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Autore: Panda_chan    16/10/2012    7 recensioni
Acceleri il passo, se possibile, e finalmente vedi in lontananza i resti marciti di una vecchia quercia, che secondo il suo messaggio è l’ultimo punto di riferimento prima della famosa meta.
E finalmente si apre uno spiazzo nel bosco, non ampio a sufficienza per essere chiamato radura, ma abbastanza spazioso da ospitare una vecchia casa e quello che doveva essere stato un tempo il suo giardino.
Ti guardi intorno frenetico perché ti pare di non vederla, e anche se sai che non è il tipo non riesci a soffocare, per un momento, l’insensata convinzione che ti abbia attirato con uno specchietto per le allodole senza presentarsi a sua volta.
Ma poi la vedi, seduta sul tetto della casetta di legno e pietra, che ti guarda e aspetta che tu la raggiunga, e con un balzo sei lì, seduto accanto a lei.

[NaruHina]
[Terza classificata al "NaruHina Contest IV° Edizione: 'E per amore sarò, sarai, saremo' " indetto da Mokochan e Yume_no_Namida e vincitrice del Premio Atmosfera, del Premio Introspezione e del Premio della Giuria (Yume).]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki | Coppie: Hinata/Naruto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Dunque, questa shot è ambientata in un ipotetico finale di guerra, anche se non ho la più pallida idea di come possa effettivamente finire la guerra di cui stiamo leggendo in questo momento. Ho lasciato un po’ correre la fantasia. :)
Dalla poesia “La pioggia nel pineto” di Gabriele D’Annunzio ho tratto prevalentemente – e naturalmente con qualche arricchimento/cambiamento mio – quella che si intuisce essere l’ambientazione, e ovviamente il tema della pioggia, anche se me ne sono discostata per l’incipit e per il finale.
Come si vedrà – cerco di non fare troppo spoiler xD – ho cercato di usare sia ambientazione che pioggia per approfondire il personaggio su cui si focalizza la shot, ovvero Naruto.
Ho scelto la narrazione in seconda persona principalmente per due ragioni: un po’ per scansare il classico dualismo prima persona/terza persona e buttarmi in un esperimento un po’ originale, un po’ perché la seconda persona permette una certa ‘confidenzialità’ – spero di essermi spiegata – che mi è stata utile per l’introspezione. Data questa ‘confidenzialità’, per coerenza mi sono presa la libertà di mantenere uno stile abbastanza immediato, a volte un po’ ingarbugliato e con alcune ripetizioni in modo da mantenermi vicina al parlato, essendo l’idea quella di un ipotetico narratore che si rivolge direttamente al protagonista, parlandogli.
Questi sono i tratti salienti, il resto lo lascio al vostro giudizio, sperando che sia di vostro gradimento. :)
Panda

 

I mille messaggi di una goccia di pioggia

 

 

Guerra.
La sola parola ti fa accapponare la pelle, vero?
Te la rigiri tra la lingua, il palato e la gola, così breve, così devastante nelle due sole sue sillabe.
In quella g che è il suo inizio, dura, gutturale, avverti tutta la sofferenza che quel vocabolo promette.
Se ascolti attentamente quella u, pronunciata tanto in fretta, puoi sentire l’urlo trattenuto di chi piange un caduto, sapendo che non ritornerà.
Quella e, lì in mezzo, vocale così chiara e trasparente, ti proietta nel cervello le canzoni che i soldati cantano insieme per farsi coraggio, cercando nella disgrazia comune un antidoto alla paura.
Non una sola r, ma due, ti soffiano all’orecchio il ringhio sommesso del ninja che stringe forte la spada per resistere in prima linea, mentre attende spasmodicamente l’ordine di attaccare.
E parte da una a che cresce di volume il lamento atroce del ferito mentre viene curato, sperando che si salvi.
Brutta parola, sì, guerra, sembrerebbe che tutto ciò che dice riconduca a patimento, paura, disperazione, rabbia. Una brutta parola per delle brutte cose.
Però, però, prova a riascoltarla di nuovo. Cerca di non annegare nelle urla straziate, nelle canzoni affrante, nei gemiti sofferenti, e sforzati di sentire dell’altro.
Forse è quella u che accostata alla e crea quasi una piccola melodia, forse è che r ed a vicine non hanno poi un suono così brutto, ma se presti attenzione c’è qualcosa, in quella parola, che sembra volerti spiegare che non è solo tutto tristezza e pianto, che a volte, ad essere molto, ma molto fortunati, puoi guadagnarci qualcosa di buono, in una fottuta guerra.
Pensaci, mentre corri a perdifiato lungo le vie di Konoha.
O forse, adesso, ti manca materialmente il tempo per riflettere, perché ti sei appena accorto di essere in tremendo ritardo.
Per la prima volta dopo la guerra, dopo i trattati di pace, dopo la fine di tutto, lei ti manda a dire che potete vedervi e tu, sì, rischi di arrivare tardi. Non un gran biglietto da visita, no?
Meglio affrettarsi.
Sei un po’ perplesso mentre percorri la strada che ti ha indicato nel suo messaggio breve e stringato, perché non l’hai mai sentita nominare prima e sai solo che conduce “alla tua meta”, non meglio identificata.
Mentre voli saltando di ramo in ramo su per gli alberi di un boschetto che stai attraversando, ti rallegri perché riconosci quel grande masso ricoperto di muschio, quel vecchio pino carbonizzato da un fulmine, quel sentiero seminascosto dal sottobosco che ti sono stati indicati come punti di riferimento.
Sei sulla strada giusta.
Più ti convinci che stai davvero arrivando, più ti rendi conto che quel nodo allo stomaco non è solo tensione per il timore di arrivare tardi, ma vera e propria ansia per ciò che succederà, perché l’ultima volta che l’hai vista la battaglia finale si era appena conclusa, voi avevate combattuto fianco a fianco e ricordi che mentre la coprivi per evitarle gli ultimi, disperati colpi del nemico non lo facevi per evitare un compagno ferito in più, un altro amico caduto, ma ti muovevi automaticamente perché no, lei no, non puoi colpirla, stronzo.
Senza apparenti ragioni particolari, come se il tuo corpo si muovesse da sé, una cosa mai provata prima.
Lei non l’hai più incontrata, da allora, e ti sei chiesto spesso il perché di quella sensazione strana, che ti ha imposto di muoverti e combattere senza nessuna apparente motivazione.
Te lo sei chiesto finché una strana idea ti ha colto improvvisamente, talmente ovvia da indurti a chiederti come non l’avessi capito prima, talmente potente da spiegarsi da sola senza argomento alcuno, eppure così fragile, così incerta da impedirti di essere totalmente certo della sua veridicità.
Ricordi che eri in ospedale, a trovare Sasuke che ricoverato starà ancora per un bel po’, malconcio com’è, e ci hai trovato Sakura che lo medicava.
Le sue mani lavoravano lente e lievi, per non fargli male mentre disinfettavano e suturavano, e c’era veramente da domandarsi per quale ragione avesse chiesto di essere lei a medicare con tanta cura qualcuno che l’aveva abbandonata, ferita nel corpo e nel cuore, rifiutata e quasi uccisa.
Ti sei lambiccato per un po’ e hai capito che semplicemente l’ha amato e lo ama e non può smettere, e che altre risposte logiche non ce ne sono.
Ed è lì che è emerso il collegamento, perché se tu hai protetto con tutte le tue forze qualcuno che sentivi non essere un’amica, né compagna, quale ragione poteva esserci allora, se non…?
Possibile?
Eppure ti pare così strano.
Acceleri il passo, se possibile, e finalmente vedi in lontananza i resti marciti di una vecchia quercia, che secondo il suo messaggio è l’ultimo punto di riferimento prima della famosa meta.
E finalmente si apre uno spiazzo nel bosco, non ampio a sufficienza per essere chiamato radura, ma abbastanza spazioso da ospitare una vecchia casa e quello che doveva essere stato un tempo il suo giardino.
Ti guardi intorno frenetico perché ti pare di non vederla, e anche se sai che non è il tipo non riesci a soffocare, per un momento, l’insensata convinzione che ti abbia attirato con uno specchietto per le allodole senza presentarsi a sua volta.
Ma poi la vedi, seduta sul tetto della casetta di legno e pietra, che ti guarda e aspetta che tu la raggiunga, e con un balzo sei lì, seduto accanto a lei.
“Hinata” esordisci con urgenza. “Hinata, io-”
“Naruto” mormora lei calma quanto tu sei agitato. “Shhh.” soffia poi, dolcemente, per zittirti. Poi chiude gli occhi.
Sei in difficoltà, perché a volte con le parole fai fatica, ma il silenzio ti blocca ancor di più, non appartenendo alla tua indole.
Pensi che nella tua testa tutto sembrava così facile: lei ti ama, e lo sai con certezza, e tu… Che problemi avrebbero mai potuto esserci?
Ma adesso ti è chiaro che no, non è semplice.
Per nulla.
A disagio sposti il peso del corpo fino a sederti a gambe incrociate come lei, e ti mantieni in silenzio.
Non c’è voce, non c’è nulla che appartenga ad un umano nel raggio di miglia, probabilmente, ed ogni singolo singulto del bosco circostante ti colpisce come una raffica di shuriken.
Poi ti accorgi.
Pioviggina.
Un ticchettio sordo, dovunque, soffuso e continuo, di acqua che colpisce foglie, tronchi, corolle delicate di fiori, e si incorpora alla rugiada sopravvissuta dal mattino, spingendo i piccoli insetti al riparo sotto le ampie foglie degli alberi secolari.
Il vostro silenzio continua.
Il disagio però a poco a poco scompare, perché non ti sembra più il silenzio impacciato di chi non sa cosa dire, ma la concentrazione salda di chi ascolta ogni minimo particolare che lo circonda.
Con estrema lentezza, perché hai la sensazione che anche solo il minimo movimento brusco possa rovinare quell’attimo sospeso, volti la testa impercettibilmente e la vedi, gli occhi chiarissimi ora chiusi, il corpo completamente immobile, l’atteggiamento assorto.
Ancora, pioviggina.
Continua quella danza di gocce sottili che si sfaldano, fragilissime, anche quando incontrano la curva impalpabile delle sue ciglia.
Senza nemmeno rendertene conto ti sporgi verso di lei, avvicinando il viso al suo, ma non hai neanche lontanamente l’intenzione di toccarla, perché potrebbe frantumarsi come cristallo.
No, vuoi solo osservarla da vicino.
Dalla frangia scura ormai lunga gocciolano stille piccolissime, che colano lentamente lungo la sua fronte ampia e bianca.
Costeggiano quasi con cautela il taglio degli occhi dalle ciglia scure e dalle pupille trasparenti e nascoste dalle palpebre, e continuano la loro strada sulla guancia bianca, fino ad arrivare alla bocca.
Hinata la socchiude, e ti accorgi che probabilmente avverte come e più di te l’intensità dell’attimo, perché perfino le sue labbra sembrano pallide e non appena si schiudono tremano impercettibilmente, scandite dal respiro che a tratti, spezzato,  soffia.
È bellissima.
La pioggia si fa appena più intensa, e il rumore attorno a voi si fa lievemente più rombante, eppure non disturba e non pare fuori posto.
Sei talmente coinvolto che nemmeno ti chiedi come mai ve ne stiate sul tetto di una casetta sotto l’acqua come due perfetti imbecilli invece di ripararvi all’interno, ma a quanto pare non se lo chiede nemmeno lei.
Probabilmente nessuno di voi due ha la benché minima intenzione di muoversi, perché ripararsi significherebbe porre fine a questo momento straordinario, e che il momento straordinario finisca è l’ultima cosa che volete.
Poi, d’improvviso, è lei a riscuotersi.
Quasi ti dispiace quando vedi la sua mano sollevarsi lentamente, perché pensi che farà qualcosa di sbagliato, quella mano, toccherà un invisibile filo, sposterà un intangibile peso, e inesorabilmente l’equilibrio in cui siete immersi svanirà.
Ma non succede.
Semplicemente, le sue dita bagnate si sollevano lentamente e raggiungono il tuo viso, e mentre le sue labbra sillabano “Chiudi gli occhi” toccano le tue palpebre e le inducono ad abbassarsi.
A disagio, senza vedere, inspiri profondamente, poi  a malapena avverti un sussurro: “Ascolta.”
E la sua mano che abbassandosi non cala nuovamente nel suo grembo come prima, ma sfiora la tua e intreccia le sue dita alle tue.
E non puoi far altro che riprendere ad ascoltare con lei, con Hinata.
E mentre dentro ti senti fremere, fai scorrere le dita sulla sua pelle liscia e umida, e senti, avverti, che il rumore secco e puntuale delle gocce che cadono sui tronchi e sui rami di legno è differente dal tonfo un po’ ovattato che emettono cadendo sulle foglie e sulle corolle, su cui poi scivolano fino a posarsi o cadere a terra.
Ancora, è differente il rumore sul tetto che vi ospita, che ti pare allegro e rimbombante, da quello sottile e liquido delle stille sul fiume.
Curioso, pensi, quando ti dicono ‘pioggia che cade’ hai una visione generica di gocce che vengono giù dal cielo e bagnano, e infastidiscono. Non ti viene da pensare che c’è pioggia e pioggia, rumore e rumore, fastidio e fastidio, ma invece è proprio così.
Non è tutto generico, tutto uguale come pare ad una prima considerazione superficiale.
Automaticamente, in un rapido collegamento mentale, realizzi che sì, anche un legame è sempre un legame, ma che i legami non sono tutti uguali, anzi.
C’è il legame che avevi e che speri di riottenere con Sasuke, che era amicizia, stima, affetto, comprensione.
Che ricorda la pioggerellina primaverile, un po’ strana, a volte intermittente, che sembra che finisca ma poi ritorna, e anche se pare insignificante, ti bagna sempre tutto.
C’è il legame che hai sempre avuto con Sakura, che è anche quella amicizia, e forse qualcosa di più, è un punto fermo, è un porto sicuro, è conforto.
E ha la cadenza rassicurante del temporale, che ti bagna completamente, battente, e continua finché non torna il sereno, e non cala mai d’intensità.
E poi…
Poi c’è lei.
E in quel momento, anche se ti ha chiuso le palpebre e ti ha detto di ascoltare, ti sembra giusto aprire gli occhi e guardarla, perché ne senti il bisogno e perché sai che è giusto.
Quando ritorni alla realtà e la vedi, con gli occhi ancora serrati e l’espressione un po’ estraniata un po’ concentrata, riesci a realizzare appieno anche il legame che hai con lei, e non hai più dubbi, è amore, con tutto l’infinito insieme di cose che ci sta dentro.
E mentre senti il cuore istantaneamente accelerare il battito quando anche lei apre gli occhi e vi guardate, la accosti ad una tempesta, da cui non scappi, e che ti inzuppa completamente, inesorabile, e ti colpisce con raffiche di vento e di grandine, violenta, incalzante, e ci vuole un po’ prima che tu possa riprenderti, anche quando finisce e torna il sole.
E potrebbe sembrare una tempesta spaventosa, una tormenta infinita, mentre in realtà è sconvolgente, sì, ma sublime.
Al culmine di quest’ultima, mirabolante scoperta – capisci che a molti pareva scontata, almeno a giudicare dai bisbigli di Ino e Sakura e dalle occhiate sapute di Shikamaru, ma davvero, non ti era mai capitato di coglierla in modo così certo e ineluttabile – ti lasci andare in un ultimo sospiro liberatorio, come se fino ad ora non avessi mai respirato.
Ha smesso di piovere, mentre eri assorto, e un sole pallido fa capolino da dietro le cime degli alberi del bosco.
Come se vi risvegliaste da un sogno, vi accorgete che siete zuppi, e quando vi guardate non potete fare a meno di scoppiare a ridere come bambini, prima un riso sommesso e sghignazzante, poi una risata aperta e chiara.
Non c’è più l’imbarazzo di prima, così decidi di osare, e in uno slancio dei tuoi la abbracci stretta, lei così morbida, e quando senti due braccia esili che avvolgendosi attorno alla tua vita ricambiano il tuo abbraccio le baci i capelli bagnati.
Non vi siete detti nulla, nemmeno un bacio sulle labbra, eppure è tutto così chiaro.
In un balzo siete a terra, e lei vorrebbe, credi, rialzarsi e passeggiare, o qualcosa del genere, ma non glielo permetti, la afferri per un polso e la trascini giù tra i fiori selvatici del prato antistante la casetta.
“È tutto bagnato anche per terra, ci inzupperemo ancora di più, Naruto!” strilla lei, ilare, ed anche se sono le prime vere parole che dice da quando vi siete visti ti sembra che non avrebbe potuto dire niente di più… Adatto.
Rotolate per un po’ sul terreno umido, abbracciandovi, pizzicandovi, ridendo come scemi, e quando finalmente vi fermate e vi rialzate i vostri abiti, oltre ad essere se possibile ancora più bagnati di prima, sono un po’ logori, e macchiati di erbe e di terriccio, ma non ci fate caso.
La prendi per mano, la tiri a te, vi avvicinate. Le passi un braccio dietro alla schiena e le scosti una ciocca appiccicata alla fronte con l’altra mano, mentre lei posa le sue sul tuo petto.
La guardi e nel suo sorriso appena accennato ed incredibilmente trepidante e nervoso – è pur sempre Hinata Hyuuga – vedi la fine della guerra, vedi  Konoha che pian piano rinasce, vedi la vita che prosegue, vedi la tua felicità che rifiorisce.
Vedi il tuo futuro, è il tuo futuro.
Dovrai solo continuare ad abbracciarlo.
Posi un bacio sulla sua fronte, ti scosti e la riprendi per mano.
Konoha vi aspetta.

 

**********

 

Grazie di cuore a Mokochan e a Yume_no_Namida, oltre naturalmente alla solita Emmevi che mi trascina in queste follie. :3
E grazie anche, come sempre, a chi ha letto e a chi vorrà lasciare un commento.
Alla prossima!
Panda

  
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