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Autore: Wakachan    16/10/2012    0 recensioni
Come si inizia a raccontare una storia?
A scuola mi hanno insegnato che bisogna partire dal principio di tutto. Il fatto è che non so quando tutto sia iniziato. Penso che avere sedici anni e dire di voler raccontare la storia della mia vita vi abbia fatto scoppiare dal ridere. Beh, diciamo che non si tratta proprio della storia della mia vita. Si tratta di un pezzo della mia vita che, forse, non dimenticherò mai. Anzi, togliete quello stupido forse.
Genere: Commedia, Demenziale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Finalmente riesco ad aggiornare, anche se poi non è passato così tanto tempo. J Comunque, come vedrete il titolo di questo capitolo è un nome quindi come ben immaginerete entrerà un nuovo personaggio. Non sono molto soddisfatta dei risultati dei capitoli precedenti. Mi aspettavo almeno una qualche recensione che mi facesse capire che faccio schifo, che sono brava, che non sono da buttare. Però, comunque, ringrazio chi ha letto e chi ha messo la storia nelle seguite. Vi prego di esprimervi anche tramite una recensione, purtroppo sono davvero importanti. Mi pare di avervi detto tutto. Quindi godetevi questo capitolo. Alla prossima.

Waka.

Oliver.

Il mattino seguente mio padre mi trovò già in piedi in cucina che mi dimenavo con l’impasto dei pancakes. “Juliet, che ci fai alzata già a quest’ora?” mi disse con una voce da cavernicolo. Mio padre era, ovviamente, stupito nel vedermi sveglia alle 6 del mattino e per di più attiva. Certo, indossavo ancora il pigiama ma ero saltata giù dal letto appena la sveglia aveva segnato l’alba. Non avevo chiuso occhio quella notte! Le parole di Alaska mi rimbombavano nella testa ed, ormai, ero sempre più decisa a farmi avanti. Quello stupido di un Lawrence non avrebbe mai fatto nulla per invitarmi alla festa, quindi mi sarei battuta contro Emily per poterci andare.

“Sto preparando i pancakes, non vedi?” replicai, quasi infastidita. Mio padre alzò le spalle e sbadigliò sonoramente. Tolse dal tavolo la cesta piena di frutta, la tovaglia a quadretti rossa ed iniziò ad apparecchiare per noi tre. Mia sorella avrebbe aperto gli occhi, più o meno, dieci minuti prima del suono della campanella. Era uno spettacolo vederla correre per tutta la casa con la tazza di latte e la brioche in bocca. Vi lascio immaginare quel povero cristo di mio padre che doveva accompagnarla.

Il suono della televisione mi destò dai miei pensieri e vidi papà che faceva zapping. Ovviamente, dopo aver cambiato ben dieci canali, sbuffò e decise di aprire la tenda, anche questa a scacchi e quindi abbinata alla tovaglia, per far entrare i primi raggi del sole in cucina.

Misi la prima forma di pancake sulla padella. E continuai fino a quando mia sorella Amber non si presentò, con almeno un’ora di anticipo, in cucina. Aveva ancora gli occhi chiusi ed un espressione di beatitudine dipinta sul viso. Anche io alla sua età ero più o meno così. Amber non è mia sorella di sangue ma la mia sorellastra perché quel donnaiolo che mi ritrovo come padre aveva avuto, prima di mia madre, un’altra donna con la quale sono ancora in ottimi rapporti. Non so perché sia finita tra loro due ma sicuramente non si lasciarono per tradimento.

“Mmmm, buoni!” disse Amber, masticando uno dei miei deliziosi pancakes. “Da quando sei diventata così brava a cucinare?”

“Sta’ zitta, faccia brufolosa di una quattordicenne con gli ormoni sballati” risposi infastidita. Odiavo quando la gente doveva sparare sentenze su come cucinavo. Sapevo cucinare benissimo, il mio unico problema era la fretta e la goffaggine.

Amber si sedette e fissò i suoi occhioni verdi su di me. Sentivo il peso del suo sguardo e quando tutti i pancakes furono pronti, finalmente potemmo iniziare la nostra colazione. Papà aveva versato il succo d’arancia nei bicchieri ed Amber aveva preso il burro, la marmellata e, anche, la crema di nocciole.

“Allora, Juliet…” iniziò a dire il vecchio. “Con chi andrai alla festa di Willsbourgh, il prossimo venerdì?”

Abbassai lo sguardo e, per nascondere il rossore del mio viso, iniziai a bere il latte. “Ci andrà con Martin.” Disse tranquillamente Amber.

Sputai il latte sul tavolo a quelle parole. “Non ci andrò con Martin.” Replicai, ancora una volta infastidita da quella pulce. “Non ci andrò e basta.”

“Bene, Juliet.” Continuò mio padre. “Se non vai con nessun Martin e con nessun altro ragazzo, considerati ufficialmente invitata dal tuo caro vecchio babbo.”

La mia faccia si dipinse di un espressione schifata. “Grazie vecchio, ma credo di dover rifiutare.”

Papà non sembrava deluso più che altro era pensieroso e notavo anche una segno di preoccupazione nel suo sguardo perso nel vuoto. “Beh” esclamai, avendo terminato di mangiare. “Vado a prepararmi per rinchiudermi in quella gabbia di matti.”

La sorpresa fu enorme quella mattina. Trovai la mia bici rossa fiammante proprio accanto alla buca delle lettere. Il giorno prima l’avevo lasciata a casa di Martin perché lui aveva insistito per accompagnarmi a casa visto che pioveva. Con lo zaino in spalla, saltai sulla sella e mi avviai verso il carcere, cioè la scuola.

Appena arrivata, non notai nessuno di mia conoscenza quindi entrai direttamente nel lungo corridoio dell’Istituto di Willsbourgh. Mi soffermai al mio armadietto per prendere i libri di scienze. Già, scienze a prima ora non era proprio il massimo ma era sempre meglio di matematica.

La campanella squillò e mi apprestai a raggiungere l’aula 117, un numero che solitamente non portava molto fortuna. Mi meravigliai quando il mio cuore iniziò a battere alla vista dell’aula, forse perché sapevo che lì dentro mi stava aspettando il mio migliore amico.

Infatti, lo trovai seduto e tranquillo che leggeva la lezione di scienze. “Buongiorno mio caro Lawrence!” esclamai, felice. Dovevo ringraziarlo per la bici, come prima cosa. Mi sentivo molto fortunata perché ancora la classe era vuota e non era arrivata nemmeno l’insegnante. “Grazie per avermi riportato la bici!”

Lawrence arrossì terribilmente e mi seguì con lo sguardo fino a quando non decisi di sedermi. “Non preoccuparti, te l’avevo detto che te l’avrei restituita in qualche modo…”

Amavo quando Martin iniziava a parlare così timidamente perché questo voleva significare solo una cosa… Cioè che era molto ma molto imbarazzato e che quell’agitazione gliela stavo provocando esattamente io. “Hai studiato scienze?”

Non sapevo davvero come addentrarmi nell’argomento “hot”. Dovevo assolutamente sbrigarmi prima che la seconda campana suonasse e prima che arrivassero tutti gli altri. “Si, più o meno.” Mormorò lui, abbassando lo sguardo sulla pagina che illustrava i vulcani. Ecco, in quel momento mi sentivo proprio come un vulcano in piena eruzione. Sentivo come un fuoco che mi stava letteralmente bruciando lo stomaco. “Per fortuna che il prossimo venerdì la scuola resterà chiusa per la festa.” Continuò a dire Martin quasi come se volesse approfondire il discorso “hot” o come cavolo l’avevo chiamato.

“Ah già” feci la gnorri. A quanto pareva, mi riusciva sempre bene. “Venerdì c’è la festa a Willsbourgh..”

“Si.” Cominciò Martin, spostandosi i riccioli che gli ricadevano sulla fronte bianca. Finalmente abbandonò la matita che teneva tra le dita e spostò il suo corpo, girandolo completamente verso di me. Anche questa volta, si creò un’atmosfera simile a quella di quel pomeriggio in camera sua. Mi sembrava che anche il sole stesse contribuendo all’atmosfera tant’è che, quell’aula sempre poco illuminata, era improvvisamente colpita da una luce fortissima. Deglutii lentamente e mi preparai alla domanda. “A proposito…”

“Buongiorno Martin!” esclamò una voce antipatica. La fissai arrabbiata. Questa era la terza volta che riusciva a disturbarci mentre parlavamo. “Ciao Emily” disse Martin, quasi irritato anche lui.

Non potevo lasciarmela sfuggire, non dovevo. “Senti Emily, la prossima volta abbi l’educazione di non interromperci mentre stiamo parlando.” Dissi tutto d’un fiato. Odiavo essere antipatica ma, data la situazione non avevo molte scelte. Lei ci restò quasi male e per un minuto non la sentii parlare. Ma tanto, aveva rovinato tutto perché Martin non avrebbe più osato chiedermi o dirmi niente, ora che c’era quella guasta feste.

“Martin…” iniziò a dire. La fissai: giuro che non avevo sentito nemmeno i suoi passi. Come diavolo aveva fatto ad avvicinarsi così piano a Martin? “Dopo dovrei chiederti una cosa piuttosto importante.”

La vidi abbassare velocemente lo sguardo. Martin annuì lentamente con la testa e poi si rimise a leggere la lezione. “Riguarda la festa di Willsbourgh.” Continuò quella stupida. Stava cercando di portarmi via il migliore amico.

Avrei voluto tanto alzarmi, prenderla per i capelli, trascinarla per il corridoio, sporcarle quello stupido vestito rosa a fiori che indossava e ficcarle la testa dentro il water. “Sarebbe divertente.” Mi scappò e risi, addirittura.

Martin e l’oca mi fissarono scioccati. Probabilmente Martin credeva che avessi detto quella frase in risposta a quello che la scema gli aveva appena annunciato. “Scusate, stavo pensando ad alta voce.”

Finalmente quella cavolo di seconda campana suonò e tutti gli altri studenti si precipitarono in classe. L’ultima ad entrare fu, ovviamente, Alaska seguita dalla signora Bridge.

“Ciao Jiuls.” Mi salutò affibbiandomi il solito nomignolo idiota.

“Ciao” fu invece la mia semplice risposta.

Ora, sicuramente, quella furba e vispa della mia migliore amica aveva notato il mio comportamento da depressa. Per questo, con la coda dell’occhio la vidi fissare il volto di Martin che non l’aveva degnata di uno sguardo. Sbuffò e si concentrò anche lei sulle parole della Bridge la quale sembrava molto soddisfatta di non dover riprendere nessuno di noi tre, quella mattina.

Per fortuna, la Bridge decise di non interrogare nessuno e la sua ora passò in maniera molto veloce e tranquilla. Presi le mie cose lentamente, in modo da fare uscire il resto dei miei compagni dalla classe. Martin si era ammassato verso l’uscio insieme agli altri e, ovviamente, Emily gli stava alle calcagna.

Alaska era rimasta immobile ed aspettava il momento utile per poter filare via da quelle quattro mura. Finalmente riuscimmo ad uscire e mi andai a sedere sulla panchina di fronte all’aula. Alaska si sedette accanto a me con il libro di scienze tra le braccia.

Restammo in silenzio poiché Martin ed Emily stavano parlando davanti ai loro armadietti. Certo, non riuscivo a percepire quello che si dicevano ma potevo leggere il labiale.

“Senti Martin, è da una settimana che provo a dirtelo…” iniziò a dire Emily, mentre con la mano torturava i suoi poveri capelli color cioccolato. I suoi occhi verdi si fecero coraggio e fissaro quelli azzurri di Martin.

Intanto Alaska era stata raggiunta dal famoso Lucas e, mi aveva chiesto gentilmente se poteva allontanarsi. Le aveva detto che poteva farlo tranquillamente. Fu un attimo. Non so come, ma riuscii a leggere il labiale di Emily: “Vorresti venire alla festa di Willsbourgh con me?”

Mi sentii crollare il mondo addosso. Mi alzai velocemente e quando lo feci attirai l’attenzione di Martin che mi lanciò un’occhiata preoccupata. Cosa diamine stava aspettando a risponderle? Ma soprattutto, cosa le avrebbe risposto?

La mia testa continuava a riempirsi di pensieri quando, cercando di avvicinarmi a Martin, andai a sbattere contro qualcosa o, meglio, qualcuno. “Ops, scusami.” Disse una voce simpatica maschile.

“Non ti preoccupare.” Risposi velocemente, cercando di raccattare le mie cose. E come succede nei film, in quei film romantici dove la protagonista incontra/scontra il ragazzo della sua vita, ci guardammo. Mi trovavo davanti un ragazzo dalla faccia buffa e simpatica, dai capelli rossicci e gli occhi scuri, con il viso pieno di lentiggini ed un sorriso da fare invidia alla pubblicità della Mentadent.

“Tu sei Juliet Jonhson?” mi chiese, poi. Mi stava distraendo ma, nonostante tutto, potevo vedere cosa stava succedendo tra Martin e l’oca. Riuscivo ad intravedere l’imbarazzo di Martin di fronte a quell’invito. “Si, sono io.” Risposi distrattamente.

“Io sono un amico di Lucas.” Disse, porgendomi la mano. “Mi chiamo Oliver. Piacere di conoscerti!”

Alzai un sopracciglio per la presentazione alquanto strana ma presi comunque la mano che il ragazzo mi stava porgendo. Alla fine, sembrava simpatico soltanto che non avevo molto tempo da dedicargli visto che Emily si stava filando il mio migliore amico. Istintivamente, Oliver fissò lo stesso punto in cui stavo guardando io e rimase immobile fino a quando non successe quello che successe.

Dovrei forse ringraziare Oliver per come si comportò quella mattina con me? Questo, purtroppo, non lo so. So solo che la scena che mi si presentava davanti, non me la sarei mai sognata. Nemmeno in un incubo: Perché Emily aveva deciso di baciare proprio il mio migliore amico?

  
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