santuario e della festa per una donna che può salire in cielo senza prima morire e che ha partorito senza prima sanguinare sul talamo. Rodorio non ha celebrato questa figura a metà tra favole e miracoli, ma porta in trionfo i giovani Santi appena investiti.
 
Sfilano per le vie del villaggio sorridenti e luminosi. Sono stelle diurne che riscaldano senza scottare. Sono la speranza di questa gente e di tutto il mondo. Sono – sebbene nessuno lo dirà mai ad alta voce – i veri agnelli sacrificali.
 
Lasciano che donne antiche col capo coperto gli prendano la mano, sfiorino le vestigia, gli mettano in braccio bambini che hanno solo pochi anni meno di loro.
 
Hanno tra i capelli petali e boccioli che alcune bambine gli hanno gettato addosso rincorrendoli. Aiolos le ha ringraziate ridendo; Saga ha carezzato le loro teste.
 
Inconsciamente, gli abitanti di Rodorio ringraziano Atena che i due sembrino così sereni ed invincibili, così più grandi di quanto realmente siano: sarebbe stato difficile festeggiare a cuor leggero la nomina a soldati, ad armi umane di una dea, di due bambini che non hanno ancora compiuto dieci anni.
 
Nessuno bada a come le incarnazioni di Gemini e Sagittarius si tengano vicine e si scambino sguardi nella ricerca continua di un appoggio ed una conferma. Nascondere a se stessi certe fragilità può essere semplice, quando la situazione lo richiede.
 
Osservano con ammirazione la dignità delle figure e la sacralità della scena. Qualcuno sta bruciando incensi profumati. I forni distribuiscono dolciumi alla folla. La folla è una cornice eterogenea e chiassosa.
 
Ed è sempre la folla che si getta ai piedi di Saga, aggrappandosi alle scanalature dell’armatura, al mantello, addirittura ai suoi capelli. Una, due, tre, prima un piccolo gruppo di persone poi sempre di più, abbastanza da separarlo da Aiolos.
 
Urlano e mormorano in coro con la voce rotta dall’emozione. A Saga sembra che stiano parlando una lingua sconosciuta. Cerca Aiolos con gli occhi, quasi disperato, e sul suo viso legge lo stesso sgomento. Non sono un’icona a cui chiedere grazie, vorrebbe gridare e per un istante sta quasi per ammettere, sono solo un bambino, ma la coscienza di un destino già deciso spazza via il pensiero prima che le parole prendano forma: Saga sa che deve fare qualcosa, che questo è il suo cammino. Se fallisce in questo momento deluderà queste persone e se stesso. Si infliggerà una ferita che manderà in cancrena i suoi dubbi, li renderà invincibili, e non ci sarà via di scampo per lui.
 
Capisce bene che i miracoli che questa gente chiede, i miracoli di cui ha davvero bisogno adesso, sono miracoli che lui non potrà mai realizzare. Non con i pugni, non con i calci, non facendo esplodere galassie. La magica vergine del Ferragosto sarebbe più adatta per queste cose, se non altro per creare l’illusione che tutto andrà bene.
 
Atena, cosa posso fare io?, chiede ad un punto imprecisato del cielo. Per favore, scendi presto tra noi. Abbiamo bisogno di te, pensa, io ho bisogno di te, e poi inizia ad immaginare come sarà quel cosmo divino, caldo e pieno di vita, rassicurante: la fine di ogni dolore.
 
È allora che Aiolos avverte di nuovo la calma che solo le stelle di Gemini sanno sprigionare: è diversa da quella che Saga sta evocando dentro di sé; è anch’essa rassicurante, sì, ma fredda, come il mare al largo o lo spazio profondo. La notte buia e senza stelle che è negli occhi di Saga.
 
Saga che sorride, dolce ma intrinsecamente fermo come le statue nelle chiese del mondo esterno. “Andrà tutto bene,” promette. “Presto, giungeranno gli altri Santi e con loro Atena dalle braccia bianche. Porterà la pace e noi faremo del nostro meglio per proteggerla assieme a questo mondo.”
 
È una vocazione, questa. Il parlare direttamente all’animo delle persone, sondandone i sentimenti e trovando la risposta giusta, la chiave per alimentare o assopire quelle fiamme. Non è oggi che Saga lo capirà, ma lo vedono chiaramente Aiolos e i loro maestri che li hanno seguiti in questa sfilata. Saranno entrambi a parlarne al Grande Sacerdote quella sera stessa, mettendo in moto ingranaggi di un fato più grande di loro.
 
È così che nasce la leggenda di Saga, il Santo simile ad un dio.
 
“Sei stato straordinario,” Aiolos gli mormora sincero all’orecchio, sulla via del ritorno. Non nasconde mai la sua ammirazione. Il suo unico orgoglio è quello di servire Atena.
 
Ma prima che Saga possa rispondere, un uomo che riconoscono come uno dei messaggeri del Santuario si avvicina loro. Prende Aiolos in disparte.
 
Aiolos non piange ma si scurisce e resta muto per tutto il tragitto. Saga non osa chiedere ma continua a camminargli vicino.
 
Al Santuario, li aspetta un fagotto piangente tra le braccia di una nutrice chiamata in fretta e furia dal villaggio.
 

---

 
È di nuovo piena estate. Saga ha undici anni. Da qualche anno le sue già esigue ore di sonno sono ulteriormente diminuite, tra l’arrivo dei nuovi apprendisti, i loro spiriti indomiti, e le notti trascorse sulla Collina delle Stelle, imparando a decifrare il linguaggio degli astri.
 
Quando il mondo è in pace le sue giornate si articolano tra allenamenti, quelli che ormai Aiolos e lui chiamano semplicemente i bambini, talvolta Rodorio e noiosissime (non che lui lo ammetterebbe mai) mansioni burocratiche.
 
Saga è diretto alla terza casa con un carico di tavolette, papiri, pergamene ed anche un più moderno blocco di carta di cellulosa tra le braccia: il nuovo incarico datogli dal Pontefice.
 
Mette piede nel tempio di Sagittarius e alza gli occhi verso il soffitto. L’importanza della formalità e dei costumi non gli è mai sfuggita ma con Aiolos la cosa gli sa quasi di ridicolo.
 
“Aiolos,” trattiene uno sbuffo: i bambini, no, i futuri Santi d’oro li prenderanno ad esempio, dopotutto. “Aiolos, ti chiedo il permesso di passare.”
 
Gli risponde un coro di risate.
 
Aiolos è gettato trasversalmente tra una pila di cuscini e un antico tappeto che racconta lo scontro tra Achille ed Ettore. Aiolia è aggrappato al suo braccio e Shura di Capricorn se ne sta inginocchiato su Ettore che corre attorno alle mura di Troia; osserva i fratelli timido, aspettando il momento in cui avrà il coraggio di unirsi ai loro giochi.
 
“Saga!” Aiolos pronuncia il suo nome con la voce che cavalca la fine di una risata. Suona intimo ed amichevole. “Perché non vieni a fare un pisolino con noi?”
 
Per un lungo istante, Saga sente su di sé lo sguardo dei bambini. Aiolia è apertamente ostile, gelosissimo di suo fratello e del tempo che può concedergli. Shura non osa tanto: non osa nemmeno sognare di poter monopolizzare quello che è palesemente diventato il suo idolo, non osa guardare Saga con astio perché lo rispetta e ne è intimorito come solo i bambini possono esserlo nei confronti di qualcuno che ha solo una manciata di anni più di loro; eppure, Saga sa che nemmeno Shura lo desidera lì.
 
“Guardami bene, Aiolos. Non posso,” dice con un sospiro e indica col mento la pila di documenti che minaccia di crollare da un momento all’altro.
 
Il sorriso di Aiolos sembra farsi un po’ stanco prima che annuisca e risponda: “Capisco.”
 
Aiolia ne approfitta per ridacchiare e gettare le braccia al collo del fratello. Preso nel mezzo di questa strana rivalità, Saga sente di non poterlo biasimare. In fondo lo capisce.
 
È un episodio, questo, che si ripeterà più è più volte nel corso degli anni che restano prima della fine.
 
Saga non accetterà mai.
 
Eventualmente, però, mettere un coperchio sulle ombre diventerà impossibile, e lui capirà che a suggerirgli il rifiuto non era mai stato davvero il dovere, ma la gelosia.
   
 
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