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Autore: Bad A p p l e    15/10/2012    1 recensioni
!Attenzione! Questa storia è il "remake" di "And if I Fell".
In quel momento squillò il telefono e il ragazzo ci mise diversi secondi a trovarlo tra le cianfrusaglie all’interno della borsetta. Imprecò mentalmente nel pigiare il tastino verde, aveva rischiato di perdere la telefonata perché aveva la borsa piena di robaccia da donne.
«Ciao mamma» salutò svogliatamente, ripulendosi un rivoletto di sangue dall’angolo della bocca, «come sempre hai un tempismo perfetto, ho appena terminato».
Dall’altra parte del telefono Halle Lidner si aprì in un sorriso radioso, tremendamente sbagliato nel contesto.
Genere: Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Halle Lidner, Near, Nuovo personaggio, Sayu Yagami, Tota Matsuda
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Death Note: Buonasera, fandom! Solitamente le note le metto a fine capitolo, ma qui urge una premessa: questa storia alcuni di voi l’hanno già letta con il titolo “And If I Fell” ebbene, quella versione mi faceva schifo :D Quindi oggi ho cancellato i vecchi capitoli (dopo aver salvato tutte le recensioni ricevute, sappiate che vi adoro ç_ç) e vi ripropongo questa nuova versione scritta con un po’ più di cognizione di causa.

Spero vi piaccia :D Ci vediamo a fine capitolo <3.

 

 

 

 

 

Retrace I: Prelude.

 

Seiho odiava il “Primo Giorno di Scuola”, non faceva che ricordargli il fatto di trovarsi a quel anonimo e noioso –per quanto venisse descritto come “prestigioso”- liceo altrimenti noto come Watanabe, anziché essere a frequentare il Momogaoka, probabilmente il miglior conservatorio di tutto il Giappone; e, come se non bastasse…

«Ma guarda, c’è la checca isterica»

Per i corridoi del Watanabe si levò qualche risata, specialmente da parte dei degni compari dell’idiota che aveva osato rivolgergli la parola di prima mattina del primo giorno di scuola senza che lui avesse avuto ancora il tempo di bere un solo beneamato caffè.

Seiho Yagami si voltò a guardare l’aspirante suicida ed il suo corteo con aria di sufficienza e tanto di sopracciglio alzato, come se stesse osservando qualcosa di incredibilmente patetico.

«Non ci credo! Un’ameba parlante con al seguito un circo di scimmie urlanti; ora sì che le ho viste tutte» si limitò a commentare, mentre qualcuno si avvicinava, pre-odorando aria di rissa.

L’armadio di due metri per quattro, altrimenti noto come Taro Hodeka, ci mise svariati secondi per capire che ciò che  gli aveva rivolto Yagami era un insulto, per poi avvicinarsi a lui con lo sguardo di un killer psicopatico… o almeno, così l’avrebbe definito Seiho.

«Senti un po’, frocetto, ritira le unghie o te le faccio saltare a suon di pugni e non solo quelle».

Seiho sospirò teatralmente con aria di mero compatimento, «non dovresti fare quelle smorfie col naso, Taro-chan, lo sai che non fanno che rafforzare la tua somiglianza con un maiale da porcile… anche se a quello ci pensa già il puzzo. L’ultima doccia che hai fatto risale a qualcosa come l’anno scorso, vero?» domandò, per poi decidere che non gli interessava né ascoltare la risposta dell’armadio, né rimanere lì a farsi ridurre in un moncherino sanguinante… dopotutto, Hodeka era a tutti gli effetti lo spezza-ossa ufficiale della scuola, mentre lui, be’, lui era il piccolo pazzo sfigato.

Si voltò per andarsene e, come una provvidenziale apparizione divina, individuò la sua migliore amica, che lo stava guardando con un’espressione a metà tra la preoccupazione e l’esasperazione. Si avvicinò allegramente a lei, dimenticando di avere dietro di lui un allibito Taro Hodeka che probabilmente di lì ad un paio di minuti sarebbe stato preso dall’irrefrenabile voglia di prenderlo a calci.

«Ha un aspetto meraviglioso come sempre, mia Principessa. Mi permetta di scortarla in classe» disse, porgendole il braccio.

Lei lo squadrò malissimo, prima di rifilargli un candido: «va a morire ucciso dalla tua dabbenaggine, Yagami»

Seiho si finse profondamente addolorato, «ma, splendore, perché rifuggi la compagnia del magnifico me come Taro-chan rifugge un bagnoschiuma?» pigolò, mentre da dietro gli si avvicinava il suddetto Taro, ormai deciso a ridurlo in pratici cubetti da venti grammi l’uno.

La ragazza, Eirin, decise che dopotutto poteva anche salvare quell’idiota che aveva come amico, quindi lo afferrò per il braccio che poco prima lui le aveva offerto e schizzò via per i corridoi, portandosi appresso Seiho. Si fermarono solo quando Eirin fu sicura che il gradasso fosse stato seminato, mentre Yagami ridacchiava come un povero cretino. Od un ritardato, a scelta; in quel momento la ragazza pensava che la seconda ipotesi fosse più plausibile.

«Hai intenzione di essere pestato a morte da Hodeka?» gli domandò senza mezzi termini, infuriata nera.

Yagami si rigirò tra le dita una ciocca dei capelli, in particolare una ciocca di un grosso ciuffo tinto di un improbabile rosso acceso. «Ma no, mammina, cercavo solo di far notare a Taro-chan la sua innegabile indole a rotolarsi nel fango, ingozzarsi come se non ci fosse un domani e puzzare. Sul serio, il suo eau de merde  lo si riconosce a chilometri di distanza» piagnucolò lui, sventolandosi una mano davanti al naso, come a voler scacciare un odore molesto.

Eirin Namikawa si permise un sospiro, se non ci fosse stata lei a salvarlo, probabilmente avrebbe dovuto passare dal fioraio per prendere qualche crisantemo per il suo funerale. Causa della morte: idiozia fulminante… probabilmente avrebbero pure scagionato Hodeka per l’omicidio e, anzi, gli avrebbero dato una medaglia al valore per aver liberato il mondo da quello strampalato egocentrico del cavolo che di nome faceva Seiho Yagami.

«Piuttosto, ancora con ‘sta storia della “checca”?» domandò esasperata. Per una volta non solo nei suoi confronti.

L’altro si limitò a ridacchiare; «che vuoi che ti dica, Ecchan? Si sono legati al dito il fatto che l’anno scorso le vicissitudini del fato mi hanno portato, in maniera del tutto accidentale e assolutamente inconsapevole, a baciare per puro errore Koichi-senpai in corridoio».

Suo malgrado, pure Eirin ridacchiò, erano amici dai tempi dell’asilo, non riusciva a rimanere arrabbiata con lui per più di pochi minuti. Anche se l’idiota rischiava di farsi uccidere solo per fare il cretino.

«Ma naturalmente» lo assecondò con il più falso tono condiscendente del mondo, «scommetto che le tue reali intenzioni fossero insegnare a Koichi la respirazione bocca a bocca» disse, scambiando con l’amico un’occhiata ironica.

«Che tu ci creda o no, bellezza mia» esordì una voce dietro di loro, interrompendo Yagami che aveva appena aperto bocca per ribattere, «è andata proprio così… sfortunatamente io non sapevo che Seiho volesse insegnarmi alcunché» terminò Koichi, insinuandosi tra i due, poggiando un gomito sulla spalla di Seiho e l’altro sulla spalla di Eirin.

Yagami fece la linguaccia a l’altro ragazzo e, ancora una volta venne interrotto nel tentativo di dire qualcosa a sua discolpa, da un altro ragazzo che si aggiunse al terzetto.

«Dai, non è colpa di Seiho, era per una scommessa persa contro di me» spiegò l’ultimo arrivato, altrimenti noto come Masao ed ultimo componente di quel quartetto classificato come di “sfigati”, di cui forse quello meno considerato sfigato era Koichi, giusto perché riscuoteva discreti successi con le ragazze –che ora odiavano a morte Seiho-.

«Che dicano quello che vogliono» sbuffò Yagami, per poi sfilarsi da sotto il gomito dell’amico e girarsi verso il gruppetto. Ormai erano davanti alla classe sua e di Eirin; «Se essere checca significa avere un igiene personale, a differenza di Hodeka, allora sì, sono gay come un mazzo di viole» dichiarò allegramente, fregandosene di potenziali ascoltatori esterni.

«E, comunque… Koichi-senpai, baci veramente ma veramente da schifo. Buona giornata a voi» concluse, entrando in classe e trascinandosi dietro Eirin.

Seiho trotterellò spensieratamente a quello che era ormai da anni il suo banco, rigorosamente in ultima fila. Si sedette e si permise uno sbadigli, rimpiangendo il caffè che non era riuscito a bere perdendo tempo a “litigare” con Hodeka.

Si stiracchiò e poi consultò il foglio con gli orari che aveva preso in segreteria entrando a scuola.

Sorrise. «Due ore di matematica. Stupendo, due ore per dormire» declamò, contento, appena prima che la campanella risuonasse tra i corridoi.

Subito, puntuale come se fosse stato evocato dalla campanella, il professore di matematica entrò in classe, richiamando la classe all’ordine. immediatamente regnò il silenzio.

“Fantastico, sarebbe stato difficile dormire col baccano che c’era prima” pensò Seiho, per poi posare la testa sul banco senza possibilità di appello.

 

[…]

 

La “ragazza” prese in mano lo specchietto che teneva sempre nella borsetta e si fissò ansiosamente, controllando che il trucco fosse impeccabile come sempre.

Lilith Owen doveva sempre essere perfetta in ogni minimo dettaglio, se non voleva che tutto il suo duro lavoro andasse in frantumi.

Lilith Owen doveva sempre essere perfetta, se non voleva rischiare che si scoprisse che non era una “lei” ma un “lui”.

“Il viso è troppo lucido. Cipria” pensò con un leggero sbuffo per poi dirigersi velocemente verso il bagno, pur non sapendo dove esso si trovasse.

La villa nella quale si trovava era immensa e immensamente affollata. Si era documentata –documentato- su tutto, ma ovviamente non gli era passato neanche per l’anticamera del cervello di trovare un modo per sapere in anticipo dove trovare la beneamata toilette.

Miracolosamente impiegò pochissimi minuti a trovare la dannatissima porta che nascondeva il tanto agognato bagno e, altrettanto miracolosamente, non c’era nessuno esclusa lei.

Chiuse a chiave la porta e si sfilò la parrucca che gli dava tremendamente fastidio, pur essendo vitale, era una precauzione in più per evitare di essere riconosciuto sul lavoro come Noah Bullock.

Eh, no, di lavoro non faceva l’Escort.

Noah Bullock era diventato, da un paio d’anni, uno dei più abili assassini in circolazione… certo, l’idea di travestirsi da donna per non far ricadere i sospetti su di lui all’inizio l’aveva notevolmente infastidito, ma con il tempo era diventato perfino divertente, senza contare che come espediente funzionava a meraviglia e agganciare le vittime era diventato molto ma molto più semplice.

Il bersaglio di quella sera, ad esempio, era un vecchio porco bavoso della peggior specie, tale Brian O’Malley, un giudice che oltre a decidere le sentenze in base a quanti soldi gli venivano offerti dal lato dell’accusa e quello della difesa, gestiva anche un grosso giro di prostituzione minorile e spaccio di droga.

Pensando a quello, spazzolò la parrucca rossiccia con tanta rabbia da rischiare quasi di staccare una ciocca –cosa che non accadde solo perché di ottima fattura-.

Si passò la cipria sul viso, opacizzando i punti che erano diventati lucidi, poi raccolse i capelli biondi per poter rimettere la parrucca; aveva scoperto con vari tentativi che gli uomini erano intrigati dalle rosse e lui purtroppo aveva dovuto adeguarsi, nonostante avrebbe preferito che fosse vero il fatto che agli uomini piacessero soprattutto le bionde.

«Così non avrei bisogno di dannatissimi posticci!» esclamò, infastidito, avendo cura che la frangia nascondesse bene la quasi impercettibile attaccatura della parrucca. Scosse la testa, dicendosi che doveva mantenere un tono di voce femminile pure nell’inveire, non poteva di punto in bianco parlare con la voce da ragazzo.

«Così non avrei bisogno di dannatissimi posticci» ripeté, quindi, avendo cura di utilizzare la voce di Lilith, per poi mettersi a ridacchiare davanti alla sua immagine riflessa. Era perfetta, poteva andare.

Il piano in sé era piuttosto semplice: mescolarsi tra tutte le prostitute lì presenti, adescare il giudice e convincerlo ad andare a casa di lui… e poi ucciderlo: istintivamente sfiorò la gamba destra, nel punto dove le autoreggenti nascondevano la sottile lama che avrebbe usato.

Lo vide ed ebbe una smorfia disgustata, ogni particolare del signor O’Malley gridava squallore, che per lei era di per sé un peccato meritevole di morte; nonostante ciò, si avvicinò all’uomo, stampandosi in viso il suo miglior sorriso civettuolo.

«Signor O’Malley, speravo tanto di incontrarla a questa festa, è così bello poterla conoscere di persona» disse, sfarfallando le ciglia; non da sembrare una cretina a cui è andato qualcosa nell’occhio, ma abbastanza da sembrare veramente infatuata della persona che le stava davanti.

Il giudice la soppesò con lo sguardo, con delle occhiate a raggi X che fecero venir voglia a Lilith di far scendere la mano fino al pugnale ed ammazzare subito quello schifoso.

“Mi sta spogliando con lo sguardo, il verme!” pensò infastidita, anche se effettivamente quello era un segno che il suo piano era già iniziato molto bene.

Il giudice prima stava parlando con un altro uomo, probabilmente un collega, ma la sua attenzione venne completamente calamitata dalla ragazza, scordandosi completamente della conversazione che stava avendo luogo giusto pochi secondi prima «Felice che la mia presenza ti faccia così piacere, mia cara. Posso sapere chi è l’incantevole creatura con cui sto parlando?» disse lui, esibendosi in un baciamano che sarebbe stato impeccabile nella sua galanteria se non fosse stato per l’occhiata che lasciava ben pochi sottintesi che le lanciò subito dopo.

Ridacchiò, facendo intendere all’uomo di aver inteso il significato di quello sguardo; «Lilith Owen» si presentò, senza smettere un secondo di sorridere; “mi verrà una paresi, ne sono sicuro” pensò nel frattempo.

Non ci volle molto a convincerlo a ballare con lei –anzi, quasi fin troppo facile- e, nel raggiungere il centro della sala, Lilith si premuro di sfiorare quasi accidentalmente la mano del giudice con la propria, per poi stringerla.

Com’era ovvio, O’Malley non perse tempo a guardare i suoi occhi, per concentrarsi sulla scollatura un po’ più che accennata; “idiota, non si accorge nemmeno che è un seno finto” non riuscì ad evitarsi di pensare, benché sapesse quanto il suo travestimento fosse perfetto.

«Allora, Lilith cara, cosa fai nella vita?» le domandò il vecchio.

Dovette trattenersi dallo sbuffare, dopotutto sapeva benissimo che quella domanda che le era stata posta era solo un pretesto per trovare una scusa per portarsela a letto. «Studio giurisprudenza» mentì, ampliando il suo sorriso, per poi fingere un’espressione affranta «purtroppo sembra proprio che io non riesca a raggiungere i risultati sperati» aggiunse abbassando lo sguardo.

L’uomo le sorrise, di un sorriso che aveva dell’orrendo, quel genere di sorrisi che, se fosse stata davvero una ragazzina innocente, avrebbe dovuto farle scattare il cosiddetto campanello d’allarme.

“Ma io non sono una ragazzina e tantomeno innocente”.

«Penso che con la giusta guida potresti ottenere tutto ciò che desideri» disse O’Malley e, nuovamente, le sue reali intenzioni furono palesi.

Mentre danzavano, Lilith scivolare molto poco accidentalmente la coscia tra le gambe del giudice. «Lei dice, signor O’Malley? Ma dove potrei mai trovare la guida giusta?» domandò, con una punta di malizia totalmente simulata.

«Forse… forse possiamo p-parlarne…» boccheggiò l’uomo mentre lei continuava discretamente a strusciare la gamba.

«In privato?» propose Lilith, inclinando di lato la testa. Ormai era fatta.

O’Malley annuì e non aspettò nemmeno la fine della canzone per trascinare via dalla villa la ragazza.

Fece chiamare l’autista e in meno di una manciata di secondi si trovarono all’intero dell’abitacolo della macchina a percorrere la strada che, Lilith lo sapeva bene, conduceva alla casa di quel maiale.

Sinceramente, non prestò nemmeno attenzione a ciò di cui parlarono durante il breve tragitto, ansiosa di arrivare al costoso appartamento del maiale e mettere fine a quella vita spregevole.

Una volta arrivati, l’autista venne congedato velocemente, quasi sgarbatamente e Lilith fece appena in tempo a mettere piede oltre la porta della casa, prima di ritrovarsi un paio di disgustosi centimetri di lingua in bocca.

“Dio che schifo”, pensò. Sapeva di dolciastro e tabacco e la cosa gli diede la nausea.

La mano destra scivolò ad accarezzare il freddo metallo della lama e, con discrezione, la estrasse dalle autoreggenti, per poi vibrare un preciso e letale colpo alla schiena.

Subito il disgustoso sapore di O’Malley venne sostituito da quello ferroso del sangue, soffocando in quell’osceno bacio l’urlo di sorpresa e dolore che l’uomo non riuscì a produrre.

Quando ebbe la certezza che l’uomo fosse morto, lo scaricò incurantemente sul pavimento, per poi togliersi la parrucca e tornare ad essere finalmente Noah Bullock.

In quel momento squillò il telefono e il ragazzo ci mise diversi secondi a trovarlo tra le cianfrusaglie all’interno della borsetta. Imprecò mentalmente nel pigiare il tastino verde, aveva rischiato di perdere la telefonata perché aveva la borsa piena di robaccia da donne.

«Ciao mamma» salutò svogliatamente, ripulendosi un rivoletto di sangue dall’angolo della bocca, «come sempre hai un tempismo perfetto, ho appena terminato».

Dall’altra parte del telefono Halle Lidner si aprì in un sorriso radioso, tremendamente sbagliato nel contesto. «Bravissimo. N si mangerà le mani nello scoprire che il suo ennesimo sospettato è stato ucciso ad un passo dalla cattura».

 

 

Death Note (2): Non penso ci sia molto da dire, escluso che spero che questo capitolo sia di vostro gradimento <3.

Se qualcuno di voi fosse così gentile da lasciare un commentino piccolo piccolo, mi rendereste molto felice *^*

E *rullo di tamburi* abbiamo anche i presta volto per questa nuova edizione della long!

Cominciamo con i tre (quattro?) personaggi principali della storia, gli altri li metterò con l’andare avanti della storia.

Per Seiho, dopo tante peripezie ho optato per il favoloso Tadano Ryu (In arte “Tadanon”)

Per Eirin abbiamo 96Neko che, personalmente adoro (non sono sicura ma il vero nome dovrebbe essere Natsume Hibiki)

Poi abbiamo Noah/Lilith che sono rispettivamente Stav Strashko e Susan Coffey.

Su, su, che ne pensate? *^*

 

   
 
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