Finalmente
riesco ad aggiornare, anche se poi non è passato
così tanto tempo. J
Comunque, come vedrete il titolo di
questo capitolo è un nome quindi come ben immaginerete
entrerà un nuovo
personaggio. Non sono molto soddisfatta dei risultati dei capitoli
precedenti.
Mi aspettavo almeno una qualche recensione che mi facesse capire che
faccio
schifo, che sono brava, che non sono da buttare. Però,
comunque, ringrazio chi
ha letto e chi ha messo la storia nelle seguite. Vi prego di esprimervi
anche
tramite una recensione, purtroppo sono davvero importanti. Mi pare di
avervi
detto tutto. Quindi godetevi questo capitolo. Alla prossima.
Waka.
Oliver.
Il
mattino seguente mio padre mi trovò già in piedi
in
cucina che mi dimenavo con l’impasto dei pancakes.
“Juliet, che ci fai alzata
già a quest’ora?” mi disse con una voce
da cavernicolo. Mio padre era,
ovviamente, stupito nel vedermi sveglia alle 6 del mattino e per di
più attiva.
Certo, indossavo ancora il pigiama ma ero saltata giù dal
letto appena la
sveglia aveva segnato l’alba. Non avevo chiuso occhio quella
notte! Le parole
di Alaska mi rimbombavano nella testa ed, ormai, ero sempre
più decisa a farmi
avanti. Quello stupido di un Lawrence non avrebbe mai fatto nulla per
invitarmi
alla festa, quindi mi sarei battuta contro Emily per poterci andare.
“Sto
preparando i pancakes, non vedi?” replicai, quasi
infastidita. Mio padre alzò le spalle e sbadigliò
sonoramente. Tolse dal tavolo
la cesta piena di frutta, la tovaglia a quadretti rossa ed
iniziò ad
apparecchiare per noi tre. Mia sorella avrebbe aperto gli occhi,
più o meno,
dieci minuti prima del suono della campanella. Era uno spettacolo
vederla
correre per tutta la casa con la tazza di latte e la brioche in bocca.
Vi
lascio immaginare quel povero cristo di mio padre che doveva
accompagnarla.
Il
suono della televisione mi destò dai miei pensieri e
vidi papà che faceva zapping. Ovviamente, dopo aver cambiato
ben dieci canali,
sbuffò e decise di aprire la tenda, anche questa a scacchi e
quindi abbinata
alla tovaglia, per far entrare i primi raggi del sole in cucina.
Misi
la prima forma di pancake sulla padella. E continuai
fino a quando mia sorella Amber non si presentò, con almeno
un’ora di anticipo,
in cucina. Aveva ancora gli occhi chiusi ed un espressione di
beatitudine
dipinta sul viso. Anche io alla sua età ero più o
meno così. Amber non è mia
sorella di sangue ma la mia sorellastra perché quel
donnaiolo che mi ritrovo
come padre aveva avuto, prima di mia madre, un’altra donna
con la quale sono
ancora in ottimi rapporti. Non so perché sia finita tra loro
due ma sicuramente
non si lasciarono per tradimento.
“Mmmm,
buoni!” disse Amber, masticando uno dei miei
deliziosi pancakes. “Da quando sei diventata così
brava a cucinare?”
“Sta’
zitta, faccia brufolosa di una quattordicenne con
gli ormoni sballati” risposi infastidita. Odiavo quando la
gente doveva sparare
sentenze su come cucinavo. Sapevo cucinare benissimo, il mio unico
problema era
la fretta e la goffaggine.
Amber
si sedette e fissò i suoi occhioni verdi su di me.
Sentivo il peso del suo sguardo e quando tutti i pancakes furono
pronti,
finalmente potemmo iniziare la nostra colazione. Papà aveva
versato il succo
d’arancia nei bicchieri ed Amber aveva preso il burro, la
marmellata e, anche,
la crema di nocciole.
“Allora,
Juliet…” iniziò a dire il vecchio.
“Con chi
andrai alla festa di Willsbourgh, il prossimo
venerdì?”
Abbassai
lo sguardo e, per nascondere il rossore del mio
viso, iniziai a bere il latte. “Ci andrà con
Martin.” Disse tranquillamente
Amber.
Sputai
il latte sul tavolo a quelle parole. “Non ci andrò
con Martin.” Replicai, ancora una volta infastidita da quella
pulce. “Non ci
andrò e basta.”
“Bene,
Juliet.” Continuò mio padre. “Se non vai
con
nessun Martin e con nessun altro ragazzo, considerati ufficialmente
invitata
dal tuo caro vecchio babbo.”
La
mia faccia si dipinse di un espressione schifata.
“Grazie vecchio, ma credo di dover rifiutare.”
Papà
non sembrava deluso più che altro era pensieroso e
notavo anche una segno di preoccupazione nel suo sguardo perso nel
vuoto. “Beh”
esclamai, avendo terminato di mangiare. “Vado a prepararmi
per rinchiudermi in
quella gabbia di matti.”
La
sorpresa fu enorme quella mattina. Trovai la mia bici
rossa fiammante proprio accanto alla buca delle lettere. Il giorno
prima
l’avevo lasciata a casa di Martin perché lui aveva
insistito per accompagnarmi
a casa visto che pioveva. Con lo zaino in spalla, saltai sulla sella e
mi
avviai verso il carcere, cioè la scuola.
Appena
arrivata, non notai nessuno di mia conoscenza
quindi entrai direttamente nel lungo corridoio dell’Istituto
di Willsbourgh. Mi
soffermai al mio armadietto per prendere i libri di scienze.
Già, scienze a
prima ora non era proprio il massimo ma era sempre meglio di matematica.
La
campanella squillò e mi apprestai a raggiungere
l’aula
117, un numero che solitamente non portava molto fortuna. Mi
meravigliai quando
il mio cuore iniziò a battere alla vista
dell’aula, forse perché sapevo che lì
dentro mi stava aspettando il mio migliore amico.
Infatti,
lo trovai seduto e tranquillo che leggeva la
lezione di scienze. “Buongiorno mio caro Lawrence!”
esclamai, felice. Dovevo
ringraziarlo per la bici, come prima cosa. Mi sentivo molto fortunata
perché
ancora la classe era vuota e non era arrivata nemmeno
l’insegnante. “Grazie per
avermi riportato la bici!”
Lawrence
arrossì terribilmente e mi seguì con lo sguardo
fino a quando non decisi di sedermi. “Non preoccuparti, te
l’avevo detto che te
l’avrei restituita in qualche modo…”
Amavo
quando Martin iniziava a parlare così timidamente
perché questo voleva significare solo una cosa…
Cioè che era molto ma molto
imbarazzato e che quell’agitazione gliela stavo provocando
esattamente io. “Hai
studiato scienze?”
Non
sapevo davvero come addentrarmi nell’argomento
“hot”.
Dovevo assolutamente sbrigarmi prima che la seconda campana suonasse e
prima
che arrivassero tutti gli altri. “Si, più o
meno.” Mormorò lui, abbassando lo
sguardo sulla pagina che illustrava i vulcani. Ecco, in quel momento mi
sentivo
proprio come un vulcano in piena eruzione. Sentivo come un fuoco che mi
stava
letteralmente bruciando lo stomaco. “Per fortuna che il
prossimo venerdì la
scuola resterà chiusa per la festa.”
Continuò a dire Martin quasi come se
volesse approfondire il discorso “hot” o come
cavolo l’avevo chiamato.
“Ah
già” feci la gnorri. A quanto pareva, mi riusciva
sempre bene. “Venerdì c’è la
festa a Willsbourgh..”
“Si.”
Cominciò Martin, spostandosi i riccioli che gli
ricadevano sulla fronte bianca. Finalmente abbandonò la
matita che teneva tra
le dita e spostò il suo corpo, girandolo completamente verso
di me. Anche
questa volta, si creò un’atmosfera simile a quella
di quel pomeriggio in camera
sua. Mi sembrava che anche il sole stesse contribuendo
all’atmosfera tant’è
che, quell’aula sempre poco illuminata, era improvvisamente
colpita da una luce
fortissima. Deglutii lentamente e mi preparai alla domanda.
“A proposito…”
“Buongiorno
Martin!” esclamò una voce antipatica. La
fissai arrabbiata. Questa era la terza volta che riusciva a disturbarci
mentre
parlavamo. “Ciao Emily” disse Martin, quasi
irritato anche lui.
Non
potevo lasciarmela sfuggire, non dovevo. “Senti Emily,
la prossima volta abbi l’educazione di non interromperci
mentre stiamo
parlando.” Dissi tutto d’un fiato. Odiavo essere
antipatica ma, data la
situazione non avevo molte scelte. Lei ci restò quasi male e
per un minuto non
la sentii parlare. Ma tanto, aveva rovinato tutto perché
Martin non avrebbe più
osato chiedermi o dirmi niente, ora che c’era quella guasta
feste.
“Martin…”
iniziò a dire. La fissai: giuro che non avevo
sentito nemmeno i suoi passi. Come diavolo aveva fatto ad avvicinarsi
così
piano a Martin? “Dopo dovrei chiederti una cosa piuttosto
importante.”
La
vidi abbassare velocemente lo sguardo. Martin annuì
lentamente con la testa e poi si rimise a leggere la lezione.
“Riguarda la
festa di Willsbourgh.” Continuò quella stupida.
Stava cercando di portarmi via
il migliore amico.
Avrei
voluto tanto alzarmi, prenderla per i capelli,
trascinarla per il corridoio, sporcarle quello stupido vestito rosa a
fiori che
indossava e ficcarle la testa dentro il water. “Sarebbe
divertente.” Mi scappò
e risi, addirittura.
Martin
e l’oca mi fissarono scioccati. Probabilmente
Martin credeva che avessi detto quella frase in risposta a quello che
la scema
gli aveva appena annunciato. “Scusate, stavo pensando ad alta
voce.”
Finalmente
quella cavolo di seconda campana suonò e tutti
gli altri studenti si precipitarono in classe. L’ultima ad
entrare fu,
ovviamente, Alaska seguita dalla signora Bridge.
“Ciao
Jiuls.” Mi salutò affibbiandomi il solito
nomignolo
idiota.
“Ciao”
fu invece la mia semplice risposta.
Ora,
sicuramente, quella furba e vispa della mia migliore
amica aveva notato il mio comportamento da depressa. Per questo, con la
coda
dell’occhio la vidi fissare il volto di Martin che non
l’aveva degnata di uno
sguardo. Sbuffò e si concentrò anche lei sulle
parole della Bridge la quale
sembrava molto soddisfatta di non dover riprendere nessuno di noi tre,
quella
mattina.
Per
fortuna, la Bridge decise di non interrogare nessuno
e la sua ora passò in maniera molto veloce e tranquilla.
Presi le mie cose
lentamente, in modo da fare uscire il resto dei miei compagni dalla
classe.
Martin si era ammassato verso l’uscio insieme agli altri e,
ovviamente, Emily
gli stava alle calcagna.
Alaska
era rimasta immobile ed aspettava il momento utile
per poter filare via da quelle quattro mura. Finalmente riuscimmo ad
uscire e
mi andai a sedere sulla panchina di fronte all’aula. Alaska
si sedette accanto
a me con il libro di scienze tra le braccia.
Restammo
in silenzio poiché Martin ed Emily stavano
parlando davanti ai loro armadietti. Certo, non riuscivo a percepire
quello che
si dicevano ma potevo leggere il labiale.
“Senti
Martin, è da una settimana che provo a
dirtelo…”
iniziò a dire Emily, mentre con la mano torturava i suoi
poveri capelli color
cioccolato. I suoi occhi verdi si fecero coraggio e fissaro quelli
azzurri di
Martin.
Intanto
Alaska era stata raggiunta dal famoso Lucas e, mi
aveva chiesto gentilmente se poteva allontanarsi. Le aveva detto che
poteva
farlo tranquillamente. Fu un attimo. Non so come, ma riuscii a leggere
il
labiale di Emily: “Vorresti venire alla festa di Willsbourgh
con me?”
Mi
sentii crollare il mondo addosso. Mi alzai velocemente
e quando lo feci attirai l’attenzione di Martin che mi
lanciò un’occhiata
preoccupata. Cosa diamine stava aspettando a risponderle? Ma
soprattutto, cosa
le avrebbe risposto?
La
mia testa continuava a riempirsi di pensieri quando,
cercando di avvicinarmi a Martin, andai a sbattere contro qualcosa o,
meglio,
qualcuno. “Ops, scusami.” Disse una voce simpatica
maschile.
“Non
ti preoccupare.” Risposi velocemente, cercando di
raccattare le mie cose. E come succede nei film, in quei film romantici
dove la
protagonista incontra/scontra il ragazzo della sua vita, ci guardammo.
Mi
trovavo davanti un ragazzo dalla faccia buffa e simpatica, dai capelli
rossicci
e gli occhi scuri, con il viso pieno di lentiggini ed un sorriso da
fare
invidia alla pubblicità della Mentadent.
“Tu
sei Juliet Jonhson?” mi chiese, poi. Mi stava
distraendo ma, nonostante tutto, potevo vedere cosa stava succedendo
tra Martin
e l’oca. Riuscivo ad intravedere l’imbarazzo di
Martin di fronte a quell’invito.
“Si, sono io.” Risposi distrattamente.
“Io
sono un amico di Lucas.” Disse, porgendomi la mano.
“Mi
chiamo Oliver. Piacere di conoscerti!”
Alzai
un sopracciglio per la presentazione alquanto
strana ma presi comunque la mano che il ragazzo mi stava porgendo. Alla
fine,
sembrava simpatico soltanto che non avevo molto tempo da dedicargli
visto che
Emily si stava filando il mio migliore amico. Istintivamente, Oliver
fissò lo
stesso punto in cui stavo guardando io e rimase immobile fino a quando
non
successe quello che successe.
Dovrei
forse ringraziare Oliver per come si comportò
quella mattina con me? Questo, purtroppo, non lo so. So solo che la
scena che
mi si presentava davanti, non me la sarei mai sognata. Nemmeno in un
incubo:
Perché Emily aveva deciso di baciare
proprio il mio migliore amico?