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Autore: La Jackson    15/10/2012    3 recensioni
|Sterek Story|
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Quanto segue è un continuo di mia invenzione della seconda stagione di Teen Wolf, con tema principale la coppia Stiles-Derek. Durante il corso della storia, si presenteranno suspense, sofferenza, felicità, dolore, sangue, ossessione, amori corrisposti e contrari, lacrime, tormento, sentimenti celati...
Non mi concentrerò unicamente sulla coppia che bramo di più, ma darò spazio anche ad altre coppie ed avvenimenti che vedranno partecipi ciascuno dei personaggi – più qualcuno di mia inventiva – che siano situazioni rischiose o gioiose.
Breathing underwater, il titolo della suddetta FanFiction, tradotto prende il significato di "Respirare sott'acqua". Ovvero che ciascuno dei personaggi è costantemente in apnea, in procinto di sbagliare, perdere la vita o essere salvato. Tutto spetterà a loro e, ciò che il fato ha da offrirgli, sarà inevitabile e al di fuori di ogni loro aspettativa.
Bé, che altro dire. Questa è la prima FF che pubblico. Spero di non deludervi. Godetevi la prima razione di storia e le prossime a seguire. E se ne avete voglia, lasciate una recensione. :)
Talora lo riterrò necessario, prenderò alcuni piccoli spunti dagli spoiler della terza stagione.
- La Jackson vi saluta. (♥)
Genere: Erotico, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Where the hell are you, Lydia?


2









“Cosa?!” Stiles agitò le mani al cielo, in pieno calo di temperatura corporea. L’intensità della voce era acuta e simultaneamente strozzata. “Non può averlo fatto! Che diavolo le è venuto in mente? Cazzo, Lydia!” Il suo affanno si saturò di collera, tensione, presagio. Il clamore fu così energico che Scott – rimasto fino ad allora con le orecchie ben tese – digrignò i denti, così da esser obbligato a frenare un ringhio sordo per evitare di farsi sentire dall’intero corpo studentesco.
“Fa’ silenzio, stupido.” Scott drizzò le orecchie, ma a quanto pareva la discussione fra la preside e lo sceriffo era appena terminata, per mano di Stiles.
“Questo vuol dire che la donna che sta parlando con mio padre è… è la madre di Lydia?”
Inaspettatamente la porta si aprì, mostrando il fascino di una capigliatura riccia e perfettamente in tono con il viso magro e i lineamenti delineati, solo qualche ruga coperta dal trucco si intravedeva a malapena, gli occhi erano grandi e castano-dorati e la pelle nivea, messa in risalto dalle guance rosee.
Stiles fece un balzo in aria, battendo la testa sulla finestrella alle sue spalle.
“Stiles.” Lo ammonì il padre sommessamente, facendo cessare le lamentele di quest’ultimo.
“Tu devi essere il dolce e affabile Stiles e, se la memoria non m’inganna, lui è il signor McCall. Amici dall’infanzia, con voti sufficientemente differenti.” La donna posò lo sguardo sugli occhi di Stiles, per tutta la durata della frase.
Il ragazzo – ancora indolenzito – si drizzò dalla sedia, seguito dal licantropo. “Papà, non mi avevi detto di aver incaricato una detective privata per spiare il tuo adorato figliolo e la sua vita intima.” Borbottò l’umano, con un pizzico d’ironia sul fondo, visibile per metà. Aveva rischiato a fare quella battuta, innanzi aveva la nuova preside, colei che aveva il potere di bocciarlo o nientemeno che espellerlo.
La fortuna era a favore di Stiles, poiché questa rise allietata. Scott fu in grado di percepire una venatura di tormento nel suo viso, probabilmente dovuta al pensiero della figlia.
“Lo perdoni Mrs. Douglas, mio figlio ha il vizio di frequentare la zona presidenza più volte al giorno. Spero si abitui alla sua presenza e auspico vivamente che non le causi complicazioni insanabili.” Lo sceriffo aveva il proposito di colpirlo alla testa con una pacca più energica del solito, ma si limitò a conservare una posizione autoritaria e dispotica. Lo sguardo era mirato su di lui, alludendo che l’adolescente avesse afferrato il punto.
La donna annuì e il sorriso tormentato fece spazio ad un volto autorevole. “Tornate pure nelle vostre classi, vi do il congedo” Si protese verso Stiles, accostandosi al suo orecchio e questo scorse una lieve increspatura del naso da parte della donna.E no, cavolo. Pensò il ragazzo.Questo non è profumo, è puzzo di potosino*. Padre, hai un gusto eccentricamente atroce per i profumi maschili. Dannato potosino, ripeté,dannato potosino.
“Solo perché sei tu, Stilinski.” Continuò la donna, riportandolo al presente. Quasi certamente era a conoscenza della sua inesauribile cotta per la figlia, in circolo fin dalla terza elementare. Questo arrossì imbarazzato, ispezionandosi i lacci delle scarpe. Allora Lydia Martin lo sapeva, faceva solo finta di nulla? Lo prese come qualcosa di positivo.
“Con te ne riparliamo dopo, ragazzino.” Lo sceriffo scagliò un’ultima occhiata rigida a entrambi, compreso il lupo. Eppure in altri frangenti era il ragazzo, il figliolo, tanto adorato quanto aborrito. Doveva essere parecchio su di giri per interpellarlo con quella qualifica: un ragazzo immaturo. Ecco cosa intendeva. E Stiles lo avvertiva. Detestava deluderlo, sebbene capitasse assiduamente. Come poteva evitarlo? Piccolo bastardo iperattivo, un barlume di ricordi si accatastò tra i pensieri del ragazzo e per un attimo il battito del suo cuore si fece più lento e i suoi occhi si tinsero di sconforto. Sapeva che ciò era stata un’allucinazione generata dall’infuso versatogli da Lydia alla festa di compleanno, ma in fondo intravedeva un che di vero nelle parole pronunciate dal padre quella sera. Scott notò il turbamento del migliore amico e in quel momento avrebbe voluto essere Edward Cullen, per avere il potere di leggere la mente. Aveva davvero pensato di voler essere il succhiasangue che aveva preferito abolire totalmente il sesso dalla sua vita? Deglutì, pensando a quale triste destino sarebbe andato in contro se solo fosse stato possibile. In pochi secondi, Stiles assunse un’espressione quieta, lasciandosi alle spalle la malinconia che lo calpestava – dannò quel continuo pressare, che lo assoggettava a una delle più dolenti prove di vita.
I sedicenni si dileguarono nell’attimo di mezzo secondo, diretti alla classe dove si sarebbe tenuta la lezione successiva.
Durante la corsa verso l’aula, Scott concluse di rivelare il resto della conversazione all’amico.



*°*°*

 
  

Mancavano due ore alla chiusura dell’edificio e gran parte degli studenti ne aveva già fin sopra le palle di seguire le lezioni per intero. Alcuni preferivano squagliarsela, altri avevano troppa paura di farlo.
“A quanto pare sei il cocco della preside.” Con fare superbo Scott osservò l’espressione dell’amico, per poi posarlo sul proprio armadietto.
“Geloso?” Disse in tutta risposta.
“Guarda il lato positivo, vivono nella stessa casa.” Ironizzò, trattenendo una risata per non sfotterlo in pubblico.
“Osservala da un’altra prospettiva. Lydia, nella maggior parte delle probabilità, avrà quell’aspetto da adulta. Perciò è come conquistare la parte più veterana di Lydia.” Ecco che sopraggiungeva la riflessione razionale alla Stiles, non poteva non mancare. “E non sarebbe neppure complicato, quella donna è invaghita di me!” Si voltò verso Scott, con un sorriso a trentadue denti.
Rifletté mentalmente. “Certo. Avrà solo una trentina di anni in più.”
“Tutto sommato non è poi così tanto. Facendo qualche calcolo matematico… sottraendo la radice quadrata di un numero negativo alla somma della potenza di quaranta alla sedicesima…” Farfugliò con incomprensione, poi si voltò verso Scott. “Qualche possibilità c’è.” Nei suoi occhi sorse una scintilla di speranza.
L’amico scosse il capo lentamente, ubicato al ragionamento del calcolo matematico. L’umano – avvilito – riportò i pensieri alla ragazza-amaranto che gli faceva battere il cuore fin da sempre.
La campanella che proclamava l’inizio della pausa pranzo arginò la riflessione.
 

 

*°*°*

 

Nessuno proferì parola sull’argomento Lydia, nemmeno Jackson. Nessuno sapeva nulla, oltre Stiles e Scott. Era una normale giornata in cui una normale ragazza si era assentata per contingenze totalmente normali.
“Vogliate scusarmi.” Con tono eccentricamente efficiente, Scott si alzò dalla sedia del tavolo da pranzo, rischiando di farla cadere, ma abbrancata all’istante da Stiles che lo osservava sbigottito. Aveva avvertito la presenza di Allison – la sua Allison – separata dal resto della folla, senza Lydia che le ronzava nei dintorni. Mimetizzandosi tra alcuni gruppi di ragazzi rimasti in piedi per mancanza di posti, ridusse la distanza che li separava. Un lampo, che di tanto in tanto veniva oppresso, gli perforò la mente: il tempo scorreva, le persone cambiavano; non erano più una coppia unita, non lo erano e basta. Non aveva nessun diritto di avvicinarsi e sorprenderla, nessun diritto di prenderla per i fianchi e baciarla con dolcezza, nessun diritto di carezzarle il viso, afferrarle la mano e sussurrarle che andava tutto bene, che avrebbe sempre vigilato su di lei. Si incupì, lasciando qualche metro di distacco per non farsi cogliere sul fatto. Nonostante sapesse che gironzolare ancora nei suoi dintorni non fosse corretto, qualcosa in lui si attivò – come ogni volta – forzandolo a opporsi a sé stesso. Perché sentiva di dover salvaguardarla da un pericolo non ancora tangibile, sentiva che qualcosa stava per arrivare, purché non fosse già lì.
“Stalker da quattro soldi.” Una voce nota gli perforò l’udito.
“Erica!” La redarguì alterato.
“Che fai, spii?” Si sporse in avanti per mettere bene in vista la visuale del compagno.
“Sorveglio.” Questo tornò a ispezionare in lungo e in largo, con aria circospetta, l’area delimitata da Allison.
“Quanto sei puntiglioso, Scott.” Ruggì in tutta risposta. “A proposito di sorvegliare, dove hai lasciato Batman?” La voce si fece più tonante articolando l’ultima parola, esuberante, quasi eccitata.
“Chi?” La sua curiosità scemò con scatto immediato, Allison era più importante del desiderio di sapere.
“Non importa.” Ridacchiò.
Non gli era necessario voltarsi per concepire che Erica non era più al suo fianco.Tutto sotto controllo, per il momento.

 
 

*°*°*

 
 

Stiles era immerso nei suoi pensieri. Lydia era sparita, ma aveva fiducia che sarebbe ricomparsa dal nulla entro la fine della giornata. Magari è solo stanca di stare con Jackson. O magari le sono venute le sue cose e sappiamo che il quel periodo la sua idrofobia verso tutti si moltiplica. O… magari mi stava cercando e si è persa… Desunse, concludendo.
Il sospiro profondo di Jackson fu udito da chiunque fosse seduto al suo stesso tavolo, compreso Stiles. “Cos’è questa puzza?” Una smorfia raccapricciata fece capolino sul suo volto.
Stiles si grattò il capo.Porca squillo, da questo momento in poi io e i profumi siamo ufficialmente divorziati. Rammenta, Stiles, disse a sé stesso,mantieni una distanza di dieci metri da qualsiasi tipo di profumo. Soprattutto da quello di potosino asfissiante. Si guardò intorno con innocenza. “Chi ne ha mollata una?” Osservò con sguardo indagatore ognuno, da Jackson a Isaac, da Erica a Boyd.
La campanella annunciò la fine dell’intervallo e, in contemporanea, la fine del disagio di Stiles.
Per primo Scott mise piede in classe, accolto dall’aroma di Allison, seduta già al posto assegnatole. Si affrettò a impadronirsi del posto accanto a lei, con buon esito. Stiles non riuscì a contenere un sorriso gratificato nel vedere la temerarietà dell’amico che, però, ben presto si sarebbe convertita in un logorante imbarazzo.
Un’intensa ora di economia stava per avere inizio.
 

 

*°*°*

 
 

Passò il resto della lezione a rimuginare sulle poche informazioni che aveva, senza arrivare mai ad alcuna soluzione. Non aveva la minima idea di cosa avesse spinto Lydia ad abbandonare la scuola nel bel mezzo di una lezione ed essere totalmente scomparsa dalla circolazione. E di certo il motivo non era quello che la madre credeva fosse. Non accettare che il preside sia un proprio parente, a tal punto da sparire, era un comportamento inattendibile e bislacco da parte sua, conoscendola. Pertanto, era da eliminare dalla lista delle possibili giustificazioni.
Adagiò lo sguardo sui due piccioncini, che non avevano spiccicato mezza parola dall’inizio dell’ora. Ma una cosa si riusciva a capire chiaramente, Allison non aveva ancora dimenticato Scott. Era arrossata e visibilmente su di giri, ma mai quanto lo era lui. Tuttavia, qualche sguardo fuggente faceva la sua parte, ma non si erano mai imbattuti l’uno sull’altro.
Un feeling particolare era ciò che li rendeva ottimi compagni di vita. E, in tutta verità, chi se lo filava Scott, Allison esclusa? Sì, okay. Forse qualcun altro c’era che, segretamente, gli correva dietro, ma Allison era l’unica che fosse in grado di accettarlo per come era in realtà. L’una conosceva tutto dell’altro e viceversa. Ma si erano comunque lasciati, questo non cambiava le cose.
Stiles picchiettò la penna sul banco, ripetutamente. L’ora sembrava avere l’intenzione di proseguire in eterno, parevano passate ore intere e invece mancava ancora mezzora. Poi volse lo sguardo verso l’entrata – alla sua destra – attirato da un ombra in trasparenza affacciata da dietro la porta. L’umano la seguì con lo sguardo, sporgendosi troppo avanti e capitombolando dalla sedia.
“Stiles, cosa stai facendo?” Lo redarguì sottovoce Scott, che per un momento era riuscito a distogliere lo sguardo da Allison. Un momento che gli parve interminabile, tantoché, quando si accertò che l’amico non si fosse ferito, tornò a osservarla.
L’ombra superò la porta. L’umano si sollevò da terra e filò fuori dall’aula, lasciando tutti di stucco, il miglior amico in particolare, ma bastarono cinque secondi per vederli ritornare a seguire la lezione con menefreghismo. Le uscite improvvise nel bel mezzo di una lezione erano piuttosto frequenti di quegli ultimi tempi. “Stilinski!” Lo richiamò Finstock, il docente di economia nonché allenatore di lacrosse.
Stiles, ormai fuori dalla classe, si guardò intorno con cautela, ispezionando ogni angolo visibile. Avanzò, con passo lento e guardingo. C’era qualcuno che lo stava aggirando, ne avvertiva la presenza. L’ombra intravista non poteva essere andata lontano. Sperò che fosse un bidello o uno studente che si era perso. Il solo pensiero che potesse essere un lupo mannaro, accelerò la corsa frenetica del suo cuore palpitante. Il corridoio era desolato e agli occhi dell’umano apparve immenso. Voltò l’angolo e una figura alta e rigida gli si parò davanti, evitandolo di qualche millimetro. “Professore!” La voce sorpresa, ansimante. Sospirò, cercando di recuperare la lucidità. Per un pelo non gli ruzzolava addosso.
“Signor Stilinski. Cosa ci fa nei corridoi?” Adrian Harris, docente di chimica, visibilmente in conflitto scolastico con Stiles e Scott fin dal primo anno.
“Ero diretto al… b-bagno.” Occultò la verità e sperò che le parole non iniziassero ad ammassarsi, confondersi tra di loro come spesso capitava quando mentiva. “Bé, problemi di incontinenza.” Sussurrò, mantenendo uno sguardo affidabile.
“In ogni modo, le consiglio di ritornare in classe, sempre se non vuole beccarsi un’altra punizione.”
“Ironia della sorte, era proprio quello che stavo per fare.” Sì, certo. O magari era alla ricerca della misteriosa ombra sbucata dal nulla.
“Deduco che abbia conosciuto la nuova preside.”
“Già...” Quella discussione lo stava mettendo in soggezione. O probabilmente era solo la faccia intimidatrice del professore a fargli quell’effetto.
“Una brava donna.” Disse annuendo a sé stesso. Poi cambiò appieno il discorso. “Ti voglio nella mia classe esattamente tra” Controllò l’orologio al polso. “Venti minuti.” Un sorriso soddisfatto alterò l’animo di Stiles, che ricambiò con un sorriso rabbioso. “Avverti tuo padre che oggi resterai un po’ più del solito, per scontare la tua pena.”
“Punizione.” Lo corresse all’istante il liceale.
“Se preferisci chiamarla così.” Secondi dopo era già diretto verso un’altra classe.
Stiles sbuffò irritato, indignato, e compose un numero sul cellulare, pronto a scrivere un messaggio indirizzato al padre.

Papà, il prof mi tiene prigioniero.
Mi trattiene a scuola per un’altra ora.
Non preoccuparti. Sopravvivrò.
Ti voglio bene.
                                                      Stiles.

Prima che potesse completare l’azione, il cellulare prese a vibrare. Un messaggio. Si affrettò a premere invio e accedere alla cartella dei messaggi ricevuti. Era Scott.

Che stai combinando?
                                Scott.

Con tutta calma rispose al messaggio.

Ho visto qualcosa.
                      Stiles.

Tre secondi dopo.

Ne riparliamo dopo.
Torna in classe.
Il prof non l’ha presa bene.
                                       Scott.

Depose il cellulare in tasca. Si voltò, diretto in classe. Poteva giustificarsi con Finstock facendo uso della stessa scusa utilizzata con Harris. No, così facendo troppi professori avrebbero creduto che avesse problemi di vescica di serio rischio e la notizia si sarebbe diffusa, includendo gran parte del corpo studentesco. Questo equivaleva a uno Stiles rovinato dalle sue stesse fandonie. Meglio evitare di essere protagonista di uno scoop catastrofico e derisorio.
All’improvviso, un respiro strozzato – più che altro un ringhio moderato – fece balzare Stiles. Si girò di scatto. Sembrava essere solo. Nessun altro aveva avuto l’idea malsana di gironzolare per i corridoi alla ricerca di un’ombra inesistente. Ma il ruggito continuava a circondare Stiles che ormai era pervaso dal panico. Afferrò il cellulare dalla tasca dei pantaloni e con estrema rapidità compose il numero di Scott. Riuscì a scrivere “C’è qualc” prima che, a causa della premura, gli scivolasse dalle mani. Il cellulare atterrò al suolo creando un gran botto. Il tentativo di chiedere soccorso al migliore amico, adesso era irrealizzabile. Notò che la batteria era finita a metri di distanza. Si voltò dal lato opposto per controllare se quella cosa, quel qualcuno, volesse sorprenderlo alle spalle. Rivoltandosi e facendo qualche passo avanti per riprenderla, vide che la batteria era ridotta in cenere, come se fosse stata incenerita da lava ardente. Cosa che era, essendo in un istituto disciplinare e non in un vulcano, concretamente impossibile. Non poteva mentire a sé stesso, era spaventato, terrorizzato. Non aveva mai sentito un latrato così. Niente che assomigliasse al ruggito di Scott, Derek, Isaac, Erica o Boyd. Li conosceva bene i loro, li subiva pressoché ogni giorno della sua vita. L’ululato si fece più forte, ma non troppo. Chiaramente, stava cercando di evitare di essere udito del resto della scuola. Allora eri lì per lui? O era lì per divorare il primo studente incappato?
Il corridoio era deserto e agli occhi dell’umano apparve sconfinato e terribilmente chilometrico. La stanza si stava allungando a dismisura e lui diventava piccolo, così piccolo che un intero corridoio non poteva ospitarlo. Una sensazione di impotenza si accavallò a tutto il resto. Temeva che quel supplizio non sarebbe finito presto. Un senso di soffocamento gli permeò la gola. Vertigini. Debolezza. Si stava separando dal suo corpo, sentiva qualcosa che lo trascinava verso l’esterno e non voleva lasciarlo andare. Era una continua lotta, lui tirava verso l’interno e l’altro dal senso opposto. Adesso, la paura di morire era grande, immensa, più forte di prima. Provava impotenza a difendere sé stesso. Diverse vampate di calore gli pervasero il corpo, dalla testa ai piedi. Barcollò in direzione del muro. Tremori ovunque. Voglia di morire. Sapeva bene cosa stava accadendo e non sapeva come fermarlo. Gli occhi vagavano, la vista si annebbiava. Cercò un disperato sostegno, ma il muro era l’unica cosa tangibile che poteva per metà sostenerlo. Lentamente, scivolò per terra, col muro alle spalle, e il corpo atrofizzato e invaso dai brividi. La testa si faceva pesante, come tutto il resto del corpo. I tremori non cessavano, si facevano agonizzanti. Scivolò lateralmente e di sicuro non sarebbe riuscito a scampare un urto alla testa, tutt’altro che tenue. Ad un tratto, il sostegno di qualcuno gli fece evitare la caduta dolorante. L’umano si acquattò su quelle braccia comode e accoglienti, calde e ampie, forti e robuste. Non si chiese a chi appartenessero, anche perché non riusciva a focalizzarsi su un punto preciso, tanto meno su quel volto, la vista non glielo permetteva. Rimase lì e basta, sperando di essere nelle mani giuste. Un attimo dopo, il buio.

 

To be continued...


*Potosino: animale molto simile alla puzzola, che emette un odore asfissiante s'è intimorito.

 

 


Angolo dell’autrice.

Sono strafelice di annunciarvi che nella prossima parte che pubblicherò entrerà in gioco Derek Hale. E vi accoglierò con un momento Sterek che spero gradirete. *-*
Scusate se ho prolungato così tanto il capitolo, ma temevo sarebbe risultato noioso leggerlo in due parti separate. Spero che non vi abbia annoiati con tutto questo scrivere. E se l’ho fatto… bé, scusate, non era mia intenzione farlo. T.T
Naturalmente so bene che Stiles e la madre di Lydia (è chiaro che non si chiama Kendra Douglas anche nella serie) si sono già visti nella puntata 1x05 della serie tv – quando Stiles va a trovare Lydia e lei dice “What the hell is a Stiles?”. Ma ho voluto cancellare quella scena dalla mia testa per creare qualcosa di nuovo da poter inserire nella storia. Perciò… fate finta che Stilinski e Mrs. Martin non si siano mai incontrati.
Spero abbiate gradito quest'altro capitolo e spero continuerete a seguirmi.
Accetto consigli, giudizi, critiche e chi più ne ha più ne metta. Perciò mi raccomando, lasciate una recensione. :)

Anyway, la Jackson vi saluta.

   
 
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