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Autore: roxy_xyz    17/10/2012    1 recensioni
Il dolore ci prende, ci blocca, ci impedisce di continuare a vivere. Ed è quello che è successo a Marco, rimasto solo senza la sua Elisa. Un guscio vuoto che non fa altro che alzarsi la mattina senza alcun scopo.
A volte basta poco, una parola, una persona che ci aiuta al alzarci.
Un incontro per capire una cosa: Marco non è solo.
[Nona classificata al The Untold Stories - Multifandom & Originali – Inedite ed Edite]
Genere: Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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For ever

I




Era un gennaio insolito, diverso dagli anni precedenti. Freddo, caldo e di nuovo freddo si erano alternati velocemente lasciando le persone sempre più confuse. Per questo motivo aveva deciso di vestirsi ‘a strati’, consapevole che quel caldo innaturale sarebbe durato poco.
“Non ci sono più le stagioni di una volta”, gli ricordava sempre sua madre, e non aveva poi tutti i torti; era il tredici gennaio e indossava una canottiera, una felpa, e teneva un caldo maglione di lana all’interno del suo borsone per qualsiasi emergenza.
Si recò in ufficio con poca voglia di lavorare, come gli succedeva da molti mesi ormai. I colleghi avevano cercato in tutti i modi di rallegrarlo un po’ con una serie di inviti, ma più continuava a mentire a se stesso e più sentiva un enorme peso all’altezza del petto.
Non poteva scappare.
Non poteva dimenticare.
Mise il borsone della palestra sotto la scrivania, nascosto da occhi indiscreti, e accese il computer per cominciare a lavorare; aveva così tante pratiche in arretrato che temeva di non riuscire a finire in tempo per le 18:00, e quell’ora di nuoto aveva il potere di fargli dimenticare le preoccupazioni o forse, solo di distrarlo dai pensieri. Fissò lo schermo nero con un crescente nervosismo, tamburellando le dita sulla scrivania: perché tutti dovevano essere così lenti?
“Buongiorno, Marco.” Una voce femminile, una delle tante, alla quale non rispose nemmeno. La fronte corrugata si fece distesa dopo una decina di minuti; dallo sfondo di Windows le dune del deserto gli infusero un po’ di buonumore. Con la mente immaginò di essere lì, disteso in quelle sabbie calde e sotto un sole cocente. Passò la lingua sulle labbra, come se quelle fossero veramente screpolate e lui avesse bisogno di un po’ d’acqua.
Poteva solo fantasticare.


*


Un crampo le segnalò che era da troppo tempo in quella posizione scomoda, eppure sembrava accettare stoicamente ogni piccolo dolore. Come una statua, sedeva immobile e senza muoversi di un millimetro; persino il vento sembrava non sconvolgerla più di tanto.
I lunghi capelli neri si muovevano in piccole onde, mentre dei fiocchi di neve si erano incollati alle sue ciglia. Nonostante stesse nevicando ormai da una buona mezz’ora, sedeva sulle ginocchia senza badare al pavimento freddo e duro. Più di una persona le aveva rivolto uno sguardo incredulo; non accadeva tutti i giorni di vedere una giovane ragazza seduta per terra in un cimitero e inginocchiata di fronte a una lapide.
Ai suoi lati erano sparpagliati dei fiammiferi che, molto probabilmente, aveva usato per accendere il cero rosso posto di fronte a lei, unica fonte di calore.
Era da poco passato mezzogiorno quando Marco, uscendo da lavoro per la pausa pranzo, la trovò vicino alla lapide della sua fidanzata. Sembrava recitasse una qualche preghiera, ma dopo pochi secondi capì che stava parlando. Chiacchierava con la persona che occupava la tomba, come se stessero conversando al telefono.
Aveva cercato di intravedere la foto sulla lapide di fronte a lei più di una volta, ma dei graziosi garofani rossi coprivano per intero la sua visuale e non poté soddisfare la propria curiosità. Fu solo quando la sentì ridere che non riuscì a frenare la sua lingua.
“Tutto bene?” aveva domandato gentilmente, credendo di trovarsi al cospetto di una paziente di una clinica psichiatrica.
La ragazza si era girata lentamente verso di lui e l’aveva guardato senza rispondergli. Due occhi azzurri lo avevano scrutato senza mostrare un minimo di disagio.
“Io sì, e lei?” Era stato il suo unico commento prima di riprendere la sua chiacchierata univoca. Completamente basito, Marco si limitò a fissarla.
Come ogni giorno, prese i fiori ormai appassiti e li sostituì con quelli freschi, per poi dirigersi verso la pattumiera e gettarli.
“È crudele.”
“Mi scusi?”
“Non ha un po’ di cuore?” aveva domandato lei, invece di rispondere.
Dal tono di voce di Marco traspariva una certa irritazione. “Non capisco di cosa stia parlando, signorina!”
Una folata di vento spense il cero rosso e la donna si affrettò a prendere un altro fiammifero. “Vuole?”
“Cambia sempre argomento quando offende dei perfetti sconosciuti?”
Le labbra della donna erano distese in quello che doveva essere un timido sorriso. “Solo con chi uccide i fiori.”
“È una fioraia?”
Quella volta il sorriso era stato più aperto, allegro. “Mi batto per loro da anni, ormai. Sono una loro sostenitrice e poi, scusi tanto, ma cosa non andava in quei fiori? Erano stupendi.”
“Erano di ieri, solo per questo, non ho nessun odio verso di loro. Semplicemente tendo a cambiare i fiori ogni volta che vengo qui.” Aveva alzato le spalle mentre spiegava le sue ragioni, non trovando niente di male nel suo comportamento.
“E lei viene tutti i giorni qui?” Quella volta era stata lei a rimanere stupita.
“Certo.”
“Non ha una vita?”
Lei era la mia vita.” Un sussurro. Non si era curato di parlare con un tono di voce più alto.
“Era molto bella…” La voce della donna si era fatta più dolce, quasi comprensiva.
“E come lo sa? Da quella posizione non riesce a vedere la sua foto.” Possibile che una sconosciuta lo irritasse così tanto? O forse era lui che non riusciva più a scambiare due parole con una persona che respirasse ancora?
“Lo vedo dai suoi occhi e da come ne parla. È stato molto fortunato ad averla incontrata, anche se per poco.” Una folata di vento le aveva scompigliato i capelli che le erano finiti sul viso, spegnendo nuovamente il cero. Allora aveva di nuovo preso un fiammifero per riaccendere la fiamma.
“Credo che questa volta ne prenderò uno” aveva detto, rubandoglielo dalle mani in un gesto veloce. Aveva sfregato la punta sul muro e acceso il cero che aveva sempre ignorato. Non sapeva neanche di averlo richiesto quel giorno in cui aveva svolto le pratiche per il funerale; anche perché era stato l’ultimo dei suoi pensieri. Ricordava solo una folla di persone che non aveva fatto altro che stringergli la mano e rivolgere parole inutili; chi poteva comprendere almeno in parte il suo dolore? Nessuno.
Nessuno aveva visto Elisa svegliarsi la mattina con il trucco tutto sbavato e scoppiare a ridere dopo aver visto la sua espressione.
Nessuno sapeva quanto fosse buffa mentre dormiva, e come le sue labbra si tirassero sempre in su per qualche sogno.
Nessuno amava Elisa quanto lui.
Tutto era successo così velocemente da lasciarlo incredulo. Chi aveva avuto l'incidente? Di chi era il funerale?
E lui non era riuscito neanche una volta a piangere. Pensava a lei ogni giorno, ma nulla. Sembrava che con la sua morte si fosse prosciugato ogni cosa. Prima le lacrime, poi la sua voglia di vita.
“Così va meglio, no?” gli aveva detto la donna, e in effetti aveva sentito qualcosa scaldarsi nel petto, come se la fiamma avesse a tutti gli effetti portato un po' di calore.
“Grazie.”
Gli aveva sorriso un'ultima volta, e finalmente si era alzata da quella posizione scomoda. “A domani, allora.”


*


Ormai era diventata un'abitudine: tutti i giorni Marco portava i fiori a Elisa e trovava al suo fianco la strana donna, di cui peraltro non sapeva neanche il nome. Nessuno dei due sembrava però badare alla cosa, bastava condividere quella mezz'ora insieme.
Spesso era successo che si scambiassero nient’altro che monosillabi.
Lei gli passava un fiammifero e cominciava a parlare a bassa voce, iniziando il solito monologo. Più di una volta Marco aveva cercato di capire l'argomento e, alla fine era arrivato a quella conclusione: ogni giorno dava un resoconto dettagliato della giornata passata. Aveva anche sentito il suo nome in un bisbiglio e la cosa non lo aveva turbato; anzi, sapere di far parte della vita di quella strana donna aveva avuto il potere di alleggerire un po' quelle giornate sempre così tristi.
“Dovresti parlarle, sai?” Gli aveva detto un giorno.
“Non ci riesco, non so come tu faccia. Mi sembra così strano... lei non è qui.”
Era scoppiata a ridere dopo quella risposta. “Ovvio che non lo è. Lì ci sei tu, semmai.”
“Come?”
“Dovresti provarci, ti senti più leggero. Magari potresti scriverle delle lettere...” Come sempre aveva evitato evitava di rispondere a domande scomode preferendo cambiare argomento, e ormai anche Marco aveva imparato a non insistere.
Scrivere lettere a una persona defunta. Un’idea bizzarra che poteva avere solo lei, eppure una piccola parte del suo inconscio sembrò apprezzare la proposta e prenderla in considerazione; forse avrebbe potuto vivere il lutto come lei, in modo molto più sereno.
Perché no? Magari a forza di parlare con lei aveva perso del tutto il senno, ma non aveva mai dato peso a certi pensieri, neanche quando da ragazzo frequentava persone che tutti sconsigliavano.
Dopotutto aveva conosciuto così Elisa.



Era il 2005. Estate torrida, una di quelle più calde, e lui odiava il caldo. Se qualcuno gli avesse chiesto dove preferiva passare le vacanze, la sua risposta sarebbe arrivata subito e senza esitazione: montagna.
Non si potevano paragonare, secondo il suo umile punto di vista. Al mare si annoiava: se ne stava lì, sdraiato, e dopo neanche cinque minuti si sentiva sciogliere al sole. La verità è che non poteva patire il caldo e puntualmente finiva a passare il tempo in acqua. Non che non amasse nuotare, anzi; però scoprire nuovi percorsi o sentieri lo rendeva entusiasta, come un bambino alle prese con un’avventura. La mattina si svegliava presto e dopo una veloce colazione, partiva con lo zaino in spalle e pieno di buona volontà. Sì, la montagna non aveva nulla da invidiare al mare, soprattutto in estate.
Quel giorno aveva deciso di puntare su un percorso più difficile, ma che l’avrebbe portato ad una quota più alta da cui avrebbe potuto apprezzare meglio il panorama.
In hotel gli avevano detto che solo da quel punto si poteva vedere il ghiacciaio – anzi quello che rimaneva del ghiacciaio, dato che con le temperature così alte aveva cominciato a sciogliersi poco alla volta.
Era arrivato a destinazione completamente sudato e stremato, ma quando si era affacciato… beh, era stato qualcosa di veramente emozionante, uno spettacolo unico.
Si era seduto e, per premiarsi della tenacia, aveva deciso di pranzare osservando il panorama. Ogni volta che dava un morso al panino un piccolo pezzo di ghiaccio rotolava per andare a finire nelle acque gelide.
Con lo sguardo cercava di non perdersene neanche uno, e ben presto il pranzo si trasformò in un gioco. Era così assorto da non accorgersi dell’arrivo di una ragazza che, come lui, aveva deciso di pranzare lì e di godersi il panorama.
Fu la sua risata a destarlo. Probabilmente si era accorta di come gli occhi di Marco non si perdessero nemmeno un sassolino e la cosa l’aveva incuriosita.
Fu così che conobbe Elisa. Una ragazza di appena ventitré anni, piccola di statura, ma più tenace e cocciuta di tanti altri. Ogni giorno partiva alle otto del mattino e, nonostante lo zaino fosse anche più grande e pesante di lei, tornava sempre felice e con tanta voglia di vivere.
E con lei Marco aveva vissuto a pieno, perché Elisa era capace di spronarlo, di portarlo in nuovi posti, di farlo entusiasmare con attività che prima aveva sempre snobbato.
Erano andati persino al mare per un mese, e lui aveva passato il tempo sdraiato a osservarla, o meglio a osservare quel naso impertinente già bruciato dal sole e quel sorriso furbo che aveva sempre stampato in viso. Era pazzesco, ma non ricordava di averla mai vista con l'espressione triste o corrucciata, come se il malumore non la toccasse mai; i suoi occhi brillavano di una luce perenne.
Anche quel giorno in cui qualcuno aveva soffiato sulla sua fiamma e l’aveva spenta.
“Ci vediamo dopo e mi raccomando, sii puntuale” gli aveva detto scherzando, e per la prima volta lo era stato.
Da quanto tempo la stava aspettando?
Seduto alla solita scrivania prese carta e penna e scrisse; le parlò di quei mesi, di quello che faceva ogni giorno, di quanto sentisse la sua mancanza.
Vorrei stringere te tra le braccia. Non il vuoto.
Vorrei ridere con te. E anche per qualche tua espressione buffa.
Vorrei dormire con te, baciarti, amarti. Le lenzuola sono fredde e la lana sembra pungermi ogni notte.
Mi manchi. Sono ancora qui, sotto la tua finestra. Affacciati, Elisa. Torna da me.

Ed ecco il primo capitolo della mia minilong! Era da tanto che non scrivevo una storia originale, per questo vorrei ringraziare Jaybree che, oltre ad averla valutata, mi ha permesso di riprendere in mano una vecchia storia e di completarla.
E infine, un doveroso grazie va a Bea che mi sta costringendo a pubblicarla e che mi sprona a mettermi alla prova. Grazie di credere in me, PIPPA!
Prossimo capitolo tra una settimana, a presto.
   
 
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