NOTA DELL’AUTRICE:
X Moon –Sono super felice di averti tirato
un po’ su di morale!^__^ E sono anche felice di essere riuscita a trasmetterti
cos'è per me “l’amicizia”. ^__* E ancora infiniti grazie per passare un po’ del
tuo tempo sulla mia ff e naturalmente dei sempre graditissimi complimenti
^_______^
X Andromeda –Anche se ormai è passato un
po’ di tempo da quando ho conseguito la maturità ricordo perfettamente lo stato
d’animo in cui ero, quindi considerami tranquillamente il tuo antistress ^_* e
grazie per aver lasciato ancora un tuo commento.
X September Sea _Sono veramente lusingata
dei complimenti che mi fai, mia cara Sep. Grazie di vero cuore!
Un
grazie SPECIALE a chi continua imperterrito a seguirmi
CAPITOLO
10
Libertà
Afner,
dopo l’ennesima bottiglia scolata e non riuscendo a dormire, aveva dato una
sbirciatina dalla finestra per assicurarsi che il suo “bottino” fosse ben al
sicuro ma alla vista delle porte spalancate aveva preso alla svelta un
coltellaccio dal tavolo, ed era corso alla stalla per vedere cosa fosse
successo.
“Brutti
bastardi che ci fate qua? Questa è casa mia e quella è roba mia!” biascicò
barcollando e appoggiandosi allo stipite della porta.
“Quest’animale
non è…..” ma Legolas non riuscì a formulare la frase per intero poiché sentì un
forte bruciore attraversargli la spalla, perse l’equilibrio e cadde a terra.
Afner aveva lanciato il coltello senza neanche rendersene conto, annebbiato
dall’alcool stava lì in piedi a fissare quei due con un ghigno malvagio sul
volto e la mano ancora sospesa a mezz’aria. Gimli dopo un attimo di smarrimento
partì alla carica urlando come un matto e agitando l’ascia davanti a se. L’uomo
con gli occhi fuori delle orbite e la saliva colante dalla bocca lo affrontò
senza mostrare segni di paura ma venne travolto da quella furia, e finì
sdraiato a terra. Alzò lo sguardo e quando vide l’espressione sul volto del
nano fu preso dal panico, e alzatosi fuggì arrancando.
Angerthas,
spaventato da tutto quel tumulto, roteando gli occhi, si alzò sulle zampe posteriori
per poi buttarsi in un folle galoppo e appena fuori della stalla spiegò le ali,
si alzò in volo, scomparendo nelle tenebre della notte.
“Ce
la fai a camminare?” chiese Gimli preoccupato all’elfo ancora seduto a terra
“Dobbiamo sbrigarci o tutto il villaggio ci sarà addosso!” continuò aiutando
l’amico ad alzarsi e a sorreggerlo, una volta in piedi.
“Sono
stato veramente uno stupido a farmi sorprendere in quel modo” sussurrò
arrabbiato Legolas, più a se stesso che all’altro. Una sottile smorfia di dolore
gli apparve sul viso mentre estraeva il coltello ancora nella spalla ormai
zuppa di sangue, e cercando di tamponare la ferita come meglio poteva.
A
pochi passi dalla stalla si accorsero di non essere soli. Si guardarono intorno
e si videro accerchiati da uomini dall’aspetto e gli atteggiamenti poco
rassicuranti, cui faceva capo Afner. Si misero schiena contro schiena per
poterli tenere sott’occhio tutti nello stesso momento preparandosi così alla
difesa. Ad un tratto un sibilo nell’aria catturò la loro attenzione. Una
freccia arrivata da non si sa dove, si andò a conficcare al suolo, ai piedi di
uno degli uomini. A questa ne seguirono altre, una dopo l’altra come gocce di
un acquazzone. Gli uomini indietreggiarono mentre il diluvio di frecce
continuava incessante, andando a conficcarsi, come la prima, sempre nel terreno
quasi non volessero colpire nessuno. Improvvisamente un nitrito proveniente
dall’alto fece alzare le teste di tutti i presenti. Dapprima non videro molto
ma poi una pallida figura prese forma nel cielo, un fantasma bianco apparve
davanti ai loro occhi mettendo in fuga alcuni degli uomini. I superstiti
rimasti, pietrificati dallo stupore, videro un cavallo dall’enormi ali
avvicinarsi velocemente puntando verso il centro del rimanente cerchio umano.
Legolas afferrò il nano per il collo della cotta di maglia dicendogli di
tenersi pronto. Lo stallone passò rasente all’elfo, che con un agile scatto si
aggrappò al robusto collo dell’animale e roteando su se stesso gli saltò in
groppa, sempre tenendo ben stretto Gimli che non la finiva più di urlare. Una
volta raggiunto il cielo aperto, abbassarono lo sguardo verso terra, e videro
la causa della pioggia di frecce, un drappello di elfi metteva definitivamente
in fuga i pochi uomini rimasti.
Sorridendo
Legolas alzò gli occhi e guardò dritto davanti a se scoprendo lo spettacolo più
bello che avesse mai visto in vita sua. Il cielo immenso, la magnifica distesa
di stelle e lo schiarirsi all’orizzonte dell’alba nascente che colorava il
paesaggio di sfumature, dal giallo all’arancio, al rosso acceso. Solo allora si
rese veramente conto di quello che stava succedendo, lui insieme a Gimli, che
finalmente aveva smesso di urlare, allibito dalla spettacolare visuale, stavano
cavalcando quella meravigliosa creatura. Allargò le braccia e le tese verso
l’alto, si lasciò sferzare il viso dall’aria fresca del mattino ancora giovane,
tenendosi solo con le gambe, saldamente ancorate al corpo dell’animale. Ispirò
profondamente godendo appieno delle innumerevoli sensazioni che l’assalivano e
ammirando lo splendore del sole appena nato.
Sorvolarono la grandiosa distesa verdeggiante del bosco, dirigendosi poi verso una radura abbastanza spaziosa dove poter atterrare. Appena Angerthas toccò terra, l’elfo si lasciò cadere sul morbido suolo erboso lamentandosi sommessamente per il dolore alla spalla. Gimli si avvicinò premuroso all’amico, scostandogli la mano dalla parte lesa e costatò la gravità della ferita. Pensò in fretta a cosa poter fare, passò mentalmente in rassegna tutte le piante medicamentose che conosceva, ma d'un tratto si sentì spingere malamente dal cavallo che si faceva avanti per poi portarsi esattamente di fronte a Legolas ormai di un pallore cereo. Angerthas si inginocchiò sulle zampe anteriori e spiegando le ali lo racchiuse in un dolce abbraccio, nascondendolo alla vista. Una luce, questa volta soffusa e calda, si sprigionò da quell’’intreccio piumato, avvolgendoli totalmente. Gimli assisteva attonito a quell’evento, completamente inerme, incapace di muovere un solo muscolo. Tutto sembrò durare un tempo infinito, la natura intorno si era ammutolita immersa in un silenzio innaturale, il giorno sembrava aver fermato il proprio corso.
Pian piano la luce scemò fino a spegnersi del tutto, Angerthas si rialzò chiudendo le ali e scoprendo l’elfo sdraiato a terra con i chiari capelli sparpagliati intorno al capo, i lineamenti distesi, e un sereno sorriso sul volto, beatamente addormentato. Gimli si avvicinò per controllare la spalla dell’amico e con sua grande meraviglia vide che la ferita era completamente sparita, non era rimasto niente, nemmeno la cicatrice, come se non ci fosse mai stata. Allora il nano alzò lo sguardo sugli occhi del cavallo che lo ricambiò con infinita dolcezza. Quegli occhi così scuri da sembrar neri, così lucidi da non sembrar veri e così profondi da perdersi nei meandri di quell’oscuro labirinto. Improvvisamente le palpebre gli divennero pesanti e una strana ed insolita stanchezza lo investì e si abbandonò senza remore ad un sonno ristoratore.