Il peso delle scelte
È una notte serena quella in cui si ritrovano a
parlare da soli, per la prima volta e dopo tanto tempo.
In piedi accanto a lei, Rufy le sembra più alto a
confronto di com’era prima, il suo sorriso se possibile è ancora più
pronunciato e marcato di quanto non fosse. La risata, ha compreso da subito, è
rimasta la stessa invece. È di quelle ghignanti che le fanno ancora prudere le
mani per la voglia che ha di prenderlo a pugni quando scoppia a sproposito;
quasi da iena sulla faccia da schiaffi, che è tale e quale a come la ricordava.
Potrebbe dire che abbia i capelli più neri, che sia
più muscoloso, ma sempre magro come un chiodo, che le sue mani, appoggiate ad
un soffio dalle sue sul parapetto della Sunny, le appaiano di colpo più grandi.
Che sia diverso in modo sottile e doloroso dal ragazzo che ha lasciato, simile,
praticamente uguale e allo stesso modo differente.
È cambiato in quei due anni, cresciuto, deve
riconoscere, ma chi a conti fatti non lo è tra loro? Il cambiamento è comunque
minimo, si rassicura; è il solito Rufy: sciocco, impulsivo e coraggioso, che
mette gli amici al primo posto, che una ne pensa e cento ne fa e che prima
agisce e poi si ferma a riflettere sulle conseguenze delle sue azioni.
Ci sono mille particolari, mille segreti da svelare
dentro quegli occhi di pece, vecchi e nuovi da arraffare come tesori, ma
c’erano già prima e ci saranno sempre, che siano due, cinque o dieci gli anni
che divideranno assieme. Il cappello, garanzia e pegno, è lo stesso e così la
testa quadra che lo porta, idee strampalate incluse. E al di sotto, Rufy ha
davvero il sorriso più grande che le sia mai capitato di vedere, con al suo interno
le infinite promesse fatte da mantenere, troppe per elencarle.
- Perché li hai fatti crescere tanto? – Rufy pretende
attenzione, come un bambino. Anche in questo non è cambiato per niente. Mentre
era distratta le ha preso l’estremità di una ciocca e ora se la fa scorrere tra
il pollice e l’indice con un’aria di perplessità mista a curiosità. È strano
vedergli compiere un gesto del genere. Strano forse perché non l’ha mai fatto
in precedenza, non è mai stato così espansivo dal punto di vista fisico, se non
in sporadiche e particolarissime occasioni. Strette di mano, allora, o al
massimo il cappello di paglia calato con forza sulla testa per l’appunto, come
una sorta di carezza mancata, dimostrazioni d’affetto che lei si limitava ad
accogliere con calore e gratitudine. È qualcosa di nuovo quindi e ciò
nonostante non le risulta fastidioso. D’un tratto si sente spinta a fare lo
stesso. Vorrebbe sentire, più che vedere, quanto effettivamente sia cambiato
nella realtà. Scoprire le differenze con le sue mani. La pazienza non è mai stata il suo forte.
- Non è stato volontario, non del tutto almeno, - gli spiega con un’inflessione
di difesa che non sa spiegarsi, quasi sentendosi costretta a giustificare quel
piccolo cambio d’immagine. - È che ho avuto tante di quelle cose per la testa
che quella di occuparmene alla fine non è risultata tra le priorità, capisci? –
- Prendersi cura di sé è importante. - Rufy la guarda scandalizzato. - Anch’io me li
tagliavo, sai? Ogni volta che non riuscivo a vederci più bene perché mi
coprivano gli occhi, li prendevo, zac! e li accorciavo. –
- Credevo che avessi trascorso questi due anni su
un’isola deserta. – Il tono è ironico quanto basta, si dice Nami approvandolo.
Sarà tutto come prima, lo è già, deve esserlo. Allora cos’è
quella sensazione sottopelle? È un’impressione, indistinta e fugace, ma
permane. Malgrado le apparenze c’è qualcosa rispetto a prima che non quadra,
non torna. Cos’è dannazione? Cosa?
Rufy fa cenno di sì, il cappello ben calcato fin sulla
fronte. - È così infatti. –
- E allora come… -
- Fantasia, Nami. La parola chiave è fantasia. Usavo
quel che trovavo. Zanne di una tigre a sciabola, sassi appuntiti. Una volta ho
perfino trovato una freccia nel folto della foresta! –
- Razza di idiota! – lo riprende sbuffando. Gli tira
un pugno, tanto per fare qualcosa. - E ti sembrano cose da utilizzare queste? –
- Ma Namiiii… -
Nel silenzio che segue, Nami nota che il cielo sopra
di loro è troppo scuro, che non c’è alcuna differenza tra quello e il mare, il
confine nella notte quasi non esiste, è impalpabile. La Sunny sembra
galleggiare nel vuoto, come in un sogno.
- E a cosa pensavi allora? – La voce di Rufy è troppo
vicina, le soffia sul viso in una carezza che ha un sapore familiare e
sconosciuto. Anche l’odore dell’agrumeto quando ha raccolto i mandarini
quella mattina l’ha scossa fin nel profondo.
- Uhm? –
- Poco fa hai detto che avevi la testa piena di
cianfrusaglie. –
- Non è quello che ho detto! – scatta irritata, ma si
ricompone subito, poggia il mento sul palmo e si volta a fissarlo di rimando,
ad occhi socchiusi. Trae un breve sospiro, gettandosi i
capelli dietro la spalla. - Studiavo e già quello bastava a rendermi
esausta a fine giornata e poi naturalmente pensavo a voi imbecilli. Mi chiedevo
cosa faceste, dove foste, se steste bene. A volte avrei voluto scrivervi delle
lettere, così, solo per avere l’impressione di parlarvi. È stato strano
accorgermi di quanto mi mancaste, strano e bello. –
Rufy inizia a sghignazzare senza ritegno. Si è
installato sulla ringhiera della balaustra intanto. È seduto su una gamba
mentre l’altra dondola nel nulla. - Mi sarebbe piaciuto riceverle. Le lettere
di Nami… sarebbero state sicuramente piene di rimproveri. –
- Più che altro raccomandazioni, - si acciglia lei. -
Vi dimentichereste perfino le cose più elementari se non ci fossi io a
ricordarvele. –
- Allora siamo davvero fortunati ad averti qui con
noi. –
Rufy è serio e così lei pure mentre risponde,
fissandolo dritto negli occhi: - Già, lo siete. –
Un’altra pausa di silenzio a cui subito segue uno di quegli scatti improvvisi
d’ilarità. Nami si chiede se durante il tempo in cui sono stati separati Rufy
abbia riso così e se sì con chi abbia condiviso quei momenti. Le piacerebbe
saperlo. Un giorno o l’altro glielo chiederà, si farà raccontare ogni cosa che
si è persa, compreso come si è procurato quell’enorme cicatrice in petto – è
sul cuore e le dita le pizzicano dal desiderio che ha di sfiorarla, per
scoprire se è ruvida e spessa al tatto come pensa -; solo dopo farà lo stesso.
- E così ti mancavamo, eh? – ghigna Rufy e Nami
reprime a stento l’impulso di dargli un ceffone per quanto suona soddisfatto.
- Assurdo, eh? – ribatte e si stringe nelle spalle con
naturalezza. - Ma mi mancava anche la salsa ai mandarini di Nojiko quindi… -
- Non ti sei mai sentita sola? Insomma, siamo stati
separati un mucchio di tempo. –
- Certo che mi sono sentita sola, - Nami rotea gli
occhi, annoiata dal fatto di essere costretta a sottolineare l’ovvio, ma
davvero, con lui non si è mai sicuri. Rassicurazioni e reazioni violente vanno
a braccetto.
- Siamo mai stati un peso per te? – La domanda la
coglie talmente di sorpresa che Nami associa a quello il tuffo al cuore. Si
ritrova a sorridere, senza un motivo preciso. - Il legame che ho con te e gli
altri… come posso spiegarlo? Alcune volte mi dà una strana sensazione. Quello
che ci unisce è qualcosa di così profondo che non riesco neppure a definirlo.
Fa parte di me, ormai, a tal punto che a volte mi chiedo cosa sarei diventata
se non vi avessi mai conosciuti, se non incontrandovi la mia vita avrebbe preso
un’altra piega, spingendosi in direzioni opposte rispetto a quelle che adesso
segue. Per quanto riguarda te invece? Ti siamo mai stati di peso? –
Rufy le dedica un sorriso smagliante dei suoi. -
L’amore non è mai un peso. –
- I sentimenti in generale non lo sono mai, giusto? –
Nami annuisce, senza osare guardarlo in faccia. - Non te l’ho detto neanche una
volta, Rufy, ma ti sono veramente grata. Sono felice di essere qui, di far
parte della ciurma. –
- Sei la mia navigatrice. – Gli aveva affidato il
suo cuore.
- E tu il mio capitano. – Le aveva concesso la sua
fiducia.
È agrodolce l’emozione che sente agitarsi dentro di
lei. Una novità che la sconcerta, ma senza spaventarla. Suona logica una volta
compresa, quasi prevedibile. – Sai che ci sarò sempre, sì? –
Il capello che all’improvviso le pesa sul capo a mo’
di risposta – il suo valore, ciò che rappresenta per tutti loro - è un carico
che sarà disposta a sostenere sempre, per sempre, ad accettare con gioia. È il
peso delle sue scelte, dei sogni che inseguono, dei sentimenti che ne stanno a
suggello. E sì, dice a stessa, premendoselo contro il viso e aspirandone il
profumo impresso a fuoco, è qualcosa anche quello che le è mancato
incommensurabilmente.
N/A:
Una
sciocchezzuola, niente di più niente di meno,
ma avevo immaginato questa scena da tanto e quando finalmente ho avuto
il coraggio di metterla su carta, beh… mi ci sono affezionata mio malgrado c:
Scritta
per la Staffetta in piscina con il prompt
Rufy/Nami, Cappello.