VUOTO
Could you remind me of a time when we were so alive?
Do you remember that? Do you remember that?
«Ricordi qual è stata la prima parola che mi hai detto?»
“Vuoto.”
“Come?” chiese Louis quando si voltò e rese conto che il ragazzo coi capelli
ricci che era entrato per primo in bagno ce l’aveva con lui.
“Il contenitore del sapone. E’ vuoto,” gli ripeté quello, e solo in quel
momento Louis si accorse che stava premendo da un po’ il beccuccio del
contenitore senza che ne uscisse
alcunché. Ma era andato avanti a premere imperterrito, e non voleva ammettere
che quel gesto fosse dovuto al nervoso di essere rimasto solo in bagno col ragazzino
a cui pensava dalla prima volta in cui gli aveva posato gli occhi addosso.
“Ah. Non me n’ero proprio accorto,” disse Louis con la risata imbarazzata, ché
ancora riusciva ad imbarazzarsi per qualche figuraccia, e fece che sciacquarsi
le mani senza sapone e poi asciugarsi con alcuni fazzoletti.
“Eri solo sovrappensiero,” fece Harry alzando le spalle, il sorriso che gli
scavava due fossette scure sulle guance. “Tu sei quello che ha portato Hey there Delilah?” aggiunse poi, e a quel punto Louis si
voltò verso di lui asciugando le mani ancora umide a metà sulla maglietta
scialba.
“E tu quello di Isn’t she
lovely?” chiese
quello a sua volta. “Ti ho notato,” ammise con una mano dietro la nuca. Gli
occhi di Harry luccicarono, nonostante la luce lì dentro scarseggiasse.
“Anche io ho notato te,” disse quest’ultimo, tutto preso ed emozionato, quasi
stesse confrontandosi con un artista famoso, o col suo idolo di sempre. “Sono
Harry,” si decise quindi a dire allungando la mano.
“Lo so,” rise Louis, ma gli strinse ugualmente la mano tesa e disse: “Louis.”
“Lo so.” Rispose Harry, e tentò di non dare peso alla scossa che gli aveva
attraversato il corpo nel momento in cui era entrato in contatto con l’altro.
«Ricordi quando ci siamo tenuti per mano la prima volta?»
“Vorrei una canzone
dei Westlife,” confidò Harry ai ragazzi, e gli altri
concordarono.
“A me non farebbe schifo qualcosa dei Backstreet,” aggiunse
Niall, e Liam scosse la
testa.
“Tanto finiranno per darci la canzone di un solista,” fece alzando le spalle, e
in quel momento entrò nella stanza Simon. Tre del gruppo s’alzarono in piedi
per salutarlo, ma quello fece loro segno di sedersi, per poi schiarirsi la
voce, pronto a comunicare loro quale sarebbe stata la canzone a cui dedicare
anima e corpo quella settimana. Solo Harry e Louis erano rimasti seduti sul
divano bianco premuti uno contro l’altro, le mani che s’erano intrecciate tutto
d’un colpo, senza che fosse un gesto premeditato o deciso sul momento. Le mani
s’erano semplicemente toccate e poi abbracciate, probabilmente per la tensione
del momento, ché la scoperta della canzone settimanale metteva sempre addosso
tanta curiosità quanta ansia. C’era sempre la paura di non farcela, di non
essere in grado, di fallire, di perdere la sfida, di tornare a casa a mani
vuote, di deludere i compagni. Ma quei due avevano le mani strette e nascoste
dietro i propri corpi, e sentivano di poter andare avanti all’infinito in quel
modo, forti come draghi, col cuore che ruggiva come quello di un leone, le voci
ancora indomabili.
«Ricordi quando giocavamo sul letto?»
“Ripetilo!”
Harry rotolava sul letto per tentare di sfuggire alle dita di Louis che si
infilavano nei suoi punti più sensibili per farlo crepare dal ridere.
“Ripetilo, o te la puoi sognare una tregua!” e quasi lo grattava mentre gli
solleticava lo stomaco, ridendo a sua volta quando sentiva Harry supplicarlo di
smetterla con acuti “Ti prego, ti prego!”. Intanto il più piccolo sentiva di
stare soffocando per le troppe risate e, in un attimo di inspiegabile
distrazione da parte di Louis, strisciò sulle coperte e rotolò giù dal letto
con un tonfo, per poi tentare di rialzarsi e fuggire via prima che l’altro
potesse fermarlo.
“Torna qui, gattino,” Louis si voltò svelto e allungò il braccio per poi
strattonare la maglietta di Harry dalla manica e tirarlo verso di sé. “Dillo di
nuovo e prometto che mi impegnerò a non farti del male,” disse ancora il più
grande mentre vinceva contro Harry e riusciva a trascinarlo nuovamente sotto di
sé per poi riprendere con la tortura del solletico.
“Ma che devo dirti?!” sbottò Harry senza riuscire ad essere serio, la risata
aspirata, soffocata.
“Quello che mi hai detto prima di scappare via con la faccia tutta rossa,”
disse Louis sovrastando con gambe e braccia il più piccolo, sinceramente
divertito.
“Rinfrescami la memoria!” strillò Harry, ché quando gli si faceva il solletico
aveva la voce di un bambino.
“Mi hai detto che sono bellissimo,” gli disse Louis sogghignando e fermando un
attimo le mani assassine.
“Mentivo!” gridò ancora il più piccolo, e Zayn seduto
nell’angolo della stanza sbuffò rumorosamente.
“Non riesco neanche a leggere le tracce di un cd, porca di quella tr-“, il resto si perse negli strilli di Harry e nelle
risate di Louis.
Ridevano tanto da sentire la pancia gonfia, piena di felicità. Piena.
«Ricordi quando m’hai dato il primo bacio?»
“Chi sono?” fece una vocetta
irriconoscibile, perché ridotta a qualcosa di simile al cinguettìo
di un uccello. Louis portò le mani su quelle che erano premute sui suoi occhi e
rise per poi dire, autoritario:
“Sei uno della mia banda, di certo. Ma sono indeciso tra Liam
e Niall. Non sei Zayn.”
“Come fai a dire che non sono Zayn?” disse la stessa
voce camuffata e portata al ridicolo. Louis alzò il lato destro della bocca e
si schiarì la voce, divertito.
“Dall’accento, anche se stai tentando di camuffarlo. E poi le mani di Zayn sono più screpolate,” si spiegò, e Harry lanciò uno
sguardo stupito a Niall, che ricambiò mentre teneva
schiacciate le proprie dita sulle palpebre e su una parte dei capelli di Louis.
“E come fai a dire che non sono Harry?” insistette Niall
da dietro, e Harry si portò una mano alla bocca ridendoci silenziosamente
dentro.
“E’ facile. Le mani di Hazza sono gigantesche, e sono
sempre profumate di crema. E morbide. E più delicate. E…”
“Sei innamorato delle mani di Harry, forse?” intervenne Niall, per
poi fare segno col capo ad Harry di far credere a Louis di essere lui quello
con le mani sui suoi occhi. Allora il più piccolo dei tre si mise davanti al
più grande e gli soffiò in faccia, mentre quest’ultimo storse il naso confuso. “O direttamente di lui?” aggiunse Niall divertito, questa volta lasciandosi andare alla sua
voce originale.
“Sei Niall, scem-“ ma la
sentenza di Louis fu interrotta da un paio di labbra gonfie e leggermente
umide, come fossero state appena leccate, che si stamparono sulla sua bocca,
cogliendolo del tutto di sorpresa. Niall prese a
ridere a crepapelle nella sua solita, esagerata maniera e permise a Louis di
scoprirsi gli occhi tutto trafelato per poi ritrovarsi un Harry sorridente e
rosso come un peperone proprio lì davanti alla bocca, a pochissimi centimetri
da lui.
“Ma che…che diavolo ti salta in mente?” sbottò Louis
pulendosi le labbra con la manica della maglia, mentre Niall
ancora rideva e Harry perdeva l’allegria improvvisamente. Poi il più grande
scostò leggermente il biondo dietro di lui e se ne andò dalla camera per poi
rifugiarsi in bagno.
Quando Harry lo raggiunse per chiedergli scusa, Louis si voltò di scatto
arrabbiato e,
“Sì, dovresti proprio scusarti! Se pensi che per te sia un gioco, beh, per me
non lo è,” fece tutto serio, le dita che si sfioravano le labbra. “Me lo
immaginavo diverso il nostro primo bacio. E m’ero ripromesso che sarei stato io
a dartelo per primo, perché sono più grande, dannazione,” fece in modo
confusionario, mentre Harry se ne stava lì con le braccia abbandonate lungo i
fianchi, a fissarlo, e stette altrettanto fermo e immobile quando Louis, ancora
incazzato, lo attirò violentemente verso di sé e gli diede un lungo e
appassionato bacio, a cui l’altro seppe
arrendersi qualche secondo dopo.
«Eri arrabbiato, allora?»
«Non lo so, non mi ricordo. Tu?»
«Io cosa?»
«Ti ricordi?»
«No. Vuoto.»
«E ti ricordi quando ti ho lasciato il primo segno?»
“Mi fai il solletico,” ridacchiò Harry
nel momento in cui Louis gli alzò la maglietta da dietro e gli passò le mani
sui fianchi ancora morbidi, i superstiti della pubertà. “Lo sai che lì mi fai
il solletico,” ripetè quando Louis andò di proposito
a stuzzicare con la bocca quella porzione di pelle.
“Stai fermo, però, non muoverti tutto!” esclamò il più grande mentre se ne
stava giù col capo a prendere con la bocca quel che riusciva a prendere e con
le mani che tentavano di tenere Harry fermo sotto di sé.
“Non ci riesco,” ridacchiò quest’ultimo muovendo le gambe come un bambino che
fa i capricci, per poi lasciarsi andare a un piccolo gemito di dolore. “Che hai
fatto?” chiese mentre se ne stava a pancia in giù sul letto e guardava dietro
di sé la massa di capelli lisci di Louis fermi sul suo fianco.
“E’ colpa tua, che ti muovi!”
“Mi hai morso!” lo incolpò Harry minacciando di mettersi a piagnucolare, e
Louis gli chiese sommessamente di fare silenzio.
“Se stai fermo e zitto, vedo se riesco a rimediare”.
E allora Harry raccolse tutta l’aria e la tenne in bocca mentre l’altro gli
leccava il segno del morso, lasciato lì intenzionalmente, e nello stesso tempo
succhiava piano, ché aveva voglia di vedere un bel segno rosso su quella pelle
chiara e immacolata. Sì, adesso era perfetto, tutto bianco e morbido, e una
macchia scura incorniciata dai segni dei denti lì sul fianco pieno, appena
sopra l’elastico dei pantaloni. Bellissimo.
«Era qui a destra, il segno?»
«Non mi ricordo. Tu?»
«Ma te l’ho chiesto prima io.»
«Ancora vuoto, allora.»
«Ma l’abbiamo fatto, l’amore?»
«Non ti ricordi?»
“Perché devi stare tu sopra?”
“Perché sono più grande,” rispose Louis con aria da grand’uomo ma lasciandosi
poi andare a un sorriso provocato dalla tenerezza che gli infondevano i due
occhi acquosi sotto di sé.
“Questo non vuol dire che ce l’hai anche più grande,” ridacchiò Harry, già nudo
se non fosse per i boxer bianchi.
“Veramente abbiamo già effettuato una misurazione, e non solo una volta. O non
te lo ricordi?” e Louis spostò gli occhi dal suo intimo a quello di Harry con
fare ammiccante, al quale l’altro ricambiò con altrettanto entusiasmo.
“Me lo ricordo benissimo. E, ahimè, devo ammettere che hai un mostro lì sotto,”
fece con finto tono sconsolato. Louis si piegò su di lui e gli strappò un bacio
veloce e bagnato.
“E’ per questo che avrai l’onore di riceverlo tra le chiappe,” disse tutto
contento, il corpo che fremeva al solo pensiero. Poi tornò di nuovo giù e baciò
ogni centimetro della faccia del più piccolo, limitandosi a brevi contatti per
poi approfondirli quando si ritrovava sulle labbra gonfie o quando scendeva sul
collo bollente.
“La immaginavo un po’ diversa la nostra prima volta, a dirtela tutta,” disse
Harry mentre godeva silenziosamente sotto il tocco dell’altro. “Leggermente più
romantica, credo”.
Louis si tirò su e smise di far ondeggiare il bacino contro quello già eccitato
dell’altro. Raddolcì lo sguardo e gli passò una mano sulla guancia carezzandolo
piano. Harry si strusciò sorridendo e chiudendo gli occhi contro il palmo della
mano e si lasciò baciare lentamente la bocca smaniosa, assaporando a pieno la
sensazione della lingua di Louis che abbracciava la sua, delle sue labbra che
sembravano avere la forma adatta ad incastrarsi perfettamente alle sue.
Louis posizionò la mano aperta sul petto nudo di Harry e si beò del rumore
paradisiaco del respiro affannoso e del palpitare altrettanto affannoso del
cuore. Quel cuoricino da sedicenne innamorato che aveva voglia di strappare via
e di tenere per sempre con sé. Harry era suo, nessuno avrebbe potuto mai più
allungare un dito su di lui. Era suo, e gliel’avrebbe dimostrato. Gli avrebbe
fatto vedere che non erano solo le loro bocche a incastrarsi come pezzi dello
stesso puzzle. Anche i loro corpi, le loro anime, erano destinate ad unirsi e a
coincidere, come fossero stati sempre una cosa sola e poi costretti a separarsi
in seguito.
Era con questi pensieri che Louis diede l’amore ad Harry quella notte. Lo
sporcò, di amore, su tutta la pancetta da adolescente, e sulle mani grandi che
adesso non profumavano di crema, sapevano di sesso, ma restavano morbide e
delicate. E lo sporcò dentro, soprattutto, tanto che Harry alla fine commentò:
“Mi sento pieno di te.”
Pieno. Era pieno.
«Fu bello?»
«Non ricordo. E tu?»
«Vuoto totale. Mi dispiace.»
«Anche a me, anche se forse non dovrebbe.»
Louis gratta piano con le unghie troppo lunghe e ingiallite il bracciolo della
sedia a rotelle e si mette a pensare inutilmente, tenta di scavare nei ricordi
che non ci sono, e gli viene anche un principio di mal di testa a causa di
quello sforzo.
«Louis?»
La voce del suo compagno di stanza lo costringe a sollevare il capo, anche se
fa un po’ di fatica: guarda quell’Harry, gli osserva senza troppa emozione i
capelli rasati e grigi credendo di ricordarli, in qualche modo, molto più
voluminosi e ricci e morbidi e castani. Poi sposta gli occhi sulla sua pelle
macchiata e decadente, lo sguardo stanco e spento, le occhiaie larghe e scure,
e gli dà almeno 75 anni. Qualcuno ha detto a Louis che lui ha due anni in più
dell’altro, quindi dovrebbe averne 77, se ancora è in grado di fare i conti.
«Mh?»
«Ti chiami Louis, vero?»
«Immagino di sì. Sta scritto sul bracciale.» dice Louis indicandosi con un
indice magro la striscia di carta spessa che ha legata al polso. Anche Harry dà
un’occhiata al suo, di braccialetto, prima di parlare ancora, trascinando a
fatica le parole.
«Sai cos’è l’Alzheimer?»
«Boh?»
«Ne parlano sempre quelle… le tue sorelle, mi sembra?
Quelle che ti vengono a trovare,» dice Harry e incespica nelle parole più
facilmente del compagno più grande.
«Quando torneranno glielo chiederò,» promette Louis.
«Ti ricorderai?»
«Sennò ci sei tu a ricordarmelo, no?»
«E’ vero,» annuisce Harry convinto, poi decide di stare un po’ in silenzio,
senza neanche più sforzarsi di cercare nel passato quando non trova altro che
vuoto. E lui si sente così: un guscio vuoto. Sente di esistere e basta, e di
non aver vissuto affatto. E se l’ha fatto, non ne ha memoria. Non sa se esista
qualcosa di più terribile.
Louis tenta ancora una volta di portargli a galla qualcosa, visto che lui non è
messo molto meglio.
«Ti ricordi quando ci amavamo?»
Harry ci pensa un attimo, poi fa schioccare la lingua e guarda altrove.
«No».
«Nemmeno io».
I’m
so hollow, baby.
I’m so hollow.
---
Hello, hello! C-can you hear me?
Okay, visto che ci si lamenta che li faccio morire sempre, questa volta
li ho tenuti in vita. Ma sono convinta che dimenticare sia ancora peggio :(
Dedicate un pensierino di pietà a Pirisilla, che ha
ipotizzato potessi aizzare una fan e ordinarle di uccidere Harry e Louis
(sempre nella fan fiction) XD
Le canzoni citate sono Franklin
dei Paramore e Goodbye my lover di James Blunt.
Chi mi lascia una recensione, sappia che mi illuminerà la giornata in qualunque
caso. Oggi è piuttosto nuvoloso e angst, qui a Torino
:(
Pagina Facebook Mirokia: http://www.facebook.com/mirokiaEFP
Mirokia