Dunque,
questa shot è ambientata in un ipotetico finale di guerra,
anche se non ho la
più pallida idea di come possa effettivamente finire la
guerra di cui stiamo
leggendo in questo momento. Ho lasciato un po’ correre la
fantasia. :)
Dalla poesia
“La pioggia nel pineto” di Gabriele
D’Annunzio ho tratto prevalentemente – e
naturalmente con qualche arricchimento/cambiamento mio –
quella che si intuisce
essere l’ambientazione, e ovviamente il tema della pioggia,
anche se me ne sono
discostata per l’incipit e per il finale.
Come si
vedrà – cerco di non fare troppo spoiler xD
– ho cercato di usare sia
ambientazione che pioggia per approfondire il personaggio su cui si
focalizza
la shot, ovvero Naruto.
Ho scelto la
narrazione in seconda persona principalmente per due ragioni: un
po’ per
scansare il classico dualismo prima persona/terza persona e buttarmi in
un
esperimento un po’ originale, un po’
perché la seconda persona permette una
certa ‘confidenzialità’ –
spero di essermi spiegata – che mi è stata utile
per
l’introspezione. Data questa
‘confidenzialità’, per coerenza mi sono
presa la
libertà di mantenere uno stile abbastanza immediato, a volte
un po’
ingarbugliato e con alcune ripetizioni in modo da mantenermi vicina al
parlato,
essendo l’idea quella di un ipotetico narratore che si
rivolge direttamente al
protagonista, parlandogli.
Questi sono
i tratti salienti, il resto lo lascio al vostro giudizio, sperando che
sia di
vostro gradimento. :)
Panda
I
mille messaggi di una goccia di pioggia
Guerra.
La sola
parola ti fa accapponare la pelle, vero?
Te la rigiri
tra la lingua, il palato e la gola, così breve,
così devastante nelle due sole
sue sillabe.
In quella g che è il suo
inizio, dura, gutturale, avverti
tutta la sofferenza che quel vocabolo promette.
Se ascolti
attentamente quella u, pronunciata
tanto in fretta, puoi sentire l’urlo trattenuto di chi piange
un caduto,
sapendo che non ritornerà.
Quella e, lì in mezzo,
vocale così chiara e
trasparente, ti proietta nel cervello le canzoni che i soldati cantano
insieme
per farsi coraggio, cercando nella disgrazia comune un antidoto alla
paura.
Non una sola
r, ma due, ti soffiano
all’orecchio
il ringhio sommesso del ninja che stringe forte la spada per resistere
in prima
linea, mentre attende spasmodicamente l’ordine di attaccare.
E parte da
una a che cresce di volume il
lamento
atroce del ferito mentre viene curato, sperando che si salvi.
Brutta
parola, sì, guerra,
sembrerebbe che
tutto ciò che dice riconduca a patimento, paura,
disperazione, rabbia. Una
brutta parola per delle brutte cose.
Però, però,
prova a riascoltarla di nuovo. Cerca di non annegare nelle urla
straziate,
nelle canzoni affrante, nei gemiti sofferenti, e sforzati di sentire
dell’altro.
Forse è
quella u che accostata alla e crea quasi una piccola melodia, forse
è che r ed a vicine non hanno poi un suono
così brutto, ma se presti
attenzione c’è qualcosa, in quella parola, che
sembra volerti spiegare che non
è solo tutto tristezza e pianto, che a volte, ad essere
molto, ma molto
fortunati, puoi guadagnarci qualcosa di buono, in una fottuta guerra.
Pensaci,
mentre corri a perdifiato lungo le vie di Konoha.
O forse,
adesso, ti manca materialmente il tempo per riflettere,
perché ti sei appena
accorto di essere in tremendo ritardo.
Per la prima
volta dopo la guerra, dopo i trattati di pace, dopo la
fine di tutto, lei ti manda a dire che potete vedervi e tu,
sì,
rischi di arrivare tardi. Non un gran biglietto da visita, no?
Meglio
affrettarsi.
Sei un po’
perplesso mentre percorri la strada che ti ha indicato nel suo
messaggio breve
e stringato, perché non l’hai mai sentita nominare
prima e sai solo che conduce
“alla tua meta”, non meglio identificata.
Mentre voli
saltando di ramo in ramo su per gli alberi di un boschetto che stai
attraversando, ti rallegri perché riconosci quel grande
masso ricoperto di
muschio, quel vecchio pino carbonizzato da un fulmine, quel sentiero
seminascosto dal sottobosco che ti sono stati indicati come punti di
riferimento.
Sei sulla
strada giusta.
Più ti
convinci che stai davvero arrivando, più ti rendi conto che
quel nodo allo
stomaco non è solo tensione per il timore di arrivare tardi,
ma vera e propria
ansia per ciò che succederà, perché
l’ultima volta che l’hai vista la battaglia
finale si era appena conclusa, voi avevate combattuto fianco a fianco e
ricordi
che mentre la coprivi per evitarle gli ultimi, disperati colpi del
nemico non
lo facevi per evitare un compagno ferito in più, un altro
amico caduto, ma ti muovevi
automaticamente perché no, lei no,
non
puoi colpirla, stronzo.
Senza
apparenti ragioni particolari, come se il tuo corpo si muovesse da
sé, una cosa
mai provata prima.
Lei non l’hai
più incontrata, da allora,
e ti sei chiesto spesso il perché di quella sensazione
strana, che ti ha
imposto di muoverti e combattere senza nessuna apparente motivazione.
Te lo sei
chiesto finché una strana idea ti ha colto improvvisamente,
talmente ovvia da
indurti a chiederti come non l’avessi capito prima, talmente
potente da
spiegarsi da sola senza argomento alcuno, eppure così
fragile, così incerta da
impedirti di essere totalmente certo della sua veridicità.
Ricordi che
eri in ospedale, a trovare Sasuke che ricoverato starà
ancora per un bel po’,
malconcio com’è, e ci hai trovato Sakura che lo
medicava.
Le sue mani
lavoravano lente e lievi, per non fargli male mentre disinfettavano e
suturavano, e c’era veramente da domandarsi per quale ragione
avesse chiesto di
essere lei a medicare con tanta cura qualcuno che l’aveva
abbandonata, ferita
nel corpo e nel cuore, rifiutata e quasi uccisa.
Ti sei
lambiccato per un po’ e hai capito che semplicemente
l’ha amato e lo ama e non
può smettere, e che altre risposte logiche non ce ne sono.
Ed è lì che
è emerso il collegamento, perché se tu hai
protetto con tutte le tue forze
qualcuno che sentivi non essere un’amica, né
compagna, quale ragione poteva
esserci allora, se non…?
Possibile?
Eppure ti
pare così strano.
Acceleri il
passo, se possibile, e finalmente vedi in lontananza i resti marciti di
una
vecchia quercia, che secondo il suo
messaggio è l’ultimo punto di riferimento prima
della famosa meta.
E finalmente
si apre uno spiazzo nel bosco, non ampio a sufficienza per essere
chiamato
radura, ma abbastanza spazioso da ospitare una vecchia casa e quello
che doveva
essere stato un tempo il suo giardino.
Ti guardi
intorno frenetico perché ti pare di non vederla, e anche se
sai che non è il
tipo non riesci a soffocare, per un momento, l’insensata
convinzione che ti
abbia attirato con uno specchietto per le allodole senza presentarsi a
sua
volta.
Ma poi la
vedi, seduta sul tetto della casetta di legno e pietra, che ti guarda e
aspetta
che tu la raggiunga, e con un balzo sei lì, seduto accanto a
lei.
“Hinata”
esordisci con urgenza. “Hinata, io-”
“Naruto”
mormora lei calma quanto tu sei agitato. “Shhh.”
soffia poi, dolcemente, per
zittirti. Poi chiude gli occhi.
Sei in
difficoltà, perché a volte con le parole fai
fatica, ma il silenzio ti blocca
ancor di più, non appartenendo alla tua indole.
Pensi che
nella tua testa tutto sembrava così facile: lei ti ama, e lo
sai con certezza,
e tu… Che problemi avrebbero mai potuto esserci?
Ma adesso ti
è chiaro che no, non è semplice.
Per nulla.
A disagio
sposti il peso del corpo fino a sederti a gambe incrociate come lei, e
ti
mantieni in silenzio.
Non c’è
voce, non c’è nulla
che appartenga ad
un umano nel raggio di miglia, probabilmente, ed ogni singolo singulto
del
bosco circostante ti colpisce come una raffica di shuriken.
Poi ti
accorgi.
Pioviggina.
Un
ticchettio sordo, dovunque, soffuso e continuo, di acqua che colpisce
foglie,
tronchi, corolle delicate di fiori, e si incorpora alla rugiada
sopravvissuta
dal mattino, spingendo i piccoli insetti al riparo sotto le ampie
foglie degli
alberi secolari.
Il vostro
silenzio continua.
Il disagio
però a poco a poco scompare, perché non ti sembra
più il silenzio impacciato di
chi non sa cosa dire, ma la concentrazione salda di chi ascolta ogni
minimo
particolare che lo circonda.
Con estrema
lentezza, perché hai la sensazione che anche solo il minimo
movimento brusco
possa rovinare quell’attimo sospeso, volti la testa
impercettibilmente e la
vedi, gli occhi chiarissimi ora chiusi, il corpo completamente
immobile,
l’atteggiamento assorto.
Ancora,
pioviggina.
Continua
quella danza di gocce sottili che si sfaldano, fragilissime,
anche
quando incontrano la curva impalpabile delle sue ciglia.
Senza nemmeno
rendertene conto ti sporgi verso di lei, avvicinando il viso al suo, ma
non hai
neanche lontanamente l’intenzione di toccarla,
perché potrebbe frantumarsi come
cristallo.
No, vuoi
solo osservarla da vicino.
Dalla
frangia scura ormai lunga gocciolano stille piccolissime, che colano
lentamente
lungo la sua fronte ampia e bianca.
Costeggiano
quasi con cautela il taglio degli occhi dalle ciglia scure e dalle
pupille
trasparenti e nascoste dalle palpebre, e continuano la loro strada
sulla
guancia bianca, fino ad arrivare alla bocca.
Hinata la
socchiude, e ti accorgi che probabilmente avverte come e più
di te l’intensità
dell’attimo, perché perfino le sue labbra sembrano
pallide e non appena si
schiudono tremano impercettibilmente, scandite dal respiro che a
tratti,
spezzato, soffia.
È
bellissima.
La pioggia
si fa appena più intensa, e il rumore attorno a voi si fa
lievemente più
rombante, eppure non disturba e non pare fuori posto.
Sei talmente
coinvolto che nemmeno ti chiedi come mai ve ne stiate sul tetto di una
casetta
sotto l’acqua come due perfetti imbecilli invece di ripararvi
all’interno, ma a
quanto pare non se lo chiede nemmeno lei.
Probabilmente
nessuno di voi due ha la benché minima intenzione di
muoversi, perché ripararsi
significherebbe porre fine a questo momento straordinario, e che il
momento
straordinario finisca è l’ultima cosa che volete.
Poi,
d’improvviso, è lei a riscuotersi.
Quasi ti
dispiace quando vedi la sua mano sollevarsi lentamente,
perché pensi che farà
qualcosa di sbagliato, quella mano, toccherà un invisibile
filo, sposterà un
intangibile peso, e inesorabilmente l’equilibrio in cui siete
immersi svanirà.
Ma non
succede.
Semplicemente,
le sue dita bagnate si sollevano lentamente e raggiungono il tuo viso,
e mentre
le sue labbra sillabano “Chiudi gli occhi” toccano
le tue palpebre e le
inducono ad abbassarsi.
A disagio,
senza vedere, inspiri profondamente, poi
a malapena avverti un sussurro:
“Ascolta.”
E la sua
mano che abbassandosi non cala nuovamente nel suo grembo come prima, ma
sfiora
la tua e intreccia le sue dita alle tue.
E non puoi
far altro che riprendere ad ascoltare con lei, con Hinata.
E mentre
dentro ti senti fremere, fai scorrere le dita sulla sua pelle liscia e
umida, e
senti, avverti, che il rumore secco e puntuale delle gocce che cadono
sui
tronchi e sui rami di legno è differente dal tonfo un
po’ ovattato che emettono
cadendo sulle foglie e sulle corolle, su cui poi scivolano fino a
posarsi o
cadere a terra.
Ancora, è
differente il rumore sul tetto che vi ospita, che ti pare allegro e
rimbombante, da quello sottile e liquido delle stille sul fiume.
Curioso,
pensi, quando ti dicono ‘pioggia che cade’ hai una
visione generica di gocce
che vengono giù dal cielo e bagnano, e infastidiscono. Non
ti viene da pensare
che c’è pioggia e pioggia, rumore e rumore,
fastidio e fastidio, ma invece è
proprio così.
Non è tutto
generico, tutto uguale come pare ad una prima considerazione
superficiale.
Automaticamente,
in un rapido collegamento mentale, realizzi che sì, anche un
legame è sempre un
legame, ma che i legami non sono tutti uguali, anzi.
C’è il
legame che avevi e che speri di riottenere con Sasuke, che era
amicizia, stima,
affetto, comprensione.
Che ricorda
la pioggerellina primaverile, un po’ strana, a volte
intermittente, che sembra
che finisca ma poi ritorna, e anche se pare insignificante, ti bagna
sempre
tutto.
C’è il
legame che hai sempre avuto con Sakura, che è anche quella
amicizia, e forse
qualcosa di più, è un punto fermo, è
un porto sicuro, è conforto.
E ha la
cadenza rassicurante del temporale, che ti bagna completamente,
battente, e
continua finché non torna il sereno, e non cala mai
d’intensità.
E poi…
Poi c’è lei.
E in quel
momento, anche se ti ha chiuso le palpebre e ti ha detto di ascoltare,
ti sembra
giusto aprire gli occhi e guardarla, perché ne senti il
bisogno e perché sai
che è giusto.
Quando
ritorni alla realtà e la vedi, con gli occhi ancora serrati
e l’espressione un
po’ estraniata un po’ concentrata, riesci a
realizzare appieno anche il legame
che hai con lei, e non hai più dubbi, è amore,
con tutto l’infinito insieme di
cose che ci sta dentro.
E mentre
senti il cuore istantaneamente accelerare il battito quando anche lei
apre gli
occhi e vi guardate, la accosti ad una tempesta, da cui non scappi, e
che ti
inzuppa completamente, inesorabile, e ti colpisce con raffiche di vento
e di
grandine, violenta, incalzante, e ci vuole un po’ prima che
tu possa
riprenderti, anche quando finisce e torna il sole.
E potrebbe
sembrare una tempesta spaventosa, una tormenta infinita, mentre in
realtà è
sconvolgente, sì, ma sublime.
Al culmine
di quest’ultima, mirabolante scoperta – capisci che
a molti pareva scontata,
almeno a giudicare dai bisbigli di Ino e Sakura e dalle occhiate sapute
di
Shikamaru, ma davvero, non ti era mai capitato di coglierla in modo
così certo
e ineluttabile – ti lasci andare in un ultimo sospiro
liberatorio, come se fino
ad ora non avessi mai respirato.
Ha smesso di
piovere, mentre eri assorto, e un sole pallido fa capolino da dietro le
cime
degli alberi del bosco.
Come se vi
risvegliaste da un sogno, vi accorgete che siete zuppi, e quando vi
guardate
non potete fare a meno di scoppiare a ridere come bambini, prima un
riso
sommesso e sghignazzante, poi una risata aperta e chiara.
Non c’è più
l’imbarazzo di prima, così decidi di osare, e in
uno slancio dei tuoi la
abbracci stretta, lei così morbida, e quando senti due
braccia esili che
avvolgendosi attorno alla tua vita ricambiano il tuo abbraccio le baci
i
capelli bagnati.
Non vi siete
detti nulla, nemmeno un bacio sulle labbra, eppure è tutto
così chiaro.
In un balzo
siete a terra, e lei vorrebbe, credi, rialzarsi e passeggiare, o
qualcosa del
genere, ma non glielo permetti, la afferri per un polso e la trascini
giù tra i
fiori selvatici del prato antistante la casetta.
“È tutto
bagnato anche per terra, ci inzupperemo ancora di più,
Naruto!” strilla lei,
ilare, ed anche se sono le prime vere
parole che dice da quando vi siete visti ti sembra che non avrebbe
potuto dire
niente di più… Adatto.
Rotolate per
un po’ sul terreno umido, abbracciandovi, pizzicandovi,
ridendo come scemi, e
quando finalmente vi fermate e vi rialzate i vostri abiti, oltre ad
essere se
possibile ancora più bagnati di prima, sono un po’
logori, e macchiati di erbe e
di terriccio, ma non ci fate caso.
La prendi
per mano, la tiri a te, vi avvicinate. Le passi un braccio dietro alla
schiena
e le scosti una ciocca appiccicata alla fronte con l’altra
mano, mentre lei
posa le sue sul tuo petto.
La guardi e
nel suo sorriso appena accennato ed incredibilmente trepidante e
nervoso – è
pur sempre Hinata Hyuuga – vedi la fine della guerra, vedi Konoha che pian piano
rinasce, vedi la vita
che prosegue, vedi la tua felicità che rifiorisce.
Vedi il tuo
futuro, è il tuo futuro.
Dovrai solo
continuare ad abbracciarlo.
Posi un
bacio sulla sua fronte, ti scosti e la riprendi per mano.
Konoha vi
aspetta.
**********
Grazie
di
cuore a Mokochan e a Yume_no_Namida, oltre naturalmente alla solita
Emmevi che
mi trascina in queste follie. :3
E grazie
anche, come sempre, a chi ha letto e a chi vorrà lasciare un
commento.
Alla prossima!
Panda