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Autore: _Rockstar_    15/10/2012    2 recensioni
Che cosa sarebbe successo se i 76esimi Hunger Games fossero stati istituiti veramente? Cosa sarebbe successo se la ghiandaia imitatrice non avesse ucciso la Coin e il loro malvagio progetto fosse andato a buon fine? Cosa sarebbe successo se ventiquattro ragazzi di Capitol City fossero stati gettati in una nuova arena soltanto per vendetta da parte degli altri distretti? Attenzione: Spoiler de "Il canto della rivolta".
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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May the odds be ever in your favor
 

Don't you dare look out your window,
darling everything’s on fire.
The war outside our door
keeps ranging on.
Hold on to this lullaby
Even when the music’s gone.
Safe and sound - Taylor Swift


 

La improvvisa e forte luce mi annebbiava completamente la vista. Non mi permetteva di vedere ciò che mi circondava, davanti ai miei occhi avevo soltanto il silenzioso e il vasto nulla. Portai una mano al volto a coprirmi gli occhi dal sole e dopo svariati secondi finalmente potei intravedere qualcosa. Innanzitutto mi affidai al mio orecchio e al mio olfatto, in mancanza della vista che ancora non mi era perfettamente tornata, riuscii a capire più o meno il luogo dove potevo trovarsi. Potevo sentire un vento freddo ma poco impetuoso, molto simile a quella brezza che si può incontrare vicino al mare in un giorno particolarmente piovoso. Poi cominciai a sentire il suono delle onde che si infrangevano sugli scogli o la risacca su di una spiaggia. Finalmente potei vedere bene il luogo in cui mi trovavo, i miei sensi non mi avevano tradito. Ero un piedi sulla classica piattaforma di inizio, circondata dagli altri ventitre tributi disposti in un cerchio che poteva avere un diametro di circa trenta metri. Aldilà, proprio di fronte a me, potevo vedere all’orizzonte un mare non poco impetuoso e dietro di me una foresta lussureggiante fatta di alti, frondosi e fitti alberi. Tutto intorno a me aveva un colore allegro e luminoso. Dall’erba in cui erano state posizionate le piattaforme era nata della vegetazione di tutti i tipi, soprattutto fiori dalle più svariate tinte da cui potevo perfettamente sentire, anche a distanza di qualche metro, il profumo. Dalla foresta retrostante potevo sentire distintamente il canto degli uccelli e vedere qualche coraggioso animaletto che si era avvicinato troppo. Era strano come quei piccoli esseri dall’animo geneticamente pauroso si potessero avvicinare tanto a noi senza un apparente motivo. Poi cominciai ad osservare gli atri tributi, mancavano soltanto pochi secondi alla fine del countdown e non mi rimaneva molto tempo per pensare ad una strategia. Mi avevano detto di non rischiare alla cornucopia ma gli zaini e le armi erano disposti così perfettamente a pochi metri da me. Ragionai un attimo, pensando a tutte le possibili probabilità, pro e contro. Se fossi corsa all’interno della foresta senza non prendere niente molto probabilmente sarei morta pochi giorni dopo, non potevo contare più di tanto su il mio istinto di sopravivenza e sulla mia capacità di procacciarmi cibo. Mentre se avessi preso anche soltanto uno zaino non avrei dovuto preoccuparmi di questo problema per almeno una settimana. L’idea di correre alla cornucopia si faceva sempre più invitante. Osservai i tributi al mio fianco. Proprio alla mia destra si trovava la ragazzina di dodici anni che avevo visto tirare con l’arco durante uno dei tanti allenamenti, alla mia sinistra un ragazzo che mi risultava ancora indifferente, non avevo fatto molto amicizia in quei giorni. Notai Abigail a qualche postazione alla mia sinistra, i suoi capelli rosso fuoco erano riconoscibili da chilometri di distanza, poi vidi Declan alquanto lontano da me, non sapevo bene se sarebbe corso via o si sarebbe fatto affascinare anche lui dalla cornucopia. Unica nota positiva era che sia Fallon che Nita fossero molto distanti, quindi non mi sarei dovuta occupare di loro, non ancora almeno. Il tempo era davvero agli sgoccioli e dovevo ammettere che la mia ansia stava salendo sempre di più, soprattutto a colpa della voce femminile che ci annunciava il tempo restante, che nervi! 10, 9, 8… mi misi in posizione, pronta a correre più forte di quanto abbia mai fatto 7,6,5,4… presi infine un lungo ed intenso respiro 3,2,1… al suono che annunciava l’inizio dei giochi saltai senza nemmeno pensarci troppo giù dalla piattaforma e corsi in meno di dieci secondi verso il primo zaino che avevo visto qualche secondo prima. Nessuno sembrava averlo notato, così fortunatamente non dovetti lottare troppo per averlo. Non feci quasi nemmeno in tempo di afferrarlo come si doveva che ripresi la mia corsa, stavolta verso la foresta che ora avevo davanti, sperando che nessuno mi avesse seguito, ma non volevo ancora guardare indietro. Corsi attraverso quella selva di fitti rami bassi che intralciavano la mia via, facendomi cadere ed inciampare anche ripetute volte, ma non mi sarei fermata fino a quando qualcosa dentro di me mi avrebbe detto che fossi abbastanza lontana dalla cornucopia. Mi guardai finalmente indietro ma nessuno mi aveva seguito. Avevo sentito poco prima dei passi venire verso di me ma mi ero limitata a cambiare direzione ed allontanarmi il più possibile fino a quando potei udire soltanto i miei sul terreno umido e i battiti del mio frenetico cuore. Mi appoggiai ansimante ad un albero molto alto, non diverso da tutti gli altri e iniziai ad aprire il mio zaino. All’interno non c’era niente di spettacolare, soltanto delle effimere gallette di riso, accidenti io mangiavo soltanto quelle al mais, ma in quel momento forse era un pensiero troppo superficiale considerando il luogo in cui mi trovavo, qualcosa di essiccato, non saprei ben dire cosa, il sacco a pelo che era agganciato sopra lo zainetto, una borraccia piena di acqua, non male, qualche benda, un coltello, e qualche soluzione liquida di indecifrabile uso. Insomma non mi era andata male. Da dove mi trovavo davvero pochi raggi solari riuscivano a penetrare le fitte fronde e quindi non riuscii bene a capire che ore fossero, probabilmente un tardo pomeriggio. Non mi importava poi di tanto l’ora, ero stanca e l’unica cosa che volevo in quel momento era riposare. Mi guardai attorno ma nessun’albero sembrava adatto per una arrampicata, i rami erano troppo alti e deboli, non avrebbero mai retto il mio peso. Così a malincuore ricominciai il mio pellegrinaggio verso un luogo migliore per dormire, forse avrei avuto più fortuna. Dopo circa una mezz’ora arrivai a quello che potrei chiamare la fine della foresta e l’inizio di una stranissima distesa collinare, senza alberi o altro, chilometri e chilometri…di niente. Mi appoggiai con un braccio all’ultimo alto arbusto della selva osservando ciò che avevo di fronte. Non riuscivo a capire cosa ci fosse aldilà di quella pianura, perché probabilmente si estendeva oltre l’orizzonte. L’unico modo per capirlo era attraversarla tutta, forse da qualche parte avrei trovato un lago o  un fiume, chissà. Ormai si faceva sempre più buio, la luce del sole che finalmente potevo vedere si stava affievolendo, segno che stava per arrivare la notte. Dovevo cercare un luogo dove ripararmi. Ritornai qualche metro indietro, sempre all’interno della foresta che ormai era diventata la mia culla protetta dall’ignoto che rappresentava quella valla davanti ai miei occhi. Forse la fortuna era veramente a mio favore perché riuscii a trovare una piccolissima grotta che era stava ricavata precedentemente in un ammasso di rocce. Tagliai quei pochi rami che potei trovare e con quelli cercai di mimetizzare al meglio la mia tana, non ottenni ottimi risultati ma non potevo lamentarmi. Non avevo molta fame, l’ansia e la paura me la facevano passare sempre, ma costrinsi me stessa ad assaggiare qualche morso di quella cosa essiccata che avevo nello zaino, non era male. Fortunatamente non era esageratamente freddo, le fronde alta riuscivano a trattenere il caldo ma l’umidità si faceva sentire. Mi strinsi nella mia giacca a vento e senza nemmeno accorgermene crollai nel sonno, per qualche momento. Venni risvegliata dall’inno di Capitol City, ormai a me troppo famigliare, seguito dai volti dei tributi deceduti. Otto in totale, ma sembravano comunque troppo pochi. Nessuno dei volti delle persone che conoscevo apparve nel cielo quella notte e con questa sicurezza mi riaddormentai nuovamente.

La mattina dopo mi svegliai di soprassalto ma senza un vero motivo apparente, forse potevo aver udito un rumore sospetto e i miei sensi mi avevano avvertito, chissà. Rimangiai qualche pezzettino della cena della scorsa sera per poi costringermi ad alzarmi e a lasciare il mio rifugio sicuro. Mi immaginai come sarebbero andati i miei giochi se avessi deciso di passarli lì dentro. Probabilmente appena finito il cibo sarei dovuta uscire fuori e proprio come un coniglio bianco indifeso qualche predatore mi avrebbe catturato. Sentii nuovamente un rumore, questa volta era vero però, non l’avevo immaginato. Corsi cautamente fuori e ritornai nello stesso punto in cui ieri mi ero fermata ad osservare la valle. Mi guardai intorno, prima a destra e poi a sinistra. Sentii un altro rumore, passi affannosi ma lontani. Ora sentivo delle voci, urla quasi disperate ma comunque non vicine al luogo in cui mi trovavo. Infine trovai la soluzione al mio enigma. Vidi la ragazza di dodici anni sfrecciare proprio davanti a me, ad almeno trenta metri di distanza, seguita poi dal fratello anche lui estremamente terrorizzato. Ma da chi scappavano? Mi nascosi dietro all’albero alla mia destra e continuai ad osservare la scena. Il ragazzino di cui non ricordavo nemmeno il nome era ferito, lo vedevo da come zoppicava ma cercando comunque di correre. Dalla sua testa colavano fiottoli e fiottoli di sangue, era stato ferito al capo. Cavolo doveva fare davvero male. Poi lavidi. La morte fatta in persona che correva verso i due fratelli, pronta a portarli con sé. Era Nita, la ragazza più brutale e sanguinaria che avessi mai incontrato e stava predando come una leonessa quelle due indifese prede. Indietreggiai per qualche secondo, se solo mi avesse visto…ero combattuta tra la mia testa che mi ordinava di correre più lontano che potessi e il mio cuore. La osservai ancora. Alzò la scure di metallo e la piegò orizzontalmente, pronta a colpire. E colpì. Colpì il ragazzo proprio nel punto in cui l’aveva ferito precedentemente, quasi come se l’avesse fatto apposta, per infierire, per rigirare il coltello nella piaga. Poi lo vidi cadere, la sua prima preda. Lo vidi sdraiato a terra mentre la sorellina ferma ora stava osservando quella orribile scena. Non potevo starmene lì con le mani in mano, che razza di persona dovevo essere per permettere a quella leonessa di infierire su quei poveri ragazzi. Avevo quasi incominciato a correre che qualcosa o qualcuno mi trascinò per terra, afferrandomi per le braccia e facendomi rotolare giù per un piccolo dirupo. Me lo levai di tornò molto ferocemente, quasi aggredendolo. Sapevo però che era arrivata la mia fine. Mi alzai velocemente, il mio zaino era a qualche metro di distanza da me ma per fortuna avevo avuto il buon senso di nascondere il mio coltello nei miei stivali, in un luogo dove non l’avrebbe trovato nessuno. Poi alzai lo sguardo.
– Perché l’hai fatto?! – urlai contro quell’idiota di Declan andandogli contro e spingendolo a terra con tutta la forza che possedevo.
– Perché?! Potevo fermarla! – mi riferivo a Nita, ormai ero sicura che avesse già ucciso tutti e due i ragazzi. Ero davvero furiosa.
– No, invece. Non potevi! – mi urlò di rimando lui mentre cercava di alzarsi e cercando di contenere la mia troppa rabbia bloccandomi contro la parete rocciosa dalla quale eravamo appena caduti. Cercavo di liberarmi ma la sua presa era davvero stretta.
– Calmati. – mi ordinò con voce ferma e chiara e così feci.
Restammo per qualche secondo lì fermi a guardarci negli occhi mentre la mia rabbia sfumava sempre di più. Quando lui ebbe compreso la mia calma lentamente mi lasciò andare. Mi sistemai la maglietta.
– Come facevi a sapere dov’ero? – gli chiesi con voce molto dura. Avevo appena imparato a cavarmela da sola e trovarmi davanti qualcuno in un certo senso, ma anche stranamente, mi dava fastidio.
- Ti ho seguita – forse era lui il rumore che avevo sentito stamattina appena sveglia
– Da quando? – gli chiesi, ma dal mio tono assomigliavo di più al braccio dell’inquisizione che interroga un sospettato
– Da ieri -  odiavo le risposte a monosillabi, si, no, forse. Le detestavo
– Dove hai dormito? – Declan fece fatica  a rispondere, il suo volto si rabbuiò
– In una grotta nella foresta? – gli chiesi, provando a smuoverlo
– No! No…Ho dormito in un…buco…che ho scavato nel terreno…a mani nude – rimasi a bocca aperta.
Non potevo credere che l’avesse fatto veramente, io non ci sarei mai riuscita. Eravamo stati abituati troppo bene
– E ad un certo punto durante la notte, un armadillo è scivolato dentro e…credo abbia amoreggiato con me - … n-non sapevo davvero cosa pensare… era così…imbarazzante
– Oh mio dio, povero te.  – ero davvero contrariata.
Non volevo veramente intrattenere quella discussione con lui
– Ma sono sopravissuto, almeno per una notte! Poi, quando è arrivata quella piccola tempesta dall’oceano, ho tirato su il cappuccio della giacca sulla mia testa e ho aspettato la morte – Non avevo sentito nessuna tempesta, probabilmente la grotta mi aveva riparato da essa.
– Ma in qualche modo, mentre me ne stavo lì, credo di aver ritrovato quello spirito primitivo dell’essere umano che vuole continuare a vivere, non importa a quale costo – non capivo bene il motivo per cui mi stesse dicendo quelle cose, ma in qualche modo lo ammiravo
– Cosa posso dire? Sei stato molto coraggioso ed impavido, io non ce l’avrei mai fatta – lui annuì alla mia risposta.
Solo ora lo notavo, i suoi occhi sembravano spenti, distrutti e ora capivo perché.
– Ho mangiato una farfalla… - Ora capivo perché tutti pensassero che lui fosse un pazzo, soltanto il suo sguardo lo confermava.
Mi sentivo a metà tra il ridere a crepapelle e l’essere spaventata a morte dalla sua scelta ambigua e non del tutto condivisibile.
– Lei era così piccola e meravigliosa… ed io ero così affamato – ed ecco nuovamente il Declan che avevo sempre visto a scuola: stralunato credo sia la parola esatta. – Stai piangendo? – gli chiesi.  Mi sbagliavo o i suoi occhi erano lucidi?
– No, non credo sia possibile. Sono altamente disidratato – Così gli porsi la restante carne essiccata e tutta l’acqua che mi rimaneva.
– Forza, andiamo a cercare un fiume o un lago – gli dissi rimettendomi lo zaino in spalla e aiutandoci a vicenda a risalire il piccolo pendio.
Ritornammo nel punto in cui avevo visto Nita aggredire i due fratelli ma ora non c’era traccia di nessuno dei tre, probabilmente avrei rivisto i volti di quei due poveri ragazzi quella stessa notte. Attraversammo insieme la valle che si rivelò estendersi per parecchi chilometri. Non ne capii il motivo ma Declan preferì viaggiare a qualche metro di distanza dietro di me. Di cosa poteva avere paura, di me? Io non avrei fatto male nemmeno ad una mosca. Di qualcun altro? Probabilmente dopo aver sentito questo qualcuno arrivare se la sarebbe data a gambe lasciando me da sola a combattere, non ne sarei rimasta di certo stupita. Qualche ora dopo arrivammo finalmente ad un lago, non molto vasto ma quanto bastava per rifocillarsi e raccogliere un po’ d’acqua. Buttai la mia roba sotto un albero proprio lì accanto ed entrambi ci sedemmo per la fatica che avevamo appena compiuto. Ricominciai finalmente a respirare come si doveva, con dei lunghi e profondi respiri. Ero in pace, almeno per qualche momento. Mi guardai attorno, una lieve brezza marina arrivava fino al luogo in cui mi trovavo e ora mi stava scompigliando i capelli, le fronde dell’arbusto sopra di noi si muovevano a tempo con essa come fosse una danza di cui non ricordavo i passi. Tutto di un tratto, alzando gli occhi al cielo, vidi qualcosa avvicinarsi sempre di più a noi.
– Guarda lassù! – esclamai richiamando l’attenzione di Declan che si era appena alzato per andare a riempire la mia boraccia.
Quel qualcosa si incastrò proprio sui rami dell’albero così, con un aiuto del ragazzo, fui costretta a salire su lassù e riportare giù il piccolo paracadute, perché è di quelle che si trattava. Lo aprii ma l’unica cosa che vi era all’interno era una borraccia piena di acqua. Cos’era questo, uno scherzo per prenderci in giro? A che cosa diamine stavano pensando Peeta e Katniss quando decisero di mandarci questo insulto alla nostra intelligenza, avevamo una fonte praticamente infinita di acqua proprio ai nostri piedi. Mi sedetti nuovamente a pensare. Ripensai all’acqua del mare che avevo visto ieri alla cornucopia, quell’essere che si era avvicinato troppo a noi senza un motivo, come non avesse paura, poi ripensai all’eccessivo profumo che avevano tutti i fiori e le piante che ci circondavano, un sapore quasi soporifero a dirla tutta, poi ripensai alla farfalla di Declan…mi si gelava il sangue soltanto al pensiero ed infine quel dono mandato proprio nel momento in cui avevamo trovato dell’acqua. I nostri mentori non poteva essere così stupidi, ci doveva essere un segnale nascosto dietro a quello letterale, avrei dovuto leggere tra le righe. Infine il mio sguardo tornò su Declan che stava per bere il primo sorso dalla borraccia che aveva appena riempito
– No, non farlo! E’ avvelenata!  - gli gridai. 

Risposta dell'autore:
Sono stata brava questa volta, eh? Ho aggiornato immediatamente! E' un capitolo molto veloce che ho scritto in due giorni, non c'è niente di particolarmente complicato da dire, c'è molta azione e pochi dialoghi. Sono iniziati gli Hunger Games e Rose e Declan, finalmente alleati, stanno per scorpire in quale arena sono capitati. Lo dirò nel prossimo capitolo ma voi riuscireste a indovinare di quale potrebbe trattarsi?

 

  
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