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Autore: Belle_    15/10/2012    11 recensioni
«Usagi...», ripeté con dolcezza.
Le stava accarezzando le guance piene di biancore, poi passò a toccarle i capelli dorati lasciati anonimi sulle spalle, ed infine sfiorò le sue labbra con entrambe le mani, con tutte e dieci le dita. La toccava come se fosse tutta roba sua, come se in qualche tempo tutta quella pelle, quelle palpitazioni e quelle ossa fossero state sue. Solo sue.
«Usagi...», sussurrò ancora.
Si chinò sul suo viso con gli occhi dischiusi, le labbra pronte ad improntarsi sulle sue, il respiro spezzato da un'emozione più grande.
Ma lei si scostò, spaventata, e iniziò a toccarsi le mani con morbosità.
Lui le fermò con la sua presa salda, sicura e spaventosa, consapevole di quel vizio immaturo, e la stava fissando con quegli occhi suoi, color cielo. Un cielo antico si stava stagliando su di lei, un cielo pieno di dolore. Ed era tremendo trovarsi sotto una volta così agghiacciante e morbida, meravigliosa e terribile.
* * *
...se perdessi la memoria, a chi crederesti?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inner Senshi, Mamoru/Marzio, Outer Senshi, Seiya, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi, Seiya/Usagi
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna serie
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-5) Color Marrone.
   Un po' terra, un po' cioccolato.





Nei successivi giorni Usagi era tornata un po' come un tempo; girava per casa con il sorriso sulle labbra, rideva di gusto, scherzava e urlava, e abbracciava con forza sua sorella di continuo, e non faceva altro che chiedere ai suoi poveri genitori qualunque cosa. Domande del tipo: quando è il mio compleanno, sono brava a scuola, amo ballare, chi sono le mie amiche, mi piacciono le verdure, sono ancora vive le mie nonne. Domande importanti e inutili che riempivano la testa di Ikuko e Kenjii e che sembravano non sopportarla più, ma appena Usagi voltava le spalle, offesa e infuriata, sorridevano nel poter vedere quei codini scodinzolanti che giravano per casa.
Sorridevano nel poter rivedere la loro figlia.
Era come se Usagi fosse rinata e stesse ripercorrendo i passi dell'infanzia e quindi il periodo del perché perenne, della scoperta del mondo. Come se Ikuko avesse avuto un'altra figlia e la stesse educando di nuovo. E a Usagi quell'aria casalinga piaceva. Piaceva essere viziata un po' dal latte caldo prima di andare a dormire, dai baci della madre che sapeva essere rari, dai sorrisi rigidi del padre che le rivolgeva, dai dolci che le arrivavano dalle sue amiche, dai fiori di pesco che la mandava una misteriosa nonna. Le piaceva stare dentro quella piccola tana che lentamente sentiva essere casa sua, le piaceva l'aria di protezione dentro quelle mura e il senso di benessere sotto una coperta calda mentre fuori la pioggia perseverava. Capitava spesso, però, che Usagi si fermava sulle banalità, come quella volta che si era ritrovata davanti una TV e non sapeva come accenderla; non perché non ne fosse capace, ma perché non ricordava come azionarla. Ed era così che calava di nuovo il sipario sulla famigliola Tsukino, riapparivano quei volti scuri e pensierosi come a dirle che loro erano stati la causa della sua amnesia.
Era così che Usagi scendeva nell'abisso e rivedeva i tratti del viso di Mamoru, era così che si riappropriava dell'innata malinconia nel suo pensiero. In quei giorni erano state tante le volte che aveva pensato a Mamoru e al suo ultimo saluto, aveva persino sperato di poterlo vedere passare sotto casa sua, ma si sentiva profondamente offesa dal suo gesto. Ferita dal suo stesso dolore, ammise a sé stessa. Lo pensava sotto le coperte, mentre prendeva una cioccolata con il caramello, quando guardava la TV, quando rideva con Chibiusa. Tornava così a riprendere quell'unica fotografia in cui si scorgeva Mamoru, quell'angolo con metà del suo volto, e lo osservava con quello sguardo accigliato e serio. Lì, in un angolo, come se non volesse disturbare, come se non doveva esserci lì.
Tornava a chiedersi tante cose; come aveva conosciuto Mamoru? Come aveva reagito quando aveva saputo che era già un uomo fidanzato? Perché Mamoru era così duro con lei?
E soprattutto perché Usagi non si era ribellata a quel triangolo?
Ma le risposte non arrivavano mai, trascinandola nello sconforto e nelle lacrime che il suo cuscino ospitava con gentilezza ogni volta con la mano cortese della seta. Come unico conforto c'era il suo gattino nero che le faceva le fusa accanto, strusciando la sua coda contro la pelle, accoccolandosi sulle sue ginocchia, giocherellare con l'orlo delle sue gonne. Forse, quel gattino sapeva più cose e peccato che fosse solo un docile animaletto senza capacità di parlare. Anche se Usagi era convinta che gli animali potessero parlare a modo loro. E lo sconforto, l'arida distesa bianca della sua mente, la facevano tremare fortemente,ma non facevano altro che darle più forza e più curiosità.
Voleva conoscersi.
Fu così che quel pomeriggio scese in salotto con la sua felpa rossa con quella caricatura di un cartone animato e con i capelli sciolti, ondulati, lasciati oziare sulle spalle, e si sedette di fronte a sua madre. Con lo sguardo fisso, attento, mentre la osservava.
Ikuko stava in cucina, indaffarata nel preparare il piatto preferito di Usagi, gli gnocchi, e le sorrise bonariamente, nonostante si vedesse la sua stanchezza sul volto. Usagi le fece segno di sedersi accanto a lei, lo fece e la osservò con un punto interrogativo negli occhi. << Dimmi, Usachan. >>, la incitò a parlare.
Usagi la fissava, ne studiava ogni piccolezza, cercando un dettaglio che la portasse a ricordare qualcosa, perché aveva imparato che erano i dettagli a fare la differenza nella sua vita e che ingiustamente la portavano a ricordare. Inchiodò gli occhi di Ikuko con i suoi perché amava guardare le sfumature delle iridi, amava guardare i colori che possedeva e a quali poteva allungarsi e fondersi. Sua madre aveva gli occhi color cioccolato, occhi seri e scuri, ma che avevano una cadenza ai lati molto dolce. Quasi come se fossero cioccolato al latte che continuava a mescolarsi con piacere. Amava quel cioccolato.
<< Allora? >>, chiese Ikuko.
<< Voglio altre fotografie. Fotografie in cui ci sia Mamoru. >>, le disse.
Ci sfuggiremo sempre.
Ikuko si irrigidì, fulminando sua figlia. << Non ne abbiamo. >>, fu secca.
<< Non è vero. >>, sibilò Usagi, capendo la menzogna.
<< Non replicare, Usagi. Ti ho detto che non ne abbiamo, capitolo chiuso. >>.
Si alzò dalla sedia e prese a impastare la massa giallastra e prosperosa che era stata messa di lato sul tavolo. Torturò quella pasta con pugni e carezze troppo energiche mentre inchiodava i suoi occhi color cioccolato proprio sul suo lavoro, come a volersi concentrare solo sugli gnocchi e non alle assurdità che diceva la figlia.
Perché, per Ikuko, Mamoru era un'assurdità.
<< Mamma... >>.
Ikuko alzò gli occhi ed ebbe un tremito al cuore così profondo che sentì mancare un battito, sentirsi di nuovo alle prese con la figlia adolescente e irrequieta. Gli occhi di Usagi erano fissi nei suoi e la guardava con la determinazione che bruciava nei suoi, con quella determinazione che sentiva di odiare. Aveva sempre odiato quella parte di Usagi.
<< Ho bisogno di ricordi. >>, disse con una strana tranquillità, senza smettere di guardare.
Ikuko stette per dire qualcosa, lasciò la pasta ammassata sul tavolo, vittima di massaggi troppo furenti, e si avvicinò a sua figlia con le mani sporche di farina, con il viso spezzato dal dolore, con gli occhi lucidi. Duri, fermi, come terra. Aprì la bocca, ma Kenjii le interruppe: << Volete smetterla? >>.
Gli occhi di suo padre sprofondarono nei suoi, condannandola ancora una volta senza sapere per quale motivo.
Usagi si rispecchiò dentro quegli occhi, sentì il brivido della paura e della verità che bruciava e mordeva dentro di lui, ma gli cedette una tregua. Abbassò lo sguardo e si sedette sulla sedia di ciliegio, esausta. << Oh, va bene, come volete voi. Mi arrendo. >>, disse con la voce rotta da un pianto sommesso.
Desiderava tantissimo sapere qualcosa, qualcosa di sé e automaticamente c'entrava Mamoru perché lo sentiva cucito sulla sua memoria difettosa. Dentro quella vita un po' arida e un po' generosa.
I suoi genitori si guardarono per un attimo negli occhi, leggendo l'una dentro l'altro la paura di rivedere la loro figlia spegnersi, perché quello non era proprio un atteggiamento della loro Usagi. Kenjii stette per dire qualcosa, ma suonò il campanello di casa e andò verso la porta.
Mentre suo padre si dirigeva nell'ingresso, Usagi rivolse uno sguardo nascosto a sua madre e poté vedere i suoi occhi lucidi, cioccolato fondente e amaro che si permeava di lacrime nascoste. Cioccolato e terra che combattevano l'uno contro l'altra. Morbidezza e durezza in conflitto dentro gli occhi di sua madre.
<< … Stavolta non ti presenti come futuro marito di Usagi? >>, sentì dire dall'ingresso.
Spinta dalla curiosità, andò verso l'ingresso di casa e quasi le venne un colpo nel vedere sull'uscio della porta quel ragazzo alto e con i capelli corvini, quel ragazzo con gli occhi come il cielo che fissavano in cagnesco suo padre, quel ragazzo che si erigeva ritto e rigido. Quel ragazzo che, con un tono basso, la chiamò: << Usagi, devo parlarti. >>.
Ma vaffanculo!
<< Mamoru? >>, rimase allibita.
Suo padre la guardò e la fulminò con gli occhi. << Fate in fretta. >>, disse secco.
<< Be', entra. >>, gli disse.
<< No, faccio subito. >>.
<< Okay. >>.
<< Ok. >>.
<< Come va? >>, gli chiese, sentendosi in imbarazzo.
<< Potrebbe andare meglio. >>, parlò con distacco. << Tu, invece? I ricordi come vanno? Arrivano? >>.
Usagi sorrise e si diresse verso la porta, uscendo sotto il porticato spiovente mentre la pioggia ticchettava placida sull'erba rada e gialla e scottata dal gelo. La brina punzecchiò le punte dei capelli biondi di Usagi e si infiltrò rapida nei polmoni, rinfrescandola. C'era la neve, era caduta la notte prima, e imbiancava gran parte del suo piccolo giardino. Donava a tutto un'aria angelica, divina. << Sai che ho ricordato qual è la mia canzone preferita? >>, disse, sedendosi sul muretto.
Mamoru la imitò, si sedette accanto a lei e le prese una mano con dolcezza. << Cosa vuoi che sia, giusto? >>, chiese con una mal celata timidezza.
<< Sì. >>, arrossì insensatamente.
<< Adoro quella canzone. >>, fissò il cielo denso di pioggia con gli occhi rilassati. Li chiuse.
<< Lo so. >>.
Li riaprì, incredulo. << Come fai...? >>.
<< L'ho ricordato e nel ricordo c'eri tu. >>, gli sorrise come se fosse bastato sorridergli. Come se avesse voluto ricominciare, come se quel sorriso leggero aveva la potenza di poter cancellare il brutto saluto e il passato dimenticato. Aveva bisogno di ripartire, Usagi.
Mamoru finalmente sorrise.
Fu uno di quei sorrisi che Usagi non avrebbe dimenticato, uno di quei spasmi muscolari che lo rendeva così brutto per via delle rughe attorno agli occhi, ma nello stesso tempo bello da mozzare il fiato per la gioia che era descritta nel suono, nei contorni, nel modo di farlo. Apparve come se sorridere fosse una poesia.
Sapeva che avrebbe amato quel sorriso, sapeva che lo aveva amato.
<< Ti devo chiedere scusa. >>, disse infine.
<< Per il 'dolce' saluto dell'altra volta? >>, lo punzecchiò.
<< Sì. >>, abbassò la testa. << Sono stato uno stupido. >>.
<< Un cafone. >>, lo corresse, accigliandosi.
<< Concordo. >>.
Usagi lo guardo negli occhi, sentendo che quegli occhi fossero suoi, ogni sfumatura, ogni cosa che guardavano, ogni persona che sfioravano. << E' passato, comunque. >>.
<< A volte non riesco a frenare i miei impulsi, la mia rabbia mi acceca spesso. >>.
<< Rabbia? E per cosa? >>, batté più volte le palpebre, un po' titubante.
<< Usagi, avevi ricordato Seiya e non me. >>, la fulminò.
<< Mamoru, tu hai una ragazza. >>, strisciò.
<< E tu avevi baciato me poco prima. >>.
<< Non posso comandare i miei ricordi. >>.
<< Ma le tue labbra sì. >>, si alzò e si posizionò davanti a lei, mentre stringeva una sua coscia con una mano con troppa forza.
<< Mi stai dando la colpa di quel bacio? >>, si alterò. << Tu ti sei chinato su di me! >>.
<< E tu non ti sei spostata! >>, urlò.
<< Ma tu avevi una ragazza! >>, lo rimbeccò con più determinazione.
<< E tu il ricordo di Seiya nel cuore! >>, ribatté, avvicinandosi ancora di più.
<< Cos'è, sei geloso? >>, Usagi si alzò e lo fissò negli occhi, infuriata.
<< E tu non sei gelosa di Galaxia? >>, incalzò.
Usagi si morse la lingua prima di gridare un sì, voltò il viso e, strisciando, disse: << No. >>
<< Usagi... >>, la chiamò, strisciando.
<< No, non sono gelosa di te! >>, urlò, facendosi avanti per arrivare ad un passo dal suo volto. << Non lo sono, non lo sono, e basta! >>.
Mamoru abbozzò uno di quei sorrisi divertiti e si avvicinò al collo di Usagi, baciandone ogni piccolo pezzo di pelle, respirando con fatica il suo profumo fresco. Per tutta risposta, Usagi inclinò il collo per permettere a Mamoru di procedere senza intralcio, sentendo i baci dolci e leggeri che si dirigevano al lobo dell'orecchio.
<< Sei gelosa, ammettilo. >>, sussurrò.
Usagi sentì la parte vecchia di sé stessa che si ridestava, così aprì gli occhi e lo fissò con troppa determinazione e un pizzico di malizia. Poggiò le sue labbra schiuse sulla sua guancia, lasciandone piccoli e impercettibili baci mentre raggiungeva lievemente uno zigomo. Sentì la pelle di Mamoru rabbrividire, lo sentì trattenere un respiro e irrigidirsi.
Sentì pezzettini di ruggine snocciolarsi dalla sua memoria e trovare un po' di sensazioni vecchie, antiche, che sapevano un po' di rancido, ma che Usagi assaporò come se fosse una torta alle fragole o un bel piatto di gnocchi. Si sentiva lentamente sé stessa...
<< Usagi, spostati. >>, soffiò con voce roca.
<< No. >>.
<< Fallo! >>, le afferrò le spalle con le sue mani.
<< No. >>, ripeté.
<< Fallo, altrimenti non rispondo di me stesso. >>, cercò senza forza di spostarla.
<< Ammetti che sei geloso e mi allontano. >>, sussurrò, nascondendo il rossore.
<< Sei una scema. >>, si rabbuiò, guardandola in viso.
<< Perché? >>, lo fissò con la testa inclinata.
<< Perché ho una ragazza. >>, disse a denti stretti.
<< Lo so. >>, si allontanò, esausta. Osservò il cielo, grigio e prosperoso di fiocchi danzanti che si scioglievano man mano che scendevano sul pavimento della città. << Mi chiedo come avrò fatto in passato a sopportare tutto questo. >>.
Mamoru l'abbracciò da dietro, stringendola forte. << Mi chiedo se riuscirai a perdonarmi un giorno per tutto questo. >>, le sussurrò nell'orecchio con la voce rotta.
Usagi si voltò per guardarlo e vide quella maschera di acciaio che si scioglieva sotto un fuoco sconosciuto, osservò quel volto fratturato dal dolore che non poteva comprendere, quel dolore profondo e nascosto, quel senso di colpa così schiacciante. Gli carezzò una guancia, fissandolo dolcemente.
<< Mamochan... >>, la sua voce tremava ed aveva bisogno di familiarità. Aveva bisogno di trovare un pezzo di sé stessa e sapeva di trovarlo dentro di lui, aveva bisogno di perdonarlo e ci sarebbe riuscita soltanto guardando i suoi occhi che riflettevano il cielo immenso e sperduto, leggero e tuonante.
<< Usako... >>, disse roco, chinandosi sul suo volto, pronto a baciarla. << Non posso permettermi il lusso di essere geloso di te. >>.
Usagi sospirò, dandogli un bacio sulla guancia. << Tregua, ok? >>.
<< Okay. >>, abbozzò un sorriso.
E rimase così, fermo davanti all'uscio della porta di casa Tsukino, curvo a causa dell'abbraccio scomodo con Usagi e sotto gli occhi pungenti di Ikuko che era affacciata alla finestra. Eppure non si mosse, rimase lì.
<< Mia madre è alla finestra. >>, annunciò Usagi, osservando di lato il cioccolato degli occhi della madre.
<< Lo so. >>, sorrise con amarezza. << Non sono il loro pupillo. >>.
<< Perché? >>, chiese, affamata di passato.
<< Perché anni fa ho fatto un grande sbaglio. >>.
<< Quello di presentarti a mio padre dicendo di essere il mio futuro marito? >>, chiese divertita.
<< Hai sentito, quindi. >>, poggiò la sua testa su quella di Usagi. << No, non per quello. Magari fosse stato solo quello... >>.
<< Cosa può aver fatto di tanto grave un laureando in medicina? >>, chiese, sorridendo.
<< Sono già laureato. >>, la corresse.
<< Oh, davvero? >>.
Mamoru annuì e si disse che gli sarebbe piaciuto stare sempre così. Abbracciati, calmi, a chiacchierare del più e del meno. Anche se il più e del meno non era appropriato da dire.
<< Quando? >>.
<< Mentre tu eri in coma ho discusso la mia tesi di laurea, sono fresco di confetti. >>.
Si costrinse a sorridere, nonostante avesse avuto nel cuore una crepatura quando si era voltato alla folla con il sorriso e con la Laurea in mano, quando non la vide lì, seduta ad applaudire per il suo traguardo. Per quel traguardo tanto agognato che proprio lei aveva spinto a proseguire, a non mollare.
<< Oh! >>, disse semplicemente, Usagi. Gli sorrise e, alzando le punte, gli diede due baci sulle guance. << Congratulazioni, Dottor Chiba! >>.
Usagi vide il suo viso cambiare espressioni una dopo l'altra, e sperò che la sua assenza potesse essere perdonata in qualche modo.
<< Dimmi la verità, Usagi. >>, disse con un tono malizioso. << Lo hai fatto solo perché vuoi che ti porti i confetti. >>.
Usagi iniziò a ridere fragorosamente. << Sì, hai ragione. >>, disse tra un singhiozzo e l'altro.
Risero insieme per un lungo minuto.

<< Ecco le tue fotografie, Usagi. >>, disse Ikuko quando Usagi rientrò dentro e Mamoru se ne era andato. << Di Mamoru ce ne sono poche, fattele bastare. >>.
Le brillarono gli occhi e si gettò sulla madre, stringendola fortemente. << Grazie, mamma. Grazie mille, mammina! >>.
Usagi vide il sorriso che nasceva dispettoso sul sorriso della madre e tradiva la sua maschera di freddezza e di madre ferita, lo vide nitido e luminoso e non lo dimenticò. Un sorriso bello come quello non l'aveva mai visto, uno movimento di labbra così dolce non l'aveva mai colpita al cuore. Un sorriso soffice sulla porporina che erano le sue labbra, un morbido cioccolato alle fragole che si distendeva, ma nello stesso tempo era un sorriso rigido, un sorriso trattenuto, un sorriso fertile di saggezza, come terra arida e spaventata dalle calamità della terra. Era il sorriso di una donna, il sorriso dolce e amaro di chi aveva sofferto tanto e tacitamente. Era il sorriso di una mamma.
Quel sorriso carico di fertilità le strappò qualcosa dentro e lo fece violentemente, riaprendo cassetti della sua mente così carichi di emozioni che la annientarono.

Davanti agli occhi di Usagi c'era sua madre che faceva la spesa, la borsa nuova sotto la spalla, un sorriso da spezzarle il cuore.
<< Vuoi che compri la mozzarella, Usachan? >>.
<< Sì! >>, si sentì dire. Era stata proprio lei a dirlo.
Camminarono per il supermercato mentre Usagi spingeva il carrello con la spesa e Ikuko che si muoveva sicura da uno scaffale all'altro. A Usagi annoiava fare la spesa, ma per qualche motivo che non ricordava era lì. Tutto procedeva tranquillo, finché Usagi non incontrò lo sguardo bruno di una donna.
Era una donna bellissima, una che curava i capelli giorno per giorno, una donna da voluttuose onde dorate con le punte rossicce. Una donna con gli occhi profondi e castano scuro, una donna che dentro gli occhi aveva il tacito dolore forte e intenso che sembrò bucare il cuore di Usagi. Una donna che conosceva e che temeva, una donna che stava condividendo per un estatico momento il suo dolore con il contatto di un semplice sguardo. E Usagi conosceva l'origine di quel dolore, sorresse lo sguardo come a dimostrare che lei sapeva e che non si sarebbe spaventata.
Un ultimo momento e distolsero lo sguardo entrambe, tornando alla spesa nel silenzio e nell'imbarazzo.


Usagi deglutì, sentendo addosso tutte quelle emozioni. Non diede a vedere a sua madre il dolore che, attraverso un ricordo, l'aveva inondata e pervasa con brividi tremendi. Iniziò a sfogliare l'album fotografico mentre si sedeva sul divano verde di casa sua, con la speranza che qualcosa dentro quelle fotografie potesse guarirle la profonda ferita che quel ricordo le aveva aperto e squarciato con crudeltà.
Chi era quella donna?
Usagi continuava a domandarselo mentre le dita pizzicavano le fotografie di lei con molte ragazze, amiche, e molti ragazzi. Dedusse che non prediligesse un rapporto d'amicizia femminile. C'erano numerose fotografie con Nehellenia, altre con Minako e Rei. Altre con Seiya. Altre ancora con sua madre, con suo padre e Chibiusa. C'erano anche fotografie di Usagi, sola, che stringeva un enorme pupazzo con una faccetta paffuta e due occhioni blu e due lunghissimi codini biondi, la buffa divisa corta, blu e rossa, con mezzelune che apparivano ovunque ci fosse un piccolo spazio.
<< E questo pupazzo? >>, chiese alla madre, indicando la foto.
Ikuko ridacchiò, compiaciuta. << Questo è il pupazzo di Sailor Moon, non lo ricordi? >>.
Usagi scossa la testa, mordicchiandosi il labbro.
<< Eppure, avrei scommesso che di lei ti saresti ricordata. Sailor Moon era la tua eroina quando eri una bambina e lo è stato fino ai tuoi diciotto anni, non hai mai smesso di credere e ammirare questa buffa ragazzina che si destreggiava tra combattimenti e vita quotidiana. Hai numerosi gadget di Sailor Moon e li custodivi gelosamente nell'ultima anta dell'armadio della tua cameretta. >>.
Usagi inclinò la testa, guardando quel pupazzo troppo grande da coprirla interamente e che lei stessa abbracciava fortemente. Guardando gli occhioni ingenui di questa Sailor Moon sentì un pezzetto di infanzia riattaccarsi alle sue braccia, su quelle gambette che scorticava spesso mentre correva per casa con uno scettro di fortuna e balzava sulle scale e fingeva di essere una favolosa eroina.
<< Mi costringevi sempre a fare quei ridicoli codini ogni mattino. Per fortuna, oggi sai farteli da sola. >>, sorrideva mentre prendeva tra le mani una fotografia di lei mentre sorrideva agguerrita contro il suo papà che le stava scattando la foto.
<< La adoravo? >>, chiese.
<< Era una sorta di amica per te. Ci parlavi, l'aspettavi ogni pomeriggio per poterla vedere in TV, la imitavi e volevi sposare quel suo damerino in frac. Tuxedo, credo si chiamasse. >>
Usagi, con il sorriso sulle labbra, proseguì a sfogliare l'album fotografico e infine trovò le fotografie di lei e Mamoru che sorridevano mentre andavano in bici con Nehellenia e un altro ragazzo. Altre di loro da soli mentre parlavano concentrati, altre ancora abbracciati, altre ancora di loro che si facevano brutte smorfie. L'ultima fu quella che ritraeva lei che era seduta su un prato con un libro in mano e Mamoru che le stava di fronte, il viso poggiato sulle mani, e teneva in mano un piccolo bocciolo di rosa per stuzzicarla mentre leggeva. E dietro, posizionata di lato a un maestoso albero, c'era quella donna. Quella che aveva ricordato. Quella con i lunghi capelli biondi e rossi, quella con lo sguardo infuriato e perso in un punto indecifrabile. Con lo sguardo profondo e doloroso proprio come lo aveva visto dentro il suo nuovo ricordo.
<< Chi è questa donna? >>, diede voce ai suoi pensieri.
Sfiorò la fotografia come a voler palpare quel dolore prepotente che quella donna teneva dentro con tanta forza. Usagi ammirava quella donna con tutto quel dolore dentro, quella donna con gli occhi lucidi e che facevano da contorno ad un giornata soleggiata e allegra.
Ammirava quella forza. Quella stessa forza che vedeva negli occhi della madre, quel dolore silenzioso e selvaggio che custodiva senza urlare.
Usagi non credeva nel dolore urlato, ai pianti rumorosi. Credeva nei dolori silenziosi, quelli con gli occhi lucidi e le labbra serrate nel tentativo di trattenere il pianto, credeva in quei dolori che squarciano l'anima con clangore, ma che restano in silenzio. Nascosti tra le lacrime intrappolate negli occhi lucidi e nel viso contrito. Credeva anche agli eroi, ma a quegli eroi che portavano stivali neri di cuoio, a quelli con la divisa verde che impugnavano un fucile e che non sparavano. Credeva ai padri di famiglia che si sacrificano giorno per giorno, a quelli che si spaccano la schiena per costruire un futuro migliore ai loro figli. Credeva alle donne che avevano subito una violenza e che, dopo essersi rivestite, avevano il coraggio di andare dalla Polizia e denunciare la violenza. Credeva negli eroi che impugnavano un enorme tubo d'acqua e si inoltravano nel fuoco fitto per salvare una famiglia o semplicemente un cane. Credeva agli eroi quotidiani, al sacrificio costante della vita, al sostegno delle proprie idee.
Non credeva più alla gonnella blu e al fiocco rosso, non voleva credere più ai codini che provenivano dalla luna. C'era stato un tempo in cui aveva bisogno di credere in lei, in Sailor Moon, ma poi era cresciuta ed aveva sostituito i lunghi codini biondi con gli occhi color cioccolato di sua madre.
Quegli occhi marroni: un po' come terra, un po' come cioccolato.
<< E' Galaxia. >>, e gli occhi della madre la inghiottirono.









   
 
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