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Autore: BlueSkied    15/10/2012    1 recensioni
Emily Rochester, giovane addestratrice di cavalli dal passato difficile, è assunta nelle prestigiose scuderie LaMosse, dove, tra adolescenti teneri e stravaganti e padroni senz'anima, il suo cuore si dividerà tra due modi diversi, ma complementari, di amare qualcosa e qualcuno.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Lucy

Io e Juno stiamo cavalcando una a fianco all’altra, attraverso i possedimenti dei LaMosse. A Hawkeye fa bene fare una passeggiata in libertà, e anche a me, a dire il vero.
Sono confusa, non so come comportarmi e odio sentirmi così. In verità, ho già deciso di continuare a fare come al solito, ignorando la vaga e ancora sconosciuta minaccia rappresentata da Marine LaMosse, ma non sono sicura che questa sia la decisione giusta. Juno è praticamente cresciuta qui, deve saperne qualcosa in più di lei.
Con Sasha e Wood non ne ho voluto parlare, perché Wood non riesce a tenere la bocca chiusa con gli altri, se beve un po’ di più del solito, e Sasha si agiterebbe e basta.
Con lei penso di potermi aprire più liberamente: nonostante il suo aspetto strano, o meglio, strano per me che ho finito il liceo da dieci anni e che non so niente delle mode giovanili, è un tipo intelligente e molto discreto.
Oggi esibisce una maglietta nera con la stampa di un coniglio che sembra una bambola da voodoo, e lunghi guanti senza punte a strisce viola e nere. Mi ha detto il nome dello stile, ma non me lo ricordo. Sono vecchia per queste cose.
Myles, il suo pony palomino, scuote la criniera chiara, infastidito da un insetto. Tutte le volte che lo vedo, mi stupisco di come sembri che sia stato fatto apposta per lei. Mentre ci sto riflettendo, mi accorgo che Juno mi fissa con i suoi enormi occhi spalancati:
- Emily, sembra che hai visto un fantasma – osserva – Ormai so che non sei una che parla tanto, ma non hai detto una parola! C’è qualcosa che non va?- chiede, ansiosa. Apprezzo molto che arrivi al punto così rapidamente. Detesto tergiversare.
– In realtà, sì – rispondo, e le racconto brevemente cosa è successo ieri con Art e la signora. – Tu cosa sai di Marine?- le domando, quando ho finito.
Lei rotea gli occhi e sbuffa, con aria disgustata: - è la peggiore persona su questo pianeta. Dopo che è morta nostra madre, non faceva che chiamare me e Sasha Pollyanna e Oliver Twist. La sua cricca di amici sono uguali a lei, ma più stupidi. Pensa che tutto le sia dovuto, perché è una LaMosse, e gli altri sono feccia. Sai, credo di sapere perché ce l’ha con te, Emily – rivela, con mio sconcerto.
– Davvero? – replico, sorpresa, e lei annuisce, squadrandomi con occhio esperto: - Sei più bella di lei – asserisce, sicurissima.
È talmente assurdo che scoppio a ridere, rischiando di ribaltarmi giù dalla sella. Hawkeye sbatte la coda, quasi ad ammonirmi.
Riprendo il controllo e guardo Juno negli occhi, con un’espressione “ andiamo – non – scherzare” : - Nemmeno lei può essere così scema. Andiamo, ha sedici anni, io ne ho ventotto! Come può sentirsi oscurata da me? Non ci siamo mai neanche incontrate – dico, ragionevole.
Juno mi restituisce uno sguardo saggio: - Sì, sarebbe perfettamente logico, ma lei è Marine LaMosse. Tu non l’hai mai vista, ma lei ha visto te e vuole essere unica, in ogni cosa. – spiega.
Visto che il mio atteggiamento rimane perplesso, Juno prosegue con la sua spiegazione: - Hai notato che la scuderia ha solo fantini? Lei è la sola amazzone. Ti sei chiesta perché LaMosse non assume donne? Non è solo Marine, c’è anche sua madre dietro. È tutta una questione di soldi, loro sono le eredi, loro decidono le regole – conclude, torva come mai l’ho vista finora.
Apro la bocca per ribattere, ma esito: - Quindi mi stai dicendo che Ashton LaMosse permette a nipote e cognata di tiranneggiare nella sua attività perché erediteranno tutto? – domando, incerta e scandalizzata.
Lei fa segno di sì: - Ovviamente, sono cose che nessuno dice, ma che sanno tutti. Ad Art non interessa più, se non fosse per i cavalli avrebbe già piantato tutto e tutti. La signora…nessuno sa cosa ne pensi, ma da quando sua figlia è morta si è allontanata da tutto ancora di più – racconta, mestamente.
Questi nuovi e oscuri risvolti mi turbano. Rimango in silenzio per un po.’
 – La figlia di LaMosse è morta?- chiedo, parlando di nuovo. Juno annuisce: - Tanti anni fa. Era solo una bambina. Se vuoi, ti porto a vedere la tomba – propone, scrutandomi.
Non vedo perché dovrei accettare, ma lo faccio comunque, più per un motivo di rispetto che di curiosità.


Il cimitero di Barnes è quasi a metà strada tra la città e le scuderie, piccolo quanto me l’aspettavo.
I LaMosse sono l’unica famiglia ad avere una cappella, che spicca subito all’occhio tra le poche file ordinate di lapidi tutte uguali.
Accompagno Juno a una breve visita dai suoi genitori, poi entriamo nella cappella, che la ragazzina mi spiega essere sempre aperta: - La città deve la vita a questa famiglia. In molti vengono a rendere omaggio ai vecchi padroni. Erano molto amati – dice, il che mi fa presupporre che Ashton non sia benvoluto come i suoi predecessori.
I loculi sono meno di quanto pensassi, e piuttosto spogli, nonostante quel che mi ha detto Juno. La tomba evidentemente più recente è anche quella che reca le tracce di visite assidue.
Non c’è fotografia, ma il nome e le date di nascita e morte fanno ben capire chi sia la sepolta, Lucy LaMosse.
Restiamo solo pochi minuti, perché stare qui mi angoscia e mi sconvolge, anche se non capisco perché, non davvero.
Rifacciamo la strada verso le scuderie portando Hawkeye e Myles per le briglie, quasi in assoluto silenzio, finché non lo rompo:
- Non voglio finire incastrata nei rancori e nei segreti di questa famiglia, Juno – mormoro, piena di rabbia.
So bene che le famiglie sono una trappola di bugie, asti e dolori inflitti, dato che l’ho vissuto. Non sarò una pedina per le macchinazioni di un’altra. Juno mi guarda, abbattuta, poi mi circonda la vita con un braccio. Mi lascia sempre spiazzata con questi suoi gesti così liberi e spontanei. Sono davvero poche le persone come lei.
– Mi sa che ci sei già dentro, Emily – constata, con sconforto – Ma io so che tu non ti fai mai scoraggiare da niente, non ti venderai a loro – afferma, sicura. Nonostante tutto, sorrido. La sua fiducia riesce a tirarmi un po’ su di morale. Peccato duri poco.
Quando riportiamo i cavalli in stalla, c’è qualcuno che ci attende, che mi attende.


Il gene dei LaMosse deve essere forte. Non c’è traccia della bionda insignificanza di Florence nei tratti di Marine.
Alta per i suoi sedici anni, ha un corpo sottile e aguzzo come uno spillo, in armonia con i lineamenti affilati del suo viso, del tutto riconducibili sia a Ashton che a Arthur. Anche gli occhi e i capelli scuri, che cadono sulle spalle in boccoli elaborati, sono gli stessi, ma completamente privi sia dell’umanità di quelli di Art, sia della severità di quelli di Ashton. Questi sono occhi maliziosi, serpenteschi, alteri.
È affiancata da un ragazzo smilzo, pallido e dai tratti coniglieschi, che ho già visto qualche volta con altri stallieri. Non so chi sia.
Juno fa saettare rapida lo sguardo verso di me, ma non dà cenno di volersene andare. Sa che è meglio non lasciarmi da sola adesso.
Io abbasso la testa, nel cenno di saluto che uso con i padroni, tranne Art, e porto sia Myles che Hawkeye nei box, senza scompormi per un attimo. Che questa ragazzina dica e faccia quello che vuole.
Infatti, sento il leggero ticchettio dei suoi stivali costosi avvicinarsi a me e mi volto, mostrandomi impassibile.
Marine LaMosse pianta quegli occhi d’inchiostro nei miei e mi porge la mano destra, che per assurdo, mi pare affilata come il resto della sua persona. La stringo, cautamente, e lei esordisce:
- Emily Rochester. Finalmente ci conosciamo. Sono Marine LaMosse, la figlia di Arthur – si presenta.
Ha un tono di voce sorprendentemente dolce e soffice, come quello di una bambina, in totale contraddizione con il suo aspetto.
 – Sono onorata di conoscerla, signorina LaMosse – replico, piatta. Si volge con un gesto lezioso, molto simile a come l’ho visto fare a suo zio, verso il ragazzo con lei:
- Lui è Morgan Porter, il mio ragazzo. Forse l’ha visto in allenamento, è uno dei fantini della scuderia – dice, in tono vago. Stringo brevemente la mano anche a lui, poi incrocio le braccia sul petto, aspettando che lei parli di nuovo. Non ho intenzione di darle spunti o armi da usare contro di me.
Mi studia qualche attimo, inclinando la testa di lato. – Credevo fossi più giovane…preferisco darti del tu, non ti dispiace – osserva. Non me lo sta chiedendo e io faccio finta di niente.
– Avevo chiesto di te per farmi da istruttrice, ma hai declinato l’incarico. Volevo saperne il motivo – prosegue, arrivando al sodo della questione. Ho la risposta pronta: - Non sono un’istruttrice. Sono stata onorata dell’offerta, ma ho ritenuto di non essere all’altezza – spiego, perfettamente calma.
I suoi occhi si stringono, come le sue labbra già sottilissime, e Porter scoppia in una risatina gelida: - Sembra che tu non sia all’altezza comunque, Rochester – mi sbeffeggia, alludendo alla mia statura fisica.
Devo trattenermi dall’alzare gli occhi al cielo. Dio, sono veramente dei mocciosi.
Sorrido, affabile: - Immagino che su questo abbia ragione, signorino Porter – replico. La mia reazione gela l’espressione sulle loro facce. L’ostentata sicumera di Marine vacilla e lei scopre le carte:
- Ti credi molto furba, vero, Rochester? Ti avverto, non metterti contro di me – minaccia, ridicola nella sua spavalderia. Sostengo il suo sguardo maligno senza battere ciglio.
 – Come vuole, signorina LaMosse – ribatto.
Vedendo che non è riuscita a intimidirmi, gira sui tacchi e se ne va, trascinandosi dietro quell’idiota.
Appena sono spariti, Juno espira rumorosamente: - Whew! Ora sì che ti farà passare l’inferno, Emily – esclama, preoccupata.
Mi stringo nelle spalle: - Non mi faccio spaventare da una sciacquetta, Juno – sentenzio. 
Più tardi, a letto, mi sorprendo a rimuginare non su quel breve incontro, ma sulla visita alla cappella dei LaMosse. Non so perché, ma ho la sensazione che se Lucy fosse viva, tutto questo non accadrebbe.
È a lei che penso, ma un attimo prima di addormentarmi, il suo volto, che immagino come una versione più dolce di quello di Marine, diventa quello di sua madre, Elizabeth.
E quel volto piange.       
  
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