Fanfic su artisti musicali > Avenged Sevenfold
Segui la storia  |       
Autore: The Cactus Incident    16/10/2012    7 recensioni
Stavo suonando con tutta me stessa per scaricarmi e non pensare a per quale cazzo di motivo non mi parlava se era stato lui a cominciare, quando la mano bianca e ossuta di Jimmy si posò sul mio polso che si muoveva freneticamente.
Alzai di scatto la testa, nervosa e lo trovai a mostrarmi un sorriso tranquillo che contagiava anche quelle iridi così azzurre nascoste dietro gli occhiali.
“Faccio troppo rumore?” “Non abbastanza da coprire quello del tuo cuore che si spezza e sanguina”
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Matthew Shadows, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zacky Vengeance
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
sch chapter 24
Meg P.O.V.
Volevo morire.
Oddio, forse morire morire, no, però volevo almeno una pseudo morte con cui svignarmela o una scusa plausibile per scappare da lì.
Ero a Los Angeles, ero ad una festa super esclusiva e mi ero ampliamente rotta il cazzo.
Mio padre era arrivato a cifra tonda, quaranta, e aveva fatto questo mega party in questo villone di Los Angels ed ero stata obbligata ad andare. C’erano anche paparazzi e un sacco di VIP.
Un esempio? C’era Slash che continuava a fare avanti e indietro dal tavolo degli alcolici e a due metri di distanza avevo Joan Jett che parlava con alcuni tipi.
Inutile dire che avevo dovuto posare per una quantità di foto che rasenta la truzzaggine e inorridisce al solo pensiero che io, fino a una settimana prima, vivevo in un furgone.
Ero seduta su questo divanetto, poco distante dal tavolo degli alcolici (Slash ancora un po’ e sarebbe collassato, me lo sentivo) con in mano un intruglio alcolico di colore verde acceso in cui c’erano almeno tre tipi di vodka diversi fra cui quella alla menta (o c’era la vodka alla menta o collutorio, dovevo ancora decidermi) osservando la mia gonna. Si, avevo la gonna.
Se devo dirla tutta, almeno quello mi piaceva. Era uno spettacolare vestito di non so chi, ma era fantastico.
Era senza spalline e aveva un corpetto nero decorato da intricati decori oro, con lo scollo diritto.
Da sotto al corpetto di taffettà che creava delle minuscole pieghe tutte in orizzontale e perfettamente parallele, quasi fosse stropicciato, si apriva una gonna di tulle nera a varie balze, dove si arrampicavano gli stessi decori color oro, più corta avanti dove arrivava sopra al ginocchio mentre dietro poco sopra la metà polpaccio.
Avevo delle spettacolari decoltè di raso tacco dodici col plateau e il tacco decorato di strani ghirigori oro.
I miei capelli, ormai lunghi fino a superare abbondantemente le spalle, erano stati tirati tutti dietro un orecchio, nemmeno avessi avuto una rasatura e fatti ricadere tutti sulla mia spalla destra in una cascata di perfetti boccoli castano ramati, quasi rossi (si, mi ero tinta… di nuovo).
Solito trucco scuro per cui avevo dovuto minacciare il truccatore della mia… matrigna e rossetto quasi bordeaux.
In conclusione: ero e mi sentivo una figa. Certo, non era granché abituata a essere vestita in quel modo, ma mi sentivo bella e speciale.
Bene, sorpassata abbondantemente la sorpresa per lo spettacolare vestito, era subentrata la noia.
Quindi, torniamo pure alla spettacolare serata.
Ero al quarto bicchiere di quella pisciazza e non erano nemmeno le nove di sera.
Alla fine, Slash mi franò di fianco, sul serio. Avevo il mio mito di fianco e non potevo nemmeno chiedergli l’autografo o una foto perchè era a metà fra la dormita e il coma etilico.
Bella merda. Non riuscivo a trovare un solo lato positivo. Mettendomi in equilibro su quei tacchi vertiginosi attraversai con falcate eleganti la sala per l’ennesima volta.
Stavo pensando di fare harakiri con lo stuzzicadenti di una tartina quando mio padre mi fu di fianco, ancora una volta.
“Tesoro, sono così felice che tu sia qui”
“Io non esattamente, l’ho fatto perchè voglio bene alla mamma e lei ci teneva” feci lapidaria e schietta.
“Questo lo so e non ti sarò mai grato abbastanza per stasera. Ti stai divertendo?”
“Ho la faccia di una che si sta divertendo, papà?” Si, dovevo pure chiamarlo papà. Volevo solo sotterrarmi.
“Beh, mi dispiace, se vuoi puoi anche andare…..”
“Certo, non prendermi in giro. E poi ti devo un favore, no? Tu mi hai dato i biglietti per i Metallica e io ti faccio da trofeo. Forza, a chi mi devi presentare questa volta?”
Non so perché, adorava espormi come una trofeo e se ve lo state chiedendo, si, glielo dovevo perché avevo fatto un regalo fantastico ad Haner, ma lo dovevo anche a quell’esaltato del mio amico, quindi niente.
Non credo ci sia niente di più degradante di essere considerata alla stregua di un gingillo da mostrare a tutti gli amichetti rocchettari e milionari.
Ammettiamolo, i figli dei rocker non vengono su sempre alla grande. I genitori non ci sono, niente figura paterna o materna e quindi i risultati spesso non sono proprio eccelsi.
Io invece ero da esporre. Io ero la figlia ventenne tanto carina ed educata, suonavo bene sia a livello tecnico che espressivo, mi stavo laureando e non facevo abuso di sostante stupefacenti o alcol.
Uso di alcol si, poi per quanto riguarda le sostanze stupefacenti era un capitolo aperto e chiuso abbastanza rapidamente. Picchia cuti di fessaggine adolescenziale accresciuta da Haner e dalla reperibilità di alcuni acidi che ci facevamo in camera sua quando i suoi genitori non c’erano.
Della marijuana non parliamone proprio, eh. Per un certo periodo della mia vita, grazie alla generosità di un paio di soggetti, il venerdì sera era diventata alla stregua delle sigarette. Non che non ne fumassi più, ma era da tempo che mi davo molto più una regolata.
Tornando alla serata super esclusiva, io ero il gingillo di papà.
Aveva una moglie biondo stupido, di plastica che aveva si e no sei anni più di me, completamente siliconata, ex coniglietta di play boy che si aggirava fasciata in un vestito oro di Roberto Cavalli.
Mio padre aveva anche una figlia con questa cosa. Era una bimba piccola, capricciosa e brutta che aveva dei comportamenti completamente irrispettosi e chiamava la madre puttana (non che sbagliasse, ma suvvia, non si fa). Per ovvi motivi era stata segregata in qualche angolo con una tata sul punto di imitare Kurt Cobain.
La moglie era alcolizzata e Dio sa dove si era cacciata, la mia sorellastra era un diavolo della Tasmania con i denti storti e il monociglio (si, quattro anni e aveva il monociglio), quindi l’unica cosa presentabile ero io.
Fui però sul punto di sentirmi male, quando davanti mi ritrovai Nikki Sixx.
Mio Dio. Mio Dio Nikki Sixx.
Forse l’unico bel ricordo (oltre proprio a unico ricordo, senza il bello) di me e mio padre che facciamo qualcosa è quando mi portò al concerto dei Motley Crue. Non sono mai stata una grande fan di quella band, ma Nikki Sixx era un dio, diamine. Ho sempre avuto una passione per i bassisti delle grandi band.
Nikki Sixx, Gene Simmons, John Paul Jones, (ahimé) mio padre…… DNA, che ci volete fare.
“Nikki, lei è mia figlia Meg. Meg, Nikki Sixx”
“Lo so, papà” ogni volta che dicevo quelle quattro lettere mi sembrava di dire una bestemmia. Bello, eh?
Dopo qualche scambio di battute simpatiche, qualche risata, un paio di foto dal fotografo della serata e un autografo, Sixx se ne andò e mi dileguai per tornare da Slash.
“Woh, man, firma qua” mi sembrò alzasse leggermente la testa, ma da là sotto… beh, non saprei dire.
“Sono ubriaco” bofonchiò con la sua voce già bassa e mugugnata a prescindere, figurarsi da ubriaco.
“E che me ne fotte, mi serve un autografo”
“Allora si” e mi scarabocchiò la sua firma su un foglio di carta oleata che stava come intermezzo nel menù.
“Ecco, firma pure qua” dodicesimo foglio del mio quaderno, riempito solo in quella serata. “Perfetto, grazie man, ci si vede, eh”
“Si bambola, rock on” e crollò di nuovo.
Ficcai il mio adorato cimelio nella borsetta e tornai a fare pubbliche relazioni.
Sorridi, sii naturale, affabile ed intelligente. Si, ce la potevo fare.
Mamma, Brian, lo faccio per voi, ricordatevelo.

Era ormai l’una, io ero piena di tartine e sazia di alcol e autografi, mentre continuavo a fare foto con mio padre e altra gente. Per qualche strano motivo ci sapevo fare, se mai avessi voluto intraprendere quella carriera, avrei avuto tanti di quegli agganci da far schifo anche al peggiore scalatore sociale.
In tutto questo però, facevo anche un atto di bene verso i miei amici. Spesso e volentieri saltava fuori l’argomento “Esperienza musicale” e lì partiva un’infarinata sulla vita underground dell’ultimo periodo e della mia brevissima fase da turnista in questa band giovane e molto promettente.
Finii a parlare con alcuni manager della Warner Bros. che a quanto avevo capito cercavano band per un mercato più…. rumoroso e giovanile, così glieli servii su un piatto d’argento.
“In verità sono già sotto contratto, ma c’è stato qualche cambio di line-up e la band ne ha guadagnato in maniera esorbitante, meritando molto più del contratto che hanno. A quanto so stanno cercando una nuova etichetta, qualcosa di più grosso”
“Ma davvero? James, tu li hai mai sentiti?” chiese il manager a mio padre.
“Uhm… sinceramente credo di si e sono interessanti. Molto diversi dal mio genere, s’intende, ma hanno del potenziale” Bravo papà, solo con questo hai guadagnato parecchi punti, sappilo.
“Potresti davvero farmi avere un contatto con loro?”
“Si” afferrai la penna e sul braccio del tipo scrissi il numero di cellulare di Val e appunto “Valary diBenedetto”.
“Questa è la loro tour manager. Il loro primo cd è in vendita già da un po’” Il tipo si guardò il braccio divertito.
Si chiamava Larry Jacobson e sarebbe stata la più grande benedizione capitata agli avenged sevenfold.

Verso le quattro meno un quarto (di notte, eh) accesi il cellulare perché volevo chiamare la mamma e vidi un’infinità di chiamate perse di tutti i miei amici e un messaggio di Brian.
-Princess Window abbiamo un problema. Quando puoi chiamami, a qualsiasi ora… credo che stanotte non dormirò. Passa una bella serata pure per me-
Che diamine era successo?
Uscii nel giardino del locale e mi accesi una sigaretta mentre armeggiavo col cellulare.
Recuperai il numero di Brian fra le chiamate perse e feci partire la chiamata.
Quattro squilli e poi rispose.
“Meg?” teneva il tono molto basso, come se non potesse parlare.
“Brian ho visto adesso il messaggio. Che succede?”
“Uhm… Sei già tornata a casa?” Il suo tergiversare m’innervosiva.
“No, sono ancora ad LA, mi dici che cazzo succede?!”
“Ehm… siamo tutti in ospedale. Justin…. ha fatto una cazzata, una grossa cazzata” Brian incespicava nelle parole, sia per il tono basso e borbottato e sia perché sembrava fosse qualcosa di troppo grosso per lui.
“Che intendi?”
“Qualcosa di familiare… familiare a te”
“Bro non ti capisco”
“Meg, Justin s’è tagliato le vene” disse secco.
BUM.
Ricordi.
Troppi ricordi.
Troppo sangue nella vasca.
L’acqua calda.
Le forze si affievoliscono.
Scivolo nel calore.
C’è troppo sangue, troppo.
Quanto se ne perde prima di svenire? Un litro? Due?

“M-meg? Meg ci sei?” “Uhm” “Sicura?” “Uhm…”
“Meg cazzo…” “Bri?” “Ohi” “Arrivo”
E chiusi la chiamata.
Buttai la sigaretta fumata meno di metà, tornai dentro e andai diritta verso mio padre.
“Papà, devo parlarti”
“Solo un secondo…”
“Papà è urgente” si voltò e fissò le iridi chiare nelle mie scure. Si congedò dalle persone con cui stava parlando e ci spostammo di un po’ per parlare con un minimo di privacy.
“Mi serve una macchina, un taxi o quello che vuoi, devo tornare ad Huntington”
“Che succede?”
“Un… un mio amico… si…. si è tagliato le vene”
Mio padre sbiancò, vidi la sua attenzione sparire, persa nei meandri del tempo e dei ricordi che si speravano seppelliti e affievoliti, ma i brutti ricordi non spariscono mai, non quando ti segnano così e non quando riguardano tua figlia.
“Sicura che…?”
“Si papà è proprio per questo che devo andare. Credo abbia bisogno di qualcuno che lo… capisca”
“Ma si tratta di Brian?” il solo pensiero di Brian che si tagliava le vene mi strinse una morsa nel petto più di quanto non l’avessi già per via di Justin.
“Assolutamente no! Se si trattasse di Brian sarei svenuta, avrei avuto una crisi di nervi o qualcosa di simile. E’ un altro mio amico”
“Uhm, ok. Chiamo il mio autista, predi pure la limo”
“Papà ma….” Detestavo dovergli essere debitrice.
“Sinceramente al momento non ci sono altre macchine disponibili, con un taxi non mi fido e sono paranoico. Vai” Mentre io recuperavo la giacca leggera, James chiamò il suo autista e quando uscii fuori dal locale super vip in cui si teneva la serata, c’era il suo autista che mi aprì lo sportello.
Dentro c’era anche il borsone con le mie cose. Sinceramente non avevo nemmeno voglia di cambiarmi. L’autista fu un grande: arrivò in due ore (di norma ci vogliono attorno a cinquanta minuti senza traffico e più di quattro ore con i casini notturni. In questo bisogna contare due tratti bloccati per lavori e due incidenti di camion, non so se mi spiego cosa riuscì a fare quell’uomo con quel transatlantico di vettura) davanti all’ospedale in cui era ricoverato Juss e uscii senza che venisse ad aprirmi lo sportello.
“Man, sei stato un grande, davvero, puoi anche tornare da James”
“Signorina, ma il signor Wind..” cominciò ma lo interruppi.
“Il signor Window è stato un tesoro, ma davvero, ce l’ho anche io la gente che mi scarrozza avanti e dietro, come quel tipo lì che sembra una statua. Lo vedi? Quello aspetta me” Diedi una pacca sulla spalla al tipo, afferrai il mio borsone e salii i pochi gradini.
Alle prime luci dell’alba di quel giorno di quasi fine luglio, trovai Brian Haner che, a braccia incrociate, faccia stanca e leggero sorrisetto strafottente, si caricò in spalla il mio borsone e mi guidò fino all’ascensore.
“Come sta?” chiesi dopo un po’.
“Ancora non sappiamo niente”
“Diamine… comunque dopo ricordami che ho una cosa da darti” dissi pensando solo per un secondo all’autografo di Slash, per poi darmi mentalmente della stupida.
“Uh bene. Comunque…. Meg…”
“Si?”
“Sei bellissima” Sembrava quasi che gli pesasse lo stomaco a farmi quel complimento.
“G-grazie” feci leggermente titubante e lui annuì. Da quando Haner è così….. schivo?
“Scusa un attimo, eh” Mi poggiai alla sua spalla e mi sfilai i tacchi vertiginosi che dopo sei ore erano diventati una vera e propria tortura.
“Ah, alleluia”
“Minchia se sei nana senza”
“Eh si, ma non li sopportavo più”
“Eri sexy con quei così” disse scrollando le spalle e inarcai un sopracciglio.
“Sarò anche sexy, ma dopo sei ore sembro un tirannosauro”
“Nah, ci cammini bene”
“Sei in vena di complimenti?”
“Si, anche troppo. Diciamo che questa…. cosa che è successa a Justin mi ha riportato alla mente tante situazioni passate” Capii pure troppo bene di che parlava “Uhm”
E dopo questo calò il silenzio fino a quando non arrivammo al piano di rianimazione.

Stacey P.O.V
“Buona notizia, Justin è fuori pericolo”
Sospiro di sollievo. Avevamo passato la nottata tutti alla capanna, dove avevano dovuto ripulire tanto di quel sangue da far invidia a un film horror (e qui, posso dire che lo stomaco lo ebbero solo Matt, Jim e Dameon) e poi ci mettemmo un po’ ovunque a dormirci addosso nella speranza che il bassista più stronzo del globo si ripigliasse, parlando e sperando per il meglio.
Verso le cinque e qualcosa ci eravamo tutti avviati di nuovo all’ospedale e avevamo beccato proprio a culo di medico che stava per andare a parlare con i genitori di Juss che invece erano rimasti là.
Ciò che era avvenuto, era già qualcosa, visto che Matt già stava buttando giù l’elogio funebre, beccandosi tanti di quegli insulti da Jim e Dameon da far invidia al peggiore dei camionisti.
Il medico si dilungò in roba più specifica che non ascoltammo minimamente e disse che potevamo entrare, ma solo due per volta e non potevamo rimanere troppo perché doveva riposare.
I primi ad entrare furono i genitori e noi ci perdemmo in esclamazioni di gioia e balletti ridicoli come Jim o Abell. Abbracciai Matt e lui sorrise.
“Ecco, adesso quel cazzo di foglietto lo puoi pure ingoiare” dissi dandogli un finto pugno su una spalla. Chissà se ne rese conto.
“Ma come siete cattivi, sono solo previdente”
“Allora scriviti il tuo di elogio funebre” fece Jim continuando a fare gestacci.
“Quando qualcuno di voi creperà e nessuno saprà come si scrive un elogio funebre, non venite a piangere da me”
“Ma chi ti pensa!” fece Abell stando dietro a Jim.
Ridemmo un po’ per quelle stronzate e poi mi ricordai improvvisamente di una cosa.
“Ma Meg? E Brian?”
“E’ uscito per fumarsi una sigaretta, ma a questo punto credo sia andato a piantare il tabacco per fabbricarsela” controbatté Matt.
Mentre discutevamo animatamente su quanto tempo ci mette una pianta di tabacco per crescere, la porta del corridoio si spalancò e arrivarono Brian tutto saltellante con un borsone in spalla e Meg con un vestito elegante, i capelli perfettamente acconciati, trucco ancora impeccabile e dei tacchi vertiginosi in mano.
Brian aveva detto che era al compleanno del padre, ma mica credevo un party di gala.
“Buongiorno” Fece una volta arrivata, poi osservò Jim e Abell.
“Beh, direi che sta bene”
“Si, credo anch’io” asserì Brian prima di cominciare a ballare pure lui con quei due cretini. Ancora un po’ e le infermiere ci avrebbero cacciato tutti. Quasi quasi ci speravo.
Detto fatto, i nervi di quelle tipe resistettero ancora per venti minuti e poi ci sbatterono fuori nella fresca prima mattinata di Huntington e ci sparpagliammo quasi completamente.
Rimanemmo io, Jim, Matt, Brian e Meg a guardarci in faccia.
“Allora? Che si fa?”  fece Jim.
“Andiamo a fare colazione?” propose Brian e fummo tutti d’accordo.
Ce ne andammo in un bar qualsiasi e mangiammo.
Mentre Jim e Matt si sfidavano ad una cruenta battaglia a “Morra cinese” e Brian faceva il tifo e teneva il punteggio, cominciai a parlare con Meg della serata.
“Allora? a che ora avete finito?”
“Veramente me ne sono andata prima della fine per venire da Juss”
“Ma la torta?”
“Si, quella abbiamo tagliata io, mio padre e la mia sorellastra a mezza notte, subito prima dell’arrivo dell’ambulanza” Sgranai gli occhi.
“Ambulanza?”
“Si, Slash ha avuto un problema cardiaco, ma a quanto mi ha spiegato la moglie è tutto normale, c’è stato un piccolo problema col defibrillatore che gli hanno impiantato. Io so pure perchè c’è stato un problema e credo l’abbia capito chiunque l’abbia visto quella sera. Ha bevuto talmente tanto che credo sia collassato proprio sul divanetto su cui ero seduta” Mio Dio.
“Wow”
“Già, c’era un sacco di gente” fece bevendo il suo succo di frutta alla pesca.
“Ma hai dormito?”
“Nemmeno un po’, alla festa avevo abbastanza da fare e in limousine ero troppo agitata”
“Limousine?”
“Si, James mi ha prestato la sua per farmi accompagnare ad Huntington”.
Giri limo, abiti da più di mille dollari, essere ad una festa con Slash e James Window e continuare a fare la faccia scocciata.
Vi presento Margareth Window, sostanzialmente un’idiota.
“Mi ha detto Brian che Juss si è tagliato.. le vene” disse dopo un po’, niente più tono scazzato.
“Si, alla capanna”
“Cazzo”
“Jim, Matt e Dameon hanno ripulito” Sgranò gli occhi fino all’invero simile.
“Cazzo”
“Non dirlo a me. Quando ho visto com’era messa la capanna mi è tornato su il cenone di Capodanno del 2000 con tutte le lenticchie”
“Mio Dio….”
“Woooooohhhoh! E Shadows vince per l’ennesima volta!” Fece Matt al mio fianco e sorrisi. Con quelli le opzioni erano due: ridere o piangere e io preferivo ridere.
“Ehi, ma avete fatto pace?” chiese Meg sorridendo e annuii “Meno male, dai così la smette di piantare grane con la band”
Rimase un attimo in silenzio, prima di urlare un “Cazzo Val!”
Afferrò le sue scarpe e cominciò a implorare Brian.
“Che vuoi?” disse lui scocciato.
“Devi accompagnarmi da Val” disse lei secca mentre si infilava le scarpe con una faccia sofferente.
“Perché?” continuò lui senza scollarsi dalla sedia.
“Questione di vita o morte” disse lei agitata.
“Morte di chi?”
“Dei sevenfold!” Brian scattò in piedi.
“Potevi dirlo prima, cazzo!” si alzarono e correndo se ne andarono. Jim rimase un po’ a guardare quei due, poi si rese conto di essere rimasto come terzo in comodo.
A quel punto cominciò ad urlare gridando il nome di Meg e Brian e io e Matt rimanemmo seduti al tavolo. Dopo uno sguardo, passò un braccio attorno alle mie spalle e rimanemmo lì a fare la coppietta sdolcinata scambiandoci effusioni e sorrisetti da diabete
“Amore?” fece lui dopo un po’, sfiorando al punta del naso contro il mio.
“Si tesoro?” feci zuccherosa.
“Quelle tre merde se ne sono andate senza pagare”
Sparito tutto lo zucchero.  
“Cazzo”

***
Justin non stava bene.
Fisicamente parlando si era ripreso davvero bene e l’avevano anche cambiato di reparto, visto che in terapia intensiva non avevano più che fargli, ma era cambiato, non era più lo stesso Juss di una volta.
Già durante il tour c’erano stati dei cambiamenti per quanto riguardava il suo comportamento, ma da quando aveva provato a togliersi la vita, era peggiorato drasticamente.
Riempiva di brutte parole chiunque gli si avvicinasse, genitori, amici… tutti.
L’unica che riusciva a non farsi insultare completamente era Meg.
Non so perché, non so per quale motivo o grazie a quale miracolo, ma lei era l’unica che riusciva a rivolgergli la parola senza che le venissero tirati dietro piatti o quant’altro (e a Matt e gli altri ragazzi, l’aveva fatto, posso assicurarvelo) e talvolta riusciva pure a farlo ragionare.
Avevo provato a chiedere qualcosa, su questo strano feeling, ma nessuno sapeva dirmi niente.
Insomma, ok che un secolo e mezzo fa erano stati insieme, ma non credevo mica che fossero ancora così legati.

Meg P.O.V.
Quando Justin si era ripreso e aveva cominciato ad insultare tutte le persone che si trovavano sulla sua strada, decisi che era il caso di farmi avanti.
Ero entrata quasi furtivamente nella sua stanza e lui aveva incollato gli occhi scuri sulla mia figura.
“Che vuoi” aveva emesso completamente atono, la faccia completamente corrucciata.
Io con movimenti lenti e senza distogliere lo sguardo dal suo, mi ero seduta sulla sedia e avevo cercato la frase giusta da dire.
“Ti mostro il mio marchio se tu mi mostri il tuo*”
Inizialmente non aveva capito, ma poi mi ero spostata tutti i bracciali e gli avevo mostrato quelle due linee pallide che si stagliavano sui miei polsi.
Non prendevano completamente il polso perché da quando me l’ero fatte erano passati così tanti anni che ero cresciuta, ma comunque erano abbastanza grandi.
Justin mi guardò interrogativo, provando a trovare una spiegazione. Presi un respiro profondo, pronta a spiegargli una storia che di certo non sarebbe uscita da quella stanza.
“Avevo nove anni e odiavo mio padre.
Lui per tutta risposta aveva fatto causa a mia madre e aveva ottenuto il mio affidamento. Così mi aveva trascinato a Miami dove viveva all’epoca con quell’oca della sua ragazza da copertina di Playboy con cui stava all’epoca (che fra l’altro mi odiava) e mi aveva completamente staccato da mia madre da un giorno all’altro.
Ancora mi chiedo perché diamine io l’abbia fatto. Ricordo solo che non mangiavo, piangevo ogni santissimo giorno, dormivo pochissimo e mi svegliavo in lacrime.
Stavo facendo il bagno e sul mobile davanti al lavandino c’erano un paio di grosse forbici, le usava sempre la tipa di mio padre per darsi una ritoccata alle extension.
Non so cosa fece scattare una molla nel mio cervello, ma ricordavo che l’avevo visto fare in un film ad una persona che era molto triste, così afferrai le forbici e le dopo averle aperte affondai uno dei due lati in entrambi i polsi.
Arrivai all’ospedale in fin di vita, trasfusioni e sono tornata da mia madre, anche se da allora mi hanno tenuto sotto stretta sorveglianza psicologi e assistenti sociali fino a quando non sono stata maggiorenne.
Ti dico solo che per cinque anni non è stato permesso a mio padre di avvicinarsi a me.
Adesso vuoi dirmi che ti succede?”
Abbassò la testa, affranto e prese a passarsi le dita sulle fasciature sui polsi.
Era spaventato da tutto quello che stava succedendo, quell’inizio di successo che stava avendo la band, Giusy che se n’era andata e che era incinta, sua nonna (la persona a cui Justin teneva di più) che era morta e quel qualcosa di sbagliato che c’era sempre stato nella sua mente era scattato.
Tutt’ora vedeva il suicidio come unica soluzione di tutti i suoi problemi.
“No Juss, ascoltami, l’unica cosa a cui non si può porre rimedio è la morte e posso assicurarti che per quanto tu possa essere arrivato in fondo, per quanto tu abbia strisciato nelle parti più basse della società, armandoti di buona volontà puoi tirarti sopra.
Te lo dice una che ha provato a suicidarsi a nove anni per colpa del padre e che qualche giorno fa si è agghindata come un albero di Natale ed è andata al suo compleanno, la figlia di uno che ha rischiato tre coma etilici, ha avuto un’overdose e un infarto eppure lui è campato, io pure e faccio finta di volergli bene. Per nessun motivo vale la pena morire, nessuno.
Ti sembrerà assurdo che sia io a dirtelo o ti sembrerà assurda proprio come frase, ma la vita è bellissima Juss e ce n’è una sola, non puoi buttarla così.
Non ti pace? Cambiala! Nessuno ti obbliga a fare niente. Molla la band, molla Huntington e trasferisciti, continua gli esami per la laurea e molla tutte queste puttanate se non te la senti.
Sai bene che se non sei in grado di reggere adesso, non ce la farai quando la band crescerà- perché crescerà te lo dico io. Fallo per il tuo bene, segui i tuoi sogni e non farti trascinare da Jimmy, perché se c’è un grande dono che ha quel ragazzo è spronarti a seguirlo in qualsiasi cosa voglia, non contando che qualcuno non può farcela proprio a stargli dietro”
Justin rimase per tutto il tempo in silenzio, poi mi abbracciò forte e affondò il viso nella mia spalla.
“Grazie Meg” disse semplicemente. Speravo di essergli stata utile.
“Figurati Juss, se vuoi parlare io ci sono. Ti chiedo solo un favore: tieni per te la mia esperienza con le forbici, ok? Sono in pochi a saperlo e va bene così”
“Certo”
“Bravo”
Dopo quel primo giorno andai più volte da lui per parlare e quando uscì dall’ospedale, mandò a fanculo i sevenfold e tornò all’Università. Spesso mi chiamava e andavamo a farci una birra per parlare un po’.
Sta di fatto che non rivolse più la parola a Matt, agli altri pure pure, ma a Matt…..
Probabilmente lo vedeva come il colpevole principale di tutta quella storia.
Matt ci rimase di merda e per un periodo se ne stava per i cazzi suoi a suonare e scrivere da solo con Stacey o Jim.
Dopo una settimana dall’abbandono di Juss, chiamò la band e gli propose due nuove canzoni.
Da questa esperienza tutt’altro che rosea, saltarono fuori “I Want See You Tonight Pt. 1 e Pt.2”
Il nuovo manager aveva contattato Val ed era interessato a fargli registrare il secondo album con la sua casa discografica.
Justin venne sostituito da Dameon Ash giusto il tempo di registrare il nuovo album. Ash a sua volta fu rimpiazzato da Jonathan Seward, in seguito battezzato Johnny Christ da Zacky Vengeance, che mollò la scuola e divenne il bassista degli Avenged Sevenfold a tutti gli effetti.
Il resto, è storia.



* frase di Harry Potter, ma non fateci caso, uhm?
Buonsalve! :D
Capitolo un po’……. Così
Con questo, si conclude anche la seconda parte della storia v.v
Credo che la terza comincerò a pubblicarla al mio ritorno (se mai partirò)
Ah ragazzi, il mio liceo non è una cosa fattibile, vi giuro
Uno dice che poi fa una strage…..
Vabbè, tornando a noi…..
Ho ADORATO le vostre recensioni, davvero *-*
Non mi viene molto da dire, tranne che dopo questo capitolo sono sicura che perderò metà dei lettori e che adesso devo fare le polpette v.v
Bye Bye <3
The Cactus Incident
  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Avenged Sevenfold / Vai alla pagina dell'autore: The Cactus Incident